01 settembre 2014

Venere privata: Un’indagine di Duca Lamberti, di Giorgio Scerbanenco

Nella Milano del 1966 attorno alla città c'erano ancora campi, come alla fine di via Farini. Non c'era ancora quell'unico magma che oggi ha inglobato tutto.
Non era ancora arrivato il 1968 con tutte le contestazioni in piazza e gli scontri con la polizia. Dove vigeva già lo stereotipo del poliziotto meridionale e dalla mano pesante.
Nel 1966 le televisioni degli italiani trasmettevano lo stesso spettacolo, come narrato in un passo del libro: ancora dovevano arrivare i tre canali Rai (e anche quelli privati).

Era un mondo molto diverso, quello della Milano di fine anni '60: non c'era ancora il traffico come oggi, il problema dello smog e i quartieri in mano agli immigrati. O forse no, visto che l'orda degli immigrati dal sud era già arrivata, per lavorare negli stabilimenti della Fiat, dell'Alfa Romeo e dell'Autobianchi.
In quel mondo lo scrittore russo (ma trapiantato giovane in Italia) Giorgio Scerbanenco inventò il personaggio di Duca Lamberti, che in questo libro fa la sua prima fortunatissima apparizione nel palcoscenico noir.
Duca Lamberti è un medico appena uscito dal carcere per la condanna a tre anni (tutti scontati, non c'erano ancora le leggi di oggi) per una storia di eutanasia. Condannato e pure radiato dall'albo trova un incarico: lui, figlio di un poliziotto che aveva prestato servizio in Sicilia contro la mafia prendendosi pure una coltellata.

Il commissario Carrua(con l'accento sulla prima a), amico del padre, gli trova un incarico: aiutare il figlio del dottor Auseri ("uno dei magnifici cinque ingegneri della plastica, l’ingegner Pietro Auseri"), industriale con tanto di villa in Brianza, ad Inverigo, alle prese con un problema di dipendenza dagli alcolici.

«Ho un figlio alcolizzato», disse Auseri nel buio, fumando. «Adesso è in quella stanza al primo piano, l’unica finestra illuminata del primo piano.
Quale è la causa dietro l'alcolismo per questo ragazzone? Portando avanto una sua indagine psicosessuale, Duca Lamberti capisce che dietro la bottiglia e i tentativi di suicidio c'è il senso di colpa.

Visitando la tomba del padre in un cimitero di campagna e raccontando a Davide la sua vita ("riassumere la vita di un uomo non è forse una preghiera") Duca Lamberti, il figlio di un poliziotto che aveva studiato da medico per non finire come il padre, scopre per caso la ragione del senso di colpa: aver lasciato morire una ragazza incontrata per caso a Milano e poi trovata suicida a Metanopoli, in mezzo ad un cespuglio.
"Alberta Radelli, ventitré anni, commessa, trovata a Metanopoli, località Cascina Luasca, il cadavere è stato scoperto alle cinque e mezzo del mattino dal signor Marangoni Antonio, abito celeste, capelli scuri ma non neri, occhiali rotondi".
Inizia così, quasi per caso, un indagine che partirà da due omicidi di due ragazze, fatti passare per suicidi, l'indagine non ufficiale del medico Duca Lamberti e che arriverà a sventare un traffico di ragazze, prese dalla strada e introdotte in un giro di prostituzione di alto livello.
"Ogni volta che si trova uno sfruttatore bisogna schiacciarlo. Ma che vuoi schiacciare, tenerezza mia, più ne schiacci e più ce ne sono. E va bene, ma forse bisogna schiacciarli lo stesso".
Il medico mancato dovrà andare fino in fondo, per schiacciare questi vermi dediti al mercimonio del sesso, di gente che riduce tutta la realtà a cose che si possono vendere o comprare e lo farà a modo suo, con l'aiuto di un'amica di Alberta, Livia Ussaro che troveremo anche in altri romanzi della serie di Duca Lamberti.
Ma non sarà il solito finale a lieto fine: la violenza, questa violenza, può essere combattuta solo se parli la stessa lingua del crimine. Nessuna pietà, nessun senso di liberazione.
Scrive nel saggio di introduzione Luca Doninelli:
"Dobbiamo far trionfare il bene?, sembra dire l’autore. Benissimo: ma che il bene abbia il volto che gli conviene: il volto del mostro. [..]La vita è una droga, o la combatti con altre droghe o l’assumi fino in fondo."
E questo mostro che combatte il male ha qui il volto di Duca Lamberti che pure ha un suo senso di regole da rispettare nella vita, per cui i peggiori criminali non sono i banditi che ti derubano col trombone. E la legge "qualche volta è tanto strana, favorisce i delinquenti e lega le mani agli onesti". No, per Duca Lamberti i peggiori di tutti sono quelli che barano:
"L'unico trasgressore alle regole del gioco che io posso rispettare è il bandito col trombone che si nasconde per le montagne: lui non sta alle regole del gioco, lui, anzi, dice chiaramente che non vuole giocare alla bella società e che le regole se le fa lui, col fucile. Ma i bari no, li odio e li disprezzo. Oggi ci sono i banditi con l'ufficio legale a latere, imbrogliano, rubano, ammazzano, ma hanno già studiato la linea di difesa con il loro avvocato nel caso fossero scoperti e processati e non vengono mai puniti abbastanza. Vogliono che gli altri stiano al gioco, alle regole, ma loro non ci vogliono stare. Questo non mi va, questa gente non la sopporto, quando me la trovo intorno o ne sento solo l'odore, mi vengono i nervi. ".
"Venere privata" anticipa di anni la nuova criminalità organizzata che avrebbe poi preso possesso della Milano, che ancora non è la città da bere del terziario avanzato, ma è ancora città industriale: la mafia già fa capolino nelle pagine di questo libro, non solo nelle memorie del padre di Duca (poliziotto in Sicilia ai tempi del bandito Giuliano), ma anche come struttura criminale che tira le fila della grossa banda che traffica in donne, gli “industriali del lenocinio”.
Che insegna ai delinquentelli, quelli da schiacciare, in che modo tagliuzzare il volto di una ragazza che si ribella, che sgarra, come monito a tutte le altre, perché non sempre serve uccidere, a volte è meglio lasciare un segnale comprensibile per tutti.

Il libro termina con Duca Lamberti che è riuscito a fare giustizia, ma a modo suo, coi suoi mezzi: che non sono quelli delle leggi di un paese democratico, ma quelli di un professonista, ex medico, che meglio di altri conosce di che pasta sono fatta i criminali.

Lo lasceremo assieme a Livia, a raccontare la sua storia, l'eutanasia, la condanna, il carcere:
«Tre anni fa, quando venni condannato...» cominciò. Le avrebbe spiegato tutta la teoretica dell’eutanasia, e lei ne sarebbe stata felice, anche in quella stanza d’ospedale, perché per lei, nella vita, c’erano delle cose più importanti degli sfregi, c’era il Pensiero con la P maiuscola, le Teorie ..
La scheda del libro sul sito di Garzanti.
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