19 giugno 2012

L'illusione

Il voto responsabile dei cittadini greci che hanno riportato al governo i soliti partiti e i soliti personaggi politici non ha salvato le borse e, sicuramente, non salverà la Grecia dal suo debito.
I memorandum sottoscritti precedentemente, e che presumibilmente dalle parole della Merkel, non verranno ridiscussi, impongono solo misure di austerità che colpiranno al solite le fasce più deboli della popolazione.
La Grecia, come anche l'Italia, non rientrerà mai dal suo debito in questa maniera.

La stessa Merkel, con piglio da professoressa, ha rilasciato una dichiarazione in cui chiede ai colleghi europei "di fare i compiti a casa".
Ma di quali compiti parla?
Di certo non quello di contrastare l'evasione, la corruzione e l'elusione fiscale. Nè alla Grecia, nè all'Italia nè nel resto dell'UE: la casta degli armatori (15 miliardi di utili non tassati nel 2011) comunque non verrà toccata dalle manovre del governo ellenico.
Così come nessuna unità fiscale verrà portata avanti in europa che impedisca il dumping sociale delle imprese: l'Irlanda tasserà ancora al 12% i redditi delle imprese, spostando così queste ad andare via dai paesi d'origine.
E' questa l'Europa che vogliamo?

Vladimiro Giacchè scrive oggi un bell'articolo sul Fatto quotidiano "I peccati dei greci (e dell’Europa) ":
L’evasione fiscale e l’elusione legalizzata costituiscono uno dei maggiori problemi dei conti pubblici della Grecia, che ieri ha votato dando la maggioranza ai conservatori di Nuova Democrazia, apertamente sostenuti dalla Merkel (e autori dei trucchi contabili che hanno portato il paese al dissesto). Nel programma di Nuova Democrazia non figura l’abrogazione dell’articolo della Costituzione che prevede l’esenzione fiscale per gli armatori (15,4 miliardi di utili non tassati nel solo 2011). Ma essa non è presente neppure tra le misure imposte alla Grecia dall’Europa. Del resto neppure all’Irlanda è stata imposta l’elevazione della bassissima aliquota di tassazione delle imprese (12,5%!) per risanare le sue finanze pubbliche, mentre si procedeva a licenziamenti nel pubblico impiego e al taglio di stipendi e pensioni. Sul Fatto Quotidiano di venerdì 8 giugno, Enrico Altieri ha stigmatizzato altre contraddizioni dell'Unione europea in tema di fiscalità. Da un lato la Commissione non perde occasione per criticare le dimensioni patologiche dell'evasione in Italia, deplorando (giustamente) l'azione insufficiente del governo Monti; dall'altro la Corte europea di Giustizia dichiara che per le imposte dirette non esiste alcuna norma comunitaria che imponga agli Stati membri di adottare misure di contrasto all'abuso del diritto in materia fiscale: gli Stati sono liberi di non combattere l'evasione fiscale. Ma la sentenza della Corte non ha nulla di sorprendente, e lo stesso vale per le strane dimenticanze nei confronti di Grecia e Irlanda. La loro comune ragion d’essere risiede infatti in uno dei principali difetti di fabbrica dell'Unione europea: il fatto che la politica fiscale sia lasciata alla discrezione degli Stati membri.

Proprio grazie all’assenza di regole fiscali comuni, ossia di soglie minime di tassazione e di aliquote fiscali uniformi nei diversi Stati (niente a che fare col “fiscal compact”), le imprese hanno potuto fare arbitraggio fiscale, creando o spostando filiali operative nei Paesi in cui la fiscalità era più conveniente. Questo a sua volta ha ingenerato una concorrenza al ribasso tra le fiscalità per quanto riguarda la tassazione delle imprese: in qualche caso nella forma di aliquote più basse che in passato, in altri – come Italia e Grecia – di un ampio e tollerato ricorso all’evasione (la forma peggiore di agevolazione fiscale). L’ovvia conseguenza è stata l’aggravio del carico fiscale sulle persone fisiche (in particolare sui lavoratori dipendenti) e una progressiva riduzione delle prestazioni sociali erogate dagli Stati. In Europa c’è un altro ambito in cui le decisioni sono lasciate agli Stati: politiche sociali e impiego. Standard di protezione, livelli salariali, stipendi minimi: tutto questo è deciso a livello nazionale. Ingenerando, anche in questo caso, una concorrenza al ribasso.
Ho l'impressionche sia tutta una illusione: ancora dobbiamo riparare i danni della riforma sulle pensioni fatta con troppo fretta e legerezza (e di cui colpevoli sono anche i partiti che l'hanno votata), che ora si vulle approvare con altrettanta urgenza la riforma sul lavoro.
Va approvata prima del Consiglio Ue del 28 giugno altrimenti Monti arriverebbe a mani vuote a questa riunione.
E qui penso: ma allora, se l'importante non è fare bene, ma fare una riforma tanto per dare l'illusione di aver fatto qualcosa (che poi potrebbe rivelarsi pure dannoso)a che serve avere dei tecnici al governo? non potevamo tenerci l'illusionista di prima?

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