28 gennaio 2014

Presa diretta - il caso Telecom

Il caso Telecom è il delitto perfetto: nessuno dei protagonisti della storia è l'assassino, avendo però contribuito alla crisi di quello che una volta era un grande e importate gruppo tecnologico del nostro paese.
Riccardo Iacona non è riuscito a sentire Prodi, autore con Ciampi e Draghi della prima ondata di privatizzazioni del nostro paese (quella ci ha permesso di entrare nell'euro, privandoci però di asset importanti).
Ma nella puntata di ieri abbiamo sentito il punto di vista di ex dirigenti Telecom (come Roberto Di Iurio), di D'Alema (il suo governo non si oppose alla scalata a debito di Colaninno), di Tronchetti Provera (che rivendica tutta la sua gestione).
E anche osservatori esterni come l'ex giornalista oggi senatore PD Massimo Mucchetti, che nelle settimane passate avava presentato una proposta di legge sul meccanismo dell'OPA, che avrebbe costretto gli spagnoli aversare più soldi per prendersi Telecom.

I numeri possono essere interpretati in varie maniere: Tronchetti li ha usati per dimostrare la sua buona gestione, fatta di investimenti in tecnologia e dove le dismissioni di immobili sono servite a rimanre su un mercato (quello delle telecomunicazioni) non più monopolistico.

Ma i numeri dicono anche che Telecom prima aveva 120000 dipendenti e ora 50000. Che prima aveva 8 miliardi di debiti ora 25.
Che Telecom era un'azienda con una forte presenza nel mondo, mentre oggi il suo mercato è per lo più in Italia e le aziende estere potrebbero essere svendute per fare cassa. Come Telecom Argentina e Telecom Brasile.

Di chi sono le colpe?
Di Prodi che rese Telecom privata e scalabile, dandone il controllo agli Agnelli con una manciata di azioni?
Della gestione Colaninno, che la scalò a debito con la non opposizione di D'Alema e che ha venduto immobili Telecom per 5 miliardi in due anni? Immobili che erano nostri, pagati coi soldi pubblici.
Di Trochetti, che ne è stato presidente dal 2001 al 2006?

Ognuno degli attori ha scaricato le colpe su altri: Trochetti sulla politica, che ne ha ostacolato il progetto con Murdoch, per una piattaforma unificata con cui voleva trasmettere, su internet, contenuti televisivi.
Progetto ostacolato dalla sinistra ma, si presume, anche dalla destra berlusconiana.
D'Alema da la colpa a Prodi e rivendica la sua neutralità: noi ci siamo opposti ai vecchi imprenditori del salotto buono, che non volevano che i capitani coraggiosi come Colaninno entrassero in Telecom.

Tronchetti, che si è detto estraneo allo spionaggio di Tavaroli (e non è stato nemmeno indagato nella vicenda), non ha però spiegato cosa avrebbe spinto il capo della sua security a fare quei dossier. A sua insaputa? E per conto di chi?
D'Alema, come Letta oggi, neutrali nei confronti del mercato e dell'azionista forte, non spiegano se la loro neutralità è un bene o un male per il paese.
Che Telecom avremmo avuto oggi, se Bernabè fosse riuscito a portare avanti il suo progetto (la fusione Telecom Tim) nella seduta dell'aprile 99 passata alla storia come la notte dei lunghi coltelli?

Iacona ha affrontato anche l'argomento delle privatizzazioni: quelle fatte in Italia col furore ideologico.
Sono state un bene o un male?
In Inghilterra volevano privatizzare anche i boschi, e nel frattempo sono passate ai privati le poste, le ferrovie e la gestione dell'energia.
Eppure le bollette sono più care.
Eppure lo stato inglese spende più soldi di prima in sussidi alle aziende private di trasporto, perché il privato, senza i soldi pubblici, non è in grado di  fare investimenti.
E allora, mi chiedo, a che serve privatizzare beni pubblici?
A fare arricchire pochi soggetti a discapito della maggioranza dei cittadini.
Ne ha parlato, a fine servizio l'economista Mariana Mazzuccato, autrice del libro "Lo stato imprenditore": dobbiamo rivedere oggi il modello di impresa pubblica, che deve essere intelligente e capace di investire in ricerca e innovazione.

Come ha fatto l'Estonia, che ha investito 10 milioni di euro nel progetto XRoad, cablando tutto il paese in fibra ottica a 100 Mbit reali. Paese dove la carta d'identità è elettronica e le tasse si pagano su internet.
Le informazioni, per il cittadino, le imprese, la magistratura, viaggiano in rete e non più su carta.
Tutto questo significa maggiore produttività (altro che articolo 18), meno burocrazia, più ricchezza e servizi per le persone. In Estonia niente file per pagare l'IMU.

Certo, serve una politica che abbia una visione industriale. E degli industriali che vogliano metterci idee e soldi.
In Italia siamo ancora col doppino e le chiavette: a Roma ci sono quartieri come il Prenestino dove non c'è internet.
Perché la centralina Telecom è vecchia e l'azienda non ha intenzione (così dicono le persone del quartiere) di cambiarla.

Significa che rimarremo sempre indietro: mentre il mondo si digitalizza, noi svendiamo i pezzi gregiati di Telecom in sudamerica per favorire Telefonica, che vuole espandersi in Europa.

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