31 dicembre 2015

L'anno degli annunci (così distante dall'anno che vorremmo vivere)

L'intervista del professor Ponti a Radio popolare mi ha dato lo spunto per questo post di fine anno, per stilare una sorta di bilancio. Cosa è stato questo 2015? Secondo me l'anno degli annunci e della memoria corta, che hanno contraddistinto tutti gli eventi dell'anno: Expo, il terrorismo dei fondamentalisti islamici, l'emergenza profughi e l'ultima emergenza ambientale dovuta a questo lungo periodo di siccità.

Nell'intervista il professor Ponti era molto critico nei confronti dei provvedimenti presi dal ministro Galletti, a seguito degli incontri con gli amministratori. La riduzione della velocità, la riduzione della temperatura, lo stop ai camini a pellet.
Peccato che a far circolare le auto sotto i 50 km ora queste inquinano di più. Non solo quei pochi milioni per il trasporto pubblico non sono sufficienti, ma in questi anni la percentuale di popolazione che usa il trasporto pubblico non sia cambiata di molto.
È migliorata invece la qualità dell'aria in questi anni, e questo grazie alle nuove tecnologie sui motori e ai controlli più stringenti (Euro 1,2,3..).
Quello che stiamo vivendo è una situazione eccezionale e rischiamo così di prendere decisioni sull'onda dell'emotività. Ovvero, quelli del ministero rischiano di essere i soliti annunci.
Che non incideranno in modo significativo sulla qualità dell'aria in assenza di una seria politica sul trasporto pubblico: bus ecologici, treni per i pendolari e non solo freccia rossa, rivedere le tariffe che sono le più basse d'Europa (e far pagare tutti), aumentare la capillarità del servizio.
Qualche mese fa, l'attuale primo ministro si era detto contrario alle grandi opere, ai grandi cantieri. Quello che serve al paese sono le tante piccole opere di messa in sicurezza.
Non il ponte sullo stretto, ma un servizio ferroviario regionale decente al sud.
Qualcuno se li ricorda ancora queste promesse?
E come siamo messi con i controlli dei motori (e degli impianti industriali) dopo gli annunci dello scandalo Volkswagen?

Il miracolo Expo: prima ancora che finisse Expo erano già partiti gli annunci sul dopo-Expo, il cronoprogramma dei lavori. Venivamo rassicurati che tutti i padiglioni sarebbero stati riciclati e non buttati via. Non solo aspettiamo il piano, ma si aspetta anche i soldi del governo: doveva entrare in Arexpo a settembre ma forse ci entrerà a gennaio.
Tanti annunci: lo stadio, no la cittadella universitaria, la nuova silicon valley...
L'Expo dei miracoli è stato un continuo spot elettorale, che ha fatto da trampolino di lancio per i due tecnici politici, Tronca e Sala. Che ha fatto lustro al governo che sull'esposizione milanese ha puntato tutto.
Eppure siamo ancora qui ad aspettare un piano operativo che spieghi come verranno riempiti gli spazi.
I padiglioni, per una questione di costi, non verranno riciclati.

Sui costi e sul ritorno economico, il cda (nel suo breve comunicato) non spiega nulla: solo tre numeri in croce senza dare altre risposte alle domande dei giornalisti.
I meriti di Sala, gonfiati dai giornali, sono in realtà in capo ad altri: per esempio Pisapia che ha risolto il problema delle aree (e ceduto le sue competenze a Formigoni).
La nostra memoria a breve ci ha fatto dimenticare tutti gli scandali e le inchieste sulla corruzione: la prima gara (per la pulizia dell'area dagli ingombri) nel 2012 è stata fatta al massimo ribasso, dopo che si era detto che non si sarebbe mai proceduto così, ed è da lì sono partite le tangenti. E tutto questo è imputabile a Sala. Il candidato sindaco di Milano, perché ha così ben operato.

Ma sala è quello dei 21 milioni di ingressi, dei 14 ml in attivo: ma non si capisce se le cifre comprendono i costi di smantellamento, gli investimenti, gli eventi, semplicemente perché questi bilanci non sono stati fatti. Trasparenza zero.
Chi pagherà costi occulti? bonifiche, smantellamento padiglioni (a carico di Arexpo e non di Expo), è impossibile pensare al futuro.

L'immagine di Aylan, il bambino siriano morto nel tentativo di arrivare in Europa, avrebbe dovuto risvegliare molte coscienze sulla reale portata del problema dei profughi, famiglie che scappano dalle guerre in Siria o dalle carestie in Africa. Tutti clandestini, chiaramente, che affrontano il rischio di un viaggio di migliaia di km, nella speranza di un futuro migliore.
Anche dopo quell'immagine, che non si doveva usare per fare speculazioni, altri annunci.
Blocchiamo gli sbarchi, affondiamo le navi. Basta con questa invasione.
Aiutiamoli a casa loro: ma a casa loro ci sono solo macerie, fame, siccità, malattie.
E altri persone stanno morendo in quel tratto di mare tra l'Asia e l'Europa. Senza clamore. Senza altri annunci.

L'Emergenza profughi, si è poi intrecciata all'emergenza sul terrorismo. Il 2015 si è aperto è chiuso con le sue stragi a Parigi. A gennaio alla redazione di Charlie Hebdo e a novembre contro i ragazzi al concerto rock al Bataclan o che si divertivano per strada.
Altri annunci, altra memoria a breve.
Dopo la strage nella redazione della rivista satirica eravamo tutti Charlie, anche quei leader europei e locali che hanno spesso dimostrato scarsa considerazione della libertà di stampa (e dello sberleffo del potente).
È poi arrivata la seconda strage di novembre, con tutte quelle morti giovani, ragazzi innocenti presi mentre erano in luoghi pubblici, per creare terrore.
Finché le bombe e le morti avvenivano lontano dall'Europa non ci toccavano: Ankara, Beirut, in Nigeria.
L'attacco al Bataclan ha fatto scattare gli allarmi, i controlli, i piani per spiare i terroristi. Altri annunci.

Abbiamo scoperto non solo la nostra vulnerabilità, ma anche l'inadeguatezza degli organi nazionali e sovranazionali. L'Europa che pochi mesi prima aveva messo alle corde il governo Tsipras, si rivela inutile di fronte al terrorismo.
L'unica risposta che abbiamo saputo dare è la chiamata alla guerra.
Peccato che questa sia una guerra contro un nemico che non si vede e dove non esista una prima linea. L'efficacia dei bombardamenti è da verificare e l'unico esercito in campo è quello curdo, che deve combattere anche contro l'alleato Erdogan, il sultano che ha usato l'arma dei profughi per avere miliardi e corda lunga dall'Europa.
Il nostro governo non si è unito al grido di guerra, sebbene noi forniamo i droni per intercettare i bersagli.
Renzi ha promesso un euro di cultura (o un centesimo) per ogni euro in sicurezza.
L'annuncio dovrebbe servire a ridare fiducia al paese (e a dare i benefici elettorali degli 80 euro ad essere maliziosi).

Ma il nostro paese è stanco di annunci e di guerre ne sta già combattendo già altre.
La guerra ai diritti. Sul lavoro, per il diritto alle cure, per il diritto allo studio. Per l'accesso ai servizi pubblici: mentre si discute di Ponti e di Varianti, ci si dimentica di come Messina sia rimasta senz'acqua per settimane.
Il diritto a vivere una vita serena, senza doversi preoccupare di cosa si respira, dell'incertezza del posto del lavoro perché c'è sempre qualcuno che prende uno stipendio inferiore al tuo.
A Mirafiori e Grugliasco ci sarà un altro anno di cassa integrazione. A Melfi la produzione è a pieno regime ma gli operai (assunti con gli sgravi) devono lavorare su turni pesanti.
Nella Valle del Reno (Bo) la Philips Saeco ha deciso di spostare fuori dall'Italia la produzione di macchine per il caffè, col rischio di 240 esuberi. Meno salari, meno diritti, maggiori profitti.
Ci stanno mettendo l'uno contro l'altro, in una guerra tra poveri. Italiani contro rom, profughi, immigrati, clandestini.
Parlano di difesa dei nostri valori, che non si riducono però ai canti di Natale o al presepe.
Se ve lo siete dimenticati, rileggetevi la Costituzione, è tutto scritto lì.

Quello che separa questo ultimo anno ormai agli sgoccioli dal prossimo, è solo una notte di festeggiamenti e di brindisi.

Ma quello che separa il cupo presente dove l'eco degli annunci risuona a vuoto, da un futuro con maggiore serenità, è un soldo ben più profondo.

30 dicembre 2015

Sulla conferenza di fine anno


Core ngrato .. chiedere la cancellazione dell'ordine dei giornalisti nella conferenza indettadall'ordine dei giornalisti.
Che l'ordine sia qualcosa da rivedere, ai tempi di internet e viste le condizioni da schiavitù in cuilavorano molti precari, è fuori di dubbio.
Ma almeno Renzi avrebbe potuto avere maggiore tatto, visto anche il livello di domande che ha ricevuto durante l'incontro di fine anno.
Incontro all'insegna dell'ottimismo e dove ha cercato di spostare il mirino nei confronti dell'Europa e della Germania. Come un Salvini qualunque.

Non tutti i nostri problemi derivano dall'Europa: per esempio se ci sono giornalisti costretti a vivere con 4920 euro all'anno, per colpa delle condizioni imposte dagli editori, non è colpa di Angela.
Se la riforma del jobs act, che la Germania ha fatto in 3 anni e noi in uno (ma che bravi) ha prodotto solo 2mila posti a tempo indeterminato a fronte di sgravi alle imprese per 3 miliardi, non è colpa dell'Europa.
Gli assunti nella scuola, che sono “solo” 64000 (a fronte dei 150mila promessi) lo devono invece all'Europa che “ce lo aveva chiesto”. I deportati non ci sono stati, dice Renzi: nessuno dei giornalisti ha obiettato. Peccato che i trasferimenti inizino nel 2016.
La discesa del rapporto deficit PIL è una stima.
La manovra per il 2016 sarà ancora in deficit, meno rispetto a quella dei precedenti governi, ma creerà ancora debito: debito per i bonus, per gli sgravi previsti ai neo assunti, per gli 80 euro (sulla cui efficacia si discuterà a lungo).
Tutto questo per aumentare i consumi interni, nella conferma delle stime, nella speranza di non dover incappare nelle clausole di salvaguardia.
Nel frattempo l'Europa ha preso tempo per certificare la nostra manovra e non è prevista alcuna clausola migranti per avere altri sgravi (sono le leggi europee che abbiamo contribuito anche noi a creare).
Infine, non è solo colpa dell'Europa se altri paesi hanno salvato banche coi soldi pubblici prima, mentre noi abbiamo aspettato.
E sulla tenuta delle banche, anche alla luce dell'introduzione del bail in, lo stesso governatore Visco nell'intervista a Fazio non aveva escluso che questo avrebbe comportato delle conseguenze poco felici su altri istituti in crisi.
Sulle banche qualche giornalista avrebbe potuto chiedere lumi sulla situazione in PopVicenza. Sul perché le sofferenze della 4 banche salvate siano state valutate “solo” al 17,6%.
Su come il governo pensa di gestire la “grana” dei crediti inesigibili dentro le nostre banche: si tratta di circa 200 miliardi. Gli istituti li hanno messi a bilancio a 84 miliardi mentre Bruxelles li stima a 34 miliardi.
Una bella differenza.

Ma di tutto questo, come anche qualche domandina sul clima, sullo smog, su qualche idea strutturale per togliere l'inquinamento dalle città, non c'è traccia.
Siamo ancora agli 80 euro, al bonus per i neo diciottenni, la spending review “lorda”, al siparietto col presidente dell'ordine dei giornalisti ..


Siamo sicuri che il problema sia l'ordine dei giornalisti?

29 dicembre 2015

Ci avevano detto

Oste com'è il vino?
E' buono

Possiamo liquidarla così, tutta la vicenda del presunto conflitto di interesse del governo sul caso Banca Etruria. L'Antitrust presieduta da Pitruzzella che sancisce la bontà dell'operato del ministro Boschi, che ha rispettato la legge Frattini.
Il CSM, vicepresieduto da un ex sottosegretario del governo che spiega come non ci siano problemi se un procuratore che sta indagando sui presunti conflitti di interesse di una banca, sia anche consulente per il governo dove lavora un ministro figlia dell'ex vicepresidente della stessa.
Va tutto bene dunque, possiamo stare tranquilli.

Il va tutto bene è stato anche il cuore del discorso che il primo ministro ha fatto al paese dalle rovine di Pompei. Non poteva avere scenario migliore per celebrare l'Italia che riparte, che è uscita dalle secche, dove i cantieri finalmente vedono la fine.
Il discorso del “ci avevano detto”: ci avevano detto che non avremmo riformato il mondo del lavoro, ci avevano detto che non avremmo riformato la legge elettorale, ci avevano detto che non avremmo fatto le riforme istituzionali …

Vero.
Peccato che nessuno degli elettori del centrosinistra avesse chiesto a Bersani e al PD (alle passate elezioni) di togliere l'articolo 18, di mantenere i capilista bloccati, di mantenere quel premio di maggioranza abnorme (che pure la Consulta ha bocciato) grazie a cui Renzi sta governando.
Nessuno aveva chiesto al suo governo di far finta di togliere le province, di far finta di togliere il Senato.
A meno che Renzi non si stesse rivolgendo all'elettorato di centrodestra, da cui ha pescato i voti (e cui dobbiamo ammettere quanto sia stato coerente il presidente del Consiglio).
Aveva promesso più lavoro, stabile e con più diritti e a crescere è il lavoro a tempo determinato. Di maggiori diritti non si vede l'ombra.
Aveva promesso una legge sulle unioni civili che è rimasta bloccata in commissione.
Avevano promesso trasparenza, una legge sui conflitti di interesse (non quella cosa ridicola che è la legge Frattini che ora che salva Boschi va bene), contro l'auto riciclaggio, il ripristino del falso in bilancio. La trasparenza esiste dove fa comodo (sulle donazioni al PD ma non sui finanziatori delle cene né sugli scontrini degli anni in cui era sindaco).
Su falso in bilancio e autoriciclaggio, come pure sulla lotta all'evasione, è riuscito pure a fare peggio di B.

Ci avevano detto che il bello doveva ancora venire.
E arriva a Milano l'ex city manager della Moratti, a Roma un prefetto che litiga con le targhe alterne, in Campania abbiamo De Luca che imita Crozza mentre imita De Luca.

Ma il vino è buono.
Lo dice l'oste.
L'avete sentito oggi alla Conferenza difine anno? E' filato via tutto liscio, tra piccole punturine (a Marino, ai 5S sulle elezioni a Roma) e battutine.
O riforme o morte.
E poi la situazione nel Mediterraneo, la solidità delle banche, chi è stato truffato dalle banche avrà il dovuto, niente sconti dall'Europa ma chiediamo il rispetto delle regole, quelle regole europee che devono valere per tutti. Dalla Turchia alla Germania.

E su questo il premier ha perfettamente ragione: sull'Europa non può essere solo il rispetto del deficit e sui mezzi con cui combattere il terrorismo, nato e cresciuto all'interno di questa Europa.

27 dicembre 2015

Ed è sempre emergenza

In Italia quando piove troppo è emergenza, alluvioni, frane, paesi che vanno sott'acqua.
Ma anche quando piove poco, come in quest'ultimo mese (dove proprio non sta piovendo) è di nuovo emergenza, per le polveri sottili che si accumulano nell'aria e che contribuiscono ad avvelenare l'ambiente.
Sicché, non essendoci più le mezze stagioni di una volta e nemmeno quelle intere, siamo sempre di emergenza in emergenza.
In Europa abbiamo limiti anche superiori a quelli dell'Oms: qui siamo ad un limite da 50 microgrammi, che però si può superare (come è difatti successo) fino a 35 giorni l'anno.
Si è arrivati a questa emergenza piano piano, giorno dopo giorno: per le stagioni che sono cambiate per le variazioni climatiche, per la conformazione delle nostre regioni (Milano e Torino).
Ma anche per le politiche adottate in questi anni da governi e regioni.
Le targhe alterne che non risolvono il problema (i blocchi no per non danneggiare i commercianti, visto che le gli italiani i regali li comprano in macchina).
Il prediligere il trasposto su gomma a discapito di quello su rotaia.
Ma anche il proliferare di inceneritori, tanto graditi alla nostra classe dirigente (ci aveva provato ad agosto il governo e ci riprova ora).

Marco Palombi sul FQ del 27 dicembre 2015

Peccato che per funzionare abbiamo bisogno di rifiuti da bruciare per tutti gli anni prima dell'ammortamento con effetti poco salutari sull'aria.

Parlare di emergenza è sbagliato: siamo noi i responsabili di questo.
Noi che permettiamo all'Ilva diinquinare ancora la città, col sindaco che chiede alla popolazione di aprire le finestre solo dalle 12 alle 18.
Noi che abbiamo accolto l'arrivo del nuovo commissario a Roma, al posto dell'inefficace Marino. Ma ancora stiamo aspettando l'effetto Expo.
Noi che ci siamo indignati ai tempi del diesel-gate, salvo poi dimenticarci che l'inchiesta sui filtrianti-particolato, sui diesel, coinvolgeva anche noi italiani, il ministro dei trasporti e quello della salute.
Noi che ci siamo indignati quando Genova finiva sott'acqua, per poi scoprire che si stava costruendo un nuovo parcheggio sotterraneo a fianco del Bisagno.
Noi che ci lamentiamo dell'aria pesante a Milano, ma poi in regione si pianificano altre autostrade (dopo i flob Brebemi e Pedemontana).



E sarà sempre emergenza.

26 dicembre 2015

Il guerra e pace della lotta alla droga

Nella copertina del romanzo “Il cartello” di Don Winslow potete leggere il giudizio dello scrittore Ellroy “Il guerra e pace della lotta alla droga”.
Perché è questo “Il cartello”: la storia di una guerra, quasi personale, tra l'agente della DEA Art Keller e i signori della droga in Messico.
Una guerra iniziata tanti anni prima, con “La federacion” di tutte le plaza della droga sotto il controllo di Tio Barrera, che Winslow ci ha raccontato ne “Il potere del cane”:
El SauzalStato di Baja CaliforniaMessico 1997Il neonato è morto tra le braccia della madre.Art Keller deduce dalla posizione dei cadaveri - lei sopra, il bimbo sotto - che la donna ha cercato di fargli da scudo. Di certo sapeva, riflette Art, che la sua morbida carne non poteva fermare le pallottole - non quelle di un fucile automatico, non da quella distanza - ma doveva aver agito d'istinto. Una madre cerca sempre di proteggere con il proprio corpo il figlio. così si è voltata, girando su se stessa mentre il proiettile la colpiva, e poi è caduta sul piccolo.Credeva davvero di poter salvare il piccolo? Forse no, pensa Art. forse non voleva che il piccolo vedesse la morte fiammeggiare dalla canna del fucile. forse voleva che l'ultima sensazione provata dal bimbo in questo mondo fosse il contatto con il suo seno. Tra le braccia dell'amore.Art è cattolico. A quarantasette anni ne ha viste di molte, di Madonne. Ma mai come questa.

“Il potere del cane” termina con la fine del potere di Tio Barrera, la morte dei membri della famiglia e l'arresto di Adàn, il figlio.
Ma in questa guerra Art non ha vinto: ha visto coi propri occhi gli errori compiuti dagli americanos nelle loro guerre, quelle ai narcos in Messico e quella ai vietcong nelle foreste del sudest asiatico. La violenza, la morte, il tradimento.
Ha perso la famiglia e il suo miglior amico, Hernie Hidalgo.
Ha perso anche la fiducia nel suo governo: la storia della lotta ai cartelli della droga si intreccia a quella di Cerbero.
E' questo il nome, inventato nel libro, di una operazione segreta della CIA, con cui rispondeva direttamente al presidente USA, Reagan: era il 1985, il muro di Berlino era ancora lì, come Cuba e il governo Sandinista in Nicaragua. Obiettivo della missione era rovesciare con ogni mezzo il governo sandinista, rifornendo di armi i Contras. Coi soldi del narcotraffico (in proposito vi consiglio di vedere il film “La regola del gioco”).

Il cartello” è il naturale sequel: in esso Don Winslow ha scritto la cronologia di 10 anni di storia in Messico, mostrando la militarizzazione in campo sia dei cartelli della droga che dell'esercito messicano. Mostrando anche come il problema della droga non sia solo messicano, ma anche americano. Se c'è tanta offerta, di droga dal sud America, è perché c'è anche tanta domanda.

Vedremo mai la fine di questa guerra? Nell'intervista a Repubblica, l'autore Don Winslow da una sua soluzione:
Ci dev'essere un modo per sconfiggerli..."La soluzione non è in Messico ma in America e anche in Europa. Siamo noi che compriamo i prodotti dei narcos e finché ci sarà domanda ci sarà offerta. I governi dovrebbero avere il coraggio di fare scelte coraggiose e liberalizzare ogni droga. Perché finché ci saranno droghe illegali ci saranno trafficanti. La liberalizzazione della marijuana in certi stati americani ha già fatto crollare le importazioni messicane del 40 %. Col risultato che oggi l'eroina messicana è più economica degli psicofarmaci ed è tornata nelle strade. Bisogna legalizzare tutte le droghe per levarle per sempre dalle mani dei criminali".

Come ne “Il potere del cane”, anche questo comincia con un prologo, che è cronologicamente ambientato a metà racconto:
Distretto del Petén, Guatemala, 1º novembre 2012.
A Keller sembra di udire il pianto di un neonato. Il suono è quasi coperto dal rumore dei rotori dell’elicottero che si abbassa sul villaggio nella giungla. Il pianto, se si tratta di questo, è acuto e forte, un grido di fame, paura o dolore”.

La guerra non ha ancora fine e ci saranno ancora morti, soldati, criminali, ma anche innocenti:
Ci saranno dei morti. Come è giusto che sia, pensa Keller. Visto che è il Giorno dei Morti”.

Il cartello: la scheda sul sito di Einaudi

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

25 dicembre 2015

Il canto di Natale - quinta strofa

Prima d’aprir l’usciolo, Bob si avea tolto il cappello e il famoso fazzoletto. In un baleno, si trovò sullo sgabello, e si diè a scribacchiare in fretta e furia come per riafferrare le nove che erano passate.
- Ohe! - grugnì Scrooge con la solita sua voce chioccia per quanto gli riusciva di fingere. - Che vuol dir ciò? a quest’ora si viene in ufficio?
- Mi dispiace molto, signore, - rispose Bob. - Sono in ritardo.
- Siete in ritardo? - ripeté Scrooge. - Lo vedo che siete in ritardo. Favorite di qua, vi prego.
- È una volta all’anno, signore, - si scusava Bob, uscendo dalla sua cisterna. - Non accadrà più. Sono stato un po’ in allegria ieri sera, signore.
- Bravo, adesso ve la do io l’allegria, disse Scrooge. - Non son più disposto a tollerare, capite. Epperò - e così dicendo balzava giù dal suo sgabello e dava a Bob una manata così forte nel panciotto da farlo indietreggiare barcollando, - epperò io vi aumento il salario! -
 
Bob tremò e si accostò un po’ più alla riga. Ebbe un’idea momentanea di darla sulla testa a Scrooge; tenerlo saldo; chiamar gente; fargli mettere la camicia di forza.
- Buon Natale, Bob! - disse Scrooge battendogli sulla spalla con una cordialità schietta, da non si poter sbagliare. - Un Natale, Bob, molto più allegro di quanti non ve n’ho augurati per tanti anni, ragazzo mio. Vi cresco il salario e farò di tutto per assistere la vostra famiglia laboriosa, e oggi stesso, Bob, oggi stesso discuteremo i vostri affari davanti a un bel ponce fumante. Accendete i fuochi e andate subito, mio caro Bob, a comprare un’altra scatola di carboni, prima di mettere un altro solo punto sopra un i.
 
Scrooge fu anche più largo della sua parola. Fece quanto avea detto, e infinitamente di più; e in quanto a Tiny Tim, che non morì niente affatto, gli fu come un secondo padre. Divenne così buon amico, così buon padrone, così buon uomo, come se ne davano un tempo nella buona vecchia città, o in qualunque altra vecchia città, o paesello, o borgata nel buon mondo di una volta. Risero alcuni di quel mutamento, ma egli li lasciava ridere e non vi badava; perché sapeva bene che molte cose buone, su questo mondo, cominciano sempre col muovere il riso in certa gente. Poiché ciechi aveano da essere, meglio valeva che stringessero gli occhi in una smorfia di ilarità, anzi che essere attaccati da qualche male meno attraente. Anch’egli, in fondo al cuore, rideva: e gli bastava questo, e non chiedeva altro. 
Con gli Spiriti non ebbe più da fare; ma se ne rifece con gli uomini. E di lui fu sempre detto che non c’era uomo al mondo che sapesse così bene festeggiare il Natale. Così lo stesso si dica di noi, di tutti noi e di ciascuno! E così, come Tiny Tim diceva: "Dio ci protegga tutti e ci benedica".

Il canto di Natale - Chales Dickens

Auguri!

24 dicembre 2015

Ne valeva la pena (quella vena di pessimismo alla vigilia di Natale)

Seguo spesso i tweet della base renziana per capire come ragiona la pancia del potere, quali siano le armi di distrazione di massa, gli spot con cui indorare il mondo.
Ieri, per esempio i filoni erano la risposta dell'antitrust al M5S, l'inaugurazione della variante di Valico e poi la riforma della Rai e la commissione di inchiesta sulle banche.

L'antitrust  (di Pitruzzella) risponde a De Battista (M5S) dicendo che il ministro Boschi non ha violato le norme sul conflitto di interessi: è la legge Frattini del 2004. Ci tocca riabilitare il governo Berlusconi, e i suoi conflitti di interesse che tanto scandalizzavano il PD (o forse era invidia) ai tempi. Tra l'altro, pure lui aveva inaugurato un pezzo della variante, anni fa. A volte ritornano, verrebbe da dire, o non se ne sono andati.

Stante così le cose mi chiedo se ne sia valsa la pena, battersi in tutti questi anni contro leggi ad personam, conflitti di interesse (tv, assicurazioni, calcio..), disprezzo dei principi della Costituzione (la legge uguale per tutti, il diritto alle cure, l'accesso agli studi, la tassazione progressiva al reddito, il senso morale di chi rappresenta lo Stato).
Valeva la pena prendersela con B. , con Bondi, con Verdini, con Bonaiuti, Schifani, Alfano, Formigoni, quando ora te li ritrovi dall'altra parte. Compreso Sala, il city manager della Moratti (altro ministro di B. ed ex sindaco PDL di Milano). A parte Brunetta, l'ultimo giapponese, è tutto un mescolamento, un uniformarsi al centro. Viva le riforme, viva la stabilità.

Volevamo una Rai lontana dai partiti, senza lottizzazioni e ora troviamo un'azienda in mano ad un supermanager che risponde al governo che nominerà direttori di provata fede politica.
Volevamo la fine delle grandi opere faraoniche e stiamo ancora lì a parlare di TAV e di Ponte sullo stretto. Inauguriamo tratti di autostrade, con tanto di crepefotografate dai giornalisti, costati miliardi e durati anni, per i soliti tagli di nastro autocelebrativi.

Ne valeva la pena?
Siamo passati dal Trota, dai La Russa jr, dai Ligresti jr alla figlia del presidente Boschi e dell'imprenditore Guidi.
Dalle banche in mano ai furbetti del quartierino, alle banche usate per gli affari dei parenti.
Dalla Tv lottizzata alla tv lottizzata.
Le unioni civili le stiamo aspettando.

La legge elettorale è stata modificata e per garantire la stabilità ha un premio di maggioranza che cambia gli assetti istituzionali senza dirlo.

Ancora un po' e sentiremo dire che i ristoranti sono pieni ..

23 dicembre 2015

Cose che succedono in Italia (le spese pazze di Trenord)

Questa è una storia tipicamente italiana che mi pesa leggere due volte: come pendolare Trenord e come cittadino lombardo.
Cittadino cioè di quella regione che viene considerata la locomotiva d'Italia, dove Milano è capitale morale del paese.

Spero che almeno Cantone (che oggi viene tirato in ballo ogni volta che ci si imbatte in una rogna) faccia qualcosa.
E' la storia di un impiegato, Andrea Franzoso, di una società pubblica che ha fatto il suo dovere e che per questo è stato esautorato:
Ferrovie Nord, denunciò le spese allegre. 
Per premio lo mettono a fare passacarte.
Grazie a lui i ladri sono stati cacciati da Fnm, Ferrovie Nord Milano, una società quotata in borsa e controllata dalla Regione Lombardia. Grazie a lui, non grazie alla Regione o alla Commissione di controllo sulla borsa (Consob), le spese pazze per auto, quadri, scarpe, viaggi e pranzi sono state scoperte dai magistrati, l’ex presidente Norberto Achille è stato indagato per peculato e truffa e l’ex presidente del collegio sindacale Carlo Alberto Belloni per tentato favoreggiamento. Per premio il funzionario dell’audit di Fnm Andrea Franzoso è stato messo fuori gioco. Né la Regione Lombardia a guida leghista né la Consob di Vincenzo Vegas hanno mosso un dito per proteggerlo.
Il whistleblower di Fnm (letteralmente “il soffiatore di fischietto” ossia chi, come l’arbitro davanti a un fallo, fischia per fermare il gioco sporco e dovrebbe essere protetto dalla legge e dai codici aziendali, tra l’altro Fnm ne ha approvato appena uno che non comprende il caso di Franzoso), non fischierà più. La gola profonda che ha collaborato con i magistrati per far scoprire i reati dei dirigenti Fnm, amici dei politici, è rimasto senza voce. Niente più controlli per lui ma un incarico da passacarte. Così impara la lezione. D’altro canto l’ex presidente del collegio sindacale Belloni (poi indagato e costretto alle dimissioni) il 27 aprile scorso, dopo lo scandalo dell’inchiesta ma prima dell’uscita delle carte dell’ordinanza, era stato chiaro con lui.
Franzoso ha registrato quel colloquio e ha allegato la trascrizione nel ricorso al giudice del lavoro appena presentato contro Fnm per chiedere di essere rimesso dove stava: “Con franchezza, te e Nocerino (l’altro funzionario dell’audit che aveva parlato con i carabinieri, ndr) siete messi molto male”, parte Belloni. Il perché è presto detto: “Io vi avevo spiegato, sia a te che a Nocerino, di non insistere sulla strada su cui stavate insistendo”.
 
Belloni è amareggiato perché dopo l’arresto del precedente capo del servizio audit voleva promuovere proprio le due serpi piene di un veleno chiamato onestà che si era cresciuto in seno. “Io pensavo da voi, o da te o dall’altro di tirare fuori il responsabile dell’Internal Audit… non l’avete voluto capire… sono uscite cose che negli audit non andavano scritte… io te lo dico con molta franchezza: dal 26 maggio in poi quell’ufficio lì (Internal Audit, ndr) viene smantellato”. 
La questione interessante è che Belloni sta parlando del nuovo corso di Andrea Gibelli, il nuovo presidente leghista: “Gibelli secondo te cosa fa? Si tiene questo audit? Si tiene questo Odv (Organismo di vigilanza, ndr)? si tiene questa gente qua? Secondo te? Gibelli la cambia. Il minimo che deve fare. Se a te ti mandano a Como? E Nocerino lo mandano ad Iseo? Cosa facciamo? Eh? Ci hai pensato a questo? Ci avete pensato, te e Nocerino, a questa roba qua? Che forse bastava venire su e dire le cose man mano che venivano avanti, e seguire quello che vi dicevo io, e stare più prudenti… e non farvi prendere dalla foga di capire, di avere”. 
Belloni fa un ragionamento sottile. Franzoso e il suo collega hanno sbagliato a usare quelle carte nell’interesse della società e non nel loro. Come direbbe Razzi, “fatti un po’ i c… tuoi”, sembra dire Belloni. “Non dicevo che non bisognava trovarle… bisognava trovarle, fare come faceva Orlandini (l’ex responsabile Internal Audit Fnm, poi arrestato per altre storie, ndr), a cui le davate le cose. Orlandini veniva dal presidente e le mediava… a suo vantaggio, a suo vantaggio… che Orlandini fosse un figlio di puttana lo sapevate. Bastava dirmele le cose”. 
Poi c’è l’apologo agghiacciante sul campo di sterminio: “Il comandante di Auschwitz, che di certo non era uno stinco di santo (…) l’unica cosa che non ha mai fatto è indagare sui revisori dei conti che gli mandava Berlino. Mai. Mai fatto. Aveva il Comitato di controllo interno, aveva l’Odv interno del campo, fatto da Ss. Quando una Ss si svegliava, in questo caso l’Ss Quaini (ex membro del Cda, ndr) si svegliava e diceva: bisogna indagare sul comandante, su su… sul presidente dei revisori dei conti che arriva da Berlino, gli diceva: ‘Guarda, tu non sei ariano perfetto, comincia ad accomodarti dentro al forno crematorio’”. La leghista Laura Quaini era allora presidente del Comitato controllo e rischi, ed è stata decisiva nell’aiutare i controllori onesti come Franzoso. Dopo essere stata paragonata da Belloni al controllore onesto di Auschwitz, non è stata confermata nel cda scelto dalla Regione a guida leghista.

#tgbello

La buona notizia è che, forse, la governance della Rai è un po' meno nelle mani dei partiti.
La cattiva è che ora, con la riforma approvata ieri in Senato, è nelle mani dell'esecutivo: pieni poteri all'AD scelto dal governo, un budget più ampio grazie alla riscossione del canone in bolletta, meno poteri alla vigilanza.
La Rai diventa così come le altre grandi aziende pubbliche: tanti poteri al supermanager che, se sbaglia, può essere cacciato.
Ma la Rai non è un'azienda come le altre e la misurazione dei risultati è più complicata: basta lo share, il gradimento dell'esecutivo, il mandare in onda a tutte le ore le #goodnews?
C'è da preparare la discesa in campo di Sala a Milano, ci sono le elezioni nel resto del paese, ci sono i decimali di crescita da strombazzare, ci sono i nastri da tagliare, c'è da far digerire all'elettorato di sinistra i nuovi ingressi (perché c'è l'italicum e bisogna vincere).. 

La Rai ha il compito di fare informazione, fare le pulci al potere, fare cultura, garantire un minimo di pluralismo.
Raccontando la storia del salvataggio delle banche  anche da qualche altro punto di vista (non solo quello di bankitalia e Consob), le storie del mondo del lavoro (e magari anche che FCa proseguirà con la cassa integrazione a Mirafiori e Grugliasco anche l'anno prossimo).

Intervistato da quei gufi del FQ, oggi il direttore del TG de la7 si chiede "e se l'avesse fatto Berlusconi?".
Domanda oziosa in tempi di leopolde e di rottamazione del pensiero critico.
Chissà, forse questa notte di Natale i fantasmi dei natali e presenti passati andranno a far visita a Renzi. 

22 dicembre 2015

Sull'orlo del precipizio di Antonio Manzini

Incipit
Guardava il monitor del suo computer. Al centro del foglio bianco, in Times New Roman, corpo 14 maiuscolo grassetto, aveva scritto la parola FINE.L’orologio segnava le 23:30.
Sull’orlo del precipizio, il suo ultimo romanzo, era terminato.
Due anni, sei mesi e 13 giorni, tanto era costato in termini di tempo. A questo si dovevano aggiungere l’ansia, la fatica, le notti insonni, i dolori alla cervicale, 862 pacchetti di sigarette, tre influenze, 30 rate di mutuo.
Alle 23:30 di quel 2 ottobre 2015 guardando quella parola semplice di due sillabe, Giorgio Volpe, uno dei più grandi scrittori italiani, si interrogava sul suo stato d’animo.
Come sto? si chiedeva.Felice? A pezzi? Frustrato? Commosso?
Le emozioni si avvicendavano con la frequenza dei battiti cardiaci e tutte gli si adattavano al corpo come abiti cuciti da una mano di alta sartoria. Era il momento di salvare il documento e andare a dormire. Ma non riusciva a prendere sonno. Parole e frasi gli danzavano davanti agli occhi. E i dubbi lo assalivanostringendogli la gola.[Lo potete scaricare anche dall'articolo del FQ, da Sellerio]

L'ultimo romanzo di Antonio Manzini è una sorta di provocazione letteraria, un portare all'eccesso una questione, la fusione delle due case editrici Mondadori e Rizzoli, col rischio di arrivare ad una industrializzazione del prodotto letterario.
I libri come una prodotto qualunque: una saponetta o la nutella della Ferrero.
La storia parte dalla pubblicazione del romanzo “Sull'orlo del precipizio”, appena terminato dallo scrittore Giorgio Volpe:
L’INDOMANI, 3 ottobre 2015, avrebbe consegnato il manoscritto alla sua editor. Per molti un giorno come un altro, ma per i suoi lettori una data da segnarsi sull’agenda. L’aspettavano da due anni, sei mesi e 13 giorni. Tutti in attesa di chiudersi in casa, prendersi le ferie, congedarsi in malattia non retribuitae mettersi a leggere l’ultima fatica di Giorgio Volpe.Pochi erano gli scrittori che potevano ostentare un palmarès come il suo. I premi importanti li aveva vinti tutti. Le vette delle classifiche di vendita erano per lui un luogo familiare. La mala bestia, Cinquecento giorni all’i n fe r no , Facce... erano stati tre dei suoi maggiori successi. Tutte le trasposizioni cinematografiche avevano mietuto il favore della critica e soprattutto l’entusiasmo del pubblico.Il suo ultimo romanzo, Mar dei Sargassi, aveva frantumato sei record di vendita. Ora toccava a Sull’orlo del precipizio.
Ottocento pagine che raccontavano la storia della sua famiglia, del nonno, del padre, nella vecchia casa di campagna.
I fascisti, la liberazione, la Democrazia cristiana, il fallimento della sinistra, il fallimento di una famiglia. Di un paese. Di un continente. Il suo romanzo più difficile e amaro, quello che emotivamente gli era costato di più, che in quei due anni e mezzo di gestazione non gli aveva dato tregua neanche per un’ora”.

In questo libro è la Gozzi, la casa editrice di Volpi, a fondersi con altre case, per prendere il nome di Sigma.
Dopo aver presentato le bozze alla sua storica editor, Fiorella, Giorgio Volpe si trova davanti due nuovi editor della Sigma, Aldo e Sergej. Il primo sembra un venditore di case, il secondo non parla nemmeno bene l'italiano.

«Adesso la Sigma ripubblica tutti i successi del grande scrittore russo».
«I successi?» disse sbalordito Giorgio. «E che è, una compilation?».
«Sì. Vojna i mir esce settimana prossima. Ma senza inizio in francese... senza Waterloo, più corto. Solo 300 pagine». Sergej sorrise contento e fiero.
«Vojna i mir... Guerra e pace?».
«Solo pace. Guerra la tagliamo tutta». «Non si può angosciare il lettore. Guerra, odio, morte, malattie, romanzi distopici e senza futuro, basta! ..

Un intero mondo crolla addosso al povero Giorgio: basta con le metafore, basta con la guerra, basta col fascismo.

«Taliare tuti i capitoli su fascismo. Fino a scoppio guerra» aggiunse Sergej.
«Tagliare? Ma siete matti?».
«Cosa frega a giovani di fascismo? Cosa passata».
«Cosa passata? Il fascismo? In questo paese, Sergej, il fascismo è stato un periodo storico che ancora paghiamo e che...».
«Che frega a me? Allora Stalin?».


Basta anche con Manzoni: i due editor rampanti hanno messo mano anche al libro di Manzoni per renderlo, diciamo così, più attuale

«Da oggi diventa: “Quel pezzo di lago in provincia di Como (città di 85 mila abitanti, situata in Lombardia dove nacquero Plinio il vecchio, Plinio il giovane e Alessandro Volta, l’inventore della pila), che davvero non si incula nessuno,[..]Ecco, lo sente? La prosa diventa moderna, pochi fronzoli, informazioni utili

Il libro non è più un percorso accidentato, con una storia articolata, col suo carico di metafore, iperboli, di lemmi, sineddoche: deve diventare un prodotto commerciale vendibile ad un pubblico il più ampio possibile.
La gente vuole leggere di sesso? E allora diamoglielo
«Lei, Volpe, qui scrive bella scena di sesso...».
Sergej riaprì la moleskine con le istruzioni della Sigma.
«Due coiti, far vedere le tette e il sesso bagnato di donna, soprassedere su quello di maschio. Pompini solo se necessario».
Poi guardò Giorgio negli occhi. «Lei piaciono pompini?».

Tot chilogrammi di sesso, tot chilogrammi di violenza, tot chilogrammi di passione e lacrime. Un libro, come una merendina, come un panettone, come un format televisivo di quelli che vediamo in tv ogni giorno.
A Giorgio Volpe, per un discorso di dignità, non rimane che parlare direttamente col presidente della casa editrice, a Milano, nella storica sede: ma qui l'attende una nuova sorpresa.
Di fronte non trova più il vecchio capo dei capi, che pure era entusiasta della bozza.
Di fronte una donna manager che gli spiega in modo chiaro e tondo quello che è la Sigma
Sinceramente, Volpe, a noi della sua etica, della sua poetica, della sua narrativa, del suo stile, dei suoi aggettivi e dei suoi avverbi non interessa.”

Ogni autore avrà un suo codice prodotto:
..Volpe, lei sarà un codice prodotto. E qualsiasi libro scriverà, di qualsiasi genere, forma e contenuto, lei otterrà sempre quei livelli di vendita. [..]Per esempio la Ferrero. C’è un codice prodotto, per la Nutella, diciamo, ed è sempre lo stesso. E ogni anno prevedono quante se ne venderanno”.

Il racconto prende una piega sempre più sconvolgente per lo scrittore, che si ritrova dentro uno scenario, immaginario chiaramente, alla Orwell.
Viene in mente, leggendo le ultime pagine, il processo di condizionamento di Winston Smith, secondo cui 2+2=5.
Ma forse, più che a 1984, dovremmo citare Fahrenheit 451, altro romanzo distopico, dove si immagina un mondo in cui i libri vengono bruciati.
Qui, più semplicemente i libro si tramutano in “codice prodotto”, la narrativa in “comunicazione in lingua indigena”, un romanzo di formazione è mutato in un feuilleton di cappa e spada. E lo scrittore in un produttore di materiale da vendere, con ben precise scadenze.

Perché in fondo “La vita non era poi tanto male”.

La scheda del libro sul sito di Sellerio.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon.

Benedetto Italicum (ma la democrazia?)

Meno male che in Italia abbiamo l'Italicum..
Ah, se in Spagna avessero avuto l'Italicum ..
L'Italicum va bene così com'è ..

Anche le elezioni di domenica in Spagna sono servite a portare acqua al mulino della governabilità e del dogma della stabilità politica.
Quello secondo cui chi governa non deve  avere impicci ma deve fare quello che vuole senza nessun controllo.
Ma non è vero che il problema della Spagna sia la sua legge elettorale: in Spagna, come in Francia prima, in Grecia e in Italia nel 2013, gli elettori hanno bocciato i partiti di governo, preferendo altre forze, anche se alla prima esperienza elettorale.
Il problema è la scarsa fiducia al PPE in Spagna, ai socialisti in Francia, alla sinistra in Grecia, al PD in Italia.
Problema cui si è risposto in modo (auto)conservativo: le larghe intese in Italia, l'attacco a Tsipras e Syriza in Grecia (che ha portato al rimpasto) alla coalizione anti Le Pen in Francia. E vedremo ora cosa succederà in Spagna.
Quello che è successo è che si è andata a svuotare la democrazia: agli elettori di sinistra oggi viene chiesto di votare per Sarkozy in Francia, per Verdini e Alfano in Italia, per una coalizione con dentro la destra in Grecia.
O Sala a Milano, il grande manager di Expo che ha chiuso i bilanci in positivo grazie all'aiuto del governo (che ne ha sponsorizzato la candidatura a sindaco).
Che razza di democrazia è questa?
Quella dei partiti senza elettori.
Quella dell'Italicum che premia la coalizione che ha dentro di tutto di più, mettendoci dentro Ala, NCD, quello che rimane di SC.
La democrazia dove la forma è salva ma dentro la sostanza è marcia.
Come per la vicenda delle banche popolari: l'articolo 47 della Costituzione parla di tutela del risparmio, ma la realtà racconta altro.
"Se qualcuno ha sbagliato, pagherà" ha spiegato il governatore Visco nell'intervista a Che tempo che fa, senza spiegare come mai pur sapendo delle condizioni pessime della banca Etruria non hanno avvisato il parco buoi a cui hanno poi venduti le obbligazioni subordinate.

Benedetto Italicum, allora, e benedetto questo governo, benedetto questo sistema di Consob e Bankitalia, benedetto questo CSM che nomina i dirigenti dei tribunali in base alle correnti e non si preoccupa di casi come quello del procuratore di Arezzo.
Ma la democrazia? La rappresentatività?

21 dicembre 2015

Mistero sul lago nero, di Massimo Cassani

 L’immagine di copertina è di Angela Varani.  
Incipit
Un po’ di malinconia mi stava venendo, amici miei, ve lo devo confessare. Ma stavo provando ad ammorbidirla con due dita di Jack Daniel’s liscio, sorseggiate con calma, le gambe allungate sulla scrivania, lo sguardo al soffitto.Nell’intonaco annerito dal fumo di sigaretta si intrecciavano svincoli di ipnotiche e tortuose fessure scavate dal tempo.
Ero solo, tolta una cimice che sgambettava sul vetro della finestra con addosso soltanto qualche goccia di Chanel N°5. Stavo lì senza far niente, aspettavo e basta. Ho sempre adorato star lì, senza far niente, aspettando e basta, ma quella volta la malinconia mi stava rovinando il mio passatempo preferito.
È stato al secondo sorsetto che dietro la porta smerigliata dell’ufficio ho visto il profilo di una donna, il naso perfetto e la chioma vaporosa ingigantita come un’ombra cinese.Per un attimo – ma soltanto per un attimo – mi sono vergognato che il vetro avesse nel mezzo una crepa inelegante.L’ombra se n’è rimasta immobile per qualche secondo, come un fotogramma di un film.
 
Intuivo una mano sul pomello e immaginavo due occhi splendidi leggere la scritta “Mario Borri – Investigazioni”. Ho preso un terzo sorsetto e ho tirato giù i piedi dalla scrivania. In presenza di una bella signora so essere fine, e chi afferma il contrario è un bugiardone spudorato.[Il primo capitolo lo potete scaricare qui]

Cosa succede se un detective privato milanese, viene assunto per seguire un caso (l'ultimo prima di andare in pensione) in provincia, sul Lago?
Questo succede al milanesissimo Mario Borri, investigatore che sembra uscito da una pellicola anni '40 in bianco e nero: 1 metro e sessanta d'altezza e col vizio naturale di fare battute con le clienti, specie quelle avvenenti.
Nonostante abbia deciso di ritirarsi, decide di accettare il caso offerto da una splendida signora fulva, tanto bella quanto distaccata. Forse i piccioni del parco possono aspettare.
Di mezzo, nel caso, c'è una questione di eredità di una vecchia zia (della cliente) che nel testamento ha messo precise indicazioni affinché le sue due nipoti possano ereditare.
Una delle sue nipoti è la cliente di Mario Borri, e questo ve l'avevo già detto. Che dovrà tenersi lontano dalla bottiglia. L'altra è la sorellina che Borri deve sorvegliare.
Perché le disposizioni sono state chiare:
È per mia zia”, ha detto.  
Ho alzato lo sguardo verso il reticolo di crepe del soffitto e ho sbuffato in alto una nuvola di fumo. Ho caricato la mia voce di tutta la sufficienza di cui sono stato capace e ho detto: “Va bene che il vetro della porta ha una crepa in mezzo, ma la scritta si legge bene: In-ve-sti-ga-zio-ni, non Casa di riposo. Forse voleva andare alla Baggina e ha sbagliato strada”.
Un’altra battuta delle sue e me ne vado”, ma non si è mossa di un millimetro.
Se mi vuole assumere è meglio che si abitui. Le battute mi vengono naturali e di solito le donne ridono, non sorridono come la Gioconda. Cos’ha la zietta che non va?”
  
È morta”.  
Capisco. Capita. Vuole che pedini il feretro?” 
No, voglio che tenga d’occhio mia sorella”, e mi ha allungato un foglietto bianco. “Qui c’è nome, cognome e indirizzo”.Ho dato un’occhiata distratta, era l’indirizzo di un paese di provincia, sentito soltanto nominare. Ho lasciato planare il foglietto sul ripiano della scrivania e mi sono fatto sotto: Se non beve cosa ci faceva agli alcolisti anonimi?” 
E lei? 
Le domande dovrei farle io. Ma per dimostrarle che sono un gentiluomo le voglio rispondere: tenevo d’occhio un giovanotto. Ci dava un po’ troppo dentro con l’Amaro Lucano. Ero stato incaricato dalla famiglia, dovevo assicurarmi che a quelle riunioni ci andasse davvero e non frequentasse i bar. Ero diventato il suo angelo custode”.

L'incarico è all'apparenza semplice: Mario Borri investigatore deve tenere d'occhio la sorellina, che è un tipo un po' leggero con gli uomini, per incastrarla (un anno di astinenza, questa la clausola della zietta).
Ma dietro tutta questa apparenza, c'è il fatto che le indagini non si svolgeranno più nei quartieri ben noti di Milano, ma in un un paese, Mirate al lago, che si dimostrerà fin da subito ben poco accogliente con l'investigatore venuto dalla città.
Col suo vestito bianco di lino e la sua Renault color cacca.
Prima un incontro poco amichevole col le suore del “Rifugio del pellegrino”.
Poi con un albergo dove non fanno da mangiare e un bar dove da mangiare ci sono solo piselli in scatola.
Va bene che non siamo a Milano, ma qui si esagera!

Ma la storia si complica fin da subito: il primo appostamento alla sorellina, in una notte di stelle che termina poi con un bell'acquazzone, si trasforma in un quasi tentato omicidio, nei confronti della ragazza, da parte del “manzetto” che la stava accompagnando e da cui lo stesso Borri deve scappare.
Perdendoci pure la macchina fotografica e le scarpe. Manco fosse Cenerentola e non un investigatore professionista.
Il paese è piccolo e ha mille occhi, e nessuno vuole collaborare con questo investigatore per giunta forestiero. I vigili sembra che abbiamo una passione per la sua auto. Mille occhi lo tengono d'occhio, come quelli che lo dalle tendine del rifugio delle suorine.
C'è qualcosa che sfugge in questa storia, a Mario Borri investigatore: porca paletta, mica può tornarsene a casa senza aver risolto il caso!
Ero avvilito, amici miei. Avvilito e stanco. E avevo una strana sensazione (sempre fidarsi delle sensazioni): tutto ciò che vedevo in quel paese era una specie di fondale, il fondale di un teatro di posa. Dietro quel fondale – non sapevo neppure io quanto nascosta, quanto segreta – c'era la realtà. E io dovevo guardarla in faccia, quella realtà, se volevo venire a capo del caso. [..] Bisognava andare più a fondo. In mano avevo solo minuscoli fotogrammi, ma la trama del film mi era ancora oscura”.

Ci arriverà a mettere in luce la trama del caso, Mario Borri, assieme ai suoi ragazzi: un guardiano di cinghiali, un barista con la passione delle armi e due anziani avventori del bar, di cui uno senza cappello.
Ma sarà un finale di carriera un pelino amaro, nonostante la soddisfazione di aver risolto il caso.

Uno scrittore deve provare a cimentarsi in qualcosa di nuovo: questa massima deve aver ispirato Massimo Cassani che, abbandonato momentaneamente il personaggio di Sandro Micuzzi e la sua Milano (e via Padova), tira fuori dal cilindro questo nuovo personaggio, Mario Borri.
1 metro e sessanta di astuzia, umorismo e anche tanta passione per le sottane e il Jack Daniel's.
Uno che ha deciso di ritarsi dal lavoro, per ritirarsi in riviera e scrivere un bel libro (perché, si sa, gli scrittori rimorchiano sempre le belle donne).
Quello che viene fuori è un giallo che ammicca al romanzo hard boiled americano, ma anche al romanzo italiano, per la sua ambientazione in provincia, con robusti innesti di ironia, come quando racconta delle disgrazie che capitano al nostro Borri al suo primo impatto con la provincia e la sua natura, che gli fanno venir voglia di cemento. Un mix che funziona proprio perché Massimo Cassani li conosce bene questi due ingredienti.

Buona lettura!

Il blog dell'autore, Massimo Cassani e la scheda del libro sul sito di Laurana editore

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Report – come è andata a finire (Anas Mps e altre inchieste)

“Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”
Albert Einstein

Prima chiudere la stagione con i servizi su Ana, Mps .. Milena Gabanelli è tornata alla puntata su Eni che sui social e sul suo sito ha scatenato la sua battaglia contro Report: “quello che report non vi racconterà”.

Eppure Eni ha negato l'intervista a Luca Chianca, si è sottratta al confronto, non ha visto l'inchiesta e ha fatto passare sui media la sua visione mediatica d'assalto, che alla fine è stata solo una grande opera di distrazione di massa.
E il miliardo di Eni, in che tasche è finito?
Eni, che non è un'azienda privata, non dovrebbe rispondere ai cittadini di come spende i soldi?
E magari anche ai dipendenti dei poli chimici, che Eni vuole vendere ad un fondo privato americano, sponsorizzato da una banca in cui lavora Scaroni, che ora sono preoccupati del loro lavoro.

Come è andata a finire? Questi i servizi della puntata di ieri di Report.
Cominciamo da Anas: “abbiamo un sistema di controllo sofisticato, in anas non c'è un giro di mazzette” – diceva Ciucci. Infatti le chiamavano ciliege, c'erano dirigenti che si compravano quadri e scarpe di pitoni...
Il caro estinto: nel 1998 se ne era occupato Iovene. Perché ci sono agenzie che subiscono minacce e attentati con delle bombe?
Gli sviluppi sul caso Mps, i pacemaker con certificati falsi su cui dovrebbe controllare l'istituto superiore della sanità e il Ponte sullo stretto: quanto ci sta costando?

Partiamo dal ponte sullo stretto: c'era una volta il ponte sospeso più lungo del mondo.
Nel 2002, alla data della prima inchiesta di Report, il progetto era lì per venire.
Il prof. Di Majo è uno dei pochi esperti che si è visto il progetto, dove le macchine sono disegnate al contrario. Il progetto servirà per i treni o per le auto?
L'affare da 4,4 miliardi se lo è aggiudicata Impregilo “una società garantita” diceva Ciucci nel 2005.
Nel 2011 Monti l'aveva messa in liquidazione, ma Eurolink (Salini e Impregilo) aperto un contenzioso con lo stato da 800 ml. Ma cosa ha fatto per chiedere i danni allo Stato?

Stefania Rimini ha visto cosa ha fatto la società stretto di Messina: nessun progetto esecutivo, solo rendering e progetti su carta.
Di opere realizzate c'è solo una galleria propedeutica al ponte, la variante di Cannitello, che è la prima pietra di Berlusconi, per un costo da 26 ml circa: non vale il prezzo della penale, su un progetto da miliardi.

Ciucci nel 2005 aveva garantito che non ci sarebbero state penali, ma poi nel 2009 firma un atto dove queste vengono fuori, anche in questa fase non esecutiva.
O Eurolink chiede troppo o gli viene permesso di chiedere troppo: ma a queste società fa comodo dire che conviene costruire (per uno costo dello stato stimato in 1,5 miliardi) piuttosto che pagare le penali per non fare niente.
Ci possiamo fidare delle stime di salini?
I soldi pubblici (1,5 miliardi) al momento non ci sono, non li ha messi nemmeno Berlusconi: il finanziamento del ponte è sempre stato un bluff, ma abbiamo mantenuto i dipendenti della società del ponte, per non fare niente.

Il progetto esecutivo al momento non risolve i problemi ambientali, il problema di dove mettere i terreni di scavo, in una zona a rischio sismico. A Messina non hanno avuto l'acqua per settimane, da dove si prenderebbe l'acqua per il ponte?
Perché non si investono soldi nel dissesto idrogeologico?
Perché non si risolve il problema delle ferrovie in Sicilia, dove non ci sono treni veloci e il 30% è a gasolio e il 23% è a binario unico.

Il traffico dei treni è crollato sullo stretto, c'è solo un treno che arriva a Milano, dopo 22 ore.
E ora, se dovessimo pagare, chi ci mette i soldi?
Forse Salini usa le penali come pressione sul governo, per farsi dare altri incarichi?

Il monte dei misteri: MPS, il suicidio di Rossi e i derivati.
Il capo della comunicazione Rossi si suicida nel 2013: la sua morte viene prima archiviata e poi riaperta nel novembre 2013, dopo ulteriori analisi sul corpo.
Le perizie sui bigliettini lasciati da Rossi in ufficio hanno mostrato delle irregolarità, come se il soggetto avesse una mobilità limitata. Come se ci fosse qualcuno nella stanza ..

Le indagini su Mussari hanno mostrato come la banca ha usato i derivati per coprire i buchi, derivati che erano iscritti a bilancio come titoli di Stato.
Bankitalia si è accorta dei derivati nel 2012, la relazione è stata mandata alla Consob poco dopo, che ha fatto le verifiche solo nel 2015.
Viola AD in MPS ha guadagnato 6 ml di euro, in tre anni, nel momento in cui molti lavoratori sono stati mandati a casa.
Solo dopo 3 anni Consob scrive che quei bilanci erano falsi: perché questo ritardo? E' la stessa storia per le popolari, se i risparmiatori avessero letto la paginetta sui rischi non avrebbero perso i soldi.
In giro ci sono 100mila persona rovinate, ma Vegas rimane alla Consob a fare il suo lavoro …

Iovene aveva fatto un'inchiesta nel 1998 sulle agenzie funebri, che lavoravano direttamente nelle camere mortuari e dove gli infermieri prendevano delle mazzette.
Non si potrebbe stazionare nelle camere mortuarie, per procacciarsi gli affari: ma in Lazio hanno dato l'appalto ad una società, che si ripaga sull'ospedale.

Iovene ha sentito diverse agenzie, che raccontano di contatti con gli infermieri, di abusivi in lotta tra loro, delle proteste dei concorrenti dentro la camera mortuaria.
L'appalto infinito dell'agenzia che ha vinto, è regolare? I dati dell'appalto sono stati negati ad un consigliere regionale.
Al S. Andrea ci sarebbe stato anche un arresto, per una procedura irregolare: le aziende pagavano gli ospedali, per fare i funerali.
A Roma abbiamo 600 agenzie funebri, che si scatenano nella caccia al morto: oltre a queste troviamo agenzie abusive, altre che hanno appalti scaduti ma che lavorano lo stesso.
Tutto questo succede nella capitale, dentro gli ospedali: quello delle onoranze funebri è un settore poco regolamentato.
Nel Lazio poche società grosse gestiscono in modo sleale, senza trasparenza, buona parte del settore: gli altri, rimasti a bocca asciutta, si sono organizzati per mostrare la loro protesta, con dei blitz dentro gli ospedali: il dg dell'Asl di Roma 3 ammette che servirebbero gli appalti.
La nuova gara sarà nel 2016, nel frattempo nel policlinico Casilino c'è una società privata col cartellino dell'ospedale, che farebbe attività promozionale.

Zingaretti presenterà una proposta di legge, per internalizzare la gestione dei funerali, come sta succedendo al CTO. Qui prima c'era AZ, la ditta del funerale dei Casamonica, quello coi carri.

Chi denuncia il nero, da parte dei concorrenti, rischia pure di subire attentati, come al signor Salomone: nel settore delle pompe funebri trovi dentro anche la criminalità, sia per un discorso di riciclaggio, che per un discorso di affari, da fare spazzando via la concorrenza e grazie alla corruzione di dipendenti comunali.

Iovene è poi passato alla gestione dell'interramento nei cimiteri: ad Afragola, una ditta aveva il monopolio sulle lapidi di marmo, non avendo i requisiti, in modo abusivo.
A Napoli trovi i seppellitori abusivi, come nell'inchiesta di 15 anni fa: sono riuniti in cooperative, vivono di mance e senza di loro i cimiteri di Napoli si fermerebbero.

E con la cremazione?
A Torino la cremazione si paga come la sepoltura, per evitare che mancassero soldi per tenere in vita i cimiteri. Si parla di 1700 euro, non poco: eppure il prezzo è fissato per legge a 600 euro.
Ogni regione fa a modo suo, in questo settore, dove gira tanto nero: servirebbe un maggiore controllo.

Dal ponte sullo Stretto, ritroviamo Ciucci parlando di Anas: Report se ne era occupata nei mesi in cui crollavano i ponti, gli appalti venivano fatti al ribasso, coi costi che poi lievitavano.
L'inchiesta sulla dama nera ha raccontato di che pasta erano fatti i dirigenti Anas: che parlavano di ciliegie al posto di tangenti nelle intercettazioni.
Tra gli arrestati, nel sistema delle tangenti, anche un ex sottosegretario, Meduri.
Il nuovo presidente Armani sta cercando i fare pulizia in Anas: alcuni dirigenti sono stati cacciati, altri sono stati ruotati.

Tra le aziende coinvolte, la Tecnis, che ha ceduto l'appalto per la variante di Morbegno alla Cossi: una procedura su cui sta indagando l'Anac. La firma sulla cessione la mette Ciucci, mentre era dimissionario.
Tecnis ha avuto una interdittiva dalla prefettura, ma ha diversi appalti con Anas e questo sta bloccando i lavori, perché l'azienda dovrebbe essere commissariata.
Si dovrebbe selezionare la qualità delle aziende, dei fornitori, prima di iniziare i lavori.

Nel nuovo corso di Anas, le opere sono programmate non di anno in anno, ma su tempi lunghi: in questo nuovo piano buona parte dei soldi sarà anche per manutenzione, per il completamento delle opere incomplete.

Che fine hanno fatto i dirigenti dell'epoca Ciucci?
Non è facilissimo mandar via le persone, se non sono d'accordo” ammette Armani, parlando del caso del dirigente Baio, che ha nominato in quel posto la dama nera.
Sono arrivato in un posto dove non ti puoi fidare di nessuno, ma sono in un posto dove puoi fermare le cose per due anni”: ci sono i lavori da portare avanti, i progetti...

E' un sistema per lavorare male, che va cambiato: c'è stata tanta incapacità e tanta incompetenza. Non è solo un problema di burocrazia, il primo problema è il malaffare, la corruzione: questo dice Delrio.
Ma è un problema di scelta di uomini, di chi piazzi nei posti chiave: perché i condannati per corruzione non sono cacciati dai posti pubblici?

Il danno e la beffa: l'inchiesta di Sigfrido Ranucci sui pacemaker non era rimasta lettera morta.
Si parlava di certificati rilasciati senza fare test, su pacemaker poi usati nelle persone: il dirigente del ministero che mette poi la firma dice che sarebbe una truffa …
La GDF è intervenuta e ora ci sono 4 manager dell'istituto superiore della sanità sotto inchiesta.

Romanzo capitale: Report su era occupata della scarsa trasparenza della fondazione Nuova Italia di Alemanno. Dentro trovi Panzironi, Anemone, Pennaforti: gente sotto inchiesta, trasparenza zero, zero bilanci.

La giusta causa: Claudia De Pasquale poche settimane fa aveva raccontato dei criteri di nomina dei dirigenti nei tribunali, dove gli aspiranti erano tutti bravi e correntocrati.
Dal servizio emergeva la spartizione tra correnti, per prendersi i posti nelle varie sedi d'Italia.

Il biscotto perfetto: ovvero quando lo stato beffa se stesso, con la gestione della confisca dei beni ai mafiosi.
Un forno sequestrato dallo stato ad un boss di Fasano, che poi lo assume ma non gli paga i contributi.
La proposta di assunzione è stata presentata dal boss e avallata dal custode giudiziario: la norma lo consente, ma sembrerebbe inopportuno.
L'agenzia dei beni confiscati avrebbe poi dovuto pagare i contributi: ora il boss si è rivolto ai giudici, che hanno pignorato i beni al forno, cioè allo stato.
Il confiscato dallo stato pignora lo stato: ma non si poteva evitare?
Lo Stato, per colpa del pignoramento, ha incassato solo 190 euro dalla vendita del forno.

I macchinari sono in un altro forno, del genero del boss.