30 aprile 2014

Il partito della polizia - la presentazione a Milano

Marco Preve, in piedi e gli altri ospiti della presentazione
Gabriele Ghezzi, Mirco Mazzali e Marco Preve
Vittorio Agnoletto
L'autore, al momento degli autografi
Più o meno negli stessi istanti in cui i sindacalisti del Sap applaudivano ai poliziotti condannati per la morte di Federico Aldrovandi, il giornalista Marco Preve presentava a Milano il suo libro "Il partito della polizia".
Un saggio dove si parlava di un sistema, di quello che è diventata la polizia in questi ultimi venti anni: l'utilizzo della tortura dai tempi del terrorismo a Bolzaneto; i casi di persone morte quando erano nelle mani delle forze dell'ordine; i pestaggi e i depistaggi dopo l'irruzione alla Diaz, per il G8 di Genova nel 2001.
E anche le promozioni dei dirigenti responsabili di quella operazione, che non hanno visto la violenza e hanno firmato i falsi verbali (e le finte prove come la molotov).
Gli appalti milionari gestiti dal dipartimento della pubblica sicurezza per l'informatizzazione della polizia: 1 miliardo in sette anni, gestito con molta dicrezionailtà e con criteri antieconomici.
Tutto questo, che può essere riassunto nella formula di "partito della polizia": un gruppo dirigente che si è mosso in questi anni come un partito politico, creando agganci coi partiti veri, usando logiche di promozione non meritocratiche ma per cooptazione.
Un partito che ha goduto della protezione di stampa (le grandi firme di giudiziaria di Corriere, Repubblica e La Stampa), della magistratura (che certi fascicoli sui pezzi grossi del Viminale avrebbe preferito non aprirli), della politica. Non solo a destra, ma anche a sinistra.

A presentare il libro, oltre all'autore, erano presenti l'avvocato Mirco Mazzali, il consigliere comunale PD Ghezzi (ex segretario del Siulp, un sindacato di polizia), l'ex magistrato Sinagra del tribunale di Milano. E' intervenuto in modo molto appassionato anche Vittorio Agnoletto, portavoce all'epoca del Genoa Global forum, che ha vissuto sulla sua pelle la violenza di quei giorni.
E anche l'omogeneità della stampa, quando parla di questi argomenti.
E il sentirsi tagliato fuori dalla politica, per la sua coerenza nella battaglia per la verità sul G8.

L'intervento più interessante è stato quello dell'ex poliziotto Gabriele Ghezzi: ha parlato della necessità di raccontare della mattanza della Diaz, di quello che è successo dopo. Ghezzi ha parlato di classe dirigente inappropriata a gestire l'ordine pubblico, di come Genova sia stata  un'interruzione del processo di democratizzazione della polizia.
Parole pesanti che portano ad una conclusione: la polizia meriterebbe un vero processo di riforma interno.

Peccato perché, nonostante l'importanza dell'argomento, c'era poca gente ieri sera, che però erano molto interessata e che ha contribuito all'incontro con doverse domande.

Il paese dove le cose funzionano al contrario

Poliziotti di un sindacato che applaudono colleghi condannati per aver ucciso a botte un ragazzo.
Un condannato per frode fiscale cui è permesso di fare campagna elettorale e insultare i giudici.
Un ministro dell'interno che non una parola sui poliziotti di cui sopra che fa campagna elettorale sulla paura dell'orda degli immigrati.
Come la Lega, altro partito che viene da marte, mai stato al  governo, mai avuto in mano le redini di economia, giustizia.
D'altronde B. che continua a raccontare le sue favole sulla sua presunta lotta all'austerita', lui che da presidente ha votato per il fiscal compact.

Lui che può insultare i tedeschi, ma la PPE ha bisogno dei suoi voti per battere Schultz.
Lui che può continuare ad insultare giudici, Napolitano perché porta voti.
A Ballarò ieri sera Gasparri e Picierno si punzecchiavano da nemici (ma alleati per le riforme) sui rispettivi meriti.
Renzi che in poche settimane ha ridato fiducia agli italiani lo dice Istat (ente autonomo di nomina politica).
Gasparri ribatteva con gli accordi fatti coi dittatori in Africa dal governo Berlusconi per fermare gli immigrati.


Questa è l'Italia: il paese delle eterne promesse di riforme, fatte a metà, spesso pure peggiorative (come l'Italicum).

29 aprile 2014

E noi ce la prendiamo con Maradona

PAOLO MONDANI
Ad un certo punto nella tua carriera al Napoli, il Napoli, cioè Ferlaino aveva pagato una parte dello stipendio, diciamo così, a società estere anche vicino a te, insomma, di Maradona, sotto forma di sponsorizzazioni. Come è andata questa storia qui? Perché questa è una storia sulla quale il fisco insiste molto nei tuoi confronti e dice: “su quelle cose dovevate pagare le tasse”.
DIEGO ARMANDO MARADONA
Io ti dico una cosa ora. A questa domanda doveva prendere Coppola che era il mio rappresentante, il signor Befera, e a Ferlaino e fare un confronto fra i due, perché loro hanno fatto tutto questo.
PAOLO MONDANI
Loro hanno deciso di mandarti i soldi all’estero?
DIEGO ARMANDO MARADONA
Eccola qua, eccola qua, eccolo qua!
PAOLO MONDANI
Per pagare meno tasse?
DIEGO ARMANDO MARADONA
Meno tasse. Meno tasse. Meno tasse Ferlaino, meno tasse noi. Però perché l'hanno fatto? E’ stata un’idea di Maradona? Tu ti credi che io sono tanto intelligente per fare una storia all’estero pensando che dovevo vincere la domenica con il Milan? Naa.
PAOLO MONDANI FUORI CAMPO
Oggi gli sportivi di nome prendono la residenza in un paradiso o usano la Star Company, come Pirlo, Buffon e Totti che hanno ottenuto così un bel vantaggio fiscale: una società di capitali è tassata al 27,5 per cento più Irap. Una persona fisica paga il 45 per cento. Ma bisogna fare le cose bene, Kakà è solo l'ultimo caduto in errore e l'anno scorso ha chiuso il suo contenzioso fiscale pagando due milioni di euro. 
Sempre il tema dell'evasione: Paolo Mondani ieri nel servizio di Report è andato a Dubai a sentire Maradona e ha raccontato la sua versione sulla diatriba col fisco.
Alla fine, è un po' colpa dell'ex calciatore (che ha il pibe de oro ma anche la testa tra le nuvole, la battuta di Milena Gabanelli). Peccato che tanti altri calciatori, anche della nazionale, fanno così.
Si fanno la residenza all'estero o la società di capitali per pagare meno tasse.
Poi ce la prendiamo con Maradona.
E magari i "nemici" del paese sono proprio quelli che sventolano la bandiera dell'italianità.
Come un certo premier che ha i conti all'estero.
Come certi imprenditori che spostano le società in Lussemburgo.

Report – il socio occulto

Italiani che rubano ad altri italiani, che si sentono più furbi o diversi dalla massa. Dall'evasione di sistema che questa classe politica si è coltivata perché porta voti, alle truffe sulle patate che arrivano francesi ai grossisti in Italia e magicamente si trasformano in patate made in Italy vendute dalla grande distribuzione.
Una truffa ai danmi dei consumatori ma anche dei coltivatori onesti.
Infine lo sfruttamento dei lavoratori free-lance, col confronto tra le agenzie inglesi e olandesi con quelle americane.
L'evasione. Dobbiamo abbassare le tasse, dicono tutti, per non soffocare la debole crescita, per non mandare in rovina gli imprenditori italiani. Quelli che considerano lo stato come un socio occulto, che si assorbe la maggior parte delle sostanze. Parliamo degli imprenditori che le tasse le pagano, chiaramente.

Per abbassare le tasse basterebbe andare a prendere i soldi laddove si trovano: sono i 300 miliardi nei conti esteri di italiani che godono dei nostri servizi ma a sbafo. Perché i vari governi di larghe intese che si sono succeduti stranamente non si sono mai messi d'accordo per fare una legge sul riciclaggio. Speriamo in Renzi. Padoan spera di recuperare 2 miliardi, speriamo non sia uno scherzo .. Manca una legge sull'autoriciclaggio e, soprattutto i meccanismi di riscossione messi in piedi sono così ferroginosi da generare più di una mela marcia.
Sono i funzionari corrotti che chiudono le cartelle di Equitalia in cambio di mazzette. Una gola profonda dell'agenzia delle entrate ha raccontato a Paolo Mondani dei rapporti tra Befera e i politici. Tra questi e imprenditori amici con cui il fisco doveva essere clemente.
DIRIGENTE EQUITALIA
Tutti i partiti, tutti, su di loro ci stanno accertamenti che durano ormai da anni e non portano a niente. Allora mi son chiesto tante volte: “ma perché Equitalia non fa il pignoramento verso terzi del finanziamento pubblico?”.
PAOLO MONDANI
Ma Befera incontra i dirigenti di partito, politici? …
DIRIGENTE EQUITALIA
Sì, sì, io mi ricordo incontri con Maroni, con la Polverini, Rita Lorenzetti.
PAOLO MONDANI
Non è di per sé un male incontrarli eh!
DIRIGENTE EQUITALIA
No, no, ovviamente non è un male se Maroni poi non ti chiede di aiutare qualcuno dei suoi amici. Cioè, intendiamoci: non è che i politici chiedevano direttamente non far pagare le tasse a quello. Gli dicevano questo o quell’imprenditore deve essere aiutato e poi Befera capiva.
PAOLO MONDANI
E gli imprenditori che sono stati aiutati?
DIRIGENTE EQUITALIA
Uno su tutti è Caltagirone. Io ci ho provato almeno 20 volte con le persone che si occupavano delle pratiche sue ma era come sbattere su un muro di gomma.
Chi controlla Befera e Mastrapasqua? Tremonti e Milanese, quelli dei condoni, della casa in affitto del ministro? Dei maxi condoni di Berlusconi e Tremonti mancano all'appelo ancora 4 miliardi, di evasori che non hanno nemmeno pagato tutto. 

Sembra che in Italia dar la caccia ai soldi degli evasori non interessi nessuno: dei 545 miliardi accertati, Befera ne ha riscossi meno del 5%. E il resto? Logicamente, se i grandi evasori sono intoccabili per input politico, lo stato deve prendersela con la massa dei piccoli contribuenti.
PAOLO MONDANI
Quindi il recupero è difficile?
GIANGAETANO BELLAVIA – ESPERTO DIRITTO PENALE ECONOMIA
Il recupero è difficilissimo. È molto più semplice verso la massa dei piccoli contribuenti che hanno magari piccole cose e che invece di pagarsi un difensore, un avvocato, un commercialista per fare un contenzioso tributario lungo e defaticante preferiscono magari subire e dicono: “vabbè gli dò 1000 euro e mi evito di spenderne 2000 di professionisti”.
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Va così, e se i piccoli a volte poi pagano magari anche più del dovuto e i grossi scappano, c’è un suo perché: l’ Agenzia delle Entrate non riscuote direttamente come avviene in tutti i paesi del mondo, ma ha esternalizzato il servizio a Equitalia e, per incentivarli, funzionari e dirigenti incassano il bonus. E per incassarlo in fretta ti accanisci sui piccoli e intanto siccome i grossi fra una storia e l’altra, va a finire per le lunghe, hanno tutto il tempo per portare i soldi fuori, fallire, scappare, sparire. Bene, su tutto questo naturalmente Attilio Befera avrà da dire, però il confronto ha preferito evitarlo.
La lista Falciani
MILENA GABANELLI IN STUDIO
Bene stiamo parlando di tasse che devono assolutamente essere abbassate quindi bisogna recuperare l’evasione. Il grosso come abbiamo detto sta sui conti esteri: 300 miliardi. Ma chi sono questi qua? 522 nomi erano dentro la lista dell’avvocato svizzero Pessina, erano imprenditori del nordest e Milano che avevano depositato a Lugano. L’ultima lista è quella di Falciani, dentro ci sono 400.000 conti, e dentro questi conti per ora ci sono 7000 nomi italiani. Hanno portato fuori proventi da evasione, corruzione, tangenti e utili delle aziende. Ora Falciani vive sotto protezione, con questi nomi che si fa e come sono saltati fuori?
In Italia, assicura il procuratore Caselli, la lista Falciani non è stata messa nel cassetto, e l'azione della magistratura non è stata bloccata.
Ma rimane ancora molto da fare: per rendere più trasparente l'operato delle banche, che aiutano l'evasione e non l'interesse degli stati sovrani che le devono salvare quando sono in crisi.
Herné Falciani, intervistato da Mondani si chiedeva perché in Italia non si fanno verifiche patrimoniali? Perché in Italia il codice penale non è sufficiente per contrastare evasione e corruzione?

Aggiungo io, perché non si riesce a fare le norme contro riciclaggio e autoriciclaggio?
Prima al governo c'era un politico ora condannato per frode fiscale.
Ma oggi, la lotta all'evasione non si fa per colpa delle larghe intese?
Stiamo assistendo, spiega il procuratore Greco, al “trasferimento del denaro dall’Italia all’estero, verso i paradisi fiscali e gli investimenti finanziari”.
Soldi sottratti alla crescita e al benessere del paese che, quei soldi, li ha prodotti.

Poi magari noi italiani ci indigniamo per Maradona e per il suo gesto dell'ombrello, dimenticandoci di aver votato per anni (e continueremo a votare) per un premier che quel gesto lo continua a fare. Che, seppur condannato per frode (e l'evasione è finita prescritta), continua a fare politica e a fare comizi in televisione.
Lui, che quell'ombrello l'ha usato per altri fini.

28 aprile 2014

Fuori dal coro

Sulla giornata di ieri a Roma, la giornata dei quattro papi e dei due santi, una delle poche voci fuori dal coro, Piergiorgio Odifreddi "Se la cantano e se la suonano"
Mentre scrivo, in piazza San Pietro si tiene la grande sceneggiata della canonizzazione di due papi morti, concelebrata da due papi vivi. La folla accorre in massa per presenziare alla versione moderna dell’apoteosi che, nella stessa città di Roma, veniva riservata agli imperatori deceduti: al grido di “santo subito”, esattamente come avvenne alla morte di Giovanni Paolo II, quando gli ignari fedeli chiesero a gran voce per il papa ciò che gli altrettanto ignari sudditi chiedevano un paio di millenni prima per il sovrano.
La fastosa e oceanica cerimonia è officiata dal Grande Sceneggiatore, il papa che ha preso il nome di san Francesco. Il papa che a ogni occasione ricorda che vorrebbe una chiesa povera e umile, senza trovare nessuna contraddizione con lo sfarzo e la solennità dell’odierno spettacolo, trasmesso in mondovisione e in tridimensionalità. Il papa che la gente proclamerebbe santo già ora da vivo, e che qualcuno dei co-officianti di oggi si affretterà a proclamare santo appena morto, all’insegna del motto “oggi a te, domani a me”.
I nostri media rintontiti rimbombano l’agiografia dei nuovi santi, senza alcun apparente imbarazzo o pudore. Per trovare un barlume di lucidità e onestà bisogna varcare l’oceano e approdare in Nord America, dove il New York Times ci ricorda di ricordare che Giovanni Paolo II ha convissuto per tutto il suo lungo pontificato con la pedofilia ecclesiastica, coprendola fino ai massimi livelli: quelli dei pervertiti padre Marcial Maciel, fondatore dei Legionari di Cristo, e del cardinal Bernard Law, arcivescovo di Boston.
In Sud America si ricorda invece l’ignobile piazzata che Giovanni Paolo II fece a padre Ernesto Cardenal all’aeroporto di Managua, nel 1983, per non essersi dimesso da ministro della Cultura del governo sandinista. Collaborare con un governo rivoluzionario di sinistra era antievangelico, per il papa polacco che non trovava invece niente da ridire sul fatto che il cardinal Pio Laghi giocasse a tennis con il dittatore argentino di destra Jorge Videla. E nemmeno sul fatto di visitare lui stesso il dittatore cileno di destra Augusto Pinochet, facendosi fotografare sorridente con lui al balcone del palazzo presidenziale.
Questo è l’uomo che papa Francesco porta oggi solennemente ad esempio ai fedeli. Un uomo che, secondo le mediorientali e medievali favole ecclesiastiche, avrebbe compiuto miracoli: come tutte le altre migliaia di “beati” e “santi” che gli ultimi tre papi hanno sfornato, e continuano a sfornare, a getto continuo.
I fedeli e i media rimangono a bocca aperta di fronte a questa taumaturgia generalizzata e diffusa. Anche se poi rimangono a bocca chiusa quando, con macabra ironia, il caso sbeffeggia i due neo santi facendo crollare una croce di Cristo dedicata a Giovanni Paolo II su un povero disabile, che abitava in via Giovanni XXIII ed era andato in pellegrinaggio in vista della canonizzazione di oggi, uccidendolo.
Ma si sa che così succede anche con le malattie, per i cattolici: se guariscono, è merito di qualche santo o di qualche madonna, e se non guariscono, è colpa dei medici o delle medicine. Da oggi, avranno altre due persone a cui attribuire ciò che la vita regalerà loro di positivo, riservando ovviamente le lagnanze per il negativo al destino cinico e baro.
Santissimi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, pregate per loro, che ne hanno bisogno. E pregate anche per i politici cattolici, di nome o di fatto, che oggi affollano il sagrato di san Pietro: fareste veramente un miracolo, se ce li toglieste di torno. Se poteste far crollare, oltre alla croce della val Camonica, anche la cupola di Michelangelo, provocando un’ecatombe di papi e cardinali, oltre che presidenti e politici, vi saremmo veramente grati. Ma temo che questa preghiera non la esaudirete: d’altronde, avete cose ben più elevate su cui intervenire, come guarire i fremiti o i mal di testa di qualche signora. Buon lavoro, dunque, e al vostro prossimo e spettacolare miracolo.

La sedia della felicità

Non mi capitava di tanto, di assistere ad un film al cinema e di ridere dall'inizio alla fine. Assieme agli altri spettatori.
Il film di Carlo Mazzacurati, La sedia della felicità, è divertente, irriverente e irrispettoso della tonaca, dei luoghi comuni del nordest, della morte ..
Protagonisti sono due ragazzi e un prete, tutti in cerca di un colpo di fortuna che dia una svolta alla loro vita. Perché sanno che il lavoro non darà mai i soldi per migliorare la loro vita.
Valerio Mastrandrea è Dino un tatuatore, separato che fa fatica a farsi pagare e a pagare gli alimenti alla moglie.
Isabella Ragonese è Bruna, un'estetista tradita dal fidanzato e alle prese coi debiti per le macchine della sua sala.

Qual'è il tesoro? E' una sedia dentro cui ci sono nascosti i gioielli che, la signora Pecche (Katia Ricciarelli) ha nascosto alla polizia, frutto dei colpi del figlio.
La ricerca della sedia, a forma di elefante, giustami ha fatto venire in mente le atmosfere di Monicelli ne l'Armata Brancaleone.
Anche qui c'è una tonaca, non un monaco ma un prete, padre Weimer.

Ma attorno ai tre protagonisti (con orso incluso) ruotano tutta una serie di personaggi minori interpretati da attori amici del registra: il mago Raul Cremona, gli imprenditori gemelli interpretati da Albanese, Natalino Balasso il venditore di macchinari per lo studio di estetista di Bruna.
Citran che interpreta in pescivendolo con la passione delle sedie.
Claudio Marzocca nelle panni di un venditore di fiori indiano (e avido) al cimitero di Verona.
I i due televenditori di quadri, Orlando e Bentivoglio.
Milena Vukotic che fa la medium e aiuta i tre a trovare le sedie perdute ...
Buona visione a tutti!

Qui di seguito il trailer


Lo scrigno dentro la sedia


L'intervista agli attori

Il partito (o la lobby) degli evasori

Parlare di partito o di lobby degli evasori non è solamente la solita frase fatta: il partito degli evasori esiste e ad ogni elezione vota per quei candidati che più di altri garantiscono l'impunità delle loro ruberie.
Impunità che, anno dopo anno, diventano sempre più insopportabili per l'altra parte del paese che le tasse le ha sempre pagate. E che magari deve subire i tagli dei presidi ospedalieri, dei tribunali, perché soldi non ce ne sono.
Il partito dei condoni, del mani libere per chi fa impresa, del no allo stato di polizia giudiziaria.

Nonostante le svolte e i cambi di marcia (i timidi tagli e gli ottanta euro in busta paga), c'è ancora molto da fare per contrastare l'evasione. E la corruzione. E il riciclaggio di denaro da parte della criminalità organizzata ..
Fermiamoci per un momento agli 80 euro promessi da Renzi: arriveranno certamente, ma per trovare i soldi si sono dovute tagliare le spese di ministeri e regioni (oltre ai tagli della spending review di Cottarelli che stiamo ancora aspettando). Tagli che potrebbero non essere indolori.

I soldi per questa manovra che riguarda circa 10 milioni di italiani non c'erano tutti. Il problema allora è sempre dove prendere le risorse, e questo vincola l'azione dei governi che si sono succeduti. Nessun politico oggi è disposto a fare altri dolorosi tagli lineari ma allo stesso tempo non può tagliare le spese militari (vedi caccia F35) per obblighi internazionali che passano sopra i governi (e gli italiani), le spese per le grandi opere per obblighi rispetto ai finanziatori dei partiti (che passano sempre sopra gli italiani).
Si devono tagliare le tasse per rilanciare la ripresa, ma non possiamo tagliare le tasse perché la coperta è corta e non sapremmo da dove prendere i soldi ..

Ma i soldi ci sarebbero. I soldi che ogni anno vengono evasi da quegli italiani del partito del nero, dell'evasione. Quelli che confidano sempre nel condono, nello scudo. Quelli che sanno di poter contare su fior fior di commercialisti ed avvocati.

L'inchiesta di Report di questa sera affronterà proprio il tema dell'evasione, uno dei tabù della politica italiana.
L'inchiesta di Paolo Mondani si intitola “Il socio occulto” ed è andata fino a Dubai ad intervistare Maradona, per la sua lotta contro il fisco italiano.

La scheda della puntata:
180 miliardi di euro annui: l'evasione fiscale netta secondo Tax Research.
168 il numero complessivo dei condannati per evasione fiscale.
54 per cento la pressione fiscale effettiva secondo Confindustria.
300 miliardi di euro: i patrimoni all'estero degli italiani secondo l’Agenzia delle Entrate.
Per non parlare della cifra da brivido del nostro debito pubblico e degli sforzi per trovare copertura a qualsiasi intervento di sostegno all'economia e al lavoro.
I soldi per risollevare l'Italia ci sono, anzi, ci sarebbero. Ma in pochi li cercano.
Il numero che più spiega i precedenti è quello che dà la dimensione del partito degli evasori: dieci milioni di voti. Che non smette di crescere.
In questo contesto, prima il governo Monti, poi il governo Letta, infine il governo Renzi hanno promesso una legge che incentivi il rientro dei capitali nascosti all'estero. E insieme a ciò, hanno pensato di inserire nel nostro codice penale il reato di autoriciclaggio, così da costringere quei capitali a rimpatriare pagando le imposte senza rischiare pesanti risvolti giudiziari. Ma niente di tutto ciò è stato realizzato perché un partito invisibile sta condizionando il Parlamento e cerca di trasformare questa futura legge in un nuovo scudo fiscale.
Del resto, il fisco si muove con grande difficoltà. Agenzia delle Entrate ed Equitalia soffrono di antichi mali. E i dati della riscossione, secondo la Corte dei Conti, sono in calo. Nel mezzo di tutto ciò stanno le indagini giudiziarie che coinvolgono dirigenti e funzionari del fisco pescati ad aggiustare cartelle e a garantire trattamenti di favore a chi se lo può permettere.
Eppure, solo una seria lotta all'evasione fiscale può rimettere in carreggiata l'Italia.
L'anteprima di Reportime:

La seconda inchiesta, di Luca Chianca, cercherà di rispondere ad una domanda: da dove arrivano tutte le patate che mettiamo sulla nostra tavola, visto che la produzione del nostro paese non è sufficiente a soddisfare la domanda?
L'Italia consuma più patate di quante ne produce ed è costretta ad importarle dall'estero. Andando nei supermercati, però, del prodotto d'importazione non c'è traccia. Le patate vendute dalla grande distribuzione sono tutte di origine italiana, ma è veramente così? Siamo andati tra i produttori italiani e quelli francesi sulle tracce delle patate e le abbiamo seguite dai coltivatori ai confezionatori e ai distributori, fino a chi le vende, e abbiamo scoperto come è facile raggirare le norme sulla tracciabilità.
Infine, l'ultimo servizio, sul mondo dei creativi freelance italiani, confrontati con i colleghi inglesi e olandesi:
Vita da Freelance, di Giuliano Marrucci:
In Inghilterra una quota sempre crescente delle 14.000 agenzie di intermediazione attive si occupa di trovare lavoro ai freelance. Situazione simile anche per l'Olanda. In Italia invece di agenzie così non ne abbiamo trovate, col risultato che invece delle 300 sterline al giorno dei web-designer inglesi, e i 60 euro l'ora di quelli olandesi, i nostri creativi guadagnano cifre irrisorie. E sempre più spesso non vengono pagati affatto.


27 aprile 2014

Via Tadino, Milano (la guerra senza quartiere)

Via Tadino è lunga e stretta, come sono lunghe e strette le vie che la trapassano ad angolo retto. Casati, Castaldi, San Gregorio. Era il Lazzaretto, una volta, dove i monatti portavano i cadaveri degli appestati del seicento [..] e oggi vi si svolge una guerra senza quartiere.
L'infighettamento di via Tadino e dintorni parte come un'onda da piazza Oberdan, vicini ai giardini dove luccica Montanelli, il sesto Rockets. E combatte la sua battaglia contro una Resistenza agguerrita, indomita, invincibile. Per ogni piccola boutique che apre, abbastanza snob da farsi chiamare atelier, tiene dignitosamente la posizione un barbiere maghrebino. Per un gelataio artigianale dove un cono monogusto costa come un grammo di cocaina – ma pesa meno – punta i piedi un take away cinese.Una battaglia metro per metro.
C’è la galleria d’arte moderna e il discount per poveri. La cucina fusion e la pizza al trancio. Siete al Village a fare shopping, e poi a Mumbai in cerca di cibo, e dopo due metri dall'antiquario viennese, e poi da un rigattiere alla periferia di Shangai.Ci sono tanti di quei pugliesi che sembra di stare a Milano.
E i turchi per il Kebab. I cinesi travestiti da giapponesi per il sushi. Portinaie calabresi implacabili, milanesi abbienti che hanno comprato lì perché «è così caratteristico», o che stanno lì da sempre, forse da prima, sanno gli angoli, i trucchi, i passaggi, i misteri dei cortili.E poi uffici, alberghi a una, due, tre, quattro stelle, monolocali per le puttane degli annunci – novità brasiliana completissima, preliminari da urlo -, famiglie, scuole elementari, artigiani del legno, del ferro, della plastica, del giunco, del lapislazulo, del prosciutto e dei telefonini.Nei portoni l'effluvio delle signore milanesi – Mitsouko? Chanel? Balenciaga? - che trottano verso la Smart parcheggiata di taglio si avvita alla potenza del curry, all'idrocarburo dalla miscela troppo grassa dei motorini, al fritto stantìo. Ci sono modelle coi book sottobraccio, muratori albanesi che ristrutturano, zoppi, pensioati che vanno al bar-dopolavoro della Cisl e librerie tendenza.Al numero 27, secondo piano, c'è la Snap Srl.
(Questa non è una canzone d'amore Alessandro Robecchi, Sellerio)
Al numero 27, secondo piano, c’è la Snap Srl. E questa società avrà un ruolo importante nella storia del libro di Alessandro Robecchi.

La scheda del libro sul sito di Sellerio.

Operazione rischiatutto – di R. Besola, A. Ferrari, F Gallone

Milano 1974.
"Fiato alle trombe Turchetti!"


Così come I soliti ignoti ha avuto "L'audace colpo dei soliti ignoti" come degno capitolo secondo, anche "Operazione madunina" non poteva rimanere orfano, senza seguito. E dunque i tre balordi, i tre ladri per necessità (ma con anche tanto cuore) sono ritornati con questo "Operazione rischiatutto".
Dopo aver quasi rubato la statuetta della Madoninna sul Duomo, Angelino è tornato a Milano, o meglio in una casetta alla periferia di Milano che meglio non potrebbe permettersi, assieme a moglie e alle tre creature. E col signor Villa a cui deve tanti soldi per il chiosco distrutto al cimitero monumentale.
L'Osvaldo è sempre alle prese col padrone delle quattro mura della sua osteria, al capolinea del tram in via Ripamonti. Dove un esercito di muratori, venuti anche dal sud, sta tirando su i grattacieli di una metropoli in continua espansione verso la periferia.
O trova i soldi per pagare il padrone (e magari fare anche qualche lavoro di riparazione, che servirebbe anche quello dopo tanti anni di onorata carriera), o deve sloggiare.
Lorenzo Eller, la mente (non solo perché di mestere fa ancora il pubblicitario), è sempre alle prese col suo problema: i debiti del gioco. Che poi i problemi sarebbero anche due, perché deve pure nascondere il suo vizio alla nordica fidanzata, Barbara Svensonn, Beba per gli amici.


L'idea, per trovare i soldi è quella di rapire nientemeno che il signor Mike Buongiorno, l'americano: l'uomo che ogni settimana incolla milioni di italiani davanti la televisione col suo quiz, in cui si vincono tanti soldi.
Ma, si sa, i rapimenti non sono colpi che possono fare tre balordi come Angelino, Osvaldo e Lorenzo. Che poi sarebbero anche quattro, visto che Angelino ha questo dono di parlare coi morti, come il Pecola. Il quarto del gruppo, morto qualche anno prima.


Il rapimento purtroppo, o per fortuna a seconda dei punti di vista, non va in porto perché anziché l'americano i tre infagottano il suo autista, Gennaro Capuozzo da Salerno, napoletano d'adozione.
Che fa loro una proposta per fare assieme un vero colpo, semplice, facile, senza tutti i pericoli e i rischi di un rapimento.
Un truffa al rischiatutto.


E qui dobbiamo tirare dentro altri due protagonisti della storia, anche loro vecchie conoscenze del precedente "Operazione madonnina".
Sono il Mala, al secolo commissario Benito Malaspina, passato alla squadra politica come promozione (si fa per dire) dopo il quasi furto della statua sul Duomo. Alle prese con la portinaia e la sua Prinz rubata. E soprattutto con le fisse del suo superiore, il commissario capo Puglisi (con tanto di testone di Mussolini in ufficio).
Si è fatto crescere i basettoni, i capelli e deve indossare quelle maglie tanto di moda: le dolcevite che grattano così tanto la pelle sul collo.
Perché deve osservare e pedinare i giovani che occupano le case, che fanno politica, che sfilano nei cortei. Che costituiscono un problema per la società, almeno così pensano ai piani alti della Questura e non solo.
"Qualunque cosa succeda ormai è politica. Rubano una macchina: politica. Pestano qualcuno: politica. Ricattano qualcun'altro: politica. Rapina? Politica. Scippo? Indovina un po'? Politica. Co 'sta politica pare che non ci sia più nient'altro, né assassini, né ladri né drogati. Sono spariti tutti. Hai visto com'era facile fare un repulisti? Basta cambiare nome alle cose!".Si era sfogato con Visintin, una sera, dopo lo sgombero di una casa occupata sui Navigli.
Ma tra i giovani da pedinare c'è anche Giovanni, il figlio dell'Osvaldo, capellone anche lui. E Imma, la figlia del capo del Mala, di cui proprio il Giovanni è innamorato. Ma guarda un po' il destino ..
L'ultimo, ma non per importanza, è Fernet, meglio noto come
Dino Lazzati, il giornalista di cronaca del Corriere retrocesso a rispondere alle lettere della posta del cuore come punizione dopo il colpo sul Duomo.

È proprio
Dino Lazzati diventa l'uomo giusto per la grande truffa al rischiatutto: l'uomo a cui spifferare prima della puntate le domande che farà Mike Bongiorno (sul tema i luoghi segreti di Milano) per vincere i milioni in palio e diventare i nuovi campioni.
E prendersi così la sua rivincita, il suo riscatto contro una città che gli ha fatto ingoiare tanta amarezza. Prendersi la rivincita davanti a milioni di italiani e conquistare la fama. E magari l'amore, per quella cantante venuta a Milano per sfondare con la sua voce, Katy Passa. A cui Lazzati non ha il coraggio di presentarsi. Ma quando sarà campione ...


Il desiderio di afferrare la fortuna, per una volta, col colpo del secolo, è il tema conduttore della storia, anche per gli altri protagonisti: prendersi la rivincita dai debiti, dalla sfortuna, dalle pene d'amore. Ma più non posso dirvi.


Operazione rischiatutto, come il precedente, è un romanzo profondamente milanese. Milanese è il dialetto che infarcisce i dialoghi. Milanesi i luoghi dove si svolge la storia, dal bar Jamaica alla palazzina liberty di largo Marinai d'Italia.
Milanesi anche i misteri, su cui Lazzati viene sfidato al rischiatutto e che vi invito a visitare: come la colonna dentro S. Ambrogio, dove è rimasto il segno delle corna del diavolo quando venne su dall'inferno per incornare il santo.
O la pietra di San Barnaba, conservata dentro Santa Maria in Paradiso in porta Vigentina: la pietra che proprio San Barnaba bucò con la croce fatta di legno quando entrò a Milano.Milanese è, infine, l'atmosfera da noir perché, come è giusto che sia, questa non è solo una storia di balordi che si credono i ladri del secolo. Qualcuno trama veramente nell'ombra.
Ma più non posso dirvi.
Fiato alle trombe, Turchetti!

PS: Dino Lazzati è un personaggio ispirato al giornalista milanese
Dino Buzzati. I tre autori hanno voluto ulteriormente omaggiarlo, alternado le pagine del racconto, con pagine di un altro racconto, "I tartari nel deserto". La storia di un capitano che si è perso nel deserto e che cerca qualcosa che non trova. Omaggio al libro "Il deserto dei tartari".

La presentazione del libro, con gli autori:




La scheda del libro sul sito di Frilli editore.
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

25 aprile 2014

Bye bye Dell'Utri – la mafia che c'era e i nuovi equilibri





Puntata speciale di Servizio pubblico dedicata alla mafia, partendo dalla latitanza a Beirut di Marcello Dell'Utri, per arrivare alla trattativa stato mafia, la morte dell'urologo Manca, la latitanza di Bernardo Provenzano. Dalla mafia che faceva affari d'oro con la droga e il cemento ieri, alla mafia che oggi fa affari coi grandi appalti ma anche con le piccole cooperative, e che tramite l'usura riesce a prendere possesso di tante piccole imprese in crisi.


Nella copertina Santoro raccontava di un paese diviso in due, uno che comprende e che ancora è disposto a leggere per cercare di comprendere e un altro, rancoroso e in tempesta, in cerca del suo duce. Un paese dove rabbia e gossip sono distribuiti ad arte per demolire l'avversario e dove la colpa è solo di immigrati, lobby, casta.
Anche della mafia è sempre e solo colpa degli altri? O forse non è meglio guardarsi attorno e avere più coraggio per mettere in discussione noi stessi?


La ricostruzione di Walter Molino ha raccontato il viaggio a Beirut di Dell'Utri, prima della sentenza della Cassazione, poi slittata.
Il fermo della Criminalpol e la detenzione in un ospedale.


Sandro Ruotolo ha posto tutti i dubbi su questa storia al pentito di mafia Di Carlo: "Dell'Utri si è trasferito lì per vedere come vanno le cose". A Beirut, dove avrebbe una base di protezione.


I due si conoscono, da ben prima che i mafiosi colonizzassero Milano per il traffico di droga.
Se ieri c'erano i grandi boss, oggi la situazione è cambiata poco: si uccide ancora per il predominio dello spaccio. I due fratelli Tatone sono stati ammazzati per questo, a Quarto Oggiaro dai calabresi.
Che aria si respira a Milano, la città dell'Expo?
Le due morti non hanno portato ad un risveglio di coscienze: la rabbia e le tensioni al massimo si sfogano tra vicini e contri gli immigrati. Accusati, anche dalla Lega, di essere l'origine dei problemi.
Immigrati favoriti per le case dal comune.


Perché, tutti gli intervistati lo ripetevano alla giornalista di Servizio pubblico, se non c'è lavoro per noi italiani, perché darlo a loro. Se non ci sono case per noi ..
Sembra di essere lontani mille miglia da Expo: qui la gente ragiona con la paura, con la voglia di farsi i fatti propri.


Non vedere certe cose, fa campare meglio: come le cooperative in mano a Guido Porto e a Cinzia Mangano, ora agli arresti.
Cooperative aperte e chiuse, secondo le necessità, che riuscivano a prendersi appalti frodando il fisco, grazie all'aiuto di commercialisti amici.
Se avevano problemi di liquidità potevano chiamare le banche e avere il contante subito, diversamente da imprenditori comuni.


All'Ortomercato, nel cuore di Milano, ci sono ancora situazioni di sfruttamento e lavoro nero. Immigrati che accettano anche una paga da fame pur di non dormire per strada. Le aziende che hanno usato i servizi delle cooperative della Mangano non sapevano, non si sono chieste dei prezzi bassi. Delle fatture false.
Uno di questi imprenditori, per un debito non rientrato da 800000 euro avrebbe pure ricevuto minacce. Tutto registrato dagli investigatori.
Tutto sminuito dall'interessato.
Perché è meglio farsi i fatti propri.
Siamo a Milano o a Palermo?


Di Carlo, nell'intervista con Ruotolo, ha ricordato l'incontro avvenuto a Milano nel 1974 tra Berlusconi e il gotha della mafia. Stefano Bontade e Mimmo Teresi. Perché il costruttore aveva paura dei sequestri, e allora la mafia gli mise vicino Vittorio Mangano.
Ma anche perché la mafia aveva bisogno di imprenditori, specie al nord dove il sequestro dei beni era più difficile (al nord notoriamente la mafia non esiste).


Oggi, i capitali delle ndrine del sud arrivano al nord per essere riciclati tramite l'usura. A Seveso la ndrangheta aveva la sua banca nel tugurio. Prestava soldi a strozzo a imprenditori senza troppi scrupoli. Il capo era il boss della ndrina di Desio, Pensabene.
Gli usurati si rifiutano di parlare: l'unico che ha parlato al giornalista è stato il signor Tremolada.


La ndrangheta poteva anche andare a prelevare contante negli uffici postali: una persona normale dovrebbe prenotarli, i soldi. Qui invece c'era un direttore così gentile ..


L'inchiesta di Servizio pubblico è proseguita poi facendo un salto indietro nel tempo: agli anni, dopo il maxi processo, quando la mafia decise di eliminare Falcone. E forse non solo la mafia, se dobbiamo credere sempre a Di Carlo quando parla di un incontro con esponenti dei servizi, anche Arnaldo La Barbera dice, quando era nel carcere di Londra.
In molti omicidi di mafia, a cavallo tra gli anni 80 e 90 compare un misterioso personaggio: faccia da mostro è stato definito, per una cicatrice sul volto.
Era sul luogo dell'omicidio di Nino Agostino. Sarebbe implicato anche nella scomparsa dell'agente Piazza.
Un pentito di mafia ha parlato di un gruppo di fuoco esterno alla mafia, che da questa veniva usato per gli affari sporchi: ex membri di Gladio, uomini dell'alto commissariato antimafia del prefetto De Francesco.


Il giornalista di SP ha intervistato quello che si ritiene essere faccia da mostro: Giovanni Aiello, ex poliziotto di Palermo, nella Mobile. Assieme a Bruno Contrada.
Il padre di Nino Agostino, Vincenzo, avrebbe riconosciuto l'agente dalla foto e ne ha chiesto il confronto.
Gli interessati hanno tutti smentito: Aiello, Contrada. Anche l'ex agente Paolilli, chiamato a Palermo da La Barbera per lavorare sul caso Agostino. Ucciso, secondo quest'ultimo, per motivi di "pelo".


Un depistaggio? Perché allora Agostino temeva di dover morire? Perché Falcone gli doveva la vita?
Altri misteri sulla scomparsa di Emanuele Piazza: era entrato nel Sisde per dar la caccia ai latitanti? E quanti Sisde c'erano? Uno cattivo per i lavori sporchi e uno pulito per proteggere Falcone?


Il padre di Emanuele ricorda ancora la telefonata di De Sena (ex funzionario Sisde), mentre il fratello dell'agente la cattiva opinione su De Gennaro. Altri pezzi di un puzzle.


La latitanza di Provenzano.
A Barcellona Pozza di Gotto la mafia e il pizzo forse non esistono. E forse non è nemmeno vero che qui, nel convento, è stato ospitato Bernardo Provenzano, dove fu visitato per il suo tumore alla prostata dall'urologo Attilio Manca.
Il medico è stato poi trovato morto a Viterbo, dove lavorava. Un'overdose, ha stabilito il giudice. Con troppe contraddizioni.
La puntura sul braccio sinistro. Le ecchimosi. Il sangue.
Se è overdose, perché i colleghi del medico a Viterbo hanno paura?
Un'altra opera di depistaggio messa in piedi per proteggere Provenzano, garante della max mafiosa nata dopo la trattativa? Un'altra opera dei servizi sporchi?


Nel suo intervento Travaglio ha ricordato le amicizie di Dell'Utri, note da tempo. Ma bisognava aspettare le sentenze, e allora tutti facevano finta di niente.
Come per Andreotti. La sentenza arriva sempre troppo tardi. Perché la politica è sempre incompatibile con la verità sulla mafia, perché questa politica è troppo intrecciata con la mafia.
Il processo sulla trattativa si può fare solo ora, forse, perché i protagonisti sono oggi meno potenti di prima. Quando siamo a cavallo tra la seconda e la terza repubblica.
E forse sono in corso nuove trattative tra mafia e politica, per arrivare a nuovi equilibri.
Oggi la mafia non ha bisogno di sparare. Finché la politica si limiterà a combatterla solo a parole, perché i suoi voti gli fanno comodo.


Oggi politici e intellettuali (come il candidato PD Fiandaca) ammettono che forse la trattativa cè stata ed è stato giusto perché ha salvato la vita a qualcuno. Ma è un falso: perché la trattativa è avvenuta tramite le bombe che hanno ucciso persone innocenti.
La mafia non si combatte con la trattativa.
Nè con leggi annacquate, come il 416 ter uscito dalla Camera: le pene per il voto di scambio si sono abbassate da 4 a 10 anni. Niente galera.
E' questa la svolta buona?


Quarto Oggiaro, i palazzi di via Pascarella.

Dove la gente deve convivere con i giovani "Vallanzasca". Dove i giovani vorrebbero scappare, difendono l'amico (perché altre persone rubano e non vanno in carcere). E dove la parola comunità ha perso il suo significato. Nel profondo nord.

Buon 25 aprile

Per quanto possiate amare poco le bandiere rosse, le storie dei partigiani, la retorica stancante di ogni anniversario, è bene che vi ricordiate una cosa.
La libertà che avete oggi, non ve la siete guadagnata voi.
La libertà di critica, di dissenso, di opinione, di unirsi in sindacati.
Prima non c'erano queste cose.
Erano tutte cose proibite.
C'era un capo e quello che pensava lui era giusto per tutti.


Pensateci, oggi che siete a casa. Meritatevela questa libertà. Anche se votate a destra o non ve ne importa nulla.
Non è vero che prima si stava meglio.

E vi lascio con una seconda riflessione: tutte le nostre libertà, possono essere perse per sempre. Perché c'è l crisi e allora certe tutele non si possono più garantire.
Perché bisogna fare di fretta e allora è inutile discutere, parlare, dialogare.



Pensateci, e buon 25 aprile.

24 aprile 2014

Classe politica (di centro destra)

Ai tempi dello strappo di Alfano, l'ex ministro e poeta aveva bacchettato i traditori "sono disgustosi, non voglio più a verci a che fare".

Poi l'abbandono ddi FI e l'avvicinamento a Renzi. E ora il poeta diventa, su Libero, il maggiordomo.
Ingrato.



#Matteorisponde (i padri costituenti)

Non so se ve ne siete resi conti.
Ma siamo in mano a questi due, novelli padri costituenti.

Il condannato, che ieri ha fatto il suo show davanti il tribunale.

Il turbo premier che risponde direttamente via twitter ai cittadini, senza giornalisti di mezzo.


Quanti papi santi esistono

Domenica prossima papa Wojtyla verrà fatto santo: già dopo la sua morte, il popolo lo reclamava, santo subito.
Ma quanti papi santi ci sono stati?
C'era il papa delle folle oceaniche, dei viaggi intercontinentali, dei miracoli stabiliti dalla chiesa stessa.
Ma c'è stato anche il papa dei silenzi sui preti pedofili, il papa che era andato a trovare Pinochet in Cile.
Il papa che ha osteggiato i preti della teologia della liberazione.
Che ha tuonato contro la mafia (la prima volta) dopo le stragi del 1993, ma che difese Andreotti durante il processo per mafia.

Il papa di Sindona e di Calvi, della P2 e del crac Ambrosiano e di Marcinkus.

Santo subito sì, ma quale?

23 aprile 2014

Si fa in fretta a dire via il segreto

Si fa in fretta dire via i segreti di stato.
Perché gli esecutori e i mandanti di Piazza Fontana e delle altre stragi non si nascondono dietro i segreti di stato.
Ma dietro le veline nascoste dei servizi o dell'arma o della polizia.
Dietro le veline taroccate dei servizi girate alla magistratura (che ai tempi di Piazza Fontana non aveva la polizia giudiziaria a disposizione per fare indagini).
Dietro omissis (di Moro), dietro i non ricordo (come quelli di Andreotti).

Ma poniamo il caso che qualche cosa di interessante venga fuori: cosa succederebbe se scoprissimo che veramente (come fa capire il film di Giordana) il governo Rumor sapeva della bomba di Milano e ha tenuto nascoste le carte per la ragion di Stato?
Dubito che ci sarebbero grossi contraccolpi.
Quello che servirebbe non è la scoperta della singola cartella, ma riuscire a ricostruire tutto il quadro politico storico in cui sono avvenute le stragi.
L'Italia è stata veramente un paese a sovranità limitata? La politica ha usato la ragione di stato come copertura per mantenere il suo potere negli anni della guerra fredda?
E le vittime, per quale ragione reale sono morte? Per salvare l'occidente dalla minaccia comunista, come è stato fatto credere velatamente, o per impedire il rinnovamento del paese?

Ma ancora più interessante sarebbe mettere in luce la storia recente, visto che riguarda politici ancora oggi in circolazione.
Come la trattativa stato mafia o il rapimento Abu Omar. O la rendition di Alma Shalabayeva.
Ma le reazioni del mondo politico, su questi due episodi, sono sempre state di chiusura: il segreto di stato è sempre stato confermato sulla rendition dell'imam. E il processo sulla trattativa è stato osteggiato in tutte le maniere.
Si fa in fretta a dire via i segreti.

L'articolo di Barbacetto mette in luce altri problemi:

LA MOSSA DI RENZI
Via i segreti sulle stragi: non si sa quali e quando
di Gianni Barbacetto
È“la più importante operazione di declassificazione della storia repubblicana”, proclama Marco Minniti, autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, subito dopo la firma, da parte del presidente del Consiglio Matteo Renzi, della direttiva che dispone la declassificazione degli atti relativi alle stragi di Gioia Tauro, piazza Fontana, piazza della Loggia, Peteano, Italicus, stazione di Bologna, Ustica, rapido 904. Gli specialisti di intelligence, ma anche i magistrati che hanno indagato sulle stragi, sono scettici. “Non uscirà nulla di nuovo”. Le ragioni dello scetticismo sono forti, intanto perché dire “togliamo il segreto di Stato” non ha senso, poiché il segreto di Stato non c’è, non è opponibile ai fatti di strage e di eversione dell’ordine democratico. Del resto, non è mai stato opposto ai magistrati su piazza Fontana, su Brescia, su Bologna (solo sull’Italicus), eppure i processi per strage sono tutti pieni di tracce di depistaggi e di carte negate. E, più vicino nel tempo, i processi sul sequestro di Abu Omar sono stati resi impossibili dal segreto di Stato, per intervento degli ultimi presidenti del Consiglio (Prodi, Berlusconi, Monti, Letta) e della Corte costituzionale. È dal 2007 che assistiamo a una promessa di trasparenza che non viene mai mantenuta. Già nella riforma dei servizi segreti varata quell’anno si diceva che il segreto sarebbe stato a tempo. Invece non sono mai stati completati i regolamenti attuativi, così siamo rimasti al segreto che resta segreto. Ora ci riprova Renzi, che promette la declassificazione, di fatto già contenuta nella legge del 2007. Vedremo come e quando avverrà. Non promette bene l’annuncio della diluizione nel tempo dei versamenti agli archivi pubblici: per seguire, come annunciato , l’ordine cronologico, i fascicoli dovranno essere spacchettati, con il risultato che un documento prodotto in un certo anno risulterà incomprensibile, se non addirittura fuorviante, se slegato da tutti gli altri.

CHE COSA, POI, diventerà pubblico? Prevedibilmente, i documenti già acquisiti nei decenni scorsi dalle autorità giudiziarie che hanno indagato sulle stragi, sul golpe Borghese, su Gladio... Tutte carte che stanno già negli archivi della Casa della memoria o nei libri di studiosi come Giuseppe De Lutiis o Aldo Giannuli. Chi deciderà che cosa tirar fuori dai cassetti? Chi prenderà la responsabilità di esibire carte nuove e davvero significative, ammesso che siano state conservate, dopo il passaggio negli archivi dei servizi di tanti magistrati (da Rosario Minna a Libero Mancuso, da Leonardo Grassi a Gianpaolo Zorzi, da Carlo Mastelloni a Felice Casson, fino a Guido Salvini)? Se qualcosa di nuovo dovesse arrivare, qualcuno dovrà spiegare come mai l’ha negato, in passato, ai magistrati che l’avevano chiesto. E quella spiegazione sarebbe l’ammissione di un reato, benché forse prescritto. Ci sono quattro cose che Renzi potrebbe invece utilmente fare (chieste a gran voce da quella strana comunità che si è formata in Italia, composta da investigatori, magistrati, ricercatori, famigliari delle vittime, cittadini a caccia della verità). Uno. Completare i regolamenti attuativi della riforma del 2007, che darebbero finalmente alla desecretazione un carattere strutturale e non “eccezionale”, come fa la direttiva di ieri. Magari aggiungendo anche un elenco di tutti gli archivi dove stanno i depositi da declassificare: non c’è, è il vero mistero italiano. Due. Farsi dire dov’è l’archivio dell’Arma dei carabinieri: nessuno lo sa, nessun magistrato l’ha scoperto e dunque è probabile che resti fuori anche dalla mirabolante declassificazione promessa ieri. Tre. Chiedere gentilmente se nell’operazione finestre aperte è coinvolto anche l’archivio del Quirinale, che già rispose picche al giudice che chiedeva carte sul progetto del principe Borghese di far arrestare il presidente Saragat da Licio Gelli nel 1970. Quattro. Che ne sarà dei documenti degli Uffici Sicurezza Patto Atlantico? Sono collegati con i ministeri della Difesa e degli Esteri, ma hanno copertura Nato: sono dunque fuori dalla disponibilità dell’Italia?

“Attenti”, dice un magistrato che indagò su Bologna, “se fatta senza controlli e garanzie di terzietà, questa operazione può diventare una distribuzione di polpette avvelenate, o addirittura un colossale depistaggio. Non più dei processi ormai, andati come sono andati, ma della storia”.

Il decreto (elettorale) sul lavoro

Alla fine la polemica dell'NCD (un partito che rischia di avere più ministri che elettori) è rientrata col voto di fiducia.
Serviva solo per marcare il territorio.
Come anche questa riforma Poletti, tocca solamente (e io ritengo anche male) le sole leggi del lavoro, come prima di lei aveva fatto la riforma Fornero.

Pensando che sia sufficiende toccare le regole del lavoro (liberalizzando, ovviamente) per creare posti di lavoro.
E che magari, con gli 80 euro in busta paga, si riesce anche a far ripartire la spesa delle famiglie, l'economia, la ripresa ..

Ma basteranno questi 80 euro (e il DL Poletti) per risolvere i problemi dell'acciaieria di Piombino? La Lucchini ha deciso di chiudere l'altoforno, e le tute blu si ritrovano oggi coi contratti di solidarietà.
Anche per Alitalia si prospettano tempi difficili: Etihad ha chiesto garanzie in termini di esuberi (3000 posti, trattabili) e di debiti con le banche azioniste (400 ml che dovremo trovare noi).
Per sventare il rischio della multa europea, per gli aiuti di stato a Sea handling, regione e comune stanno privatizzando.
Anche qui, altri centinaia di posti di lavoro a rischio.

A queste persone, come agli incapienti, alle famiglie senza reddito da lavoro, di tutte queste polemiche, interesserà ben poco.
E magari nemmeno votano.

22 aprile 2014

Terra!

Solo la grande fantasia di Stefano Benni poteva inventare la storia raccontata in Terra!, un racconto eco-giallo-avventuroso ambientato in un ipotetico futuro.
In occasione della giornata della Terra, il mio consiglio di lettura cade proprio su questo romanzo che ho letto tanti anni fa e di cui conservo sempre un buon ricordo.


Terra! È un racconto di fantasia, ambientato in un futuro ipotetico dopo che sulla terra si sono abbattute diverse guerre nucleari che hanno distrutto il pianeta.
Pianeta che politicamente è diviso in tre: gli amero-russi, i sinoeuropei e i giapponesi.

Tutti è tre alle prese col medesimo problema dell'approvigionamento di nuove fonti energetiche, poiché il pianeta è interamente ricoperto di ghiacci, effetto collaterale della contaminazione nucleare delle bombe.

Una scalcagnata astronave sineuropea, riciclata da un parco di divertimenti, parte per la ricerca di un pianeta, la Terra 2, sul quale far rivivere le persone: sulle traccie della spedizione si mettono sia i ricchi sceicchi arabi (che ora vivono in un mondo artificiale dove splende un finto sole) con una astronave che è l'insegna dello sfarzo e la potente, sia una miniaturizzata astronave giapponese con un'equipaggio di topi addestrati.
Da qui parte l'avventura, con un'intrecciarsi di storie, racconti, personaggi incredibili (la strega, l'uomo serpente) frutto anche della mente fervida dell'autore: dietro a tutto un'antica profezia del popolo Inca, per cui "dal passato arriva il futuro". Un divertimento assicurato.


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Diluvio mediatico e siccità di fatti


La prima pagina di Repubblica titola di un piano segreto del governo per tagliare i caccia F35.
È una delle notizie del diluvio mediatico che dietro hanno però poca sostanza.
Servono sia per riempire le prime pagine, in assenza di fatti concreti (e in presenza di fatti drammatici come il milione diitaliani senza redditi da lavoro), sia per tenere alta la tensione dei cittadini consumatori (di scoop, di anticipazioni, di dossier vari). Specie ora che ci sono le elezioni europee che saranno una specie di conta per i partiti. Come ai tempi di Berlusconi, diventeranno una sorta di referendum pro o contro il governo, non un'occasione di eleggere e mandare in Europa persone competenti.

Sempre sui giornali si parla delle polemiche interne al governo sul decreto lavoro: altro diluvio funzionale solo per dare visibilità al centro destra alfaniano, che così può “dire” cose di destra.
E minacciare il governo dal basso delle sue percentuali di voti, che impongono a lui la permanenza nelle larghe intese.
Si annuncia uno scontro interno alla maggioranza ….”. Si, bravi.
Sarebbero i precari, quelli che dovrebbero protestare, visto che il DL alza a tre anni (con cinque proroghe) la possibilità di rinnovare il contratto a tempo senza causalità.
Di certo non una proposta di sinistra.
L'accusa è stata aver cambiato il testo uscito dalla commissione. 
Un po' come era successo con la legge sul voto di scambio, che era uscita in una maniera al Senato ed è stata sminuita alla Camera per favorire il centrodestra (e l'accordo con B.).

Potremmo parlare dei fatti, certo.
Delle manifestazioni in piazza che sempre più spesso si trasformano in scontri, dove la polizia deve fare da cuscinetto tra le tensioni nel paese e il Parlamento.
Delle quattro milioni di persone indigente che non beneficeranno del bonus da 80 euro.
Del fatto che la caccia all'evasione non si può fare coi blitz su ponte Vecchio, ma incrociando le banche dati. Ma senza cambiare (e semplificare) le leggi, anche così si farà poco.
Dell'autorità anti corruzione (affidata al giudice Raffaele Cantone) nata zoppa e senza poteri, ora a rischio chiusura per le dimissioni di massa dei suoi membri.
Della proposta di Franceschini di trasformare il sud in un enorme campo da golf, secondo il modello alla Sharm El Sheyk.


No, forse più conveniente rimanere nel diluvio mediatico. E delle riforme messe una dietro l'altra. Sulla carta.