08 maggio 2012

Lucarelli racconta - Nicola Calipari

E' il minimo che possiamo fare, per rappresentanti dello Stato come Nicola Calipari, che proprio per lo stato hanno dato quello che avevano di più caro, ovvero la propria vita.
Il racconto di  Lucarelli, ieri sera, ha ricostruito il percorso delle tre persone, la cui esistenza si è incrociata nella notte del 4 marzo 2005, sulla route Irish a Baghdad.
La vita di Mario Lozano, cresciuto nel Bronx ed entrato nell'esercito (nel 69 esimo reggimento della guardia nazionale) per sfuggire al degrado e ad un destino già scritto.
Giuliana Sgrena, che per mestere gira il mondo per raccontarci delle guerre: in Algeria, in Afghanistan e anche dell'Iraq, che la guerra del 2003 aveva reso più instabile, per gli attentati e i rapimenti delle cellule di Al Qaeda e dei fuorisuciti del partito Baath.

E infine, il poliziotto Nicola Calipari, figlio della riforma del corpo di polizia del 1981: il funzionario che non alzava la voce, capace di inspirare fiducia, autorevole ma non autoritario.
Lucarelli ci ha raccontato la sua carriera: dalla lotta alle ndrine a Cosenza negli anni 80, e anche in Australia.
L'approdo all'ufficio stranieri a Roma, dove insegnè agli agenti a dare del lei anche agli immigrati, si inventò il sistema degli appuntamenti per evitare le code agli sportelli.
Nel 2001, il passaggio al Sismi di Niccolò Pollari: un passo ben accolto, per il ritorno ad incarichi operativi dopo gli anni passati dietro una scrivania.
Come ha spiegato Giannuli, i servizi segreti nei pasesi occidentali hanno il compito di raccogliere informazioni in modo extra legale.
Questo il compito che Calipari iniziò a svolgere, specie nei paesi del medio  Oriente: sono gli anni della guerra al terrore prima, e della missione in Iraq poi, nel 2003.
La guerra contro Saddam era finita ufficialmente nel maggio 2003, ma solo sulla carta: il paese non era affatto stabilizzato, dopo il crollo del regime e i militari della coalizione (e anche gli italiani dopo le risoluzioni dell'Onu), non controllavano affatto tutto il paese.

Sono gli anni dei rapimenti: nel marzo 2004 il sequestro dei contractor Agliana, stefio, Cupertino e Quattrocchi.
"Adesso vi faccio vedere come muore un italiano" dirà ai suoi assassini Quattrocchi prima di essere ucciso.

Enzo Baldoni è rapito e ucciso nell'agosto dello stesso anno mentre cercava di portara degli aiuti umanitari a Najaf.
Poi tocca alle due Simone, Torretta e Pari, nel settembre: la tratattiva di Calipari (col canale aperto con gli Ulema Sunniti) porta alla liberazione dei due ostaggi.

Giuliana Sgrena viene rapita nel febbraio 2005, all'uscita della moschea nel centro dell'università "dei 2 fiumi" a Baghdad: Calipari si mette in azione, mobilitando la sua rete di informatori.
Il 4 marzo, tutto sembra risolto: sebbene i collaboratori della sua squadra testimonino di un Calipari molto nervoso (per il comportamento degli americani), la trattativa è andata come sperato.

Ma la liberazione si fermerà a poche centinaia di metri dall'aeroporto, per la raffica dello specialista Lozano, al posto di blocco 541, sulla route Irish.
Un posto di blocco non segnalato, che avrebbe dovuto essere smobilitato da un pezzo (visto che l'ambasciatore Negroponte era già passato).
Colpito alla testa, dopo che ha fatto scudo col suo corpo alla Sgrena, Calipari muore.

La commissione d'inchiesta americana (cui gli italiani partecipano senza poter però avere spazio d'azione) porta alla conclusione di un incidente possibile anche se deprecabile.

Una conclusione che è difficile accettare: gli americani sapevano della presenza di Calipari a Baghdad, probabilmente avevano tracciato sotto gps la sua auto e il suo cellulare.
Ma c'è una ragione di Stato, si dice, e ci sono anche le convensioni internazionali che prevedono che un soldato in missione all'estero sia processato solo nel suo paese.

Ma lo stesso rimane la sensazione che dovevamo fare qualcosa di più, per questo rappresentante dello stato che, in un momento critico, non ha esistato a fare il suo dovere. Almeno per la sua memoria, non possiamo limitarci a celebrarlo con qualche targa.

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