30 giugno 2014

Carbone sporco

Spero che Enel smentisca il rapporto di Greenpeace, su come Enel compra il Carbone nel mondo.
Sul suo sito si spiega come il carbone "sia conveniente ed affidabile".
Conveniente per Enel e , forse, per il consumatore.
Ma per l'ambiente? E per i minatori colombiani? Dall'art. di Thomas Mackinson sul FQ

La questione è se la nostra bolletta dell’Enel, insieme a quelle di 31 milioni di italiani, possa aver contribuito o meno a caricare gli Ak47 che nel 2001 hanno ucciso tre leader sindacali del Sintraminercol alla miniera di La Loma, Colombia. E magari contribuisca ancora oggi a foraggiare indirettamente i gruppi paramilitari che terrorizzano i minatori con servizi di security che si spingono molto oltre il limite della violazione dei diritti umani. Questione delicatissima, che investe una società controllata dallo Stato che ha come maggior azionista il Governo italiano e che trova ragion d’essere in un studio sulla sostenibilità ambientale della filiera del carbone proveniente dalla Colombia, tra i maggiori esportatori in Italia. Greenpeace lo ha commissionato all’istituto di ricerca indipendente olandese Somo nei primi mesi del 2014. E ilfattoquotidiano.it lo pubblica oggi, in esclusiva.

La ricerca si chiama “Colombian Coal in Europe Imports by Enel as a Case Study ”. Nasce come completamento di uno studio precedente (The Black Box, Luci e ombre nella catena di fornitura di carbone in Olanda – 2012) sull’origine del carbone utilizzato per generare elettricità nei Paesi Bassi e la mancanza di trasparenza nelle catene di fornitura di carbone europee. Non operando Enel sul mercato olandese non era presente come caso di studio, nonostante sia un grande importatore di materia fossile colombiana e partecipi fin dalla sua origine a Bettercoal, un organo di certificazione dell’eticità della filiera cui aderiscono 11 grandi multiutility europee. Enel è, anzi, è tra i promotori.

Lo studio ha evidenziato l’esistenza di relazioni commerciali tra la più grande società elettrica d’Italia e due grandi aziende minerarie che operano in Colombia estremamente controverse, la statunitense Drummond e la svizzera Prodeco (GlencoreXstrata). Due nomi che in Italia dicono poco o nulla ma che in America, e non solo quella Latina, hanno una pessima fama. “Le loro politiche ambientali sono deboli – si legge nella sintesi del rapporto curata da Greenpeace – e più spesso deficitarie; ma, ancor più, su entrambe le aziende esiste una corposa documentazione giornalistica (e legale) che testimonia come siano state ripetutamente accusate di gravissime violazioni dei diritti umani e di aver commissionato omicidi e torture di sindacalisti e abitanti delle aree circostanti le loro miniere in Colombia. Alcuni dei processi a carico di queste aziende, conosciute all’opinione pubblica di molti Paesi per i loro imbarazzanti ‘crime files’, sono ancora pendenti”.

[..]

Greenpeace: “Enel riveda presto i suoi accordi commerciali”
“Riteniamo che Enel debba presto rivedere i suoi accordi commerciali con queste aziende. E’ un dovere, ancor più dal momento che Enel è una controllata pubblica che ha come maggior azionista il Governo italiano. Un soggetto imprenditoriale delle dimensioni e dell’importanza di Enel non dovrebbe intrattenere relazioni commerciali con simili aziende – ripetutamente accusate di crimini efferati – anche per il buon nome e il prestigio industriale del nostro Paese”. Un asupicio rivolto al futuro. “Confidiamo che il nuovo management, che sta dando forti segnali di discontinuità, possa valutare attentamente le evidenze raccolte e semmai decidere di recidere i contratti con Drummond e Prodeco. Per noi resta l’assunto che la filiera del carbone è ‘inquinata’ dall’inizio alla fine; e che dobbiamo consegnare progressivamente e quanto prima al passato quella fonte energetica”.

Riforme o morte

Il ritornello ritorna sempre (scusate il gioco di parole): "ce lo chiede l'Europa", anche per le riforme targate Renzi.
Che non sono un optional, ma diventano un obbligo dopo che l'Italia ha strappato la flessibilità europea.
Almeno questo è quello che dice l'informazione embedded.
Perché a guardar bene le cose, la flessibilità non è ancora certa e se i conti non dovessero migliorare, in autunno dovremmo fare una nuova manovra. E oggi dobbiamo cercare 1 miliardo per la cassa integrazione in deroga.
E le riforme sono solo sulla carta: archiviati gli 80 euro (quante cartelle si saranno comprate le famigile italiane? quanti libri? Quante serate in pizzeria?), e il bonus Letta per assumere giovani disoccupati (solo 20000 domande sulle previste 100000), anche le altre riforme sono al palo.

Quella del Senato non arriverà in aula ai primi di luglio.
Quella della giustizia è solo una serie di emendamenti del governo, discussi oggi al cdm, mentre si lascerà al Parlamento decidere su intercettazioni e responsabilità civile.
Forse ci sarà qualcosa per la giustizia civile, il che è meglio di niente.

Ma il punto più irritante, almeno per me, è l'atteggiamento di questi riformisti (o presunti tali). Lo ha spiegato ieri Mucchetti (il ribelle, come titola repubblica): chi solleva critiche reali è dissidente, è quello della palude. Chi da ragione al capo è riformista.
Bisogna essere ottimisti: ma come si fa ad essere fiduciosi quando si affida il futuro di Senato, legge elettorale e giustizia ai soliti nomi?

Possiamo essere sereni sapendo che stiamo mandando in Senato, pure con lo scudo dell'immunità, gli stessi governatori o consiglieri delle spese pazze? Delle cementificazioni? Delle nomine clientelari dentro la Sanità?
Chiedetelo in Liguria, quando sono ottimisti. Nella regione dello scandalo Carige, degli alluvioni che devastano città e paesi quando piove.
Chiedetelo in Veneto, dove per anni nessuno si è accorto che il progetto Mose costava sempre di più e non finiva mai.
Chiedetelo in Puglia, a Taranto, dove l'aria è così buona che i bambini non possono giocare nei parchi.

Insomma riforma o morte. Se poi le riforme sono una farsa come il pos obbligatorio (ma anche no) anche per i professionisti, mica è colpa del legislatore. Se poi i professionisti rincareranno le tariffe mica è colpa loro.
L'importante è dar l'idea di cambiare le cose.

29 giugno 2014

Averlo saputo prima

Averlo saputo prima che il centro sinistra avrebbe bloccato la pubblicazione delle intercettazioni, non avrei perso tempo a scrivere tutte quelle cose sul blog, quando il bavaglio lo voleva mettere B. e Repubblica metteva in prima pagina i post-it gialli.
Averlo saputo prima che saremmo passati dall'approssimazione delle donne berlusconiane, diventate ministre per grazia divina, all'approssimazione delle ministre renziane, diventate tali per altrettanta grazia, avrei evitato di criticare quei pastrocchi di riforme, proposte, leggi, partorite da cotante menti.
E ora mi tocca chiedere scusa alla Gelmini, a Verdini, a Berlusconi.
Averlo saputo prima che toccava alla sinistra precarizzare il lavoro e togliere sto articolo 18, mi sarei evitato gli scioperi quando quella riforma la volevano fare Sacconi e Brunetta. 

Averlo saputo prima, che cambiava la linea sulla corruzione, sulla lotta all'evasione, sulla mafia, sul ripristino delle preferenze per diminuire la distanza tra eletti ed elettori. Mi sarei risparmiato un sacco di grane, avrei avuto più tempo libero.

E' il prezzo da pagare di chi rimane coerente con le proprie idee. E non le cambia a seconda delle convenienze.

Silvio stai sereno. Ora ci pensa lui.

Albergo Italia, di Carlo Lucarelli

Incipit:
Ualla, in tigrigna, vuol dire «monella».Come le ragazzine di strada che corrono nude, scalze e sudicie tra la polvere o in mezzo al fango della stagione delle piogge, gridando dietro agli asini che portano l’acqua e alle t’liàncon l’ombrellino, finché qualche anziano non esce con il bastone per farle smettere, kit! kit! bakà!via, via, basta.Vuol dire anche un’altra cosa, vuol dire «ragazza facile», però non nel senso di prostituta: nel senso di una che gioca, che civetta, che ci sta, ma non tanto per soldi o per mestiere.Attribuito a un maschio è piú frequente, come avvertimento alle ragazze: occhio a quel ferengi, dice che ti sposa, che ti tratta come una regina, che ti porta in Italia, poi invece ti prende e ti molla per passare a un’altra – ualla! – e vale anche per gli abissini –ualla! – donnaiolo, e per quasi tutti, bianchi o neri, comunque uomini, non è neppure un’offesa, anzi.Ma non vuol dire prostituta. In tigrigna si dice galemotà , e a Massaua, dove si parla molto l’arabo, anche sharmutta , puttana.Lei, invece, è Ualla, e se va con gli uomini è soprattutto per giocare, anche se poi se li tiene i soldi o i regali che le fanno.

Lucarelli ritorna nell'Africa coloniale, con un giallo storico che inizia laddove finiva “L'ottava vibrazione”: siamo in Eritra, nell'anno 1899. Nonostante la cocente sconfitta di Adua per mano dell'esercito di Menelik, l'Italia ha mantenuto la sua presenza in terra africana. E i coloni che sono rimasti sperano in nuovi investimenti della madrepatria.
Stiamo nel bel mezzo del passaggio dall'amministrazione militare a quella civile, col nuovo governatore che ha deciso di spostare la sede del governo ad Asmara.
Proprio qui, in un giorno dove il caldo cielo africano sfocia in una grandinata, mentre si inaugura l'albergo Italia, il più lussuoso albergo nella nuova capitale, viene scoperto il cadavere di un uomo. Farandola Antonio, 46 anni, residente a Torino, di professione tipografo.


Se l'ambientazione del giallo è inconsueta, lo è ancor più la coppia di investigatori chiamata ad indagare sul caso: il capitano dei reali carabinieri Colaprico (un omaggio al giornalista Piero, anche lui di Putignano) e il suo assistente, Ogbà. Uno zaptiè, come venivano chiamato gli indigeni locali arruolati nell'arma.
L'ombra del capitano, il ferengi bianco, con cui condivide un rapporto di umana fiducia, è un investigatore silenzioso, attento ai dettagli, capace di vedere, ascoltare, comprendere. Lo Scherlock Holmes abissino.
È lui infatti che comprende come il suicidio di questo Mirandola sia solo una messinscena, per nascondere un delitto.
Che viene risolto anche velocemente, grazie ai pagherò trovati nella sua stanza che incastrano un ufficiale italiano che con lui aveva perso molti soldi.
Ma questo caso è molto più complicato di quanto sembri: perché si scopre che la persona incolpta non poteva essere lui, responsabile di quella morte.
Perché altri fatti accadono e sembrano tutti collegati o collegarsi ad uno strano furto avvenuto nel deposito militare di Archico. Quando una banda di ladri va a rubare delle casse di vecchi fucili, ma anche una cassaforte che, in quel deposito, non doveva starci.
Cosa c'era dentro di così importante? Perché il furiere, che doveva essere trasferito, è rimasto al suo posto?
L'altro fatto riguarda la banda di predoni, quella del furto nel deposito militare, che viene trucidata in una amba, con la testa del capo posata proprio su quella cassaforte. Vuota.
"Merethàb dietro a Sàlle Mariàm, Ogbà dietro a Stevano, c'era solo da aspettare e infatti Colaprico aspettava, i piedi sulla scrivania e il sigaro tra i denti, tirandosi un baffo. Non che avesse altro da fare, ma si sentiva svuotato e così privo di forze che anche accendere il toscano gli era sembrata una fatica.Pensava.Pensava al caso, un omicidio irrisolto, in colonia, avrebbe già dovuto telefonare al governatore che non era tutto a posto come gli aveva detto e che il colpevole dovevano ancora trovarlo.Pensava.Pensava a quella donna. Margherita. E si chiedeva perché gli facesse quell'effetto, così forte".

Colaprico, assieme a Ogbà, iniziano così, un po' per caso, un po' per il loro intuito un'indagine che parte da un omicidio mascherato e che li porterà dentro un caso nazionale. Uno di quelli dove si è disposti ad uccidere, anche, perché c'è in gioco la ragione di stato. Forti interessi che puntano in altro. Troppo in alto, per il carabiniere Colaprico:
Aveva aggiunto: la tua carriera muore qui in colonia, lo sai questo? E lui: silenzio.Allora: sei un carabiniere, no? No? E lui: sì.Allora hai giurato fedeltà al re, no? No? E lui: sì.Allora: io sono stato mandato qui per proteggere il re.E lui: mi stai dicendo che c'era dentro anche il nome del re su quelle carte?Allora: silenzio.[..]
Solo lo suardo di un momento, poi: ho giurato fedeltà al re ma anche alla legge. E magari sarai pure libero prima di arrivare in Italia, ma qui, dove ci sono io, te ne stai in catene.
Stiamo parlando dello scandalo della Banca Romana, il primo grande scandalo di una nazione che era appena nata ma che già allora nasceva col marchio della corruzione e dell'arricchimento dei potenti. Una nazione dove gli italiani di ieri somigliavano molto a quelli di oggi: i t'liàn, i «so tutto io», cullu ba'llè.
Faccendieri spregiudicati e misteriori (“tencolegnà”), donne fatali e monelle pericolose, imbroglioni in divisa. La maffia e il primo cadavere eccellente, il marchese Emanuele Notarbartolo, presidente del banco di Sicilia, ucciso per mano della “maffia” sul treno per Palermo. Il primo omicidio politico mafioso, in un caso collegato allo scandalo della banca Romana. E che era finito senza nessuna condanna dei mandanti politici dell'omicidio.

Ma era anche l'Italia del capitano Colaprico, ostinato e testardo nel voler semplicemente fare il suo dovere (come tutti i protagonisti in divisa di Lucarelli, pensiamo al commissario De Luca) e, in fondo, anche quella del suo assistente di colore. Che ragiona come il ben pià celebre collega, quello Sherlock Holmes che gli ha pure rubato la battuta:
Una volta eliminato l'impossibile, diceva questo Sherlock Holmes al suo amico dottor Watson, ciò che resta, per quanto improbabile, deve essere la verità.Ezià mateà, questa è mia, aveva mormorato. Lo diceva sempre, lui, quello che sembra impossibile, quando non c'è altra spiegazione, deve essere vero.
Con tutto il rispetto, glielo avrebbe fatto presente al signor capitano. Perché siccome lui non credeva alle coincidenze, i casi erano due: o il signor capitano gli aveva fatto uno scherzo, o glielo aveva raccontato lui a questo Conan Doyle che aveva scritto il libro.
Berghèz.Ovvio.

La scheda del libro sul sito di Einaudi e il link dove scaricare il primo capitolo.
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

27 giugno 2014

Liberali e non

Ieri sera ad Otto e mezzo gli ospiti erano due giornalisti: Claudio Cerasa del Foglio e Marco Travaglio del Fatto Quotidiano.
Argomento della puntata è stato la bozza di riforma della giustizia, anticipata dai giornali e parzialmente corretta dai politici.
Intercettazioni, falso in bilancio, responsabilità civile dei magistrati.
La mia impressione è che questa bozza sia uscita proprio ora, per dare un colpetto per le altre riforme, più probabili: il Senato e la legge elettorale. Si tira fuori la giustizia per far capire a chi vuole capire che questo governo vuole tenere i piedi in più scarpe (e più maggioranze a disposizione).
A parte questo, è stato interessante vedere come i due giornalisti argomentavano sui punti della riforma (che probabilmente così com'è non vedrà luce).
Partendo dalle intercettazioni: sostiene Cerasa che non tutte le intercettazioni effettuate debbano essere pubblicate dai giornali. Perché non tutte riguardano comportamenti criminali e, a stabilire cosa è criminale o meno, può essere solo il magistrato.
E questi sarebbero i liberali garantisti.
Di diverso approccio Travaglio, il manettaro giustizialista Travaglio: il giornalista deve pubblicare tutti i fatti che emergono da una intercettazione, se hanno una valenza pubblica e non privata, anche se non sono reato.
L'esempio classico è quello del politico che frequenta un mafioso e poi fa campagna elettorale sul tema della legalità e del rinnovamento. Meglio saperlo prima, leggendo gli articoli dei giornali che riportano le intercettazioni tal quali, che non dover aspettare una sentenza di rinvio a giudizio.
E' il lettore che deve stabilire, coi suoi parametri, se quel comportamento è censurabile o meno.
Nella filosofia dei presunti garantisti, il lettore è considerato un pò come un bambino. Non deve aver modo di farsi una sua coscienza, di farsi una sua idea personale su un politico o su un'inchiesta, fornendogli tutte le carte (quelle che hanno attinenza pubblica, sempre).
E c'è anche la questione della responsabilità civile dei magistrati: Cerasa sottolineava come, dal 1987 ad oggi (dal referendum voluto dai radicali) siano stati solo 7 i magistrati puniti per grave dolo (cioè colpa).
Sono pochi? E allora dipende dal fatto che c'è una legge che non funziona o che non viene fatta funzionare.
Anche il numero di colletti bianchi in carcere è basso, ma non ho ancora sentito qualcuno che propone un inapsrimento delle pene per i reati di corruzione.

La responsabilità civile come la vuole il centro destra Berlusconiano o alfaniano è molto poco liberale: quale giudice si sentirebbe libero di poter processare il potente di turno, sapendo che questo può rivalersi contro di lui?
E poi, chi deve decidere se c'è dolo o colpa, nell'azione di un magistrato? Se è la magistratura si dice che questa è un potere non controllabile (come stabilisce la Costituzione, che dice affida al CSM il controllo). Se si assegna il compito alla politica si finisce coi politici che da imputati (per i scandali Mose, diritti TV, Expo .. ) diventano l'accusa.

Travaglio è tornato anche oggi sull'argomento nel suo editoriale sul FQ:

Le intercettazioni sono la prima ossessione della Casta da almeno 10 anni: da quando, sterilizzati i pentiti e tolto il valore di prova delle chiamate in correità, gli scandali escono direttamente dalle boccucce ciarliere di lorsignori. Spesso l’intercettazione è un selfie: ritrae il criminale nell’atto di delinquere; e le chiacchiere su complotti, toghe rosse, garantismo e giustizialismo stanno a zero. Non potendo (ancora) vietare ai magistrati di disporle, la Banda Larga s’accontenterebbe di proibire ai giornali di pubblicare le intercettazioni, rinviando alla fine del processo il momento della divulgazione: quando ormai nessuno si ricorda più nulla. Se le conseguenze penali di un reato spaventano poco lorsignori, grazie ai tempi biblici della giustizia con prescrizione garantita, gli effetti mediatici delle indagini restano seccanti: costringono il politico ladro o mafioso a difendersi dinanzi agli elettori, spiegando parole e opere difficilmente spiegabili, col rischio che la gente si faccia un’idea precisa sul suo conto. Ecco dunque ricicciare, dopo le leggi Mastella e Alfano fortunatamente abortite, la trovata di Orlando: i magistrati non potranno più inserire il testo delle intercettazioni nelle ordinanze di custodia cautelare (di per sé non segrete, dunque pubblicabili), ma solo il “riassunto”; e gli avvocati degli arrestati non potranno disporre delle trascrizioni dei nastri prima di una “udienza stralcio”, dove pm e difensori decideranno quelle da distruggere perché non penalmente rilevanti. Ma così si calpesta il diritto di difesa: chi finisce dentro ha il diritto di conoscere le parole esatte che l’han portato in galera, per impugnare al Riesame e in Cassazione. E si violano pure la libertà di stampa e il diritto dei cittadini a essere informati: ciò che non ha rilevanza penale può avere una grande rilevanza morale, politica, deontologica. Se un politico frequenta abitualmente mafiosi, per dire, non commette reato e non deve finire in galera, ma a casa sì. E l’elettore per mandarcelo deve sapere tutto. L’abbiamo scritto tante volte quando ci provava B. e, almeno nel mondo progressista, si gridava alla “porcata” e al “bavaglio”. Ora che ci riprova Renzi, nessuno fiata. Anzi, tutti parlano di “riforma” e “rivoluzione”. Per questo oggi è peggio.

L'auto di Balotelli

Scusate, ma la notizia qual'è? Che un calciatore viaggia in Ferrari?
Oppure che un calciatore di colore viaggia in Ferrari.
Capisco le critiche per i gol non fatti: ma questo accanimento contro Mario, anche un po' meschino, non mi piace.
Perché ora voglio sapere con che auto gira Cassano, Buffon, Abete ..

Le domande

Il caso Ustica. La strage di Ustica. Lo scoop sul caso Ustica. Le incredibili rivelazioni sul caso Ustica. Cade il muro di gomma sul caso Ustica.  

Ogni anno, ad ogni anniversario dell'abbattimento dell'IH 870 sui cieli del Tirreno, si ripetono (con poche varianti) i titoli dei giornali. Che annunciano importanti verità, scoop, qualche ex politico che (dopo tanti anni) si ricorda di qualcosa. Come Cossiga, ad esempio.
L'ultima incredibile rivelazione è quella pubblicata dall'Huffington Post: la Francia ammette che quella sera c'erano aerei militari francesi che decollavano dalla base aerea di Solenzara.
Ma servirà a chiarire qualcosa, questa notizia? Forse. Dipende da quello che diranno poi i militari. Cosa hanno visto dai loro radar. Perché quei decolli.

Dice Marco Paolini nel suo racconto teatrale, che Ustica, o meglio la storia de I-Tigi, è come un puzzle dove qualcuno si è divertito a mischiare i pezzi. Anzi, qualche pezzo l'ha fatto pure sparire.
E poi, quel qualcuno, ti sfida a trovare una tua soluzione all'intrigo internazionale.
Una bomba? Una near collision? Un missile?

Ma non dobbiamo farci tirar dentro questo gioco: l'unico modo per capire veramente cosa è successo quella sera sui cieli del Tirreno è fare le giuste domande. In un paese democratico dovrebbe essere normale porre delle domande ai vertici delle istituzioni. E dove ci si indigna nel giorno degli anniversari e basta.
Proprio quelle del "Muro di gomma" cui si riferiva Marco Risi nel suo film.

Che fine hanno fatto i nastri radar e come è stato possibile che si siano persi?
Come mai i vertici dell'aeronautica hanno fatto fatica a dare alla magistratura i nomi degli avieri presenti ai radar, quella notte?
Come mai i vertici militari hanno sempre negato la presenza di arei militari, quella notte: non solo quelli italiani, ma anche quelli degli alleati? Negli anni '90 la Nato stessa ha ammesso l'attività area e ora anche la Francia.
Per anni l'unica risposta è stata, non abbiamo visto niente. Non possiamo dirvi niente.
Che grado di sicurezza si può avere in questi vertici militari?
E poi, come è possibile che ci sia stato questo comportamento da "muro di gomma", omogeoneo nei vertici delle forze armate, come se avessero concordato qualcosa, senza che il livello politico sapesse nulla, senza coperture politiche?

Iniziamo dalle domande, anche ai francesi. E vediamo se rispondono dopo 34 anni.

26 giugno 2014

L'anniversario de I-Tigi

Ad ogni anniversario della strage di Ustica, si ripete lo stesso teatrino: nuove rivelazioni, incredibili, sui responsabili della strage.
Poi, ogni anniversario, passa tutto per finire nel dimenticatoio.

La Francia ha deciso a sorpresa di collaborare all’inchiesta sulla strage di Ustica. E alcuni ex militari dell’Armée de l’air hanno ammesso per la prima volta davanti ai magistrati italiani che il 27 giugno 1980 i caccia della base di Solenzara in Corsica, sospettati di essere direttamente coinvolti nell’abbattimento del DC9 Itavia, volarono fino a tarda sera. Viene così smentita la versione che Parigi ha accreditato per 34 anni, secondo cui la base chiuse alle 17. Cioè, quattro ore prima che l’aereo civile italiano con 81 persone a bordo esplodesse nel cielo di Ustica.
Quest'anno lo scoop è la scelta di Hollande di collaborare con l'inchiesta e di togliere il segreto di Stato.
Per anni i militari, anche i nostri generali, avevano continuato a ripetere che nessuno aereo miiltare, nessuno, era in volo quella sera.
Il 27 giugno 1980.
Per dire, la serietà e il senso dello stato dei militari.

Rientro a casa

Mentre osserviamo le foto dei giocatori italiani che tornano in Italia mogi mogi, è bene che si rifletta su un paio di cose.
Per loro, iniziano le vacanze.
Stipendi, ingaggi, sponsor. Non cambia nulla. Forse qualcuno uscirà dal giro della nazionale. Poco male.
Per noi invece le cose non migliorano: Confindustria taglia le stime della crescita del Pil.
L'incontro M5S Renzi sulla legge elettorale potrebbe rimanere solo un qualcosa di facciata.
Perché rimane saldo l'accordo con Berlusconi per un Senato non elettivo con tanto di immunità. Proprio per quei consiglieri che coi soldi nostri si sono pagati il pranzo di nozze, la laurea, i sushi, le mutande verdi, il suv..

Mentre si discute su Balotelli colpevole o innocente e sul dopo Prandelli, il paese reale è alle prese con la corruzione, coi casalesi che chiedevano il pizzo alle imprese che stavano lavorando a l'Aquila, con le inchieste su Mose e Expo e le armi spuntate del super commissario Cantone. E con le divisioni dentro la procura di Milano che rischiano di peggiorare la situazione delle inchieste.
E a tutto questo la politica risponde con un altro annuncio, sull'ennesima bozza di riforma della giustizia: forse ci sarà dentro il falso in bilancio, ma sicuramente ci sarà una stretta sulle intercettazioni.

E il cerchio si chiude: se certi personaggi devono entrare in Senato, non gli si può rovinare l'immagine.


Aggiornamento: Orfini, il presidente PD rassicura, niente intercettazioni nella prossima riforma della giustizia.
Vedremo.

Povera patria

Il prima
Ho potuto apprezzare lo spirito di sacrificio e l’amore di Patria che vi uniscono. I risultati da voi conseguiti dimostrano come traguardi in partenza difficili possono essere raggiunti se si lavora insieme, con spirito di squadra, per un obiettivo comune. Il vostro impegno ha rappresentato l’immagine più bella del calcio italiano” (messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano alla Nazionale Italiana, 12-6).
“Fa piacere mandare a fare... gli inglesi, boriosi e coglioni” (Maurizio Gasparri, Twitter dopo il 2-1 con l’Inghilterra, 15-6).
“Quella con l’Inghilterra è stata una partita epica, la ricorderemo per tutta la vita” (Cesare Prandelli dopo la prima e unica vittoria al Mondiale contro gli inglesi, 15-6).
Un’Italia viva è utile al look fresco, giovane, pimpante di Renzi, gli azzurri rottamati dalla Costa Rica non fanno bene all’immagine del Paese” (Gianni Riotta, La Stampa, 21-6).

E il dopo
“Sono Mario Balotelli – ha scritto ieri su Instagram – e non ho scelto di essere italiano. L’ho voluto fortemente perché sono nato in ITALIA e ho sempre vissuto in ITALIA (...) La colpa non la faccio scaricare a me solo questa volta, perché Mario Balotelli ha dato tutto per la Nazionale e non ha sbagliato niente (a livello caratteriale) (...) Fiero di aver dato tutto per il Suo paese. O forse, come dite voi, non sono Italiano. Gli africani non scaricherebbero mai un loro ‘fratello’. In questo noi negri, come ci chiamate voi, siamo anni luce avanti (...) VERGOGNOSE SONO QUESTE COSE”.

"È vero, anche oggi non abbiamo segnato e forse si sono visti i limiti strutturali, di qualità, del nostro calcio. Dopo quel rinnovo, di fronte anche ad aggressioni verbali, improvvisamente siamo diventati come un partito politico, e non ho sentito una difesa forte nei nostri confronti: ci siamo sentiti come gente che ruba soldi ai contribuenti, anche se si sa che la federazione non prende soldi dallo stato, che il presidente non prende una lira e io non ho contrattato nulla al momento di parlare del mio contratto. Io vado a testa alta: non ho mai rubato soldi, pago le tasse. Ho sbagliato a livello tecnico? Ok, e infatti do le dimissioni. Ma non posso sentir dire che ho rubato soldi ai contribuenti"
(Cesare Prandelli - conferenza stampa del 25-6)

In Italia il calcio è tutto tranne che uno sport dove si gioca coi piedi.
Prima del mondiale e dopo la vittoria con l'Inghilterra era tutto un appellarsi alla patria, un lodarsi, ma quanto siamo bravi, ma come sia belli ..
Dopo la fallimentare spedizione in Brasile si dovrebbe iniziare a parlare finalmente di vivai, di campioni nostrani (assenti in Brasile, se si esclude Pirlo), di giocatori capaci di buttare la palla in rete (come Messi, come Neymar), di fare gioco o di fermare il gioco degli avversari.
E invece si fa polemica e proprio dalle persone che per prime dovrebbero starsene zitte.
Come Prandelli che la butta pure in politica. Dopo la foto con Renzi e la banana.
Io non rubo niente, sullo stipendio che prendo pago pure le tasse.
E ci mancherebbe anche, verrebbe da dire. Ma per quello stipendio, che risultati ha portato, a livello di gioco?

E poi il Balo, il campione della stampa, l'uomo cui Prandelli si è affidato. Mi criticano per il colore della pelle.
E questo non creto .. direbbe Razzi nell'imitazione di Crozza. E' per l'atteggiamento in campo, da diva, i cartellini, i gol non fatti.

Ma non c'è niente da fare. Per altre settimane parleremo del nulla calcistico.
Mentre Sky e Mediaset fanno quella specie di finta gara sui diritti TV, grazie all'atteggiamento della Lega Calcio. Che ha bloccato l'offerta Sky per evitare il suo monopolio anche sul digitale.
Stranamente in Italia, ci ricordiamo dei monopoli solo quando fa comodo.

Ma mai, dico mai, ci ricordiamo che stiamo solo parlando di uno sport. 

Update: interessante l'articolo sul sito Linkiesta su Balotelli e "La pratica del negro sacrificale".

25 giugno 2014

Lo schiaffo morale di Renzi

Renzi era seduto al tavolo per discutere della legge elettorale assieme al M5S.
E Grillo dov'era?
Uno schiaffo morale a Grillo. Che forse starà da Farage a raccontare qualche barzelletta sul negro comunista

Il cappello del maresciallo, di Marco Ghizzoni

Incipit
Il becchino comunale Luigi «Bigio» Bertoletti non poteva credere ai suoi occhi: dopo aver messo sotto terra metà dei suoi amici di infanzia – e sì che aveva passato di poco le sessanta primavere – quella mattina di un lunedì di autunno incipiente si trovò davanti il cadavere del liutaio Antonio Arcari, sdraiato sul tavolo dell'agenzia di pompe funebri di suo cognato”.

Siamo a Boscobasso, un piccolo paesino sulle rive del Po, in provincia di Cremona. Uno di quei paesi dove ci si conosce tutti e dove tutti sparlano alle spalle degli altri.
La morte improvvisa del liutaio, il signor Arcuri, lascia tutti sgomenti: perché stato ritrovato dietro la stazione, coi pantaloni calati, in una zona frequentata da prostitute.
La vedova ha i suoi mezzi, da femme fatale, per convincere il maresciallo dei carabinieri ad archiviare le indagini (tra l'altro mai partite). E per convincere il Bigio, il becchino del comune, a spostare la tomba del caro estinto in una posizione migliore nel cimitero comunale.
E chi lo avrebbe mai immaginato che un favore alla bella vedova Edwige Dalmasso, si sarebbe trasformato in un piccolo caso che avrebbe messo in subbuglio l'intero paese?
Perché il Bigio, per soddisfare la richiesta dell'Edwige, sperando magari di ottenere in cambio il posto nel letto del povero liutaio, non trova di meglio che spostare la tomba dell'ex sindaco:
O meglio, l’ex sindaco. Rosario Pitino, siciliano doc, era stato sindaco di Boscobasso per quindici anni”.
E siccome veniva dalla Sicilia, chi mai sarebbe venuto qui sulla sua tomba?

Il blitz al camposanto, ideato dal Bigio ma portato avanti con la complicità del nipote del macellaio Ivano Ruggeri, finisce male. La bara rovinata, e il cadavere che viene sotterrato in fretta e furia sotto l'erba del parchetto.
“Chi mai si sarebbe messo a scavare in un parchetto costruito solo qualche anno prima?, aveva detto quella notte a Ivano, nipote del macellaio Ruggeri”.
Nemmeno qui la povera anima dell'ex sindaco, che più che all'amministrazione del paese si interessava alla buona cucina del paese, trova pace.
E' lo stesso macellaio che, a spasso con l'amato cane, l'unica persona al mondo per cui provi qualcosa (eccetto il suo amato Milan).
I carabinieri non possono che far partire un'inchiesta, cercando di rispondere alla prima domanda: di chi sono i poveri resti disotterrati nel parchetto di via dei Salici?

Il cappello del maresciallo è un romanzo divertente che ruota attorno agli equivoci che si scatenano attorno alla storia della tomba violata e al cadavere errante dell'ex sindaco.
Il maresciallo Bellomo che non si fida dei sottoposti che, mentre era in vacanza, non l'hanno avvisato della morte del liutaio e delle modalità in cui è stati ritrovato.
La vedova che gioca le sue carte di seduzione col maresciallo e col becchino per godersi in pace l'eredità.
Elena, la bella barista che si trova in mezzo alle attenzioni del sindaco e del brigadiere Mancuso, che arrivano quasi alle mani per lei.
Ma il sindaco, oltre a vedersela con le scenate della moglie, si ritrova in mezzo alla rogna della tomba violata perché qualcuno, dalla lontana Sicilia, è venuto veramente a pregare sulla tomba di Pitino.

Ma è tutto il paese è in subbuglio, poiché il caso arriva sulla stampa locale, per mano del giornalista Villa e per bocca della segretaria comunale Gigliola Bittanti. E a questo punto, una soluzione anche di comodo al mistero dei resti ritrovati nel parco, va trovata. E anche in fretta ..

C'è la stessa atmosfera da piccolo paese di provincia dei libri di Andrea Vitali, in questo noir dove si ride di gusto: se in Vitali le storie si svolgono sulle placide acque del lago di Como, qui tutto si svolge lungo le mefitiche acque del Po.
Ma il cappello del maresciallo cosa c'entra, direte voi?
Ha anche lui il suo ruolo, nella storia. Perché sarà per colpa del cappello dimenticato che il maresciallo rischierà di perdere la testa!

La scheda del libro sul sito di Guandaeditore.
La scheda del libro su Ibs e Amazon

Un lettore come padrone


Scrive Sallusti: "L’orgoglio di avere il lettore come padrone". Uno in particolare, dei lettori. Il padrone vero.
Quello da cui se ne andò via il fondatore Montanelli, ai tempi della discesa in campo (per andare a fondare La Voce).
Proprio vero: la memoria in Italia dura meno di un orgasmo.

E se fossimo semplicemente delle pippe?

Se sono due mondiali di fila che usciamo al girone, forse non è colpa degli arbitri, del caldo, delle polemiche sulla squadra.
E' solo perché abbiamo dei giocatori mediocri, di allenatori presuntuosi, di un ambiente, quello del calcio, dove si punta all'immagine e non alla sostanza.
Se non abbiamo campioni non è perché ce li espellono, ma perché da tempo non investiamo sui vivai. E i campioni come Balotelli sono buoni solo sulla carta.
Campioni di carta che campano su glorie passate.

Il calcio metafora del paese.
Se stiamo attraversando una crisi economica forse non è solo colpa della cattiva finanza, dei complotti, dell'Europa.
Se sono anni che si parla sempre di riforme, inutili o utili sono a qualcuno, e vengono sfornati solo pasticciacci, è colpa di politici che promettono cronoprogrammi da primi 100 giorni, per passare ad un più morbido tutte le riforme entro 1000 giorni.

E se fosse solo colpa nostra, dove ogni partita siamo sempre all'ultima spiaggia?

24 giugno 2014

Il paese delle (pen)ultime spiagge


Letta era l'ultima spiaggia ..

 Poi Renzi .. ultima spiaggia per il paese...
E ora anche Prandelli se ne esce con la metafora dell'ultima spiaggia con l'Uruguay.

Siamo il paese delle ultime spiagge.

Il gioco e la candela

Facciamo un attimo il punto: il Senato si doveva eliminare per due motivi.
Il primo era il superamento del bicameralismo perfetto, per snellire l'iter di approvazione delle leggi. Non delle leggi ad casta, che quelle, normalmente si approvano in corsia preferenziale.
Altro obiettivo era la diminuzione dei costi: Renzi e i suoi portavoce parlamentari parlavano dei 500 ml che si sarebbero risparmiati. Un numero buono solo per fare uno spot, visto che il risparmio riguarda solo gli stipendi, forse, e non i costi di mantenimento di Palazzo Madama.

Quale è l'obiettivo a cui si è arrivati: la bozza iniziale era far diventare il Senato una camera dei rappresentanti per gli enti locali.
Niente fiducia al governo, niente approvazione di bilancio e delle leggi.
La versione uscita dalla commissione e dagli accordi di Renzi con Berlusconi, non si discosta molto dal Senato attuale.

Il nuovo Senato non darà la fiducia ma potrà occuparsi delle leggi (se il 30% dei senatori lo richiede).
Avrà voce sulle nomine e sulle leggi costituzionali.

Semplicemente, i senatori non saranno più eletti ma arriveranno da comuni e regioni: i cittadini li eleggeranno per fare un lavoro, e questi ne faranno due. Spesati per le trasferte a Roma. Nel paese dei doppi incarichi non è una bella novità.
Non solo, in Senato consiglieri e sindaci rimarranno nel tempo in cui sono in carica in regioni e comuni: questo renderà le maggioranze meno stabili e più ballerine.
Infine la questione dell'immumità: capisco i costituzionalisti e i garantisti.
Ma perché dobbiamo rendere immuni dalle azioni della magistratura gente come la Minetti, Cota, il Trota, Fiorito il batman di Anagli?

A questo punto la domanda sorge spontanea: se dobbiamo mantenere parte delle funzioni, l'immunità, parte dei costi, il gioco ne vale la candela?
Specie se si deve assistere a questo scaricabarile tra i membri della commissione, l'esecutivo e i partiti delle larghe intese.
Se nessuno ha chiesto questa immunità, lasciamo perdere e basta.
Sarebbe un bel segnale per il paese.

Ma chiaramente, si preferisce nascondersi dietro il garantismo di facciata.

23 giugno 2014

La via del nero (e la coda di paglia degli industriali)




Le vie della corruzione passano per la creazione di fondi neri, da parte delle aziende che partecipano ai grandi appalti pubblici: fondi fuori dalla contabilità ordinaria e da usare al momento opportuno per oliare i meccanismi giusti, nelle regioni, nei comuni, nei ministeri.
In attesa della famosa riforma culturale, forse si potrebbe partire da qui per la lotta alla corruzione: dal reato di falso in bilancio, eliminato dal novero dei reati dal governo Berlusconi nel 2001. Legge ad personam certo, l'ex presidente aveva i suoi processi in corso e non poteva perdere tempo a difendersi nei processi.


Ma la contro riforma sul falso in bilancio parte da una lettera che, nel 1997, il gotha dell'imprenditoria scrisse in una lettera aperta al sole 24 ore. Il fior fiore dell'imprenditoria italica chiedeva alla classe politica una una norma che escluda “dal perimetro delle responsabilità operative i fatti che abbiano una rilevanza marginale rispetto alle dimensioni dei conti dell'impreso”. Una dose minima di nero, consentita per legge.
Lo aveva ricordato Milena Gabanelli in una puntata di Report dove si parlava, appunto, di evasione e corruzione degli eletti in Parlamento: la lettera portava la firma di Antoine Bernheim, Ennio Doris, Alfio Marchini, Letizia Moratti, Andrea Riffeser, Della Valle, Merloni, Mondadori, Nordio, tutti solidali col presidente di Fiat, Cesare Romiti, appena condannato per falso in bilancio (pena poi revocata perché quel reato, appunto, fu tolto).
L'ha ricordata questa mattina Massimo Giannini su Enonomia eFinanza, l'inserto di Repubblica in un articolo molto pungente sulla coda di paglia degli imprenditori. Quelli che ora vogliono cacciare la mele marce dal paniere. Quei “tangentari che alterano la concorrenza e danneggiano le imprese”.
Un po' tardi, forse. Ma meglio tardi che mai.
Certo, rimaniamo sempre in attesa della rivoluzione culturale per l'affermazione di quei principi etici di cui tutti parlano.

Magari se si iniziasse a cacciare dalle associazioni le molte mele marce, sarebbe già qualcosa.

Etica e corruzione

La lotta alla corruzione non è solo una questione di regole, ma anche di comportamenti e di educazione.
È una frase che sento ripetere sempre più spesso: anche il giudice Alessandra Galli, durante la presentazione del libro di Antonella Mascali, ha usato queste parole. Anche di fronte alle migliori regole, noi italiani (noi furbetti italiani avrebbe voluto dire) troviamo sempre il modo di eluderle, l'escamotage per non rispettarle.
È un ragionamento, quello dell'etica, che ha una sua base di validità, ma che cozza contro due obiezioni.
La prima è che noi oggi dobbiamo dare una soluzione immediata, all'emergenza della corruzione. Lo spreco di denaro pubblico che finisce in appalti gonfiati, in opere inutili approvate solo per rubarci sopra ..
Le grandi opere non si possono fermare, ci dice il ministro. Ma è un'affermazione che, specie di questi tempi, non possiamo più accettare. Non possiamo accettarne l'imposizione dall'alto, gli alti costi, i tempi lunghi.
Ora dobbiamo arginare e contrastare il fenomeno con regole chiare e che, in sostanza, puniscano determinati atteggiamenti sia da parte del politico o dell'amministratore pubblico, sia da parte del privato.


Ma esiste anche una seconda obiezione che faccio: chi insegna agli italiani questa nuova etica, questa nuova morale?
Abbiamo chiuso fuori dalle nostre stanze le idelologie, parola che oggi viene usata con disprezzo, per attaccare nei dibattiti gli interlocutori.
Abbiamo chiuso fuori i “professoroni”, ritenuti a torto i responsabili delle riforme non fatte.
Abbiamo trasformato i partiti da organo trainante della democrazia ad espressione di un gruppo di potere, di un gruppo di interesse o di una singola persona.


Saranno i renziani che sposeranno queste battaglie? Dubito, visti i partner che si sono scelti per le riforme istituzionali. Gli alleati di Le Pen da una parte, e Forza Italia dall'altra.
Con tutto lo scaricabarile della vicenda delle immunità deisenatori (un bel segnale diseducativo, al paese, a proposito di etica e di insegnamenti).


Ho voluto rivedere “Bobby” il film di Emilio Estevez, un film che racconta le vite di diverse persone che si ritrovano all'hotel Ambassador, quando Robert Kennedy fu assassinato. Nel film si racconta della forza rivoluzionaria di Kennedy, quella che avrebbe consentito al paese di ripartire con una nuova stagione, mettendo fine ai conflitti sociali tra bianchi e neri, per l'estensione dei diritti civili, per una maggiore equità nel paese (e non per la deregulation sul lavoro). Avrebbe messo fine al conflitto in Vietnam.
Era una politica che poteva cambiare in meglio la vita dellepersone, degli ultimi: questo percepiva la gente del sogno (spezzato) di Bobby.
Quanta di questa visione c'è ancora oggi? Abbiamo confuso il tifo di parte, con la passione vera e la capacità di avere una visione politica.

Leggo le dichiarazioni dei politici sui giornali e sono sempre in attesa: sia delle regole contro corruzione ed evasione (e riciclaggio, falso in bilancio, prescrizione facile ..) sia del buon maestro che insegni agli italiani a rispettarsi di più.

22 giugno 2014

La fedeltà del PD

Così come non si interrompe un'emozione (come dicevano gli spot di B. contro il referendum contro la pubblicità) non si interrompe una relazione, che in questi anni ha dato tanti frutti.
Tante leggi vergogna mai abrogate.
Tanti condoni mai bloccati.
Tante leggi incostituzionali sempre passate.
E poi, quando Silvio non ha potuto più governare, la stampella delle larghe intese.

Versione Monti, versione Letta fino ad arrivare alla storia d'amore di Renzi. Sulle riforme vale il patto del nazareno. Niente intrusi in mezzo a questa relazione. Perché "non si cambia partner all'ultimo minuto".
Significa niente legge anticorruzione, niente ripristino del falso in bilancio.
E se c'è qualche consigliere regionale nei guai, il PD è sempre pronto alla bisogna con il ritorno dell'immunità parlamentare in Senato. 


Contrada Armacà, di Gianfrancesco Turano

Incipit
"CAPOCRIMINE Il fatto è per stasera alle sette, sette e mezzo. Dipende da quanta gente c’è dal parrucchiere. Il ragazzo lavora lì, lo aspettano all’uscita. Ha ventidue anni. Dimmi se si può morire così giovani. D’altra parte, è stata seguita la trafila necessaria a evitarlo. Gli hanno spiegato, prima con buona maniera, poi in malo modo. Con le mani nella faccia, come si dice. Lui niente. Ha fatto l’impossibile. Questa è una città di presuntuosi. Ti danno del tu e si danno del noi. E la trafila è andata avanti. C’era pochissimo tempo. Da quando la dirigente del Comune si è avvelenata, tre settimane fa, il ragazzo si agitava in nome della sua bella amicizia con la signora. Diceva che politici, dirigenti e compari assortiti l’avevano abbandonata dopo essersi arricchiti grazie a lei, con i soldi di tutti: delle imprese e dei fornitori che fallivano, dei disoccupati e delle famiglie con le fogne scoppiate in casa. Un moccioso, un ’mbriscipisciatu di quella fatta viene a dare lezioni di organizzazione a chi ha cinque continenti da mandare avanti e la pace nel mondo da mantenere, a chi si fa galere e funerali per lealtà. Ci sarebbe da ridere, se non ci fosse da piangere.Il ragazzo ha creato un’emergenza, e in emergenza i protocolli di sicurezza si avviano in automatico. Non li puoi più fermare. Troppa gente rischia. Qualcuno si è rivolto a noi e prima dell’Epifania qualcun altro ha convocato i napoletani.Non è la prima volta. Nel 1976 – io ero bambino – sono stati usati gli uomini di Raffaele Cutolo per eliminare il vecchio don Mico Tripodo nella sua cella a Poggioreale: venti coltellate per cento milioni di lire, cinque milioni a coltellata. Costoso, ma ci siamo sempre trovati bene. È gente tecnicamente preparata, che non guarda in faccia a nessuno. Non è che a noi mancano le persone capaci. Preferiamo così. Qua non siamo sulla Montagna o sulla Piana che dobbiamo sempre mostrare quanto ce l’abbiamo lungo. Noi a Reggio diciamo: chi ha il comodo e non si serve, non c’è sacerdote che l’assolve".
Nella postfazione del libro, Gianfrancesco Turano racconta come la ndrangheta sia stata considerata per anni come un sottofenomeno di cosa nostra. Anche quando lasciava per terra centinaia di cadaveri nella guerra tra le cosche degli anni 80. Perché non aveva un Coppola, uno Scorsese e nemmeno un Leonardo Sciascia che la raccontasse dal suo interno.
Credo che ora il suo Sciascia l'abbia trovato nell'autore di questo libro, "Contrada Armacà".

Un libro dove realtà e fiction si confondono, poiché il racconto prende spunto da una serie di episodi di cronaca, della città di Reggio. La città del modello Reggio dell'amministrazione Scopelliti
La storia delle guerre di ndrangheta. Le guerre all'interno della procura reggina, magistrati contro magistrati, divisi in correnti e dove la giustizia viene misurata in base alle statistiche su arresti e confische di droga. E dove arresti e confische servono per le carriere dei singoli, come il nuovo procuratore arrivato da Palermo, il
siculo, (Pignatone).

Il dissesto finanziario del comune di Reggio, il suicidio della collaboratrice più fidata del sindaco (poi promosso governatore) e la morte di un giovane parrucchiere.
"7 gennaio 2011: Il giovane parrucchiere Giuseppe Sorgonà viene ucciso all’uscita del suo negozio in via De Nava a Reggio. Voci non confermate collegheranno la sua morte al caso Fallara".
Orsola Fallara era una dirigente della città di Reggio Calabria, accusata di aver causato il buco di bilancio e scaricata dalla politica locale (l'allora sindaco Scopelliti disse che non poteva leggersi tutte le carte che gli portavano), si cuicidò ingerendo diversi bicchieri di acido.

Nel libro i nomi di questi protagonisti cambiano: il parrucchiere ucciso in un agguato mentre è in macchina si chiama Rosario Laganà e la dirigente del comune, Oriana. Ma il resto è aderente alla realtà.
La magistratura che non si è impegnata nelle indagini sul suicidio della dirigente e che ha archiviato, anche un pò troppo in fretta, l'omicidio del ragazzo, amico intimo della donna e che stava per andare in Tribunale a confidare i suoi dubbi sulla morte di lei. Qualcuno l'aveva spinta? Come mai non sono stati analizzati i tabulati delle sue ultime telefonate?

Chi non si rassegna alla morte del ragazzo è però lo zio, Demetrio Malara, insegnante di educazione fisica in pensione e padre di Michele. Una delle tante morti per lupara bianca della ndrangheta: ucciso a quindici anni dalla ndrangheta, in un regolamento di conti fra clan rivali.
"La morte di Michele non era dovuta al suo eccesso di coraggio, al suo scarso senso del pericolo, all’essere cresciuto senza madre": Michele era morto per le centomila lire che aveva accettato, per far da vedetta durante un agguato. Finito male.
Ad indagare su quest'ultimo omicidio turba nemmeno troppo le coscienze della città (e delle istituzioni) è una strana coppia di detective: lo zio Demetrio, insegnate di educazione fisica nel miglior liceo della città e Fortunato Amato, un suo ex allievo, calciatore mancato e donnaiolo, che ha dovuto abbandonare la carriera di avvocato non solo per il suo nome, ma anche per l'arresto del padre.
Fortunato Amato, detto Nato si è trovato un nuovo lavoro, estremamente redditizio, come produttore di ebook per matrimoni: è una persona che conosce tutti e può entrare in tutti i salotti a fare domande. E' la persona giusta per capire chi ha ucciso Rosario, perché conosce mezza città, soprattutto la parte che conta, anche le persone che girano col grembiule da massone.

Ma sono domande che iniziano a dar fastidio a qualcuno. E quel qualcuno si premunirà di lanciare un preciso segnale alla coppia, con un bel colpo di fucile in un agguato a Monte S. Elia, mentre Demetrio e Nato erano sulle tracce del comandante.
"Lui è troppo in alto. È l’uomo di raccordo fra noi e gli americani che l’hanno mandato a controllare il passaggio delle armi dal porto".

Così, mentre si assiste alla fine del governo Berlusconi e con lui la fine di un certo blocco di potere, alla promozione a Roma del siculo (il procuratore capo di Reggio che ha applicato qui i criteri investigativi imparati a Palermo sulla mafia) i due investigatori dilettanti devono mettere fine ai loro propositi.
"Erano partiti da suo nipote Rosario, anzi ancora prima, dal suicidio della dirigente dell’ufficio Finanze e tributi. Poi avevano esplorato la pista dei soldi finiti in tasca ai politici, locali e nazionali, in Italia e all'estero. Poi si erano buttati sui contatti fra politici e crimine organizzato dentro le logge massoniche.Adesso passavano ai comandanti toscani con cittadinanza americana che spedivano borse di Gucci da Gioia Tauro a Roma con la protezione della Cia".
La ricerca dei responsabili della morte di Rosario, li porta dentro il gorgo dove è difficile distinguere i confini tra politica, massoneria e ndrangheta, potere politico locale e nazionale, servizi italiani e servizi esteri. Un intreccio dove tutto è legato: traffico della droga e delle armi, il controllo del porto di Gioia Tauro e l'11 settembre.
«Sai, Nato, sono tutte imitazioni» commentò Malara. «La grande mafia, il grande terrorismo, è sempre lo Stato. Questi copiano. Finché servono, li tengono, li fanno pure guadagnare.
Il racconto dell'indagine si alterna alle pagine dove a parlare in prima persona di ndrangheta, dei contatti con la massoneria e la politica, del suo ruolo nella strategia della tensione, delle divisioni nella magistratura sono il capocrimine, il giudice della direzione distrettuale, il poliziotto onesto.
E' in queste pagine che il lettore viene portato dentro il mondo delle ndrine, di come funzionano le cose in questa parte del paese (e non solo qui).
La ndrangheta non è verticistica come Cosa Nostra, ma come una polis.
Il traffico di droga? Si, è un giro d'affari da 24 miliardi per lo più in mano alle cosche joniche. Basta garantire qualche confisca al finanziere o al magistrato per farlig fare bella figura e incrementare le sue statistiche.
Ma altrettanto redditizio e meno pericoloso è coltivare i rapporti con la politica. Che ti garantisce appalti sicuri.
Come è cresciuta l'importanza della ndrangheta:
Turano lo racconta a fine libro con la cronistoria di questa organizzazione criminale. Un racconto criminale che parte dai moti di Reggio Calabria degli anni '70, i tempi del "Boia chi molla", al periodo dei sequestri di persona. Per arrivare alla nascita della Santa. La sovrastruttura che mette assieme massoneria e ndranghetisti, una sorta di camera di compensazione. E i servizi segreti che avrebbero favorito da una parte la fine dei corleonesi a Palermo per spostarsi sui calabresi.

La morte del giudice Scopelliti, che doveva presentare l'accusa in Cassazione, per il maxi processo, potrebbe essere spiegata così. 
«Dagli anni Settanta – con i moti di Reggio in città, il porto e il centro siderurgico a Gioia Tauro, la Liquichimica a Saline Jonica – si è attivato questo circuito, tuttora in funzione, dove le ‘ndrine copiano lo Stato che copia le ‘ndrine che ricopiano lo Stato.(…) I sequestri non sono serviti alla ‘ndrangheta per l’accumulazione primaria di capitale…(…) sono serviti ai criminali calabresi per costruire rapporti stabili, duraturi e confidenziali con lo Stato e per mettere lo Stato nelle condizioni di non poter combattere in modo efficace perché combatterebbe contro se stesso. Ecco spiegato perché questa città, al momento, non è dello Stato, non è degli italiani, non è nostra. Se entriamo in un bar, è loro. Se andiamo in un negozio di vestiti, è controllato da loro. I lidi del lungomare sono loro. (…) Certo, Reggio ha duecentomila abitanti. Non è Gioia e non è San Luca. Puoi vivere ignorando il contorno. Puoi passare una vita a negare la realtà. I reggini respirano ‘ndrangheta, cacano ‘ndrangheta».

Dopo la postfazione, chiude il libro una ricca cronologia degli eventi, a partire dagli anni 70 fino ad oggi. Il romanzo di Turano è un continuo mescolare realtà e fantasia, difficile capire dove finisca l'una e inizi l'altra. Come difficile distinguere il bianco e il nero, i buoni e i cattivi, lo stato e l'antistato.
Perché la vera forza nella ndrangheta è nei suoi rapporti con la politica, secondo un rapporto dove è difficile stabilire chi imita chi.
Difficile scrive di ndrangheta – continua Turano - anche per colpa dei tanti cronisti che hanno raccontato questa mafia secondo troppi clichè. I giornalisti embedded, li chiama l'autore. Quelli selezionati dalle procure, con una patente rilasciata da poteri extra giornalistici. Il perché abbia voluto raccontare queste storie, l'autore lo spiega nelle ultime righe:
è il senso di appartenenza che un calabrese prova per le sue origini. È una passione feroce, irrazionale, ottusa e nevrotica proprio perché gli argomenti logici a sostegno del sentimento scarseggiano. D’altronde, ad amare ciò che è amabile sono buoni tutti”.
La scheda del libro su Chiarelettere.
Alcuni estratti dal libro: la ndrangheta è come la polis, e le vie della droga.
Il link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

20 giugno 2014

La caccia al tesoro (degli evasori)

Bene il 730 precompilato, bene lo snellimento delle procedure col fisco.
Ma sulla lotta all'evasione manca sempre qualcosa perché, così come per la lotta corruzione, è anche un discorso di regole che non ci sono, sono di etica.
Perché, per esempio, si fa così fatica ad approvare la legge del "voluntary disclosure" per costringere gli evasori ad autodenunciarsi?
Nunzia Penelope racconta i retroscena dietro questa “legge morta due volte” nel libro "Caccia al tesoro"
Un colossale furto planetario, un bottino senza precedenti. Spicciolo più spicciolo meno, stiamo parlando di circa trentamila miliardi di dollari: il doppio della ricchezza prodotta ogni anno dagli Stati Uniti o dall’Europa, venti volte quella prodotta in Italia. È un capitale che sfugge a qualunque controllo e a qualunque fisco, una sottrazione di risorse inarrestabile che sta mettendo in ginocchio l’economia mondiale. Una buona metà di questo tesoro è posseduta da meno di centomila soggetti: una élite globale tanto potente quanto difficilmente identificabile, in cui ai soliti noti – evasori del fisco, speculatori di ogni risma e organizzazioni criminali – si affiancano grandi multinazionali e banche d’affari, non esclusi i «campioni» della nostra industria nazionale o i promotori del capitalismo «virtuoso» della Silicon Valley. Tutti, sia pure con modalità differenti, rappresentano i clienti ideali dei paradisi fiscali: un mondo parallelo le cui dimensioni non sono mai state calcolate adeguatamente, ma che si ritiene contenga oltre un terzo di tutta la ricchezza mondiale.
Nunzia Penelope, attingendo come sempre a fonti e documenti di solida attendibilità, prosegue la sua indagine sul lato oscuro del capitalismo contemporaneo, stavolta su scala globale. Caccia al tesoro, oltre a offrire una chiave di lettura inedita della gigantesca redistribuzione della ricchezza verso l’alto cui stiamo assistendo negli ultimi anni, traccia il profilo di una nuova guerra mondiale, quella del fisco, che vedrà confrontarsi l’esercito di coloro che pagano le tasse e quello di un’economia che vive al riparo da ogni regola.
Del libro e della caccia agli evasori (protetti dalla politica) ne parla Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano:
La politica lenta che aiuta gli evasori di Stefano Feltri
   Secondo voi perché ci stanno mettendo così tanto tempo ad approvare le norme sul rientro dei capitali? Perché così chi vuole mettersi al riparo ha modo di riuscirci, per un italiano che vuole continuare a sottrarsi al fisco basta prendere la cittadinanza svizzera o meglio ancora di Panama”, racconta al Fatto Quotidiano un banchiere svizzero che da Lugano osserva il dibattito parlamentare che si trascina da oltre un anno sul rimpatrio dei capitali dai paradisi fiscali. Prima la norma sulla voluntary disclosure, cioè sull’autodenuncia di chi rivela al fisco i soldi custoditi all’estero prima che scattino i nuovi accordi che spingeranno le banche a dare tutte le informazioni, era in un decreto legge del governo Letta. Poi è stata stralciata, ufficialmente perché il decreto rischiava di decadere senza approvazione. E allora si ricomincia come disegno di legge alla Camera, in commissione Finanze, qualche emendamento lo migliora, qualche altro (del Pd e avallato dal governo) cerca di trasformare una misura concepita per sanzionare gli evasori in un condono. I tempi restano incerti, chi ha i soldi su un conto svizzero o li ha affidati a un trust ha tutto il tempo per prendere le sue contromisure.

   UN LIBRO APPENA uscito della giornalista Nunzia Penelope, Caccia al tesoro (Ponte alle Grazie), ci rivela i retroscena della “legge morta due volte”, cioè quella sulla voluntary disclosure che prevede un’aliquota del 27 per cento sulle somme che si autodenunciano al fisco più una certa protezione legale sui reati connessi (almeno quelli fiscali, non quelli che hanno permesso di accumulare la somma, tipo traffico di droga o frodi finanziarie). Nel libro di Nunzia Penelope si racconta di cosa sta succedendo in Svizzera mentre noi perdiamo tempo, come dimostrano i brani riportati dell’audizione in Parlamento della Unione Fiduciaria, una società costituita da otto banche popolari che offre servizi di “protezione di patrimoni”, quelli di cui ha bisogno che vuole mantenere una certa discrezione sull’esistenza e la provenienza di somme consistenti. I rappresentanti della Unione Fiduciaria, il direttore generale Filippo Cappio e l’avvocato Fabrizio Vedana, spiegano ai parlamentari che per come era concepita nella prima versione la voluntary disclosure avrebbe creato parecchi problemi agli evasori in Svizzera che avessero fatto emergere le loro somme, perché rischiavano di trovarsi subito imputati per riciclaggio, “il tema non è semplice, è una bomba che gira e che rischia di scoppiare in mano all’ultimo che la maneggia”. E spiegano anche che “se al contribuente si chiede troppo c’è il rischio di non ottenere niente: invece di aderire alla sanatoria, se ne andrà a stare all’estero anche lui, trasferendo la residenza oltre ai soldi. Ci risulta che lo stiano facendo già in tanti”. Se poi il modulo da compilare, com’era previsto, ha 40 pagine e basta un errore per essere accusati di falso, allora gli incentivi a partecipare all’operazione trasparenza si riducono ancora. Insomma: una norma troppo tenera è un regalo agli evasori, una troppo dura rischia di spaventarli e di farli rimanere nell’anonimato. Ma la cosa peggiore è una norma troppo dura adottata con enorme lentezza che permette ai titolari di depositi di origine illecita di organizzarsi per essere sicuri di farla franca quando scatteranno le nuove regole. E anche le banche, costrette controvoglia a cooperare, hanno modo di individuare quelle scappatoie che permettono di rispettare formalmente la trasparenza senza perdere i capitali degli evasori, magari trasferendoli in una filiale di Singapore o nascondendoli in un trust blindato.

   “NON SI SA ESATTAMENTE quale parte di 42 minuti circa di audizione dell’Unione Fiduciaria abbia colpito maggiormente i parlamentari; sta di fatto che il 29 marzo 2014 il decreto sulla voluntary disclosure viene lasciato morire. Una forma pietosa di eutanasia, tanto era già chiaro che il Parlamento non lo avrebbe mai approvato”, commenta Nunzia Penelope nel suo libro. E a proposito delle alternative ora sottoposte alla Camera, dopo l’abbandono del decreto originario, la Penelope nota anche che “uno dei disegni di legge, tra l’altro, recepisce perfettamente tutte le richieste di ‘sconto’ avanzate dei fiduciari, e un secondo propone addirittura di allargare il beneficio ai capitali evasi ma rimasti in patria, lasciando cinque anni di tempo per decidere se aderire o meno”. Insomma, siamo passati da una norma forse troppo dura al progetto di un condono. È la lotta all’evasione secondo i politici italiani.

Per il bene dello stato

Per il bene dello stato Napolitano ha scritto la lettera al vice presidente Vietti in cui ricordando la gerarchizzazione dei tribunali, consigliava l'archiviazione della pratica contro Bruti Liberati.
Per il bene dello Stato, il CSM si è piegato ai voleri della lettera del colle che esiste ma non può essere rivelata.

Per il bene dello stato Lavitola ha fatto quello che ha fatto a Panama. E le eventuali tangenti di Finmeccanica sono state fatte, indovinate un po', sempre il bene dello stato.
Per questo un ex presidente del consiglio, già condannato per frode fiscale e ora nuovamente sotto processo, si è risentito quando un giudice di Napoli si è permesso di fargli delle domande.
«Chiedo scusa ma non capisco il senso di queste domande»
«Non c'e' alcun bisogno che lei capisca».


Anche Berlusconi, quando era primo presidente del consiglio ha fatto quello che ha fatto (eliminazione del falso in bilancio, prescrizione che cancella i reati, legge sulle rogatorie, scudi e condoni) per il bene dello stato. Che coincideva col suo stato.

Sempre per il bene dello stato, Marchionne ha fatto quello che ha fatto. Per ritorsione contro uno sciopero dei sindacati di 1 ora, ha bloccato tutti gli straordinari negli impianti (ma è possibile avere contemporaneamente in un'azienza straordinari e cassa integrazione?).

Per il bene di questo stato dovremmo dimenticarci del passato. Del fatto che le riforme il governo del 41% sta portando avanti (più sui giornali che nelle aule) sono pensate da Calderoli, Berlusconi e i giovani ministro Boschi e Madia.
Che non possiamo permetterci la legge sul rientro dei capitali e sul voluntary disclosure per il bene dello stato e di Berlusconi (e anche di un pezzo di industriali).

Ma che brutto stato che è questo stato.

19 giugno 2014

L'accordo per la liberalizzazione dei servizi - Tisa

L'accordo per la liberalizzazione dei servizi, "Tisa": l'anteprima su l'Espresso (via wikileaks)

Sciopero, quella parola incomprensibile

Da Treccani: sciòpero (ant. sciòpro) s. m. [der. (deverbale con suffisso zero) di scioperare, ant. scioprare]. –
1. Astensione organizzata dal lavoro di un gruppo più o meno esteso di lavoratori dipendenti, appartenenti al settore pubblico o privato, per la tutela di comuni interessi e diritti di carattere politico o sindacale. Il diritto di sciopero è sancito dall’articolo 40 della Costituzione, che demanda alla legge ordinaria la funzione di disciplinarne l’esercizio; tuttavia, mancando a tutt’oggi una legge generale al riguardo, fatta eccezione per alcuni settori particolari (centrali nucleari, controllori di volo, e soprattutto pubblico impiego, nel cui ambito vigono le leggi 1990/146 e 2000/83, concernenti, tra le altre cose, la precettazione e il reato di interruzione di pubblico servizio), la regolamentazione di alcuni aspetti dello sciopero resta affidata alle organizzazioni sindacali e all’intervento del giudice o dei Ministeri di volta in volta competenti.
Per Marchionne sciopero è una parole "incomprensibile e irrazionale". Una parola contenuta dentro la nostra Costituzione, un diritto sancito e riconosciuto.
Ma forse, per un manager che sposta la sede finanziaria a seconda di dove conviene, che è abituato a fare promesse e a non mantenerle,può capitare di non aver mai sentito parlare di diritti e di Costituzione.