31 gennaio 2014

La guerra

Da Funize, le prime di oggi e ieri: ma sono arrivati veramente le squadracce in parlamento? O semplicemente c'è «una guerra tra bulli scafati e bulli scoordinati» (Aldo Nove, via blog Piovono Rane)?







Non so se la notizia interessa, ma piove e l'Italia frana o rimane allagata: una volta si diceva governo ladro. Vogliamo anche parlare della guerra fuori dal Parlamento, nel lavoro, nei comuni che franano?

Servizio pubblico - lo stato criminale

Ma che coda vogliono questi grillini?
Come si permettono di bloccare i lavori del Parlamento, sequestare i deputati nelle commissioni, fare violenza sulle persone e offendere le deputate PD?
E ancora, come si permettono di mettere sotto accusa Napolitano, il famoso impeachment, che Grillo ad ottobre aveva definito come gesto mediatico per parlare alla pancia degli elettori?

Se uno apre i giornali, questo è quello che legge. Grillo squadrista.
Ma le cose sono leggermente più complicate di come le raccontano: ieri sera a Servizio pubblico abbiamo potuto ascoltare la versione del Movimento, con l'intervista ai deputati Sarti e Di Maio.
Perché il Parlamento è in realtà bloccato da mesi su discussioni inutili come quella dell'IMU. Le leggi che si approvano sono solo i decreti del governo, saltando la discussione in aula. Lo faceva Berlusconi, lo ha fatot Monti e lo ga ora Letta. Col decreto che regala qualche miliardo alel banche: soldi presi dalla riserva della banca d'Italia.

Ma va detto anche che l'ostruzionismo, le battaglie che travalicano i regolamenti e anche le offese gratuite danno dei risultati solo a breve termine, quando si sa che in Parlamento non ci sono i numeri e i modo per bloccare le leggi. La riforma della legge elettorale fatta fuori dal Parlamento e nella modalità prendere o lasciare.
Il decreto non omogeneo sull'IMU, che riguardava capra e cavoli: la tassa sulla casa e le banche.

Ma anche per l'Impeachment vale la stessa cosa: è un atto politico, quello fatto dal M5S. E' impossibile ravvisare nella condotta del presidente degli atti che hanno violato la Costituzione: si può dire che ha travalicato, che non ha rispettato la prassi, che è intervenuto nella gestione della cosa politica.
Che ha firmato leggi anticostituzionali e imposto governi.
Ma la messa in stato d'accusa è un'altra cosa.

Dopo la consueta copertina e prima di sentire i deputati Di Maio e Sarti, Servizio pubblico ha mandato in onda due spezzoni delle intercettazioni tra Riina e la sua dama di compagnia. Il boss stiddaro Lorusso.
E poi un'intervista "volante" ai magistrati che stanno seguendo il processo sulla trattativa (Teresi, Di Matteo, Del Bene), che si chiedevano come mai a Riina desse così fastidio il processo.
E ricordando il fatto che la mafia può organizzare questi attentati anche ricorrendo ad entità esterne. E qui entra in gioco quella parte dello stato che con la mafia ha trattato.

Il dialogo con la mafia ha rafforzato la mafia stessa, convincendola che la strada delle bombe fosse quella giusta: con le bombe si ottiene qualcosa.
E ora, come facciamo a non prendere sul serio il boss quando dice, riferendosi a Di Matteo "organizziamo questa cosa .. facciamola grossa".

La versione del Movimento.

Di Maio ha giustificato il loro operato parlando di reazione spontanea dopo il decreto su Bankitalia, che hanno cercato di far decadere. Prima che il presidente Boldrini decidesse di mettere la tagliola.
Il rischio politico, se si taglia la voce dell'opposizione, è che la lotta si trasferisca nelle piazze.
Anche in commissione è stata applicata la ghigliottina, non essendoci stato modo di discutere delle legge elettorale.

Alla domanda su fino a dove si vogliono spingere, con questi gesti, i due deputati non hanno risposto direttamente: il loro obiettivo è il ripristino del Parlamento, la fine dei decreti legge incostituzionali, che Napolitano potrebbe non firmare.

Le uniche aggressioni accertate sono lo spintone dell'ex magistrato DAmbruoso alla collega Lupo e riferendosi alle offese gratuite alle deputate "chi si doveva scusare si è scusato".
Un po' poco.
Vero però che Napolitano non è più arbitro della situazione. Ma giocatore di una partita i cui confini non sono chiari.

La deputata Sarti ha spiegato la trappola nascosta dietro il decreto appena passato alla Camera, i 7 miliardi di aumento di capitale. Soldi che sono presi della riserve della banca, ma il problema sono le azioni in surplus che le grandi banche potranno rivedere ad altri enti, guadagnandoci sopra.

Il rischio che corre ora il M5S è l'isolamento, non portare a casa nessun risultato, di tutto il loro lavoro.
E la possibilità di una collaborazione col PD diventa sempre più difficile, visto il clima che si sta creando.

La trattativa stato mafia.
In esclusiva, Servizio pubblico ha trasmesso gli originali delle telefonate tra Mancino e D'Ambrosio dell'estate 2012.
L'ex ministro preoccupato per le indagini da Palermo, che tornano sempre sullo stesso punto, la richiesta di coordinamento (che tradotto significa bloccare Ingroia e Di Matteo).

In studio erano presenti l'ex pentito Scarantino e il direttore di Panorama Giorgio Mulè.
Chi ha imbeccato e perché Scarantino, che è stato creduto da più magistrati portando a sentenze passate in giudicato.
Tra i magistrati che seguirano quella pista c'erano i vertiti della procura nissena: Palma, Petralia affiancati da Di Matteo. Scarantino ha parlato delle violenze e delle pressioni subite in carcere, è ha incolpato il dirigente della squadra Falcone, La Barbera.

La sensazione, espressa in studio da Travaglio è che sia avvenuto un depistaggio come quello di Piazza Fontana: trovare subito il mostro da sbattere in piazza per placare l'opinione pubblica.

E cercare di fermare le stragi, quelle volute da Riina e portate avanti dai mafiosi rimasti liberi (e che magari se lo sono venduti), quelle per fermare le leggi emergenziali, il 41 bis che diventatava una fabbrica di pentiti.
Bisognava tornare alle vecchie regole, al vecchio patto tra stato e mafia.

Questo il link della puntata di Servizio pubblico, e qui potete rivedere tutti i video.

30 gennaio 2014

La vergogna e l'inganno


Ieri me la sono presa col deputato del M5S che pensava di essere ad un assemblea del liceo occupato.
Ma oggi è meglio che ci focalizziamo sulla luna e non più sul dito: nel decreto omnibus (quello che Napolitano aveva criticato a fine anno) che toglieva di mezzo l'Imu il governo ha inserito il regalo alle banche italiane.
Per sistemare i propri conti, cosa c'è di meglio di 4 miliardi di euro dalla banca d'Italia, soldi nostri in fondo?
Sono i soldi che ricaveranno dalla cessione delle quote di Bankitalia in eccedenza al 3%.

Per troncare l'ostruzionismo il presidente della Camera ha adottato il provvedimento della tagliola (per la prima volta nella nostra storia).
I giornali hanno commentato la notizia solo per dire che rischiavamo di pagare l'Imu (la 2 rata): falso ovviamente, visto che per se anche non fosse passato questo decreto, il governo poteva farne un altro.



Pigi Battista scrive sul corriere rivolgendosi ai grillini che hanno protestato in aula: “Basta, non fateci vergognare”.
Ma come, il problema è la protesta del M5S e non tutto il resto?
L'assenza di un dibattito vero sul decreto per Bankitalia?
L'Electrolux che ricatta i suoi lavoratori (e ridicolizza il ministro competente), col beneplacito del finanziere renziano Serra (mi chiedo quale è la posizione di Renzi).
La Fiat che lascia il paese per pagare le tasse a Londra (ma c'è ancora qualche grossa impresa che paga le tasse in Italia) e Letta che commenta che è una cosa secondaria.
Ministri che anziché occuparsi di giustizia, agricoltura, degli interni, si preoccupano degli affari loro e degli amici loro in carcere.

Ma io mi vergogno di come questo governo ha gestito la questione dell'Imu, gli esodati, di come non è in grado di gestire la crisi e l'emoraggia dei posti di lavoro. Di un parlamento che ha votato per Ruby nipote di Mubarak, che ha pasteggiato a mortadella quando Prodi è caduto, che ha approvato leggi vergogna.

Un'ultima cosa: dovrebbe essere chiaro ormai ai deputati a 5 stelle che da soli non vanno da nessuna parte. Certo, se arrivassero al 51% (o al superamento della soglia)... e se mia nonna avesse le ruote.

29 gennaio 2014

La politica industriale

Dovremmo parlare tutti i giorni e tutto il giorno di come creare posti di lavoro in Italia.
Di come dare un futuro a questo paese, alle sue imprese (quelle che vogliamo mantenere e non quelle decotte) e ai ragazzi che oggi si affacciano al mondo del lavoro.
E che non riescono a capire i tatticismi della politica, le finte liti (e le larghe intese). La legge elettorale, la seconda rata dell'Imu e prima ancora la retroattività della legge Severino.

Quanti tavoli sono stati aperti al ministero dello sviluppo in questi anni e quanti di questi si sono chiusi con un accordo conveniente per il paese?
L'Elettrolux ha fatto ora quello che Marchionne aveva già proposto nel 2009: o accordo o Polonia.
E ogni volta si deve accettare il male minore. Il ricatto del posto di lavoro.

Fonte Il fatto quotidiano


E non se ne riesce ad uscire: i soldi per fare investimenti pubblici non ci sono, manca la volontà per snellire la burocrazia, per rendere più efficiente la giustizia, affrontare il nodo corruzione.
Diminuiscono i consumi e aumenta il debito: si chiama deflazione ed è una spirale che rischia a lungo termine di affossare il paese.

La ricetta per risolvere la crisi, proposta dalla troika è sempre la stessa: abbassare il costo del lavoro inteso nello stipendio dei lavoratori.
In Polonia una persona costa meno.
Significa che è inutile metterci ad inseguire i polacchi o i cinesi sul costo di un operaio.
Anche puntare su lavori ad alto contenuto tecnologico non è cosa che si può fare a breve termine: ci dovevamo pensare anni fa, puntando su ricerca, università, istruzione. Creare poli industriali affiancati a poli universitari.

Ho seguito la puntata di ieri di Otto e mezzo, ospiti il prof Tiraboschi, l'ex sindacalista Airaudo e il filosofo Cacciari.
Quest'ultimo ha puntato il dito proprio sull'industria manufatturiera che così com'è non ci possiamo mantenere.
Abbiamo persi tanti treni per l'industria, la chimica, il nucleare e oggi ci troviamo a competere con l'operaio polacco, a veder smontare pezzo per pezzo tutte le conquiste fatte dai nostri genitori.

Paradossale poi che mentre qui si toglie l'articolo 18 (e lo fa un governo appoggiato dalla sinistra), in America Obama parla di scala mobile e di salario minimo garantito.
Tutte cose che sarebbero considerate eresia, perché non ce le possiamo permettere.
Purtroppo è questa assenza di politica industriale che non ci possiamo permettere: questi silenzi sui casi Telecom, Elettrolux, Fiat, Ilva ..

Dizionario sinonimi e contrari

Consiglio a Grillo di regalare ai suoi deputati senatori a 5 stelle un bel dizionario sinonimi e contrari, per evitare altre scenette pessime come quella di ieri.
Il boia dato al presidente della repubblica è una stupida uscita (per non dire altro), fatta per prendersi i titoli di prima pagina e nascondere col dito la luna.
Chi parla oggi del decreto Bankitalia che regala miliardi alle banche?
Nessuno.
E si che di cose da parlare ce ne sarebbero: slitta di un anno l'obbligo per i notai del pagamento elettronico.
E anche l'aumento della tassazione per le rendite finanziarie short (meno di 48 ore), quelle altamente speculative.

Tutto nascosto, come l'inerzia di un governo che non è in grado di affrontare alcun problema del paese: un piano industriale che crei posti di lavoro, l'emergenza delle bonifiche in Campania, l'Ilva a Taranto ....
Tutto per la boria di mostrarsi duri e puri.
Come i rivoluzionari del film di Magni, Nell'anno del signore:

Carbonaro: Parola d'ordine?
Cornacchia: A' 'mbecilli!
Cornacchia: Ma che se chiede la parola d'ordine al primo che bussa?
Leonida Montanari: E lo so, vonno congiurà e so' fregnoni.

28 gennaio 2014

Il paese dei contrasti

Nello stesso giorno scopriamo che un ex ministro può farsi pagare in nero, parte della casa da un imprenditore che fa affari col suo ministero.
E non è reato.
Mentre gli operai della Elettrolux, se vogliono mantenere il posto, devono accontentarsi di uno stipendio da fame.

Bankitalia spiega nel suo rapporto come molti italiani vivano in condizioni di miseria, poveri che diventano sempre più poveri e ricchi sempre più ricchi.
Molti giovani fanno fatica a trovare un posto di lavoro, mentre manager di imprese pubbliche cumulano poltrone su poltrone come Mastrapasqua.

Un paese ricco di contrasti. E furbi. Che si disgrega giorno dopo giorno.

Presa diretta - il caso Telecom

Il caso Telecom è il delitto perfetto: nessuno dei protagonisti della storia è l'assassino, avendo però contribuito alla crisi di quello che una volta era un grande e importate gruppo tecnologico del nostro paese.
Riccardo Iacona non è riuscito a sentire Prodi, autore con Ciampi e Draghi della prima ondata di privatizzazioni del nostro paese (quella ci ha permesso di entrare nell'euro, privandoci però di asset importanti).
Ma nella puntata di ieri abbiamo sentito il punto di vista di ex dirigenti Telecom (come Roberto Di Iurio), di D'Alema (il suo governo non si oppose alla scalata a debito di Colaninno), di Tronchetti Provera (che rivendica tutta la sua gestione).
E anche osservatori esterni come l'ex giornalista oggi senatore PD Massimo Mucchetti, che nelle settimane passate avava presentato una proposta di legge sul meccanismo dell'OPA, che avrebbe costretto gli spagnoli aversare più soldi per prendersi Telecom.

I numeri possono essere interpretati in varie maniere: Tronchetti li ha usati per dimostrare la sua buona gestione, fatta di investimenti in tecnologia e dove le dismissioni di immobili sono servite a rimanre su un mercato (quello delle telecomunicazioni) non più monopolistico.

Ma i numeri dicono anche che Telecom prima aveva 120000 dipendenti e ora 50000. Che prima aveva 8 miliardi di debiti ora 25.
Che Telecom era un'azienda con una forte presenza nel mondo, mentre oggi il suo mercato è per lo più in Italia e le aziende estere potrebbero essere svendute per fare cassa. Come Telecom Argentina e Telecom Brasile.

Di chi sono le colpe?
Di Prodi che rese Telecom privata e scalabile, dandone il controllo agli Agnelli con una manciata di azioni?
Della gestione Colaninno, che la scalò a debito con la non opposizione di D'Alema e che ha venduto immobili Telecom per 5 miliardi in due anni? Immobili che erano nostri, pagati coi soldi pubblici.
Di Trochetti, che ne è stato presidente dal 2001 al 2006?

Ognuno degli attori ha scaricato le colpe su altri: Trochetti sulla politica, che ne ha ostacolato il progetto con Murdoch, per una piattaforma unificata con cui voleva trasmettere, su internet, contenuti televisivi.
Progetto ostacolato dalla sinistra ma, si presume, anche dalla destra berlusconiana.
D'Alema da la colpa a Prodi e rivendica la sua neutralità: noi ci siamo opposti ai vecchi imprenditori del salotto buono, che non volevano che i capitani coraggiosi come Colaninno entrassero in Telecom.

Tronchetti, che si è detto estraneo allo spionaggio di Tavaroli (e non è stato nemmeno indagato nella vicenda), non ha però spiegato cosa avrebbe spinto il capo della sua security a fare quei dossier. A sua insaputa? E per conto di chi?
D'Alema, come Letta oggi, neutrali nei confronti del mercato e dell'azionista forte, non spiegano se la loro neutralità è un bene o un male per il paese.
Che Telecom avremmo avuto oggi, se Bernabè fosse riuscito a portare avanti il suo progetto (la fusione Telecom Tim) nella seduta dell'aprile 99 passata alla storia come la notte dei lunghi coltelli?

Iacona ha affrontato anche l'argomento delle privatizzazioni: quelle fatte in Italia col furore ideologico.
Sono state un bene o un male?
In Inghilterra volevano privatizzare anche i boschi, e nel frattempo sono passate ai privati le poste, le ferrovie e la gestione dell'energia.
Eppure le bollette sono più care.
Eppure lo stato inglese spende più soldi di prima in sussidi alle aziende private di trasporto, perché il privato, senza i soldi pubblici, non è in grado di  fare investimenti.
E allora, mi chiedo, a che serve privatizzare beni pubblici?
A fare arricchire pochi soggetti a discapito della maggioranza dei cittadini.
Ne ha parlato, a fine servizio l'economista Mariana Mazzuccato, autrice del libro "Lo stato imprenditore": dobbiamo rivedere oggi il modello di impresa pubblica, che deve essere intelligente e capace di investire in ricerca e innovazione.

Come ha fatto l'Estonia, che ha investito 10 milioni di euro nel progetto XRoad, cablando tutto il paese in fibra ottica a 100 Mbit reali. Paese dove la carta d'identità è elettronica e le tasse si pagano su internet.
Le informazioni, per il cittadino, le imprese, la magistratura, viaggiano in rete e non più su carta.
Tutto questo significa maggiore produttività (altro che articolo 18), meno burocrazia, più ricchezza e servizi per le persone. In Estonia niente file per pagare l'IMU.

Certo, serve una politica che abbia una visione industriale. E degli industriali che vogliano metterci idee e soldi.
In Italia siamo ancora col doppino e le chiavette: a Roma ci sono quartieri come il Prenestino dove non c'è internet.
Perché la centralina Telecom è vecchia e l'azienda non ha intenzione (così dicono le persone del quartiere) di cambiarla.

Significa che rimarremo sempre indietro: mentre il mondo si digitalizza, noi svendiamo i pezzi gregiati di Telecom in sudamerica per favorire Telefonica, che vuole espandersi in Europa.

27 gennaio 2014

La posta in gioco quando si parla di giustizia

Quando si parla di giustizia si parla di questo (fonte Repubblica del 26 gennaio 2014):
- casi di corruzione a Palermo +47%
- sequestro dei beni per mafia a Roma + 800%
- processi iniziati per corruzione, a Milano 8 (avete capito, proprio 8)
- processi prescritti a Milano nel 2013 = 1433 (nel 2009 erano 314)

Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti. Aumentano le rapine e nelle città torna l'allarme sicurezza (sembra di essere tornati ai tempi di Prodi).
L'evasione toglie allo stato (dunque a noi) centinaia di miliardi in termini di minori servizi pubblici: asili, scuole, università, borse di studio, ospedali.
Le opere pubbliche che vengono fatte, solo spesso lubrificate a suon di mazzette: anche la corruzione incide sulla spesa pubblica, ma le brutte leggi fatte e le norme svuota carceri fanno sì che ormai il carcere non sia puù un deterrente.

Quando si parla di giustizia, di riforme epocali, si parla di questo: un sistema messo in crisi dalla prescrizione facile (cui né Letta né Renzi metteranno mano) e ora anche dalle scarcerazioni facili (per l'intasamento dei tribunali di sorveglianza).
Non risolveremo il problema del sovraffollamento carcerario (o almeno, non lo risolveremo in modo strutturale), ma nel contempo renderemo questo paese sempre più friendly per chi delinque.



E quali sono i delinquenti nelle patrie galere? Leggetevi l'articolo di Stella sul corriere: parla dello spread tra Italia e Germania in termini di popolazione carceraria
"È solo una coincidenza se la Germania, il Paese di traino dell’Europa, ha le galere più affollate di detenuti per reati fiscali ed economici? Ed è solo una coincidenza se noi, che arranchiamo faticosamente in coda, ne abbiamo 55 volte di meno? Non inciderà anche questo, sulle scelte di chi vuole investire in un Paese affidabile? È interessante mettere a confronto, dopo le denunce della Guardia di Finanza sulla stratosferica evasione fiscale italiana e lo scoppio dell’«affaire Angiola Armellini», i numeri del rapporto 2013 dell’«Institut de criminologie et de droit pénal», curato dai docenti dell’Università di Losanna Marcelo F. Aebi e Natalia Delgrande, sulle statistiche del vecchio continente più alcuni Paesi dei dintorni come Azerbaijan e Armenia."
Questo è il paese dove l'immigrato crea allarme sociale, il rom, l'albanese, lo spacciatore (piccolo) di droga o il piccolo consumatore, lo scippatore.
Il giudice di Berlino la pensa diversamente, scrive Stella: in quella patria è più pericoloso il colletto bianco che ruba tanto a tutti. La magistratura entra nelle imprese e, udite udite, mette le manette ai polsi di evasori e top manager.
Come Jeff Skilling, il potentissimo amministratore della Enron e principale finanziatore di George W. Bush: 24 anni di carcere per bancarotta.

Mentre qui si discute di preferenze, di riforme con un pregiudicato e se è giusto che la De Girolamo si dimetta. E dove i cittadini onesti ogni giorno subiscono la più grande ingiustizia nel silenzio della politica (quella che poi gratta il fondo del barile con le tasse): la sottrazione di risorse pubbliche da parte di evasori e furbetti vari.

La madre di tutte le privatizzazioni

Quella di Presadiretta stasera, sarà una puntata interamente dedicata al caso Telecom, la "madre di tutte le privatizzazioni".
Telecom ha oggi in mano sia l'infrastruttura di Rete che arriva in buona parte delle nostre case che i servizio di Telefonia e Internet: un'azienda strategica in un paese che soffre del problema del "digital divide" e della bassa informatizzazione nei rapporti tra cittadino e stato.
Ma Telecom è anche un'azienda in crisi (29 miliardi di debiti), spogliata delle sue risorse dopo anni di cattiva gestione da parte dei privati, che l'hanno scalata a debito.
Colaninno prima, ai tempi del governo D'Alema e dei capitani coraggiosi, Tronchetti Provera poi.

Quale sarà il suo futuro e quale futuro hanno in mente i nostri politici? Letta e Renzi, nel passato, si erano espressi in favore della necessità di separare rete (quella in rame, più vecchia) e servizi (specie in ottica della sua cessione agli spagnoli di Telefonica).
E gli investimenti per la banda larga? Arriveranno grazie ai soldi della Cassa depositi e prestiti.
Soldi pubblici, in sostanza.
Non è stato un bell'affare per il paese, il caso Telecom: non è un caso che questo sia il paese del telecomando e della TV occupata dai politici (che poi fanno da sponsor ai privati che si prendono pezzi dello stato), e non della internet neutrale.

La scheda della puntata:

PRESADIRETTA ha realizzato  un viaggio attraverso la storia della “madre” di tutte le privatizzazioni, con una puntata dedicata a Telecom Italia.
Quale sarà il destino della più grande azienda di telecomunicazioni del paese?
Riccardo Iacona intervisterà in diretta in studio Marco Tronchetti Provera, presidente e amministratore delegato di Pirelli, ma soprattutto l’imprenditore che dal 2001 al 2007, dopo la breve esperienza di Olivetti e Colaninno, ha gestito Telecom Italia.
PRESADIRETTA ha seguito questi ultimi mesi di vita convulsa di Telecom Italia,  le strategie degli spagnoli di Telefonica, l’intervento della politica, le scelte del management, le sorti dei lavoratori e la complessa situazione degli interessi di Telecom in Sud America.
A PRESADIRETTA, lunedì 27 gennaio in prima serata su Rai3, un momento cruciale per la storia di questa grande compagnia delle telecomunicazioni italiane, ma anche per le scommesse sull’Agenda Digitale del Paese.

“TELECOM ITALIA”  è un racconto di Riccardo Iacona con Sabrina Carreras e Rebecca Samonà.
A questo link potete seguire la diretta TV sul Fatto Quotidiano, dove Riccardo Iacona e Giorgio Meletti presenteranno la puntata


Per non banalizzare la giornata della memoria

Non sopporto le celebrazioni fini a se stesse, dove è la retorica dell'anniversario a prevalere sulla memoria di quello che è stato.
Ogni anno si celebra la Giornata della memoria il 27 gennaio, nel giorno della liberazione del campo di Auschwitz. E gli altri giorni?
Questa giornata diventa quella delle immagini in bianco e nero con i binari dei treni, sempre innevati, che portano alle porte del campo di sterminio: i forni, le camere a gas. I corpi accatastati uno sull'altro, scheletri umani che nemmeno il genio di Picasso sarebbe stato capace di rappresentare.
Si chiude tutto, specie qui in Italia dove i conti col passato non li abbiamo fatti, con la condanna al nazismo e alla follia di Hitler.
Ma la Shoa è stata qualcosa di peggio: prima di tutto perché Hitler è andato al potere col consenso popolare dei tedeschi. I suoi discorsi, contro le democrazie europee, contro gli ebrei colpevoli dei mali della Germania, facevano breccia nelle menti e nelle pance di un popolo stremato dalla crisi successiva alla prima guerra mondiale.

Auschwitz e gli altri campi di sterminio, i treni per i campi di concentramento, il programma di eutanasia Aktion T4, la sistematica predazione dei beni delle famiglie ebraiche non sono avvenuti per la sola volontà di un uomo: sono state messe in piedi delle leggi che toglievano a ebrei, dissidenti politici, gay, rom, persone con difficoltà tutti i loro diritti.
Il diritto ad avere delle proprietà, a professare le idee. Il diritto di esistere.



L'industrializzazione dello sterminio a norma di legge, è quello il vero orrore. C'erano persone che andavano a censire i nemici della Germania, regione per regione. Organizzavano treni, trasporti, per rinchiuderli in campi. Studiavano quali fossero i mezzi più efficienti per ucciderli, a minor costo.
La ricerca del profitto anche sullo sterminio. Anche da morti, ebrei rom omosessuali, comunisti dovevano servire al nazionalsocialismo.

Noi italiani abbiamo avuto un compito in tutto questo, e nemmeno questo dobbiamo dimenticarcelo. Le leggi razziali le ha firmate il re d'Italia nel 1938. Le leggi fascistissime che toglievano libertà di espressione, di dissenso, di riunione in sindacati le ha promulgate il governo Mussolini democraticamente eletto, con la legge truffa del 1924.
Dopo il luglio 1943, con la repubblica di Salò, anche noi italiani abbiamo dato il nostro contributo allo sterminio degli ebrei. E dei soldati italiani che non aderivano alla repubblica sociale.
Il 16 ottobre del 1943 a Roma, i nazifascisti effettuarono un rastrellamento nel ghetto ebraico, catturando oltre 1000 ebrei, sotto le mura del Vaticano.
Il Vaticano, tramite il vescovo Hudal, minacciò Berlino con la protesta papale. Von Weizsacker, ambasciatore tedesco a Roma, propose di impiegare gli ebrei per lavori a Roma. Ma era solo un modo per prendere tempo.
Il 18 ottobre, mentre il papa aspetta la risposta di Berlino, 1023 ebrei vengono deportati in un campo di lavoro chiamato Auschwitz. Von Weizsacker affermerà che la deportazione ha “liquidato” la minaccia papale. Anche i deportati furono liquidati: 850 gasati all'arrivo; degli altri ne sopravviveranno in 16.

Avremmo potuto celebrare il 16 ottobre la giornata della memoria. Ma forse avrebbe dato fastidio a qualche nostalgico in camicia nera. Meglio spostare la memoria lontano, dove fa più comodo.

L'ultimo libro dello scrittore bolognese Patrick Fogli “Dovrei essere fumo” è dedicato alla memoria e alla necessità di raccontare a quelli che verranno dopo di noi, cosa è stato.
Un ex ufficiale delle SS che è riuscito a sfuggire alla giustizia, uno di quelli che ad Auschwitz si sentiva come un Dio in terra, dice:

Eh sì, abbiamo perso la guerra, ma abbiamo dominato il mondo e continuiamo a farlo, in silenzio o urlando, tu conosci quello che accade, in Jugoslavia abbiamo vinto noi, e in Rwanda e ogni volta che qualcuno si alza e afferma la panzana demente di fascismo buono, una bontà che non abbiamo mai voluto o rivendicato, perché l'unica cosa che avevamo in mente era di essere giusti della nostra giustizia, senza la lettera maiuscola o i comandamenti o i precetti di chiunque, giusti perché lo avevamo deciso, non buoni.
Ogni volta che accade, per ogni saluto col braccio teso, per ogni dittatore che reprime un oppositore o lo zittisce, per ogni essere umano che si crede onnipotente, noi vinciamo e per ogni silenzio o dimenticanza, noi vinciamo, e per ogni silenzio o dimenticanza, noi vinciamo, e per ogni singolo pensiero che cerca odio con cui affermare la propria rivalsa, anche il tuo nei miei confronti [..] noi vinciamo, e vinciamo per un semplice motivo, abbiamo affermato come regola l'inaffermabile, proprio quel libero arbitrio di cui tanti blaterano, il nostro libero arbitrio, che non riconosce nulla al di sopra di sé, in cielo o in terra[..]
Guardati intorno, pensa al mondo in cui vivi. E quando resti solo, chiediti se ci avete sconfitti davvero.
L'odio e l'ignoranza hanno generato l'Olocausto. Il chiudere le frontiere respingendo gli immigrati e lasciandoli morire in fondo al mare o in mano agli aguzzini. Il mettere gli egoismi nazionali davanti ai principi generali, ai diritti dell'uomo. E non crediate che basti un solo giorno per pulirci la coscienza. I morti nel Mediterraneo, le pulizie etniche, i civili uccisi come effetto collaterale delle guerre umanitarie, sono morti dei nostri tempi.

26 gennaio 2014

Cambiare la classe dirigente

Visto che il nuovo che avanza (un'altra volta) sta cambiando il paese mettendo in mano alle segreterie dei partiti e ai cda dei grandi gruppi industriali la scelta degli eletti, sarà dura che riuscirà a cambiare la classe dirigente dentro le istituzioni.



Come Antonio Mastrapasqua, indagato in una inchiesta su fatture gonfiate all'ospedale israelitico.
Report se ne era già occupata, ben prima che arrivasse la magistratura.
Antonio Mastrasqua è presidente dell'Inps, siede in diversi consigli sindacali di società private, è numero due di Equitalia, controllata al 49% dall'Inps.La Corte dei Conti ha parlato di “eccessiva concentrazione di potere ” nelle mani di una sola persona che deve gestire le nostre pensioni, deve affrontare il problema degli esodati (e ancora non sappiamo bene quanti sono e quali risorse possiamo usare per loro), la fusione nell'Inps degli enti dell'Inpdap e dell'Empals, la questione degli esuberi nell'Inps.
Di fronte a questo cumulo di cariche (e anche ad una situazione da conflitto di interessi, visto che Equitalia riscuote tributi e più incassa più riceve uno stipendio alto) il ministro Fornero si è affidata alla sensibilità personale della persona.Lei, come ministro Fornero, certe cose non le avrebbe fatte.Come le commesse dell'Inps a società di cui il presidente Mastrapasqua è in società.E se non è la politica che fa delle leggi certe sull'incompatibilità e sulla impossibilità di cumulare cariche, attendere la “sensibilità” dei singoli non ci porterà lontano.
L'ospedale Israelitico di Roma ha pagato i propri debiti con l'Inps usando i crediti che godeva con la regione Lazio: si può fare, ma rimane anche qui la domanda. È opportuno visto che sia da una parte che dall'altra cè la stessa firma di Antonio Mastrapasqua?

Rimaniamo in attesa che se ne occupi la politica, sempre che abbia voglia di farlo. 
Eh, Renzi?

Il paese che amava

L'Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti. Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. 
Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare.



Per fortuna che questo era il paese che amava: così ci aveva detto, a telecamere unite nel videomessaggio della discesa in campo, il 26 gennaio 1994. Il video della calza, del “L'Italia è il paese che amo”, del miracolo italiano, non posso lasciare il paese a forze non moderate e incapaci. Ma dovevamo capirlo, forse: quelli come Berlusconi sono solo amanti di se stessi, mica del loro paese. Paese dove sono cresciuti imparando il mestiere: quello del coltivare le buone relazioni con la politica, craxiana e democristiana per intenderci, affinché i propri affari possano prosperare liberi da vincoli e leggi.
Ma anche con la massoneria e con le gerarchie vaticane, il grembiule da muratore e l'immagine da buon padre di famiglia.
Perché questo piace a noi italiani, che rimaniamo ancora un paese di immaturi (e mi rendo conto di stare generalizzando un po'): ci piace l'uomo forte, che comanda sapendo sempre quello che fa. Il padre di famiglia che non dorme la notte per pensare a come risolvere i nostri problemi, la cui soluzione abbiamo delegato.
Ma anche il leader capace di sdoganare quelli che, almeno una volta, erano dei tabù: i fascisti al governo, i razzisti xenofobi nei ministeri chiave ad occuparsi a modo loro di integrazione. La corruzione e l'evasione diventati dei peccatucci necessari perché così va il mondo e impara ad essere furbo anche tu.
Il mescolare pubblico al privato (il proprio privato, quelle delle sue reti, dei suoi giornali), anzi: il pubblico deve essere piegato, sottoposto al privato.
L'occupazione della Rai e dell'informazione affinché diffonda il sacro verbo del buon governo e nasconda le notizie scomode.
La protezione civile diventato mezzo di propaganda dell'azione del premier (come ha spiegato Sabina Guzzanti a Draquila).
La magistratura sottoposta al volere della politica: leggi ad personam, depenalizzazioni, prescrizioni, condoni, indulti.


Abbiamo imparato, dal caro leader, che tutto può essere comprato: testimoni, avvocati, giudici, ufficiali della finanza. E anche la mafia, quando questa viene a battere cassa per le tue imprese.
Tutto il paese, quello che amava, si è lasciato soggiogare: il mito dell'arricchimento facile, dell'uomo del fare, del tombeur de femmes, dalla barzelletta pronta, delle cene eleganti.
L'uomo vincente.



Dopo 20 anni, potremmo anche fare un bilancio su come è cambiato il paese, dal quel 26 gennaio.
Non bisogna però dimenticare quanti, nel campo contrario (o diversamente concorde) hanno aiutato il signor B. dopo la sua discesa in campo: non dimentichiamoci la Bicamerale, le leggi vergogna mai abrogate, il mai affrontato nodo del conflitto di interessi. Anche nel centro sinistra hanno amato molto questo paese.

Povero paese.

25 gennaio 2014

Dovrei essere fumo, di Patrick Fogli


Incipit:
Vivo con la consapevolezza del baratro.La frase è spuntata fra i pensieri all’improvviso, un’epifania che non sa collocare nel tempo e il cui solomotivo plausibile è il tentativo di mantenere un contatto con la realtà. Da quando è tornato, quasi un miracolo.Alza il volume, la musica occupa la scatola cranica, pare in grado di tracimare oltre, le tempie e la corsa seguono il ritmo del suono. Alza ancora, i piedi aumentano la cadenza, l’udito reclama una tregua, fa scendere le note al confine del dolore e il passo di conseguenza.Scherza col proprio corpo, restituisce il fastidio che riceve da mesi. Un’altra guerra persa che si ostina a combattere.Controlla sullo smartphone il ritmo del percorso, ritrova l’andatura, la mente impone ai gesti obbedienza e disciplina. In spiaggia, il cielo prosegue nel mare, una lastra di ardesia increspata di schiuma, la spiaggia è grigia, verde, densa, costellata di rifiuti, tronchi, qualche bottiglia di plastica.

Vicino alla riva l’odore del mare è pungente, la risacca si mescola alla musica, un ragazzo corre nella direzione opposta, lo vede tutti i giorni, non si salutano, si guardano in silenzio, l’altro indossa sempre un paio di occhiali avvolgenti, di plastica scura,pantaloncini sintetici e attillati, ha le gambe glabre, forse depilate, sembrano viaggiare alla stessa velocità. Oggi però è stanco, avanza più lento, la bocca aperta a cercare aria e non lo nota, la fatica è l’unica compagnia che merita attenzione, così anche lui non lo guarda e non ne ha bisogno, ha imparato da molti anni a notare particolari minimi con la vista periferica.Alla fine della spiaggia sale i gradini che conducono al molo, continua a correre verso l’orizzonte, in fondo al pontile il mare è dappertutto, le vertigini arrivano all’improvviso, sbanda, l’adrenalina lo tiene in piedi, deve rallentare, poco prima della strada si ferma. Resta immobile, le braccia lungo i fianchi, la testa alta, la musica che esplode nelle orecchie, la strada deserta battuta da una pioggia impalpabile, le finestre sigillate di un albergo di lusso, un randagio che attraversa la strada, la musica che finisce di colpo rivela il frastuono del sangue che resiste alla fatica. La vertigine impiega qualche minuto a svanire, ma non ha fretta. È già successo, sa attendere, sa come affrontarla.
Prima di muoversi dedica qualche minuto agli esercizi di allungamento, le articolazioni scricchiolano, muove il collo a occhi chiusi, aspetta che il rachide risponda. Poi ricomincia a correre, una sgambata leggera, per allontanare la fatica.Il tempo che serve per arrivare all’unico bar aperto.Dietro al bancone c’è un ragazzo, è sempre lì a ogni ora del giorno, in attesa dell’estate o che passi il tempo.Aspetta l’ordinazione, ma potrebbe farne a meno, è sempre uguale, un succo di arancia in un bicchiere da birra. Beve in silenzio, a un lato del bancone.
«Alberto Corini?»
Questa è la storia di due uomini che vorrebbero fuggire dal loro passato, ma senza riuscire a liberarsene del tutto.
Alberto Corini è un ex militare, ha combattuto guerre sporche in Afghanistan e in altri luoghi, dove ha imparato ad uccidere e a sopravvivere alla morte. Mimetizzandosi in mezzo al nemico, imparando diverse lingue e dialetti.
«Volevi sapere della mia guerra» le dice. «La mia è una guerra senza cannoni e carri armati, la guerra di un uomo sconosciuto, un uomo senza identità, con molti nomi e molte lingue, che ha conosciuto un esercito per i pochi anni necessari a farmi diventare quello che sono.»«E cosa sei?»Alberto esita un istante.«Ascoltavo una canzone da ragazzo, una canzone molto più vecchia di me. La canto ancora, le rare volte in cui mi capita di cantare. “C’è stato un tempo in cui per un attimo ho pensato che avrei perso la testa.”»
L'uscita dal mondo militare è stata lunga e dolorosa, come se una parte del suo corpo fosse ancora rimasta là, sul campo, a preoccuparsi di come rimanere vivo: oggi sfugge al suo passato correndo fino allo sfinirsi sulla spiaggia e prendendo delle medicine per lenire gli attacchi di emicrania.
Ma contro le sue crisi non può fare altro che aspettare che passino: sono momenti in cui il suo corpo è come se sfuggisse, in un incubo dai tanti colori. Colore rosso, colore azzurro, fiordaliso, giallo. Alberto Contini, oltre alle corse sulla spiaggia, passa il suo tempo parlando con un Vecchio e leggendo le pagine di un quaderno azzurro.


Sono nato il 25 luglio del 1921, mi chiamo Emile Riemann e sono ebreo”. L'altro uomo si chiama Emile e racconta, nei capitoli pari del libro, la sua storia in una sorta di diario. La vita borghese scossa dalla guerra e dall'arrivo dei nazisti nel 1940.
Il clima pesante nei confronti degli ebrei, spogliati di tutti i loro averi e diritti. Rinchiusi in quartieri ghetto, ammassati uno sull'altro, e resi immediatamente riconoscibili agli altri per la stella gialla sul petto. Inermi all'ira e alla violenza dei tedeschi.
La speranza di sopravvivere anche a questa bufera interrotta dall'arresto da parte della polizia francese che deporta tutti gli ebrei parigini al Velodrome (un episodio citato anche nel bel film Le chiavi di Sara). Per poi finire su uno dei treni piombati per Auschwitz.


Alberto accetta un incarico di sorveglianza di un signore anziano, Nils Schwarz, prima nella clinica dove è ricoverato e poi nella sua villa. Per conto di questo personaggio enigmatico ma potente (per il giro di conoscenze che dimostra di possedere), Alberto uccide delle persone, senza chiedersi il perché, visto che quello è il suo lavoro, di cui lui è uno dei migliori. Ma altri misteri si aggiungono in questa storia: chi vuole uccidere Nils Schwarz e perché? Cosa nasconde nella sua vita questo anziano signore che non ha lasciato traccia nel suo passato (almeno dalle ricerche che Alberto è riuscito a fare)?
Cosa c'è nella sua stanza nascosta, con la scrivania di legno, il cui accesso è proibito a tutti?


Emile varca la porta di Auschwitz: la fortuna, e forse non è corretto parlare di fortuna, lo mette nella lista dei detenuti ebrei che si occupano della cremazione dei cadaveri, dopo che sono stati gasati nelle docce. Dove anziché l'acqua per lavarli, scende lo Zyklon B.
Emile scopre l'orrore: l'orrore di dover sopravvivere a tutto quell'inferno, di vedere coi propri occhi la propria fidanzata entrare dentro la camera della morte, senza poter fare niente. La pazzia delle SS del campo, per cui l'ebreo non è più un uomo. E' una cosa, un non uomo spogliato dei suoi vestiti, della sua dignità, del suo essere, che può morire per un capriccio dei carcerieri, perché arriva in ritardo al rancio, perché si dimentica in giro la gamella, perché non ubbidisce subito agli ordini. Tra queste bestie, uno degli ufficiali del campo, Alex Murnau, l'uomo che si sentiva Dio “Sono il punto di vista di Dio, ebreo [..] Il punto di vista del tuo Dio, che decide della tu vita e della tua morte”.


Emile diventa uno dei componenti delle squadre speciali, i Sonderkommando:
Avrei voluto piangere, avrei dovuto forse, ma in quel momento cominciò a lavorare dentro di me il germe della sopravvivenza, il tarlo che prima o poi ha conquistato tutti noi che abbiamo resistito e possiamo raccontare. Ti mina il cervello, corrode, guasta, perché non posso credere che sia sano chi ha visto quello che ho visto e non ha pianto, non si è ucciso, non si è lasciato morire”.
Morire aspettando la prossima selezione, oppure sopravvive per poter raccontare un giorno al mondo che è la fuori cosa è stato?
Nel racconto di Emile c'è tutto il dolore e il tormento per essere sopravvissuto:
“Perché proprio io, perché soltanto io di tutta la mia famiglia sono sopravvissuto, quando tutti quelli che amavo sono morti là dentro?”
E ancora:
Ho scoperto che è più difficile vivere dopo Auschwitz che ad Auschwitz.
Io non dovrei essere vivo.
Io non dovrei essere vivo.Non dovrei parlare.Non dovrei respirare mangiare bere dormire pensare.
Io dovrei essere fumo.Io mi vergogno di vivere, mi vergogno quanto si può vergognare un uomo e mi chiedo ogni giorno che passa, anche quando non sono consapevole di farlo, perché e con quale diritto cammino ancora al mondo”.
Alberto e Emile: le loro storie viaggiano affiancate, con tutti i misteri del non svelato per quei particolari che volutamente l'autore non rivela, se non alla fine di tutta la storia.
Quando si capirà cosa lega l'ex militare Alberto ad Emile, il ragazzo ebreo finito nel campo di concentramento. Chi sia il vecchio, una delle poche persone con cui Alberto riesce a confidarsi. Cosa c'è scritto in quel quaderno dalla copertina azzurra.
Una storia sulla vendetta e sul perdono che, come scrive Patrick “non sempre sono sulle facce opposte della medaglia”.


Un libro dedicato ad Emile e a tutti gli Emile dietro questo personaggio inventato ma reale allo stesso tempo, i milioni di uomini morti perché un uomo si mette sul trono di Dio e decide della tua vita e della tua morte. Un libro che racconta del nostro passato, da dove veniamo. 


Il blog di Patrick Fogli, dove potrete trovare altri spunti di lettura.
La scheda del libro suo sito di Piemme edzioni e il primo capitolo del libro.
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.


Altri spunti per approfondire:
La zona grigia di Tima Blake Nelson, un film basato sulle testimonianza del medico ungherese Miklos Nyiszli, che operava agli ordini del dottorMengele.

Se questo è un uomo, di Primo Levi

24 gennaio 2014

Con questa crisi

Con questa crisi, si mettono pure a scioperare ..
Frase sentita sul metrò questa mattina, da due ragazzi saliti come me in fretta su una delle ultime corse prima dello sciopero dei mezzi.
D'accordo, siccome siamo in crisi, niente scioperi, mettiamo un limite ai diritti delle persone.
E poi aboliamo la libertà di espressione, di associazione in sindacati, di potersi ammalare senza rischiare il posto, di essere reintegrati in caso di licenziamento illegittimo ..
Con questa crisi, sono solo orpelli inutili.


Qui il comunicato della USB sullo sciopero di oggi.

Servizio pubblico - forza Italicum

Da una parte la necessità di riforme vere e non solo promesse, dall'altra l'essere costretti a farle allargando il confronto a tutte le forze in campo. Forza Italia compresa.
Il gioco vale candela? Stringere il patto col cavaliere (cui nessuno ha ancora tolto il titolo) condannato per frode fiscale e nuovamente sotto processo per corruzione dei testimoni, con Verdini, sperando di riuscire ad arrivare finalmente ad una nuova legge elettorale.
Forza Ialicum, si augurava Santoro nella copertina della puntata di ieri.
A patto che si riescano a dinstinguere gli ingredienti di questa nuova ricetta elettorale, ovvero poter scegliere i nominati perché la promessa delle primarie non basta.
Non possiamo ancora una volta accettare le promesse dei cavalieri da tavola rotonda che ci dicono "vedrete cosa farò quando sarò eletto".




Nella puntata si è discusso dello scontro Renzi Letta, delle fratture che si stanno aprendo nel PD a seguito della svolta decisionista della segreteria Renzi.




Le dimissioni di Cuperlo dopo le parole di Renzi che gli ha rinfacciato l'essere stato nominato senza passare da primarie.
Le dimissioni di Fassina (chi), passato dall'essere contrario alle larghe intese, al ruolo di viceministro dell'economia, all'incontro sul divano con Brunetta. Fino alla polemica di questi giorni dopo l'incontro di Renzi con B.

Fassina, ospite in studio assieme ai giornalisti Mentana e Feltri e al costruttore Marchini, ha spiegato che per lui il problema non sono le riforme, ma il fatto che si stiano silenziando le opposizioni interne. Anche noi vogliamo dare il nostro contributo.

Poco prima Letta, nell'intervista alla Gruber ha ritirato fuori dal cilindro il conflitto di interessi: suona un pò, nell'Italia dei tatticismi, come un voler mettere le ruote tra i bastoni al percorso di riforme tra l'ala renziana e Berlusconi.

Mentana ha parlato di un Renzi che vuole vincere contro tutti: la sua guerra lampo era l'unico modo per arrivare ad un accordo e sarà efficace sono se ci saranno le elezioni lampo che, a questo punto, diventano più probabili.

Secondo Feltri, Berlusconi le elezioni non le vuole perché ad aprile sarà costretto in casa ai domiciliari, per non parlare degli altri processi.
Ai domiciliari è difficile pilotare il partito e le elezioni.
Aspetta i tempi lunghi Berlusconi e B. sui tempi lunghi B. è sempre vivo.

L'intervento di Marchini mi ha fatto pensare al pericolo che hanno corso a Roma, essendosi presentato a sindaco di Roma.
Prima ha criticato il PD che sceglie un uomo di potere da piazzare al comando, per dirigerlo da dietro.
Poi ha ammesso che Renzi è arrivato alla segreteria grazie al consenso.

L'intervento di Travaglio




Fassina ha contestato l'intervento di Marco nella parte che lo riguardava: le frasi sono estratte dal contesto, il governo con B. era l'unica cosa possibile per salvare il paese.
Strano, la realpolitik la possono fare gli altri e non Renzi?
Anche Renzi potrebbe dire che per riformare il paese, l'unica strada è allargare l'accordo alla platea più ampia.
Certo, il rischio che Renzi voglia schiacchiare l'opposizione per ridurla ad una sola opposizione di faccia è reale.
Ma, ha sottolineato Santoro, dobbiamo dare una direzione a questo governo: il pasticcio dell'Imu è frutto delle larghe intese, un papocchio.

L'intervista di Alessandro di Battista: loro ci credono, questo è poco ma sicuro. Intransigenti e decisi a non piegarsi al sistema.







Nessun compromesso con Renzi e con B.: il 51% alle elezioni? Crediamo ai miracoli.
Perché "il letame si tratta con la pala e non col cucchiaino d'argento". Anche se prende milioni di voti.

23 gennaio 2014

Colpevoli, ma a loro insaputo

Come dicevo stamattina. La lotta alla mafia è quella cosa di cui ci si ricorda solo agli anniversari.
O dopo gli arresti eccellenti.

NCD e FI ci riprovano sul voto di scambio: "Colpevole solo chi è consapevole".
Quelli che chiedono i voti ai mafiosi, ma a loro insaputa, sono salvi.


La trama di un giallo

“Qua c’è di fare tremare i muri” dice, e Lorusso subito acconsente “è così è così”. Le parole di Riina sono perentorie: ” E allora organizziamola questa cosa. Facciamola grossa e non ne parliamo più”. Poi ‘U curtu continua nella sua escalation di minacce: “Perché questo Di Matteo non se ne va, ci hanno chiesto di rinforzare, gli hanno rinforzato la scorta. E allora se fosse possibile ad ucciderlo, un’esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo”.


Una cimice umana messa da qualcuno per carpire all('ex) capo dei capi tutti i suoi segreti?
Oppure un'abile manovra strategica per ingiuriare il capo dello stato (che non deve testimoniare a Palermo), contro Berlusconi, per ingigantire l'immagine del pm di Palermo Di Matteo?

Qualche settore d’apparato dello stato italiano è coinvolto in una spaventosa messinscena il cui obiettivo è mostrificare il presidente della Repubblica, calunniare Berlusconi e monumentalizzare il pm Di Matteo e il suo traballante processo.
Comunque la si veda c'è qualcosa che non torna, nella storia delle intercettazioni carpite durante l'ora d'aria nel carcere di Opera tra Riina e il boss della Sacra Corona unita, Lorusso.

Ogni volta che si toccano certi argomenti, le cose non tornano: a parole tutti sono favorevoli a che si faccia luce sui misteri, le stragi di mafia del biennio 1992 1993. Arrivare ai nomi delle persone che hanno messo le bomba e anche ai mandanti.
A parole tutti (ministri, presidenti, onorevoli, prefetti) dalla stessa parte: stato e mafia non possono stare dalla stessa parte.

Ma solo a parole.
Ad esempio, che fine ha fatto la proposta per il reato di autoriciclaggio?
Perché non si lavora sul reato di voto di scambio aumentando le pene?
Perché non si riesce a togliere di mezzo la ex Cirielli che uccide tutti i processi degli imputati che si possono permettere di tirarla per le lunghe (e non sono i poveri Cristi)?
E poi gli scudi fiscali, le norme blande contro gli evasori, i condoni edilizi, il filone delle ecomafie completamente ignorato.

Fino a ieri si poteva dire che al governo c'era B., l'uomo di Dell'Utri, la cerniera tra cosa nostra e B.
Poi sono arrivate le larghe intese, che della mafia si sono proprio dimenticate.
Ora dovrebbe toccare a Renzi.
Quello che ha deciso di fare le riforme (e la legge elettorale) proprio con B., per togliere di mezzo i partitini (che poi era un pallino anche del cavaliere).
Niente preferenze, (forse la) possibilità di candidarsi su più seggi.
Non solo, ieri il PD ha votato assieme al PDL una norma che salva le case abusive in Campania.

Insomma, se speravamo in un nuovo corso del governo che facesse veramente piazza pulita delle mafie, credo che rimarremo delusi.
Capire quali pezzi dello Stato hanno trattato con la mafia per chiudere la stagione delle bombe e preparare il terreno al nuovo che avanza non è prioritario. Marcare il territorio aiutando le aziende che non pagano il pizzo, che resistono alle pressioni e alle minacce, non è all'ordine del giorno.

Potrebbe essere la trama di un noir, la storia del rapporto mafia politica: una ha bisogno dell'altra e viceversa.

22 gennaio 2014

La costola di Adamo di Antonio Manzini

Incipit
Erano giorni di marzo, giorni che regalano sprazzi di sole e promesse della primavera che verrà. Raggi ancora tiepidi, magari fugaci, che però colorano il mondo e aprono alla speranza. Ma non ad Aosta.
Il vicequestore Rocco Schiavone è tornato e in questa sua seconda inchiesta in val d'Aosta, scopriamo qualcosa di più su di lui.

Come le ragioni della sua cacciata da Roma, la sua città, sei mesi prima: è stato un trasferimento punitivo, dopo che aveva “corcato” a botte Giorgio Borghetti Ansaldo, figlio di un sottosegretario, colpevole di aver violentato delle ragazzine e di essere sfuggito alle maglie della giustizia italiana. Grazie alle pressioni del potente genitore.

Lo sappiamo, avendo letto il suo primo romanzo (e se non l'avete fatto, vi consiglio di leggerlo Pista nera – Sellerio editore), che Schiavone è un poliziotto “sporco”, uno che interpreta la legge a modo suo. Con doversi vizi, come quello di girare per la fredda e nevosa Aosta con le sue clark. Non proprio le scarpe ideali quando piove o nevica:
«Merda» aveva biascicato. Anche quel venerdì cielo chiuso come il coperchio di una pentola a pressione, marciapiede bianco di neve e indigeni che camminavano frettolosi coperti di sciarpe e cappelli.
Il rito dello spinello calmante, alla mattina al chiuso del suo ufficio.
Gli mancavano altri due passaggi fondamentali prima di cominciare la giornata. Andare al bar in piazza a fare colazione e infine sedersi alla scrivania e rollarsi il suo spinello mattutino.
Il vizio di associare al volto delle persone con cui si imbatte per lavoro ad un animale. Un koala, un pesce degli abissi oceanici, una faina, un cane da punta:
Phascolarctos cinereus. Comunemente detto koala. A quell’orsetto australiano assomigliava Patrizio Baudo, ed era stato il primo pensiero di Rocco quando quello era entrato nella stanza
Ci sono aspetti della sua vita che conosciamo ancora poco: come la morte della sua amata moglie, Marina, nel lontano 7 luglio 2007. Una vita fa: una vita che si è troncata in modo doloroso, lasciando dentro Rocco una ferita che ancora non si è rimarginata.


Ma torniamo al poliziotto Rocco Schiavone, vicequestore della mobile di Aosta: in questa seconda inchiesta deve indagare sulla morte di Ester Baudo, trovata dalla sua cameriera impiccata nel buio della sua camera.
Un suicidio? No, il fiuto di Rocco, che comunque rimane un poliziotto con delle capacità di intuito eccezionali, lo porta a scoprire che quello è in realtà un omicidio mascherato (un po' male) da suicidio:
Il vicequestore sorrise nel pensare alla somiglianza che sentiva fra lui e quel cane da punta. Passare la vita a individuare un odore fuori luogo, una nota stonata e darsi da fare a capire il perché.
Chi è l'assassino? E perché? C'era qualcosa che non funzionava nella vita di Ester Baudo?

Posso darvi un solo indizio: c'entrano qualcosa le parole del titolo. Eva, creata da Dio dalla costola di Adamo.
Allora l’eterno Iddio fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che s’addormentò. E prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. E l’Eterno Iddio, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo.
E anche la frase di apertura del libro, una citazione dell'attrice Jane Fonda

Un uomo ha molte stagioni mentre una donna ha solo diritto alla primavera”.

Anche questo libro, come nel precedente, si alternano le pagine legate all'indagine in corso di Schiavone e dei suoi uomini, con le pagine sulla vita privata dell'uomo: il vuoto lasciato dalla moglie, il senso di colpa per la sua morte (un altro aspetto del suo passato che rimane oscuro):
Marina non era tornata e loro il perdono non gliel’avevano mai concesso. Non che lui se lo meritasse, lo sapeva, la colpa era solo e soltanto sua.
Il senso di sporco che ogni caso lasciava sulla sua pelle, perché per arrestare il colpevole doveva prima comprenderne le ragioni e immergersi nella sua sporcizia:
Solo che per togliersi tutta quella sporcizia, ci impiegava giorni, magari mesi. E gliene rimaneva sempre un po’ attaccata alla pelle.
[..] per immedesimarsi doveva entrare nella testa malata di quella gente, mettersi addosso la loro pelle lurida, mimetizzarsi e scendere laggiù, nelle fogne.
Il non riuscire ad intraprendere un cammino nuovo, nella sua vita e lasciarsi tutto alle spalle.
Un nuovo amore, un futuro con dei nuovi progetti.

Anche se non è detta l'ultima parola:
Rocco si alzò. Lento si incamminò su quella lingua di luce chiara. L’avrebbe seguita, senza pensare, almeno per una volta, dove l’avrebbe portato. A casa, forse.
Il link sul sito di Sellerio.

Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.