15 luglio 2007

L' agenda rossa di Paolo Borsellino di Sandra Rizza, Giuseppe Lo Bianco

“Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”.
Bertold Brecht

Gli ultimi 56 giorni di vita del magistrato Paolo Borsellino, ricostruiti a partire dalle testimonianze degli amici, dei collaboratori (magistrati, poliziotti, giornalisti), dei pentiti di mafia che avevano scelto proprio Borsellino per iniziare la collaborazione con lo Stato.
I ricordi della sorella, Rita, della moglie, Agnese Leto. Di chi lo ha conosciuto, ha avuto l'alto onore di stargli accanto nel lavoro di tutti i giorni.
Che era quello di un magistrato, schierato in prima linea contro Cosa Nostra.
Queste ricostruzioni partono da due agende: la prima, quella rossa, sparita dal luogo della strage, da mani ignote. In una via D'Amelio forse troppo affollata, negli attimi successivi alla strage qualcuno sottrae dalla borsa del magistrato l'agenda (donatagli dai carabinieri) sulla quale aveva iniziato ad annotare le sue riflessioni, le intuizioni e le conclusioni delle sue indagini sul chi e perchè aveva ucciso, qualche mese prima a Capaci, l'amico e collega Giovanni Falcone.
“Devo fare in fretta, devo fare in fretta ...
Ho capito tutto. E' una corsa contro il tempo quella che io faccio. Sto vedendo la mafia muoversi in diretta” diceva.
C'è una seconda agenda che si è salvata: grigia, sulla quale sono indicate note personali sulla sua vita privata. Gli scontri col procuratore capo di Palermo Giammanco; i giuda del CSM che attaccarono e tradirono Falcone per la nomina alla superprocura antimafia prima e alla succesione di Caponnetto; l'articolo di Sciascia sul corriere (quello sui “professionisti dell'antimafia”) del gennaio 1987, quando “Falcone incominciò a morire”.
Perchè un magistrato lo si inizia ad uccidere anche così: prima con l'isolamento, poi con le calunnie.
Gli interrogatori con i pentiti di mafia: Gaspare Mutolo (sue le rivelazioni su Bruno Contrada, numero tre del Sisde, come talpa della mafia), Calderone e Leonardo Messina.
Quella strana convocazione al Viminale il 1 luglio 1992, mentre stava interrogando Mutolo su Contrada: convocazione di cui l'allora ministro Mancino non ricorda ...

Questo libro è incentrato solo sugli ultimi mesi: non si parla della mattanza, di Rocco Chinnici, Mattarella, La Torre, di Buscetta, del maxiprocesso, del giudice Carnevale .. di questo è già stato scritto e sono state anche realizzate delle fiction.

“L'agenda rossa” parla di quegli ultimi giorni: dove tutti sapevano che era Borsellino il prossimo bersaglio vivente (“è già arrivato il tritolo per me”), ma nulla è stato fatto per proteggerlo. La sentenza del processo Borsellino bis parla delle “carenze e di apparenti ingenuità che hanno reso meno difficoltoso il compito degli esecutori materiali della strage”.
Delle ingenuità pagherà il solo questore di Palermo, Plantone, sostituito dal questore di Trapani.
Dopo Capaci, Borsellino era stato autocandidato, dal ministro della giustizia Martelli, al ruolo di capo della superprocura antimafia, la DNA. Una sovraesposizione che Borsellino, evidentemente, non gradiva. Né lui si sarebbe mai autocandicato, contro la volontà del CSM.
Sapeva di essere nel mirino ma continuò le sue indagini, nonostante gli scontri col superiore, il procuratore capo Giammanco. Che gli diede la delega sulla mafia di Palermo solo il 19 luglio. Poche ore prima della strage.

Una strage di cui si sa veramente poco: tra qualche giorno, tutti (o quasi i telegiornali) celebreranno la figura eroica del magistrato. Ma nessuno dirà che non sappiamo nemmeno quali furono i membri effettivi del commando.
Mentre su Capaci conosciamo almeno gli esecutori materiali, per via D'Amelio c'è un buco nero. Una strage anomala:
tanti i dubbi, le perplessità, le stranezze di questa strage. A cominciare dalla fretta con cui viene eseguita dopo quella a Falcone e la sua scorta. Quasi a voler dare un'accelerata alla strategia mafiosa di attacco contro lo stato.

Il libro porta avanti l'ipotesi per cui, se fosse rimasto vivo, Borsellino si sarebbe opposto alla trattativa tra stato e mafia, portata avanti (materialmente) da due ufficiali del Ros: il gen. Mario Mori e il cap. De Donno. Gli stessi che smobilitarono i controlli al covo di Riina dopo il suo arresto. I corleonesi interpretarono la volontà di trattare come un segnale che la loro idea di guerra allo stato era vincente. Forse anche questo ha concorso alla sua uccisione.

Borsellino aveva capito tutto: “Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia. La mafia non si vendica. Forse saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri”.

Cosa aveva saputo? Forse quanto era profondo il terzo livello della mafia. I mandanti della strage di via D'Amelio che noi non conosciamo (e forse non conosceremo mai).
Sul numeri di Maggio dell'Europeo c'è un intervista all'esperto di intercettazioni Gioacchino Genchi. Parla di Castel Utveggio, una montagna sopra Palermo, di una sede di in centor studi per manager. Il Ce.Ris.Di., dietro cui si celava, ai tempi della strage, una sede del Sisde. Lo stesso Sisde di Contrada e del generale Mori. Sede smobilitata pochi giorni dopo la strage.

I telefoni del Ce.Ris.Di., cui si alternavano ex ufficiali dei carabinieri, si incrociavano nei giorni precedenti la strage, con il cellulare clonato del boss Giovanni Scaduto, boss di Bagheria, condannato per l'omicidio dell'esattore siciliano Ignazio Salvo. Sulla collina di Capaci, poche settimane prima, fu trovato un biglietto con il numero di cellulare di un funzionario del Sisde, vice di Contrada, che con gli uomini di Castel Utveggio aveva lavorato negli uffici dell'alto commissariato di Palermo.
Strano, visto che proprio da lì, dalle alture di Monte Pellegrino, come le indagini avrebbero poi confermato, poteva essere azionato il telecomando della bomba che uccise Borsellino.

Dalle stragi del periodo 92-93, è nata l'attuale Seconda Repubblica. Dalle bombe di Capaci e via D'Amelio, a quelle di Milano, Firenze e Roma, fino alla pax mafiosa iniziata con il mancato (o revocato) attentato allo Stadio Olimpico. Pax mafiosa coincisa con la discesa in campo di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri (leggetevi la ricostruzione romanzata fatta da Giancarlo De Cataldo nel suo libro "Nelle mani giuste").
Può una democrazia nascere con siffatte origini? Con questi buchi neri sulla verità? Andare avanti con le indagini è, prima di tutto, un dovere politico.

Il sito della casa editrice chiarelettere e la presentazione del libro.
L'articolo di Diario sulla strage di via D'Amelio; i misteri della strage su disinformazione.it.
La condanna definitiva a Bruno Contrada.
Il link per ordinare il libro su internetbookshop.
Technorati: , ,

5 commenti:

Unknown ha detto...

Salve, segnalo il lungo ma interessante articolo di Rizza e Lo Bianco sul blog di chiarelettere. Su questi stessi temi segnalo inoltre lo spettacolo che Travaglio sta portando in teatro sugli ultimi 15 anni di storia d'Italia. L'effetto d'insieme che ne esce, è impressionante.
Buona navigazione
Paola

Anonimo ha detto...

bel libro, aspettando la vera agenda rossa. mi ha tolto da uno stato di vittimismo da emarginato perchè solo e fatto uscire da quel coma.

Alè ha detto...

avete sentito che cos'è diventata l'agenda di borsellino nelle parole di emilio fede?

http://pane-rose.blogspot.com/2010/07/lagenda-rossa-comunista-di-paolo.html

date un'occhiata a questo video e stupitevi. perché non si finisce mai di stupirsi.

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los anglos ha detto...

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L' agenda rossa di Paolo Borsellino di Sandra Rizza, Giuseppe Lo Bianco
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