29 marzo 2009

L'uomo della provvidenza

“E' l'uomo della provvidenza”.
L'uomo che parlava dal palco della convention del popolo della libertà, il presidente del Consiglio, il leader del neonato partito (il nuovo che avanza che assomiglia tanto al vecchio del passato), il possessore di televisioni e giornali veniva così considerato da un giovane delegato umbro.
Che ingenuamente non si rendeva conto della gaffe fatta.
D'altronde il nuovo partito ha fatto carta straccia delle fondamenta della nostra repubblica e della Costituzione: via l'antifascismo, via tutto l'equilibrio di poteri, separati in esecutivo, legislativo e giudiziario.
“Più governo e meno parlamento”, un altro slogan sentito.
“Siamo il partito del fare”.
“Più mamme al lavoro, meno femministe in TV”.

Un un grandissimo show mediatico:televisioni, giornali, telegiornali stanno celebrando la nascita, a canale unico a volte, del neonato Partito del Popolo della Libertà.
Non capisco cosa ci sia da celebrare, cosa ci sia di nuovo, di innovativo: le idee? I valori, gli slogan?
Questo partito nasce con l'impronta e le idee del suo leader, al di fuori di cui il diluvio. Nasce già vecchio: venerdì Berlusconi ha tirato fuori i cari e vecchi argomenti delle sue campagne elettorali. I gulag russi, i comunisti che non cambiano mai, Tangentopoli e le toghe rosse che hanno risparmiato il PCI.
A parte che detto dal miglior amico di Putin e Gheddafi, certe affermazioni fanno quasi ridere, mi viene da credere chi creda ancora a queste balle.
Un partito così vecchio che ha bisogno di rimpinzare di giovanotti e belle ragazze le prime file, per nascondere le solite facce.
Erano così fieri dei giovani, da averli messi in una zona gialla, al riparo dalle domande di qualche giornalista comunista.
Giovani che parlano di meritocrazia, cultura valori..... In un partito in cui si scambia il dibattito col monologo del capo (che avrà parola su tutte le nomine); in cui l'unica voce stonata è quella di Fini, in cui l'ovazione del leader fa impallidire il più spudorato fantozzismo.

D'altronde non era forse “Giovinezza” l'inno di quell'altro partito così di moda tanti anni fa? Anche quello si rifaceva a modelli giovanilistici.
Anche quello usava parole come rivoluzione: come la rivoluzione liberale sempre annunciata dal centrodestra e mai realizzata.
Anche allora (come oggi) si arringava contro il nemico esterno, per nascondere i problemi interni.
Cosa scriveranno i 1000 giornalisti (su 9000 delegati) dell'evento?

Non lo so. So che per cambiare linea, orizzonti, per sentire un'altra musica, basterebbe leggere qualche articolo di giornali esteri sull'Italia.
Come il Washington Post che parla della penetrazione mafiosa nell'economia italiana (articolo cui ha risposto il nostro ambasciatore).
El pais che definisce il presidente del Consiglio “uno dei più sinistri dirigenti europei”.
Die Zeit che parla delle potenza della mafia italiana che si allarga sempre più un Europa.

Sentiamoli gli slogan, i coretti, le voci: noi siamo l'ottimismo, la speranza, il futuro, la difesa della legalità, chi lotta contro chi si oppone alle riforme (Brunetta intendeva i sindacati).
Bene: chiedetelo ai lavoratori del Sulcis, come son contenti.
Oppure ai 2000 lavoratori di Porto Marghera, che grazie al disimpegno dell'Eni nel settore della chimica in Italia.
Forse a loro lo spettacolo non è arrivato bene. Tutta colpa del digitale.
Tutto cambia affinchè nulla deve cambiare. E oggi ne abbiamo avuto un esempio.

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