02 settembre 2012

Invictus, di Simone Sarasso

Nicomedia, 22 maggio 337 d.c.Il vento chiesa di sale. E la luce d'alabastro delle finestre. L'Impero, là fuori, con il cuore in gola. È il tramonto. La fine di una vita intera. Costantino fissa la porpora gettata sul pavimento, la veste bianca che ha indosso, leggera come lo scirocco. Guarda le proprie mani. Mani che hanno stretto il mondo, ora buone a malapena per aggrapparsi alla sedia accanto al letto.
Vacilla. La testa ingombra di febbri e di pensieri. Si specchia negli occhi umidi di Eusebio.Il vescovo sbatte le palpebre e lo osserva come si ammira un prodigio. Come Cristo sceso in terra.Costantino non l'ha mai sopportato: quel piglio contrito, quelle manine da sarta, la continenza a mezza voce. E quell'insopportabile puzzo d'arianesimo che ancora si porta appresso.«Reggimi» gli comanda. «Non voglio morire prima d'aver visto un altro tramonto.»
Con questa confessione al Vescovo Eusebio sulla sua vita passata, inizia il romanzo di Simone Sarasso sull'imperatore Costantino, il “virgulto d'Illiria”. L'imperatore allevato a corte e nelle legioni a sangue e metallo per diventare imperatore romano. Il figlio illegittimo di Costanzo (e della stabularia Elena, futura santa cristiana), Cesare d'occidente, che riuscì nell'impresa di riunificare l'impero sotto un unico Augusto (l'impero romano era già diviso in due parti, quello d'Oriente e quello d'Occidente), sotto le insegne dell'Aquila e della Croce. Mise fine alle persecuzioni contro i cristiano e fece diventare il cristianesimo religione di Stato: una sola religione che avrebbe reso più unito il suo regno. 

Solo lo stile di Sarasso, che era già riuscito a raccontare le storie dei misteri d'Italia sugli anni 60 (Confine di Stato) e 70 (“Settanta”) nei due libri procedenti poteva osare tanto: raccontare in chiave moderna la vita di questo imperatore così importante per la storia europea.
Ne è uscito fuori un romanzo avvincente, che prende il lettore dalla prima pagina all'ultima, che non stanca mai, che riesce ad essere contemporaneamente epico senza essere holliwoodiano.

Il romanzo è un lungo flashback della vita di Costantino che egli stesso raccontata al suo confessore, il vescovo Eusebio, prima di prendere la confessione.
Racconto che, come anche il libro, è diviso nelle tre parti (se si esclude l'epilogo finale): La spada, La Corona, la Croce. I tre diversi filoni della vita dell'imperatore: la formazione come soldato, la conquista del potere e le guerre di romani contro romani e infine, unificato l'impero con l'Aquila romana e la croce cristiana (che l'aveva portato alla vittoria) l'ultima parte, quella del concilio di Nicea.

Si inizia dal 293 d.c. quando il il padre Costanzo lo conduce a Nicomedia, alla corte di Diocleziano, Augusto d'Oriente. Qui inizia la sua formazione, come futuro imperatore, sia all'interno delle legioni romane, sia tramite l'affiancamento del maestro di Retorica Lattanzio, che gli insegnerà “l'arte di convincere le persone attraverso i discorsi”.Come ufficiale delle legioni dell'Aquila, Costantino impara l'arte della guerra, a fianco di Diocleziano e del suo Cesare Galerio.
Costantino è testimone delle prime persecuzioni contro i cristiani, la religione che si stava espandendo dentro l'impero ma anche dentro la corte. L'unico Dio, della misericordia e della speranza contro gli antichi dei di Roma. Accusati di tramare contro l'impero, sono costretti alla perdita dei diritti civili se non abiurano la fede. Si arriva dunque all'editto di Diocleziano, alle incarcerazioni dei chierici, alle torture.
Alla successione dei tetrarchi con l'abdicazione di Diocleziano, Costantino non viene eletto Cesare, ed è costretto a fuggire dalla corte di Galerio (nuovo Augusto d'Oriente) per evitare la morte. In fuga, ha una prima visione “cristiana”: una donna dagli occhi azzurri che schiaccia una serpe. Altre visioni, in sogno, segneranno tappe importanti della sua vita, portandolo ad un avvicinamento al cristianesimo.
Il padre, alla sua corte, gli ricorda le parole che diventeranno il suo credo, ovvero “devi scegliere tra ciò che è giusto è ciò che è facile”.

La morte del padre e la sua acclamazione, da parte dell'esercito come suo erede (in spregio alle regole date dalla Tetrarchia), le ambizioni dei successori di Diocleziano, nelle altre sedi dell'impero, portano ad un periodo di guerre e confusione.
Costantino sfida Galerio emanando un editto che concede libertà di culto anche per i cristiani.
Massenzio viene nominato dal senato di Roma Augusto d'Occidente: si compra l'esercito mandatogli contro da Massimiano, e arresta il legittimo Cesare d'Occidente Severo.
E' il preludio ai venti di guerra, che porteranno alla celebre battaglia di ponte Milvio in cui le truppe di Costantino sconfiggeranno quelle di Massenzio, tingendo il fiume di rosso.
Anche questa volta, prima dello scontro, il segno divino: “in hoc signo vinces”, sotto questo segno vincerai. E il segno sono le due iniziali della parola Christos. La Chi e la Ro, segno che ancora oggi accompagna i pontefici di Roma, dopo più di mille anni.



Ma, dietro queste battaglie, Sarasso racconta degli intrighi di corte, delle alleanze costruite dentro il talamo: Costantino sposo della piccola Fausta, figlia di Massimiano. E Costantino stesso che da sua sorellastra Costanza in sposa al generale Licinio, per rinforzare l'alleanza.

Costantino diventa unico imperatore, e la sua missione compiuta: sapientemente saprà utilizzare la religione cristiana per unificare il suo stato. Nell'intervista dell'autore al blog Scrittura collettiva:

se si analizzano le nude fonti (evitando di farsi trarre in inganno dall’agiografia di Eusebio), si comprende come tra l’Imperatore Santo e il Redentore si sia stipulato, da Ponte Milvio in poi, una sorta di patto d’affari, tipico della tradizione pagana: si continua a pregare la divinità che porta maggior “profitto”; in questo senso, l’accordo tra Costantino e il Cristo dopo la vittoria di Ponte Milvio sarà sempre più redditizio, e dunque non vi sarà alcuna ragione per revocarlo.
Esiste tuttavia un rovescio della medaglia: Costantino da giovane assiste alle persecuzioni di Diocleziano e Galerio nei confronti dei cristiani, e il ricordo delle sofferenze lo segna in maniera indelebile: è toccante, ad esempio, l’accoglienza che riserva ai patriarchi storpiati dalle torture a Nicea.
Nonostante la terribile esperienza, Costantino vivrà sempre la Chiesa come un’estensione del proprio potere temporale: non si stancherà mai di dire la sua persino nelle complicate questioni di fede (che comprendeva molto poco) e arriverà a presiedere (con malcelato disappunto tra i vescovi, sia “ortodossi” che ariani) il primo Concilio Ecumenico della storia. Insomma, per farla breve, Costantino ebbe un rapporto con il cristianesimo (e con la Chiesa, soprattutto) molto simile a quello di qualunque altro sovrano a lui posteriore: il caro vecchio “do ut des” è sempre stato di gran moda, fin dai tempi antichi.

Potere, quello dell'imperatore, cui si arrivati anche sacrificando parte dei propri affetti: la moglie Fausta e il figlio Cristo, accusati di tradimento. Facendo suicidare Massimiano, portando alla pazzia il vecchio Diocleziano (che fu come un padre per la sua formazione iniziale). L'allontanamento, infine, dalla amata madre Elena, … Le mani di Costantino sono sporche del sangue versato, non solo in battaglia, per la furia di Trachala (il demone che porta dentro), ma anche per le scelte drammatiche che ha dovuto compiere.
Tutto questo significa potere, porterà alla sua solitudine perchè col potere “quando c'è lui tutto il resto scompare”.Nell'ultima parte della sua vita, la convocazione del concilio di Nicea, per preservare l'unità della religione di Stato contro il rischio delle scissioni, per le predicazioni di Ario, secondo cui Cristo era stato creato dal padre. Esito del concilio (convocato da un non battezzato!) la vittoria degli ortodossi con la loro linea del Cristo “generato non creato dalla stessa sostanza” di Dio.

La solitudine, probabilmente, una nuova visione, anche, lo portarono poi alla costruzione di una nuova capitale, inizialmente individuata nella vecchia Troia e poi nella città di Costantinopoli la splendente, nel 326 dc.
Morì, nel 337 dc, per una ferita nella guerra contro i persiani, che avevano sconfinato ad Oriente.
In guerra, come un soldato, dopo aver nuovamente diviso l'impero ai suoi figli e figliastri, ed aver ricevuto il battesimo dalle mani di Eusebio. Nella sua Nicomedia.

Quando la pietra cala sulla tomba e la sigilla in eterno, gli astanti sanno di aver assaggiato il respiro della Storia.Non resta che il buio a fare compagnia a Costantino. Buio pesto e niente stelle per il figlio prediletto dell'Illiria.Nato bastardo, cresciuto Imperatore, divenuto signore del mondo e morto solo come un cane, in odore ramato della santità.
L'intervista all'autore sul blog di Scrittura Collettiva.
Il link per ordinare il libro su ibs.
La scheda del libro sul sito di Rcs Rizzoli
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