28 ottobre 2012

I tesorieri insaziabili.

Fino a qualche decennio fa, dei tesorieri dei partiti non si sapeva nulla. Poi arrivò tangentopoli, che rivelò (per chi ancora non l'aveva capito), quale fosse la loro vera funzione: saziare gli appetiti dei partiti.
Abolito in finanziamento pubblico, sull'onda dell'indignazione popolare (oggi si direbbe populista), questo è poi rientrato grazie alla truffa dei rimborsi elettorali. Rimborsi che, negli ultimi 10 anni, sono costati più di 1 miliardo, a fronte di spese certificate molto inferiori.
Soldi nostri, finiti nelle casse dei partiti: casse che sono gestiti da questi signori: i tesorieri, di cui stasera parlerà il servizio di Sabrina Giannini per Report “Gli insaziabili”.

Sono i Belsito (portava focacce a Bossi e così faceva carriera), a Lusi (tesoriere di un partito morto), a Fiorito (nevica, mi compro un Suv), Maruccio (sempre nel Lazio, ma nel partito di Di Pietro): emblema di una politica che ha vissuto e si ostina a vivere al di sopra delle sue possibilità. E che costringe il resto del paese a vivere (per la legge montiana dei saldi invariati) al di sotto delle possibilità.
Qualcuno li avrà votati, nelle regioni c'è anche il meccanismo delle preferenze, si dirà.
Ma noi, cosa sappiamo di come vengono gestiti i nostri soldi da questo sistema dei partiti?

Questi insaziabili non solo sono restii ai tagli (come la bocciatura dei partiti alle proposte della legge di stabilità del governo e la bocciatura del decreto che taglia i costi della politica regionale), ma nemmeno intendono rendere trasparente spese e entrate (i controlli della Corte dei Conti devono essere concordati, un po' come accadeva all'Ilva di Taranto per intenderci).

Ce lo possiamo permettere ancora per molto un sistema che divora risorse e non riesce a fare politica per il paese? Non sono casi isolati, quelli raccontati questa sera a Report, i tesorieri non hanno agito all'insaputa dei vertici dei partiti. È proprio tutto un sistema che non funziona.

Un sistema che tollera le tangenti, la corruzione lo spreco di denaro pubblico nelle casse dei partiti, e che poi, per voce di un ministro (Ornaghi), dice che "il welfare è finito, costa troppo allo stato".Che i giovani devono essere meno schizzinosi, e arrangiarsi a fare quello che trovano (la Fornero, che tra l'altro è anche ministro per le pari opportunità).
Che il sistema delle norme di tutela sul lavoro è stato di ostacolo allo sviluppo (Monti, riferendosi all'articolo 18).

La scheda della puntata:
I tesorieri di partito negli ultimi anni hanno vissuto all'ombra dei loro leader, schivi, sempre poco propensi a rilasciare interviste, in molti pensavano che fossero occupati a far quadrare i conti del proprio partito e far si che i soldi provenienti dai finanziamenti pubblici fossero impiegati esclusivamente per rimborsare le spese elettorali, far funzionare al meglio la macchina del partito, o destinati a nobili iniziative sul territorio. Le cronache di questi ultimi mesi ci hanno raccontato un'altra storia e hanno svelato come alcuni di loro agissero per squallidi interessi personali e che dalle casse del partito attingessero in molti, come fosse la festa della cuccagna. E' possibile che i tesorieri abbiano agito all'insaputa degli organi di partito? Che quello che è accaduto non fosse prevedibile ed evitabile? L'inchiesta di Sabrina Giannini farà la radiografia ai casi di Luigi Lusi, Francesco Belsito, Franco Fiorito e Vincenzo Maruccio, ma anche ai bilanci dei partiti. Dal racconto emerge che questi casi sono il frutto avvelenato di una strategia bipartisan, di un sistema che è fuori da ogni controllo e che negli anni ha divorato miliardi di euro provenienti dalle tasche e dai sacrifici dei cittadini.
L'articolo di Carlo Tecce su Il fatto, che fa le pulci ai conti del partito di Di Pietro:
Il titolo dice molto: insaziabile. Report si occupa stasera di tutti i soldi finiti nelle casse dei partiti e in larga parte dispersi. L'inchiesta di Sabrina Giannini studia l'Italia dei Valori. Antonio Di Pietro si mostra disponibile, ma imbarazzato: “Prendo atto che a voi interessa più lo stuzzicadenti che la trave, lei sta producendo nei confronti di un partito che ha avuto un giudice, ha avuto giudice penale, civile, amministrativo e contabile che ha controllato tutto”. E afferra il telefonino per chiamare Vincenzo Maruccio, capogruppo in Regione Lazio, al momento dell'intervista non ancora indagato per peculato.   Il servizio non inizia benissimo per l'ex magistrato. Prima grana bolognese, dice l'ex dirigente Idv Domenico Morace: “Feci una denuncia querela in Procura che riguardava l’intero partito Idv per il territorio di Bologna e chiedevo di essere sentito sui fondi regionali destinati al gruppo regionale. L’ho chiesto 2 anni fa e non ho avuto mai avuto la soddisfazione di essere chiamato se non in concomitanza, successivamente, alla mia intervista su Affari Italiani”. E aggiunge: “Le verifiche che io feci riguardarono le entità di queste somme che Nanni aveva a disposizione e scoprì che si stava parlando di circa 90 mila euro l’anno. A fronte di queste segnalazioni verificai anche che per la mole di denaro che veniva impegnata non c’era un’attività politica di riscontro all’utilizzo di queste somme, oggi con le indagini della magistratura in corso cominciamo a intuire che fine facevano questi denari pubblici”.   L'associazione che gestisce i soldi del partito viene fondata nel 2000 e per nove anni, ricorda la Giannini, è composta dallo stesso Di Pietro, Di Domenico e Silvana Mura.   LA GIANNINI annota le cifre gestite dall'Idv: “Ma i tesserati non fanno parte della associazione che gestisce la cassa e nella quale si entra solo con la firma davanti al notaio. Il giorno dopo l’ingresso della moglie nella società, è il 2004, la Camera approva il piano di ripartizione dei rimborsi elettorali. Arrivano circa 5 milioni di fondi. Come si vede da questo verbale di riunione il rendiconto sarà approvato, anzi auto-approvato, l’anno successivo dal solo Di Pietro. L’unico presente. L’associazione gestisce 50 milioni euro fino al 2009, quando compare il nuovo statuto”.   Poi si passa alle proprietà immobiliari di Di Pietro, cresciute esponenzialmente negli anni, secondo l'ex magistrato anche per le vittorie in tribunale grazie alle querele. Report chiede un parere a un geometra che, per conto di Elio Veltri, ex vicepresidente dell'Idv, ha catalogato e stimato gli immobili e le proprietà della famiglia dell'ex pm: “Escludendo da questa lista le 9 proprietà della moglie e le 2 del figlio maggiore, ne restano 45 comprese di garage e cantine”. Spiega il geometra D'Andrea: “Abbiamo una movimentazione economica del 33% dal 1995 al 2001 e dal 2002 al 2009 che arriva al 67%, prima dei rimborsi elettorali e dopo i rimborsi elettorali, entrambe al netto delle vendite. Dopo il 2001 la famiglia inizia ad acquistare beni”.   NEL 1995, racconta la Giannini, Maria Virginia Borletti, figlia del produttore milanese di macchine da cucire, decide di donare a Di Pietro e Romano Prodi una parte dell'eredità, quasi un miliardo di lire (che per l'ex pm non sono più di 500 milioni): “Eppure è lo stesso Di Pietro, nella nota memoria consegnata al magistrato, a dichiarare di avere usato la donazione Borletti per l’acquisto di immobili”. E lui ammette: “Certo che la parte che mi ha dato in donazione l'ho usata personalmente”. La giornalista insiste: “Solo a lei?”. E Di Pietro: “E certo che me l'ha data a livello personale”.
E a seguire: I CANDIDABILI. FATTA LA LEGGE... Bernardo Iovene 

La legge che il parlamento sta per approvare sulla candidabilità dei condannati non è una legge, ma una delega al governo che ha tempo un anno sulla carta e un mese a parola per varare una norma. Poi leggendo la delega si scopre che la norma dovrà avere dei limiti e cioè che i condannati a una pena inferiore a 2 anni si possono candidare. Facendo i conti tra attenuanti, patteggiamenti e prescrizioni, cosa cambia?
Ali Reza Arabnia
Finalmente un'azienda che ha deciso di reagire alla crisi investendo tutto l'investibile in innovazione e ricerca. E che quando è ripartita ha restituito ai suoi dipendenti tutti i soldi persi con la cassa integrazione.

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