27 agosto 2006

Il conte di Montecristo di Alexandre Dumas

Questa è la storia di un uomo che, simile a Satana, volle sentirsi pari a Dio. Volle essere strumento della giustizia e della provvidenza di Dio.
La storia di quest'uomo parte da un tradimento, nato dall'invidia, dalla brama di potere, dalla gelosia e dall'avidità. Edmondo Dantes, nel giorno del suo fidanzamento, finisce carcerato con l'accusa di alto tradimento. Innocente, finisce rinchiuso, senza possibilità di difesa (che gli viene tolta da chi ha orchestrato il complotto) nell'orrido Castello d'If. Ad orchestrate la sua fine sono lo scrivano della nave presso cui è secondo, un procuratore e il cugino (e amico) della sua fidanzata Mercedes.

Dalle segrete riesce a fuggire, con l'aiuto di un altro carcerato, Faria, come lui rinchiuso ingiustamente nella prigione. Che lo mette a conoscenza di un ricchissimo tesoro, nascosto prorpio sull'isola di Montecristo.
Ma a raggiungere la libertà e a fuggire, dopo tredici anni, sarà un'altra persona. Perchè il giovane Edmondo, che guardava al futuro col sorriso dei vent'anni, è morto.
La seconda parte del libro introduce un nuovo personaggio: il conte di Montecristo. Una persona colta e intelligente, ma soprattutto ricchissima. Chi sia, da dove viene, cosa ha fatto nel passato nessuno lo sa. Ma è la persona che inizia a tessere la trama di un tremendo (e complesso) piano di vendetta contro colore che uccisero l'anima di Edmondo e che causarono la morte del padre per stenti.

Vendetta spietata, preparata con cura in molti anni d'attesa, che il conte, cioè Edmondo, non riuscirà a portare a termine del tutto, poiché in fondo all'animo ha ancora il cuore del giovane. Ma i traditori di Edmondo, il magistrato, l'amico divenuto militare, il sarto poi locandiere e lo scrivano della nave, subiranno la loro giusta pena: la pazzia, il suicidio, l'omicidio e la rovina economica.

Questa, in brevissima sintesi, la trama di un libro che, a fianco del racconto principale, racconta altre storie: i briganti a Roma, il tradimento alla corte di Giannina, la guerra in Spagna e in Grecia, le vicende private e gli amori dei giovani. Come se il Conte di Montecristo fosse una sorta di libro dei libri, quello di cui Guglielmo e Adso parlano all'interno della biblioteca dell'abbazia, ne Il nome della rosa di Eco.

Perché ancora oggi leggere il Conte di Montecristo, libro scritto nel lontano 1844 e ambientato in Francia negli anni successivi alla caduta di Napoleone, tra Marsiglia e Parigi?
Perché è soprattutto un libro che racconta di sentimenti forti: il tradimento subito dal giovane Edmondo potrebbe essere ambientato anche ai giorni nostri, non ha età. Ci si immedesima immediatamente col ragazzo, ingenuo e pieno di speranze, che finisce intrappolato dentro una buia cella. Dove perde il contatto con la realtà: il tempo che passa (quando esce non sa che anno sia), quale sia il suo aspetto. Rimane, per i carcerieri, solo un numero: il carcerato numero 34.
Ma un altro aspetto che affascina del libro è la complessità della trama nella seconda parte, quando, anni dopo la libertà, Edmondo lascia posto al conte, ed entrano nella storia (o quasi, irrompono nella storia) nuovi personaggi: Alberto de Morcerf, Franz D'Epinay, Bertuccio, il conte Cavalcanti, Andrea, Valentina, Massimiliano Morrel. Pian piano emergono le relazioni tra quest'ultimi e le nostre vecchie conoscenze (lo scrivano divenuto banchiere Danglars, il procuratore Villefort, il conte di Morcerf), che col tempo han cambiato ruolo nella società o nome. Una società, quella francese, che non esita a concedere titoli nobiliari, rispetto, crediti e meriti a coloro che dispongono di ricchezze personali.

E in questa tela di relazioni sociali, personali, di parentela, lo spietato ragno (il conte), che con le sue ricchezze e il suo stile entra nella scena parigina, inizierà le sue mosse di vendetta. Diventando un personaggio sfuggevole: quali pensieri si annidano nella sua mente? Non lo si capisce: tanto che al suo ingresso in scena a Parigi lo si paragona ad un vampiro.
E in effetti qualcosa di demoniaco c'è nella persona di Montecristo: in cima ai suoi pensieri c'è solo la volontà di vendicarsi. E per questo diventerà una sorta di “deus ex machina”: grazie alle sue immense fortune si diverte a forzare il destino secondo i suoi desideri: far nascere un amore o generare odi e dissidi in famiglia, creare fortune o portare al fallimento.

Eco, nella prefazione al libro, parla di libro “mal scritto”, a causa della scrittura ridondante, ripetitiva, ricca di descrizioni. È vero: nato come foilletton, Dumas veniva pagato tanto al rigo. Ma questo non significa che la lettura sia lenta e difficile.
Semplicemente necessita del suo tempo: tempo che investirete su voi stessi.
Questo è uno di quei libri che ti lasciano migliore di quello che eri: più ricco, saziato dell'avventura, dalle storie degli uomini e delle loro passioni che vengono raccontate.
Buon viaggio.
I link su ibs e bol.
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3 commenti:

morris ha detto...

http://montecristosurrealityblog.blogspot.com/ blog ufficioso semi ufficiale e forse un giorno ufficiale chi lo sa del musical Il conte di Montecristo

Anonimo ha detto...

io il romanzo l'ho letto circa 10 volte...(non è paranoia, solo una gran quantità d tempo libero ^^) e sono decisamente d'accordo con te: la storia parla di passioni forti. sentimenti e segreti che si intrecciano e conferiscono al romanzo quel sapore di immenso.

ciao, da un utente volante della rete ^^

Anonimo ha detto...

Concordo, è un romanzo affascinante, umanamente edificante e che ti fa comprendere come a volte la cultura non ha prezzo. Una persona migliore non è colei che sa la differenza tra giorno solare e sidereo o tra integrale definito e indefinito, ma quella che si nutre di letture come le "Lettere a Lucilio", "Uno, nessuno, centomila", "Il conte di Montecristo", solo per citare alcuni esempi.