08 gennaio 2015

La paura del riso

Ma cosa ti ha spaventato in questo discorso sul riso? Non elimini il riso eliminando questo libro.”
No, certo. Il riso è la debolezza, la corruzione, l’insipidità della nostra carne. È il sollazzo per il contadino, la licenza per l’avvinazzato, anche la chiesa nella sua saggezza ha concesso il momento della festa, del carnevale, della fiera, questa polluzione diurna che scarica gli umori e trattiene da altri desideri e da altre ambizioni… Ma così il riso rimane cosa vile, difesa per i semplici, mistero dissacrato per la plebe”.
[Il nome dellarosa, Umberto Eco]
Un abbazia, delle morti misteriose, un libro proibito.
Il secondo libro della poetica, la cui stessa lettura provoca la morte del lettore, di chi legge dell'uso del riso e dell'irrisione nella scrittura.
Perché il riso fa paura?

“Il riso libera il villano dalla paura del diavolo, perché nella festa degli stolti anche il diavolo appare povero e stolto, dunque controllabile. Ma questo libro potrebbe insegnare che liberarsi della paura del diavolo è sapienza. Quando ride, mentre il vino gli gorgoglia in gola, il villano si sente padrone, perché ha capovolto i rapporti di signoria: ma questo libro potrebbe insegnare ai dotti gli artifici arguti, e da quel momento illustri, con cui legittimare il capovolgimento. Allora si trasformerebbe in operazione dell’intelletto quello che nel gesto del villano è ancora e fortunatamente operazione del ventre. Che il riso sia proprio dell’uomo è segno del nostro limite di peccatori. Ma da questo libro quante menti corrotte come la tua trarrebbero l'estremo sillogismo, per cui il riso è il fine dell'uomo! Il riso distoglie, per alcuni istanti, il villano dalla paura.
Ma la legge si impone attraverso la paura, il cui nome vero è timor di Dio. E da questo libro potrebbe partire la scintilla luciferina che appiccherebbe al mondo intero un nuovo incendio ..

Da questo libro deriverebbe il pensiero che l’uomo può volere sulla terra (come suggeriva il tuo Bacone a proposito della magia naturale) l’abbondanza stessa del paese di Cuccagna. Ma è questo che non dobbiamo e non possiamo avere.

se il riso è il diletto della plebe, la licenza della plebe venga tenuta a freno e umiliata, e intimorita con la severità. E la plebe non ha armi per affinare il suo riso sino a farlo diventare strumento contro la serietà dei pastori che devono condurla alla vita eterna e sottrarla alle seduzioni del ventre,

Non ci fa paura la bestemmia, perché anche nella maledizione di Dio riconosciamo l’immagine stranita dell’ira di Geova che maledice gli angeli ribelli. Non ci fa paura la violenza di chi uccide i pastori in nome di qualche fantasia di rinnovamento, perché è la stessa violenza dei principi che cercarono di distruggere il popolo di Israele.

Ma se un giorno – e non più come eccezione plebea, ma come ascesi del dotto, consegnata alla testimonianza indistruttibile della scrittura – si facesse accettabile, e apparisse nobile, e liberale, e non più meccanica, l’arte dell’irrisione, se un giorno qualcuno potesse dire (ed essere ascoltato): io rido dell’Incarnazione… allora non avremmo armi per arrestare quella bestemmia, perché essa chiamerebbe a raccolta le forze oscure della materia corporale, quelle che si affermano nel peto e nel rutto, e il rutto e il peto si arrogherebbero il diritto che è solo dello spirito, di spirare dove vuole!”

Questo libro avrebbe giustificato l’idea che la lingua dei semplici sia portatrice di qualche saggezza. Questo occorreva impedire, questo io ho fatto.
Secoli di civiltà, di pensiero illuminista, di democrazia, di uno stato laico, ci hanno portato fuori da questo orrore. Ma purtroppo ancora oggi c'èqualcuno che ha paura del riso.

L'intervento di Gilioli e il post su Libernazione.
 

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