04 giugno 2014

NoDday

Chissà in quanti aderiranno oggi allo sciopero dei Call center in outsourcing, per la protesta in corso a Roma contro le delocalizzazioni selvagge e la spinta al ribasso (sugli stipendi) e al rialzo (sui profitti per le aziende)?
Temo che, per gli utenti del servizio, non cambi nulla. Per molti di loro, messi di fronte alla scelta tra scioperare (e subirne le conseguenze) o starsene buoni al proprio (posto perché quel posto è l'unica fonte di reddito), la scelta sarà stata quasi obbligata.
Sui giornali questa notizia oggi è surclassata dall'inchiesta sul Mose, l'effetto degli 80 euro e gli effetti della crisi su industria e occupazione.

Huffington post ha intervistato il sindacalista Michele Azzola, segretario nazionale Slc Cgil:

Il mondo dei call center è una giungla dove, più che in altri settori, è difficile se non impossibile avere delle tutele. Nel settore lavorano almeno 80mila addetti, molti dei quali giovani. "Si tratta di una generazione - spiega il sindacalista - che quando è entrata, circa 10 anni fa, era appena laureata. Adesso hanno 35-40 anni, in molti casi sono sposati e con famiglia e quello che doveva essere un lavoretto è diventato con gli anni spesso l'unica fonte di sostentamento". Per oltre il 60% questi lavoratori hanno una laurea e sono ormai a tutti gli effetti specializzati e qualificati. Difficile però darne una fotografia precisa, considerando un’ampia parte di sommerso: in totale, infatti, in Italia ci sono 2.270 aziende e soltanto le prime sei contano 30mila dipendenti.

Tra gli aspetti più critici i sindacati denunciano gare al massimo ribasso, rivisitazioni in calo delle tariffe d'appalto, cambi d'appalto continui che determinano una spinta verso il basso delle condizioni di lavoro, e la tendenza a delocalizzare parte delle attività verso paesi in cui il costo del lavoro risulta significativamente più basso (dall’India all’Albania, dove la paga per chi lavora di notte rispondendo alle telefonate italiane è di 2-3 euro all’ora).

"C'è una delocalizzazione selvaggia a vantaggio esclusivo delle aziende e a carico delle casse dello Stato", aggiunge Azzola. Solo in Italia, infatti, esistono vuoti legislativi che permettono a queste aziende di licenziare e assumere senza vincoli. E tutto questo costa allo Stato 480 milioni in tre anni. "L'Italia spende una prima volta quando gli operatori vengono licenziati e aiutati grazie agli ammortizzatori sociali. Poi spende una seconda volta quando prevede incentivi per nuove assunzioni che in realtà non sono nuove per niente". Un vero spreco - conclude il sindacalista - "forse Renzi farebbe bene a occuparsi anche di queste cifre".

Forse in molti oggi avranno riso, di fronte alla protesta. Ma cosa scioperano a fare, andate a lavorare ..
E' proprio per mantenere un lavoro dignitoso che si sciopera.
E poi, vorrei aggiungere un'altra cosa.
Oggi delocalizzano loro, gli operatori telefonici.
Domani potrebbero delocalizzare altri impiegati, magari proprio quelli che se ne fregano del collega che rispondeva al telefono e che oggi è senza posto.

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