31 maggio 2015

Dal petrolio alle energie rinnovabili

Non andrà mica a finire che compreremo anche le rinnovabili dai paesi produttori di petrolio?”

La domanda di Milena Gabanelli, nella clip del servizio di Report di questa sera, non è solo una battuta: mentre qui si discute di shale gas, di trivelle, di esplorazioni in fondo al mare, i paesi arabi si stanno preoccupando di quello che succederà quando sarà estratto l'ultimo barile di petrolio.
Secondo la Cambridge University, l’energia elettrica più a buon mercato del mondo sta per essere prodotta da un impianto fotovoltaico di Dubai. Gli Sceicchi del gas e del petrolio irrompono nella rivoluzione verde, decisi ad assicurarsi la leadership dell’energia anche dopo il tramonto delle fossili e addirittura il Principe di Abu Dhabi ha detto "Quando l'ultimo barile di petrolio verrà estratto, noi festeggeremo!".Negli Emirati Arabi stanno costruendo un’intera città a impatto zero e in tutto il Golfo è stata avviata una seria politica di investimento delle energie rinnovabili. Sostengono la ricerca sulle rinnovabili e puntano a venderci non solo petrolio, ma anche le tecnologie di cui eravamo pionieri.Tutto questo è positivo per l’ambiente e per contrastare il riscaldamento globale, ma dal punto di vista economico, non sarebbe ora che noi ci svegliassimo e definissimo meglio le nostre titubanti scelte energetiche?


E pensare che le nostre regioni del sud hanno un irraggiamento paragonabile a quello dei paesi arabi, dove hanno pure il problema delle tempeste di sabbia.

Noi, che pure saremmo un paese del G7, a vocazione industriale, nemmeno sappiamo cosa voglia dire pianificazione energetica.
Ogni governo l'ha intesa a modo suo, secondo una sua visione fortemente ideologica e asccientifica.
Per anni anni abbiamo finanziato con le nostre bollette le energie “rinnovabili” e assimilate: una mezza truffa che ha portato miliardi nelle casse dei grossi gruppi con le loro centrali a carbone.
Siamo passati poi alle centrali nucleari di Berlusconi, per fortuna bloccate dalla tragedia di Fukushima e dal referendum.
Agli incentivi a pioggia e senza controlli sull'eolico e sul solare, di cui hanno beneficiato perfino le organizzazioni criminali (vi ricordate l'inchiesta sulla P3, di cui aveva parlato Report? ), tramite i soliti intermediari con fedina pulita.
A che punto è oggi in Italia la tecnologia sulle rinnovabili? E la legislazione italiana, così piena di burocrazia e inghippi, è stata semplificata?
Purtroppo le risposte non sono positive: rischiamo di dover pagare la tecnologia “green” agli sceicchi (dopo aver rischiato di dover pagare ai francesi la vecchia tecnologia degli impianti nucleari) e le leggi in Italia sono rimaste le stesse. La semplificazione è arrivata solo per chi vuole cercare petrolio (o per chi vuole cementare le coste), mano fossimo ancora ai tempi della corsa all'oro nero...

Le centrali inquinanti sono rimaste, in capo all'Enel.
Attorno ai certificati delle emissioni di CO2 si è creato un commercio poco pulito (e anche poco etico): dall'anteprima su Reportime
Il protocollo di Kyto ha stabilito un principio: chi inquina, paga. Il problema è, però: quanto paga? Invece di introdurre una carbon tax, vale a dire una tassa proporzionata alle emissioni di Co2 prodotte, i governi di tutto il mondo hanno preferito accordarsi sui carbon credit, certificati che danno diritto a inquinare. Tutte le aziende che emettono anidride carbonica oltre una certa quota sono obbligate a comprarli.Il prezzo dei carbon credit viene stabilito dall’andamento della domanda e dell’offerta ed è regolato da migliaia di broker che li acquistano e li rivendono sul mercato. Con questo sistema, il loro valore è vertiginosamente calato rispetto a quando sono stati introdotti. Se nel 2008 la spesa per una tonnellata di Co2 si aggirava attorno ai 30 euro, nel 2013 era crollata a 2,6. Quindi inquinare, oggi, costa molto di meno. A noi contribuenti italiani invece i carbon credit sono finora costati non poco.Sulle transazioni dei certificati infatti negli ultimi anni sono state messe in piedi truffe miliardarie. La più colossale ha visto come protagonista una piccola società milanese, la Sf Energy Trading, specializzata nel brokeraggio di carbon credit. In meno di due anni attraverso un sistema di società false, prestanome e fatture gonfiate, che vedeva la complicità di importanti operatori elettrici in Italia, ha creato un giro di affari pari a oltre 5 miliardi di euro e un’evasione dell’Iva di circa 1 miliardo di euro.

Continuiamo a pensare al mondo dell'energia come ai tempi di Enrico Mattei, più di 50 anni fa, con i grandi gruppi a fare da monopolisti, in una visione contraria a quello che dovrebbe essere il futuro.
Quello dove il singolo privato potrebbe essere produttore dell'energia che serve per i suoi bisogni.

Questo fine settimana a Milano è in corso il festival dell'energia, sponsorizzato dai grandi player del settore, presente anche il ministro dello sviluppo.
Tra le altre cose si discuterà di effetto NIMBY, con un bel corso per informare (indottrinare ?) i cittadini.
Le comunità locali interessate da progetti di costruzione di nuovi impianti reagiscono, sempre più spesso, con movimenti di forte opposizione. Poco importa che l’infrastruttura in questione sia piccola o grande o che la produzione di energia provenga da fonti fossili o rinnovabili: la sindrome NIMBY (Not In My Backyard) si manifesta attraverso comitati e organizzazioni di cittadini e si nutre della crescentedifficoltà di dialogare sulla base di informazioni laiche e condivise.In questo quadro, i media hanno una responsabilità cruciale.Per questa ragione, il Festival dell’Energia 2015 organizza, in collaborazione con l’Ordine dei Giornalisti, il corso di formazione “Nimby, accettabilità sociale delle infrastrutture e ruolo dei media”.


La scheda del servizio: “Il grande caldo” di Roberto Pozzan e Giorgio Mottola
Nei Paesi arabi sembrano aver preso la questione del riscaldamento globale più seriamente di noi. Di recente nel Golfo è stata avviata una seria politica di finanziamento delle energie rinnovabili. Ad esempio ad Abu Dhabi è stata progettata (e in parte già costruita) un’intera città a impatto zero.Quando il petrolio sarà finito, potremmo ritrovarci ad acquistare da loro anche l’energia solare. In Italia infatti, dopo il boom degli scorsi anni, la spinta alla costruzioni di nuovi parchi eolici e impianti fotovoltaici sembra essersi esaurita. Mentre negli Emirati si fanno investimenti nel campo dell’energia pulita, Enel tiene ancora in piedi centrali termoelettriche e, anche nell’ultimo piano industriale, ha confermato la scelta del carbone.A distanza di 18 anni dal protocollo di Kyoto, la maggior parte delle misure introdotte per bloccare il riscaldamento globale si sono rivelate inefficaci. Il sistema dei carbon credit, i certificati che è necessario acquistare per inquinare, non solo non ha bloccato le emissioni di Co2 ma ha dato vita a truffe che nel nostro paese hanno fruttato miliardi di euro ad organizzazioni che in alcuni casi sono addirittura vicine al terrorismo internazionale.Ma se l’economia verde è oggi in forte calo la colpa è anche della legislazione nazionale. Le leggi italiane continuano a bloccare infatti quella che dal punto di vista energetico potrebbe essere una vera e propria rivoluzione: la generazione energetica diffusa, che metterebbe in crisi lo status quo delle grandi centrali elettriche.

A seguire, per la rubrica "Nutrire il pianeta" curata da Sabrina Giannini:

Dopo il caffè e la pizza napoletana, Bernardo Iovene ci farà andare di traverso (ma a ragion veduta) anche il cornetto al miele che poi, a controllare bene, non è così salutare:

Chi sceglie il cornetto cereali e miele è convinto di fare una colazione sana, ma se leggesse la lista degli ingredienti in alcune stazioni di ristoro sulle nostre autostrade, si accorgerebbe che il miele non è miele ma un composto di grassi saturi che non hanno nulla di salutare. Il 90% dei cornetti e le brioche vendute su territorio nazionale sono fatti con la margarina, le farciture spesso hanno come primo ingrediente non la marmellata ma il glucosio. Bernardo Iovene ha raccolto le etichette nei bar e nelle pasticcerie italiane e le ha sottoposte a un medico nutrizionista e a un ecotossicologo. Invece nelle piazze più prestigiose delle più importanti città d'Italia, da Roma a Bologna, da Milano a Venezia, che tipo di cornetto servono?

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