19 novembre 2013

Report - il patto d'acciaio

Ieri sera Report ha raccontato del patto d'acciaio di Taranto, che salda assieme i Riva, il loro profitti, con la politica locale e nazionale, i sindacati, i giornali, perfino la curia.
L'inchiesta di Sabrina Giannini ha messo in luce alcuni aspetti poco noti, di questa brutta faccenda di inquinamento ambientale, di profitto uber alles, di mala politica.

Prima di tutto i quasi due miliardi che i Riva avrebbero esportato all'estero, prima in Lussemburgo e poi sull'isola di Jersey (sotto il controllo della regina di Inghilterra): il governo di Monti ha tergiversato nel firmare l'accordo con questo piccolo paradiso fiscale per scovare gli evasori. E forse tutti quei soldi depositati sono la causa del ritardo con cui i giudici inglesi stanno decidendo per l'estradizione di Fabio Riva.

Il tesoretto che la magistratura ritiene essere frutto del profitto degli impianti di Taranto è stato scoperto per caso, per una irregolarità sulla domanda per lo scudo fiscale del 2009.
E oggi quei soldi protrebbero essere usati per risanare gli impianti, in Italia.

Non è vero che che per produrre acciaio si deve per forza inquinare: i Riva hanno  compratto impianti anche all'estero, dove però hanno dovuto investire nella messa in sicurezza. Come a Charleroi dove sono state le pressioni dei cittadini e degli ambientalisti sulla politica a costringere i Riva a mettere i filtri. Una spesa ridicola, solo 3 milioni di euro, che ha permesso l'abbattimento delle emissioni del 60% in due anni.

In Italia, le pressioni dei cittadini e delle associazioni non sono mai state, di fatto, ascoltate dalla politica locale e nazionale. E' solo grazie all'azione dei magistrati che le cose si sono mosse a Taranto: di fatto la politica ha sempre ostacolato sia l'azione della magistratura (i decreti salva Riva di Monti) che l'azione di risanamento.
Si è detto che solo in Italia succede che la magistratura si mette in mezzo e interferisce con la produzione: semmai è vero il contrario. In Germania avrebbero bloccato la produzione, non si sarebbe permesso che una impresa, usando l'arma del ricatto occupazionale, non rispettasse le prescrizioni della magistratura.

Nel patto d'acciaio ci sono pesanti responsabilità politiche: non solo Vendola che ha firmato l'Aia della Prestigiacomo, mai rispettato dai Riva. Ma il partito democratico non ha ricandidato il senatore Della Seta, a febbario, per le sue posizioni critiche e poco flessibili sull'Ilva.
Flessibilità che invece ha dimostrato l'onorevole Vico, che ha preso 40000 euro di contributi dai Riva. Come i 98000 presi da Bersani (di cui 48000 non dichiarati alla Camera), i 300000 dati a Fitto (ex governatore).

E' un caso allora che il PD abbia tenuto una posizione blanda sulla questione Ilva e che poi il ministro Orlando abbia concesso l'apertura di una discarica per i fanghi a Taranto? Con un risparmio per i Riva di 300000 euro.

Ma l'Ilva è stato anche un caso di mala gestione industriale di un'impianto che doveva rilanciare il sud agricolo e che invece dal 1978 al 1993 ha preso 33 miliardi di euro come aiuti di stato.
Aiuti per un impianto che non produceva al massimo e dove i manager erano scelti dalla politica.
Impianto che è stato poi svenduto ai Riva per permettere l'ultima tranche di aiuto, e che è stato per la famiglia lombarda un affare.
In due anni si sono ripagati dell'investimento.

Un altro aspetto poco conosciuto riguarda le onlus finanziate dai Riva, i soldi investiti per le colonie per i figli dei dipendenti, il dopolavoro in una masseria gestita dai sindacati confederali ..
SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
Quando nel 1995 Riva compra l'acciaieria ha uno slancio di generosità verso i sindacati confederali dei metalmeccanici, sigla con loro un patto perché gestiscano il dopolavoro, in cambio si impegna a versare una quota che nei soli primi 5 anni è di 5 miliardi di lire. A partire dal 2002 la quota annuale è di 40
0 mila euro. I soldi sono destinati alle borse di studio e alle colonie pei bambini dei dipendenti...
VINCENZO CURCIO – OPERAIO ILVA
Anche il fatto delle colonie... Io l’ho scoperto due anni fa. Io lavoro all’interno dello stabilimento da 11 anni e non ho
mai sentito parlare di colonie io pensavo che le colonie fossero ferme agli anni ’70.
CATALDO RANIERI – OPERAIO ILVA
Ma tutti i lavoratori non sanno che quello è il circolo dopolavoro.
SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
La masseria è la sede del circolo e anche il centro per la ricreazione e lo sport aperto a tutti i lavoratori, teoricamente, da qualche tempo infatti non è più cosi.
Per ora è aperta esclusivamente una palestra privata. Per anni anche un'altra ala della masseria era gestita da un privato che a veva aperto un albergo.
[..]
SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
All'agenzia delle entrate il circolo è parso un'attività commerciale più che una
associazione senza scopo di lucro. E così ha aperto un contenzioso.
CATALDO RANIERI – OPERAIO ILVA
Io sono un ex dirigente sindacale della FIOM, però anche quando stavo all’interno non conoscevo. Sapevo che il sindacato gestiva la masseria vaccarella , ma non sapevo che si prendessero tutti questi soldi ogni anno.
SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
Singolare infatti che accanto all'associazione ONLUS vaccarella creata ad hoc, i tre sindacati abbiano voluto gestire i 400 mila euro elargiti tutti gli anni da Ilva attraverso una fondazione, un ente privato notoriamente opaco, salvo
slanci di trasparenza che in questo caso non si sono visti.
Oggi sul tavolo della procura c'è un fascicolo aperto in seguito a un esposto di cittadini e dipendenti Ilva che vogliono sapere come sono stati spesi negli ultimi sedici anni sette milioni di euro.

Ora tutto è in mano al commissario del governo, Enrico Bondi:
SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
A ottobre del 2012 arriva il primo decreto salva Ilva. Monti mette alla porta i custodi nominati dal tribunale dopo il sequestro e restituisce l’Ilva a i proprietari, il presidente è Bruno Ferrante. Si autorizza così la produzione in deroga a numerose norme ambientali. Ferrante aveva già dimostrato di essere poco affidabile sul piano del risanamento. Infatti, a tempesta giudiziaria iniziata aveva promesso di investire 400 milioni di euro. Non l’ha fatto. La procura a maggio lo indaga perchè non ha attivato gli interventi per assicurare la protezione dell'ambiente e della salute. Alla fine si dimette. Pochi giorni dopo il nuovo governo mette l’azienda nel le mani di un commissario. Enrico il giovane affida il salvataggio dell’acciaieria più grande d’Europa all’ottantenne Enrico Bondi, già risanatore di Montedison e Parmalat. Nel 2011 Bondi era stato nominato commissario per la spending review dall’allora primo ministro
Mario Monti, il cui figlio Giovanni era stato assunto come manager alla Parmalat, incidentalmente all’epoca in cui commissario era proprio Enrico Bondi, che ha una vocazione per i calcoli, nonostante il curriculum da chimico come amministratore delegato di una azienda nel Lazio, viene coinvolto e assolto nel disastro ecologico del fiume Sacco. I sistemi di protezione dei rischi industriali sono un costo, lui lo sa anche per questa ragione e’ stato chiamato all’Ilva dai signori Riva però come amministratore delegato nell’aprile di quest’anno, quindi due mesi prima che il
governo Letta lo nominasse commissario. In altre parole: Enrico Bondi è un uomo di fiducia dei Riva. Neanche il tempo di accorgersi che la poltrona era la stessa ma il ruolo cambiato, che invia alla Regione una relazione scritta da 4 esperti pagati da Ilva con la quale contesta il collegamento fra inquinamento del siderurgico e casi di tumore che invece la Regione aveva evidenziato.

Il commissario dovrà gestire la messa in sicurezza degli impianti, magari proprio con i soldi provenienti (se arriveranno..) dal New Jersey:
SABRINA GIANNINI FUORI CAMPO
Quando a fine del 2012 la magistratura di Taranto comincia a cercare presso le società dei Riva i soldi per risanare l’impianto, in Lussemburgo si muove qualcosa: la holding si libera della quota del 25% dell’Ilva che possedeva dal 1997 cedendola a una nuova società costituita ad hoc: la Siderlux. Il risultato è svincolare il mondo Ilva da tutte le altre società e aziende del gruppo. Avviene nell’ottobre dell’anno scorso quando il governo Monti con i
l decreto salva Ilva toglie i poteri di gestione ai custodi nominati dal magistrato affidandoli a Ferrante. E’ allora che in Lussemburgo avviene l’atto di cessione di 2 miliardi e 300 milioni di partecipazioni tra le due società che
fruttano milioni di euro in plusvalenze, i dividendi vanno alle società Riva, Acciaio e Fire, ma non all’Ilva Spa. Se fossero finiti all’Ilva la magistratura avrebbe potuto sequestrarli per risanare gli impianti e garantire una produzione nel rispetto della salute e dell’ambiente. Tutto torna, tranne i profitti dell’Ilva.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Stando a quel che emerge i quasi 2 miliardi trovati nel Jersey sarebbero i profitti dell’Ilva, ma nel Jersey potrebbero anche esserci i soldi che servono per l’intero risanamento del l’Ilva, noi non lo sappiamo perché quell’accordo che prevede lo scambio di informazioni fiscali fra Italia e Jersey noi non l’abbiamo ratificato. E adesso le cose per la nostra più grande acciaieria stanno così: per non alzare il livello di inquinamento lavora a ritmo ridotto, il commissario Bondi non sta risanando come la legge invece gli impone. Le casse sono vuote, e sta chiedendo i soldi alle banche. Per cominciare servirebbero proprio 2 miliardi, che sono anche i soldi in parte sequestrati sui conti esteri. Ma la strada della giustizia è lunga. E allora come se ne esce visto che ci sono 12.000 posti di lavoro da salvare e un enorme indotto? E qui il governo volendo potrebbe tirare fuori le famose palle d’acciaio magari con una norma di
carattere generale, per cui i soldi sequestrati che provengono dai profitti di un’azienda, possono essere utilizzati subito nell’interesse di quella stessa azienda, per pagare i debiti, per bonificare o per risanare. In questo caso i soldi sono dei Riva l’azienda è dei Riva e se decidessero poi di venderla varrà di più e se questo suona come un esproprio inventatevi un’altra cosa che è quella per esempio di esercitare una pressione negoziale per spingere i Riva a non opporsi a quel sequestro, in alternativa va a finire che a pagare sempre sono solo i lavoratori o i contribuenti e
questo alla lunga non è veramente più sostenibile. 

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