30 novembre 2014

Perché non facciamo lavorare i carcerati?

Il fine della carcerazione non è quello del contrappasso dantesco o della tortura dei rei condannati (almeno di quelli che finiscono in cella..).
Il fine è la riabilitazione: significa che è obbligo (o sarebbe obbligo) dello Stato italiano restituire alla società persone migliori di quelle che sono entrate nelle carceri.
Sappiamo che non è così: la condizione delle carceri riaffiora nella discussione politica come un fiume carsico ogni volta che fa comodo. Comodo per lasciar libero qualche colletto bianco, per discutere di indulti e amnistie.

Basterebbe costruire (o mettere a norma, o completare) le carceri necessarie. I soldi e i progetti (secretati al Viminale) ci sono. Forse manca la volontà.
Basterebbe smetterla con le leggi criminogene, come quella sullo spaccio o sul reato di clandestinità.
Ma non di questo che si occuperàl'inchiesta di Claudia di Pasquale per Report: la proposta della giornalista è una di quelle così rivoluzionarie nella sua semplicità che non verrà mai presa in considerazione. Ma almeno si può provare a parlarne. L'idea è di impiegare i carcerati per fare lavori socialmente utili, fuori dalle carceri.
Ci sono le scuole che cadono a pezzi in attesa dei milioni di Renzi. Ci sono gli argini dei fiumi (anche quelli in attesa). C'è la pulizia delle strade, dei parchi, dei muri.
C'è pure una legge che da la possibilità ai comuni di richiedere questa manodopera, per motivi eccezionali. Ma forse in molti non la conoscono e poi, sui detenuti pende il solito pregiudizio: ci si può fidare? Chi controlla?
A parte che già oggi, grazie alle riforme sulla carcerazione preventiva, è difficile finire dentro, mi chiedo se per la società sia più sicuro lasciare delle persone ad incattivirsi dietro le sbarre (e quando escono sono pure peggiorati) piuttosto che non farli lavorare.
Conviene non solo per i costi correnti (svolgerebbero un lavoro per la società), ma anche per i costi futuri: se imparano un lavoro, è più facile che smettano di delinquere.
Ma forse è meglio così, lasciare le cose come stanno: perché tanto per i pezzi grossi ci pensa santa prescrizione, per quelli piccoli (tipo i faccendieri delle tangenti di Expo) c'è il patteggiamento.
E mentre in carcere ci si ammala, restituiamo alla società degli esperti in mazzette.

L'anteprima su Reportime: La vita bucolica dei boss in carcere
Dentro il carcere di Secondigliano ci sono circa 1300 detenuti, ma quelli che lavorano sono solo 250. Di questi 220 sono alle dipendenze dell’amministrazione penitenziaria e svolgono lavori domestici come pulire, cucinare, o fare la manutenzione ordinaria del carcere. Altri 26 invece lavorano per un impianto di rifiuti gestito da una cooperativa e altri 6-7 detenuti coltivano l’orto del carcere, noto come “tenimento agricolo” e promosso anche da un protocollo.Questi detenuti, che raccolgono zucchine e pomodori, hanno iniziato come volontari e ora dovrebbero essere assunti a scaglioni da una cooperativa (tre sono stati già assunti nelle scorse settimane). Hanno la possibilità di lavorare, di stare fuori dalla cella all’aria aperta e di non oziare, come capita invece alla stragrande maggioranza dei carcerati costretti per mancanza di risorse a passare le giornate a guardare la tv o il muro.Questi sei detenuti sono però tutti dell’alta sicurezza, provengono dalla criminalità organizzata, mafia, ’ndrangheta, Sacra corona unita, e in passato sono stati reclusi anche nel 41bis, definito da loro una “tortura psicologica”. Che alla mafia il 41bis non sia mai piaciuto fa parte della storia di questo paese. La domanda resta: perché sono stati scelti proprio loro?Oggi i detenuti del tenimento agricolo di Secondigliano il carcere duro l’hanno lasciato alle spalle, la direzione del carcere ha deciso di investire proprio su di loro e alcuni a quanto pare hanno avuto anche dei permessi premio. Intanto 40mila detenuti in Italia non lavorano, e tra questi ci sono anche quelli che non hanno l’ergastolo, quelli che hanno condanne brevi e che certamente sono destinati a uscire dal carcere, ma per loro l’orto dove coltivare le zucchine non c’è.Ma perché non li facciamo lavorare, i detenuti, invece di lasciarli guardare il muro?

La scheda dell'inchiesta: Il risarcimento di Claudia di Pasquale
Domenica 30 Novembre Report propone un'inchiesta provocatoria e propositiva: tutti i detenuti in salute dovrebbero essere obbligati a lavorare, perché nel lavoro c’è il loro recupero e anche quello delle spese giudiziarie, oltre a quelle per il mantenimento in carcere. Mai come in questo caso abbiamo trovato ostilità. Dai detenuti? No, dalle istituzioni. In Italia l’intero sistema penitenziario grava sulle tasche dei cittadini per circa 2 miliardi e 800 mila euro l’anno. Mantenere ogni singolo detenuto in carcere costa allo Stato, comprese le spese di sicurezza, circa 4000 euro al mese. Sono cifre importanti che dovrebbero servire anche a reinserire nella società anche le persone che non hanno mai imparato un mestiere. Nella maggior parte delle carceri italiane i detenuti giocano a carte o guardano la televisione. E il 70% quando esce torna a delinquere. Eppure la legge dice che i condannati in via definitiva dovrebbero lavorare, anche per saldare le spese processuali, le multe, o risarcire le vittime dei loro reati. Il problema è che, sempre secondo la legge, vanno retribuiti, però i soldi per pagarli non ci sono, allora si preferisce lasciarli oziare. Perché non cambiare la legge e farli lavorare lo stesso senza pagarli visto che i detenuti devono saldare il loro debito con lo Stato? Sarebbe una partita di giro. C'è poi un'altra legge che permette di impiegarli gratuitamente in lavori di pubblica utilità, come la pulizia dei parchi, delle strade, dei muri, degli argini dei fiumi o del fango delle alluvioni. Ma anche qui nulla si muove, perché dovrebbero essere i comuni a farne richiesta, ma sindaci e assessori non sanno nemmeno che esiste questa legge. Un immobilismo che alla fine vede crescere le spese dello Stato, il degrado delle carceri ( perché non li impiegano nemmeno per ridipingere le celle) e i detenuti non rieducati restituiti alla società. Eppure la maggior parte dei detenuti vorrebbero lavorare, anche gratuitamente, invece di guardare tutto il giorno un muro. Gli esempi di come funziona negli Stati Uniti e nel nord Europa, dimostrano che è possibile impiegare i carcerati, con un vantaggio per l'amministrazione e per la dignità della persona.

La seconda inchiesta della puntata: Campioni d'Europa di Emilio Casalini. C'è qualcosa per cui siamo primi in Europa. Non è un record lusinghiero ...
Siamo la nazione con il record di procedure di infrazione aperte dall'Unione Europea. Violiamo le norme comunitarie che noi stessi abbiamo votato e che, nel 20% dei casi, non siamo in grado neppure di recepire nel nostro ordinamento. Non siamo capaci di tutelare i diritti dei disabili, dei passeggeri, persino quelli delle galline ovaiole.Nel campo ambientale siamo poi un disastro: abbiamo condanne perché un terzo del nostro Paese non è in regola con gli scarichi delle acque reflue. Spesso mancano i depuratori, e molti di quelli che ci sono funzionano male. E così rischiamo di dover pagare mezzo miliardo di euro di multa per ogni anno perché le nostre acque non sono pulite.

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