25 gennaio 2014

Dovrei essere fumo, di Patrick Fogli


Incipit:
Vivo con la consapevolezza del baratro.La frase è spuntata fra i pensieri all’improvviso, un’epifania che non sa collocare nel tempo e il cui solomotivo plausibile è il tentativo di mantenere un contatto con la realtà. Da quando è tornato, quasi un miracolo.Alza il volume, la musica occupa la scatola cranica, pare in grado di tracimare oltre, le tempie e la corsa seguono il ritmo del suono. Alza ancora, i piedi aumentano la cadenza, l’udito reclama una tregua, fa scendere le note al confine del dolore e il passo di conseguenza.Scherza col proprio corpo, restituisce il fastidio che riceve da mesi. Un’altra guerra persa che si ostina a combattere.Controlla sullo smartphone il ritmo del percorso, ritrova l’andatura, la mente impone ai gesti obbedienza e disciplina. In spiaggia, il cielo prosegue nel mare, una lastra di ardesia increspata di schiuma, la spiaggia è grigia, verde, densa, costellata di rifiuti, tronchi, qualche bottiglia di plastica.

Vicino alla riva l’odore del mare è pungente, la risacca si mescola alla musica, un ragazzo corre nella direzione opposta, lo vede tutti i giorni, non si salutano, si guardano in silenzio, l’altro indossa sempre un paio di occhiali avvolgenti, di plastica scura,pantaloncini sintetici e attillati, ha le gambe glabre, forse depilate, sembrano viaggiare alla stessa velocità. Oggi però è stanco, avanza più lento, la bocca aperta a cercare aria e non lo nota, la fatica è l’unica compagnia che merita attenzione, così anche lui non lo guarda e non ne ha bisogno, ha imparato da molti anni a notare particolari minimi con la vista periferica.Alla fine della spiaggia sale i gradini che conducono al molo, continua a correre verso l’orizzonte, in fondo al pontile il mare è dappertutto, le vertigini arrivano all’improvviso, sbanda, l’adrenalina lo tiene in piedi, deve rallentare, poco prima della strada si ferma. Resta immobile, le braccia lungo i fianchi, la testa alta, la musica che esplode nelle orecchie, la strada deserta battuta da una pioggia impalpabile, le finestre sigillate di un albergo di lusso, un randagio che attraversa la strada, la musica che finisce di colpo rivela il frastuono del sangue che resiste alla fatica. La vertigine impiega qualche minuto a svanire, ma non ha fretta. È già successo, sa attendere, sa come affrontarla.
Prima di muoversi dedica qualche minuto agli esercizi di allungamento, le articolazioni scricchiolano, muove il collo a occhi chiusi, aspetta che il rachide risponda. Poi ricomincia a correre, una sgambata leggera, per allontanare la fatica.Il tempo che serve per arrivare all’unico bar aperto.Dietro al bancone c’è un ragazzo, è sempre lì a ogni ora del giorno, in attesa dell’estate o che passi il tempo.Aspetta l’ordinazione, ma potrebbe farne a meno, è sempre uguale, un succo di arancia in un bicchiere da birra. Beve in silenzio, a un lato del bancone.
«Alberto Corini?»
Questa è la storia di due uomini che vorrebbero fuggire dal loro passato, ma senza riuscire a liberarsene del tutto.
Alberto Corini è un ex militare, ha combattuto guerre sporche in Afghanistan e in altri luoghi, dove ha imparato ad uccidere e a sopravvivere alla morte. Mimetizzandosi in mezzo al nemico, imparando diverse lingue e dialetti.
«Volevi sapere della mia guerra» le dice. «La mia è una guerra senza cannoni e carri armati, la guerra di un uomo sconosciuto, un uomo senza identità, con molti nomi e molte lingue, che ha conosciuto un esercito per i pochi anni necessari a farmi diventare quello che sono.»«E cosa sei?»Alberto esita un istante.«Ascoltavo una canzone da ragazzo, una canzone molto più vecchia di me. La canto ancora, le rare volte in cui mi capita di cantare. “C’è stato un tempo in cui per un attimo ho pensato che avrei perso la testa.”»
L'uscita dal mondo militare è stata lunga e dolorosa, come se una parte del suo corpo fosse ancora rimasta là, sul campo, a preoccuparsi di come rimanere vivo: oggi sfugge al suo passato correndo fino allo sfinirsi sulla spiaggia e prendendo delle medicine per lenire gli attacchi di emicrania.
Ma contro le sue crisi non può fare altro che aspettare che passino: sono momenti in cui il suo corpo è come se sfuggisse, in un incubo dai tanti colori. Colore rosso, colore azzurro, fiordaliso, giallo. Alberto Contini, oltre alle corse sulla spiaggia, passa il suo tempo parlando con un Vecchio e leggendo le pagine di un quaderno azzurro.


Sono nato il 25 luglio del 1921, mi chiamo Emile Riemann e sono ebreo”. L'altro uomo si chiama Emile e racconta, nei capitoli pari del libro, la sua storia in una sorta di diario. La vita borghese scossa dalla guerra e dall'arrivo dei nazisti nel 1940.
Il clima pesante nei confronti degli ebrei, spogliati di tutti i loro averi e diritti. Rinchiusi in quartieri ghetto, ammassati uno sull'altro, e resi immediatamente riconoscibili agli altri per la stella gialla sul petto. Inermi all'ira e alla violenza dei tedeschi.
La speranza di sopravvivere anche a questa bufera interrotta dall'arresto da parte della polizia francese che deporta tutti gli ebrei parigini al Velodrome (un episodio citato anche nel bel film Le chiavi di Sara). Per poi finire su uno dei treni piombati per Auschwitz.


Alberto accetta un incarico di sorveglianza di un signore anziano, Nils Schwarz, prima nella clinica dove è ricoverato e poi nella sua villa. Per conto di questo personaggio enigmatico ma potente (per il giro di conoscenze che dimostra di possedere), Alberto uccide delle persone, senza chiedersi il perché, visto che quello è il suo lavoro, di cui lui è uno dei migliori. Ma altri misteri si aggiungono in questa storia: chi vuole uccidere Nils Schwarz e perché? Cosa nasconde nella sua vita questo anziano signore che non ha lasciato traccia nel suo passato (almeno dalle ricerche che Alberto è riuscito a fare)?
Cosa c'è nella sua stanza nascosta, con la scrivania di legno, il cui accesso è proibito a tutti?


Emile varca la porta di Auschwitz: la fortuna, e forse non è corretto parlare di fortuna, lo mette nella lista dei detenuti ebrei che si occupano della cremazione dei cadaveri, dopo che sono stati gasati nelle docce. Dove anziché l'acqua per lavarli, scende lo Zyklon B.
Emile scopre l'orrore: l'orrore di dover sopravvivere a tutto quell'inferno, di vedere coi propri occhi la propria fidanzata entrare dentro la camera della morte, senza poter fare niente. La pazzia delle SS del campo, per cui l'ebreo non è più un uomo. E' una cosa, un non uomo spogliato dei suoi vestiti, della sua dignità, del suo essere, che può morire per un capriccio dei carcerieri, perché arriva in ritardo al rancio, perché si dimentica in giro la gamella, perché non ubbidisce subito agli ordini. Tra queste bestie, uno degli ufficiali del campo, Alex Murnau, l'uomo che si sentiva Dio “Sono il punto di vista di Dio, ebreo [..] Il punto di vista del tuo Dio, che decide della tu vita e della tua morte”.


Emile diventa uno dei componenti delle squadre speciali, i Sonderkommando:
Avrei voluto piangere, avrei dovuto forse, ma in quel momento cominciò a lavorare dentro di me il germe della sopravvivenza, il tarlo che prima o poi ha conquistato tutti noi che abbiamo resistito e possiamo raccontare. Ti mina il cervello, corrode, guasta, perché non posso credere che sia sano chi ha visto quello che ho visto e non ha pianto, non si è ucciso, non si è lasciato morire”.
Morire aspettando la prossima selezione, oppure sopravvive per poter raccontare un giorno al mondo che è la fuori cosa è stato?
Nel racconto di Emile c'è tutto il dolore e il tormento per essere sopravvissuto:
“Perché proprio io, perché soltanto io di tutta la mia famiglia sono sopravvissuto, quando tutti quelli che amavo sono morti là dentro?”
E ancora:
Ho scoperto che è più difficile vivere dopo Auschwitz che ad Auschwitz.
Io non dovrei essere vivo.
Io non dovrei essere vivo.Non dovrei parlare.Non dovrei respirare mangiare bere dormire pensare.
Io dovrei essere fumo.Io mi vergogno di vivere, mi vergogno quanto si può vergognare un uomo e mi chiedo ogni giorno che passa, anche quando non sono consapevole di farlo, perché e con quale diritto cammino ancora al mondo”.
Alberto e Emile: le loro storie viaggiano affiancate, con tutti i misteri del non svelato per quei particolari che volutamente l'autore non rivela, se non alla fine di tutta la storia.
Quando si capirà cosa lega l'ex militare Alberto ad Emile, il ragazzo ebreo finito nel campo di concentramento. Chi sia il vecchio, una delle poche persone con cui Alberto riesce a confidarsi. Cosa c'è scritto in quel quaderno dalla copertina azzurra.
Una storia sulla vendetta e sul perdono che, come scrive Patrick “non sempre sono sulle facce opposte della medaglia”.


Un libro dedicato ad Emile e a tutti gli Emile dietro questo personaggio inventato ma reale allo stesso tempo, i milioni di uomini morti perché un uomo si mette sul trono di Dio e decide della tua vita e della tua morte. Un libro che racconta del nostro passato, da dove veniamo. 


Il blog di Patrick Fogli, dove potrete trovare altri spunti di lettura.
La scheda del libro suo sito di Piemme edzioni e il primo capitolo del libro.
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.


Altri spunti per approfondire:
La zona grigia di Tima Blake Nelson, un film basato sulle testimonianza del medico ungherese Miklos Nyiszli, che operava agli ordini del dottorMengele.

Se questo è un uomo, di Primo Levi

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