30 giugno 2015

Questi imprenditori

Immaginatevi la scena: state andando al lavoro e avete la polizza scaduta. Vi fermano per un controllo e sequestrano il mezzo.
E ve la prendente coi carabinieri: "proprio non volete farmi lavorare" o anche "c'è la volontà che io non possa lavorare in questo paese" ..
Se vi viene da ridere, adesso riportiamo la storiella alla realtà: c'è un'azienda che non rispetterebbe le norme sulla gestione dei rifiuti e la magistratura sequestra gli impianti.
E' la legge. 
Però l'azienda è Fincantieri ed è un pezzo importante della cantieristica: e allora il presidente di Confindustria si sente autorizzato a prendersela coi magistrati
"Stamattina la magistratura ha fermato la Fincantieri", ha detto Squinzi. "Direi che è un altro caso Ilva, un altro caso in cui sembra che non si voglia che le imprese operino in questo paese. E questa è una cosa particolarmente grave", ha aggiunto al suo arrivo all'assemblea annuale dell'associazione industriale bresciana. "Il 28 maggio scorso avevo parlato della famosa manina anti-imprese, con le notizie di questa mattina sono stato superato dalla realtà".
Oltre al diritto di licenziare (e a proposito, altri segnali poco incoraggianti su questa ripresa), si vuole anche il diritto di inquinare?
E' la stessa associazione che ha applaudito in difesa del manager Thyssen condannato dai giudici per il rogo a Torino.
Che non ha mai speso un rigo per l'inquinamento di Taranto (un altro caso Ilva), per i tarantini che si ammalano.

Comunque vada sarà una sconfitta

Comunque vadano le cose, con il referendum greco (l'ultima mano di poker del governo Syriza), sarà una sconfitta.
Per Tsipras e per il ministro Varoufakis, che non sono stati capaci di portare un piano credibile in Europa pensando che questa avrebbe accettato un ammorbidimento della linea.
Sarà una sconfitta per l'Europa: Merkel e Juncker sono stati chiari, nel loro politichese, quando ieri si sono rivolti al popolo greco scavalcando le istituzioni. Riprenderemo a trattare, dopo il voto, se vince il si.
Una sconfitta per il paese, che dovrà accettare altri tagli (è più facile prendere soldi da salari e dalle generose pensioni) e un altra maggioranza.
E una sconfitta per l'Europa, che verrà sempre più percepita come qualcosa di distante, un problema, una questione di banche, finanza dove vince solo chi è più forte.

il paradosso, di tutta questa storia, è che a risanare la Grecia (e a far contenti Juncker, Merkel e compagnia cantando) saranno gli stessi partiti dei conti taroccati, delle pensioni concesse per creare consenso ...

29 giugno 2015

Quanti Giavazzi ci sono in Europa .. (sugli aggiustamenti dolorosi)

Se i primi anni dell’aggiustamento sono stati particolarmente dolorosi - come lo sono in ogni famiglia che dopo un periodo di spese un po’ folli debba riabituarsi a non fare acquisti che eccedano il suo reddito - nel 2014 la Grecia aveva ricominciato, anche se lievemente, a crescere (+0,6 per cento). Quest’anno grazie alla cura Tsipras è tornata in recessione. Una domanda si ponevano ieri gli investitori, soprattutto i non europei. Ci sono altri Tsipras nei Paesi dell’euro? Lo sguardo va a due partiti che da tempo applaudono le politiche greche: Grillo in Italia e Podemos in Spagna, entrambi reduci da significativi risultati elettorali (i sindaci di Madrid e Barcellona sono stati eletti il mese scorso con i voti di Podemos). Da questa mattina il costo del nostro debito pubblico dipende da quanto credibile è l’impegno del governo ad attuare, dopo il Jobs act e con la medesima determinazione, quelle riforme senza le quali non ci può essere né crescita né occupazione. E senza le quali il Movimento 5 Stelle può solo rafforzarsi.  
Giavazzi sul Corriere del 29/6
La cura Troika avrà anche prodotto quello 0,6%, ma in termini umani, come la valutiamo (qui un articolo e qui un altro dove si spiega come curarsi sia un lusso)?
Altra domanda: il nostro debito (e per quello greco e spagnolo vale lo stesso) è frutto di Grillo e della sua politica o dei grandi statisti che sono arrivati e hanno lasciato il conto ai contribuenti di domani?
Ancora: è veramente sicuro il nostro Giavazzi che le riforme messe in piedi dal governo (le province, il jobs act, l'Italicum..) porteranno crescita e occupazione (non in decimali)?
Ai posteri l'ardua sentenza.

Ps: sempre sulla Grecia, leggetevi l'articolo di Gilioli, come sempre azzeccato.
La storia del parassitismo, del vivere al di sopra delle proprie possibilità, è un altro paradosso della storia. Perché era fondata proprio quando ad Atene comandavano gli amici della Troika, che in questo modo ottenevano i consensi al proprio partito e ceto politico.Ma adesso non è più così e basta vedere i numeri: la spesa pubblica è (in rapporto al Pil) di 0,9 punti inferiore a quella italiana e di appena 0,3 punti superiore alla media Eurozona: e ciò nonostante in Grecia il Pil sia in caduta libera dal 2008.Anche la famosa spesa per le pensioni è (sempre in rapporto a un Pil sempre più basso) di soli 4 decimali di punto superiore a quella italiana: in un Paese dove con una pensione ormai ci campano in cinque o sei, quindi la loro riduzione implicherebbe una miseria ancor più diffusa, un crollo di consumi ancora più drastico. E in un Paese dove l'attuale governo, in ogni caso, aveva già accettato un graduale aumento dell'età pensionabile, quindi un'ulteriore riduzione della spesa.In sintesi, oggi greci non vivono più "al di sopra delle proprie possibilità". Anzi, vivono al di sotto di quelle che sarebbero le loro possibilità se non ci fosse dentro l'obbligo di pagare interessi molto alti su un debito contratto dai predecessori di Tsipras per pascolare con le clientele il loro consenso.Detto tutto questo - cioè l'isolamento della Grecia, i rapporti di forza così sfavorevoli rispetto ai grandi poteri e il bivio implacabile a cui il Paese è costretto - confesso che io stesso, se fossi un cittadino greco, da padre di famiglia sarei molto incerto tra l'opposizione alle pessime ricette imposte dalla Troika e il timore di acque del tutto incognite.A cui probabilmente alla fine affiderei le mie speranze di cambiamento - visti i disastri determinati finora da quelle ricette - ma non senza averci passato diverse notti in bianco.E voi, se foste greci?

PS: a questo punto, perché non tagliare in Italia in modo retroattivo tutte le pensioni calcolato con la vecchia modalità del contributivo? E i vitalizi?
Anche noi italiani siamo stati accusati di vivere al di sopra delle nostre possibilità ..

Uno spettro si aggira per l'europa

Siamo improvvisamente diventati tutti esperti di diritto costituzionale, di macro e micro economia, di finanza. Soprattutto dei diritti e della finanza altrui, quella greca.
Per una volta l'italietta del bunga bunga, di mafia capitale, della piovra (dove una ragione è tenuta ostaggio dai problemi giudiziari del neo presidente inopinatamente eletto), è messa in secondo piano dai problemi della Grecia.
Per 7 miliardi è saltato l'accordo tra un governo democraticamente eletto (beati loro) e la ex Troika: il punto dolente era da dove prendiamo i soldi? Dai soliti noti (che pure in Grecia godevano di molti privilegi) o proviamo a prendere i soldi da qualche altra classe sociale?

Chiaramente, il governo di Syriza che aveva promesso la fine dell'austerità (e per questo aveva avuto il mandato dagli elettori) non avrebbe accettato altri tagli a pensioni e stato sociale. La rottura registrata, che ha portato poi al referendum (e alla corsa ai bancomat e alla chiusura delle banche), è solo una questione politica.
Fa paura che in Europa ci sia un governo di sinistra che faccia cose di sinistra?
Che si dimostri che esista una diversa strada?

Torniamo a noi: siamo gli ultimi che possono puntare il ditino e rinfacciare agli altri il non rispetto degli impegni.
A parte che un governo eletto ha tutti i diritti a rivedere (non annullare, ma almeno ridiscutere) accordi presi dai predecessori: lo stesso Renzi, all'inizio del semestre aveva detto che avrebbe lottato per rivedere il vincolo del 3%.
Noi italiani siamo quelli dove i governi hanno scaricato sulle generazioni del dopo tutte le cattive scelte politiche che hanno gonfiato il nostro debito: Italia 90 e le rate del mutuo ancora da pagare, i condoni di Berlusconi, le grandi opere miliardarie, i contratti capestro per TAV e per lo stretto di Messina ..

Troppo comodo caro Tsipras, scaricare sul popolo le tue promesse elettorali che sapevi di non poter rispettare ...
In Italia, in quanto a promesse, meglio stare zitti.
La statalizzazione di MPS.
Il daspo sui corrotti.
La rottamazione della vecchia politica.
Le provincia e i risparmi miliardari.
Il jobs act che metteva fine al sistema duale (protetti e non protetti), che avrebbe tolto alibi alle aziende ..
La buona scuola, le scuole da mettere in sicurezza ..
E la spending review?

E ancora: il piano Juncker da 300 miliardi, la flessibilità sui conti, la web tax sui giganti di internet, l'emergenza dei profughi dalle zone di guerra ..

Forse Tsipras è stato presuntuoso, non è la persona giusta per salvare la Grecia. 
Ma l'alternativa è proseguire con la medesima cura che non ha funzionato.
Prestare soldi alla Grecia con cui può pagare gli interessi e le rate dei prestiti ai creditori.
Vogliamo andare avanti così con questa ipocrisia (europea)?

Sembra che ci si voglia accanire più con questo governo che non coi precedenti che hanno fallito il loro mandato. O che hanno taroccato i conti. O che avevano i conti all'estero, nella lista Falciani ..

Ps ieri il ministro Padoan ripeteva (per tranquillizzarci) che non c'è rischio contagio, se la Grecia dovesse fallire.
Eppure ancora oggi si leggono articoli dove si parla dell'esposizione italiana per 40-60 miliardi. Chi ha ragione?

28 giugno 2015

Lemming


I Lemming non ragionano di fronte al pericolo. Seguono il capo in fuga fino al ciglio del burrone e non si rendono conto che stanno morendo....
E anche noi, di fronte ai pericoli, alle minacce, ci comportiamo così, seguendo un capo che non c'è, non ragionando con la testa.

Il venerdì di sangue dell'Isis (o di Al Qaeda o di chissà chi) colpisce in Francia, in Kuwait e in Tunisia?
Dobbiamo andare in guerra, dice il capo Lemming. In guerra ma dove e contro chi?
Chi andiamo a bombardare?
Sappiamo che altre guerre significa altri profughi, altra miseria, altre persone che arriveranno qui in Europa?
Dobbiamo sacrificare un po' della nostra libertà personale, per farci spiare un po' tutti e contrastare i terroristi sul nostro territorio.
Come in America: come ha ben raccontato Michael Moore in Fahreneit 9-11 . Coi pensionati interrogati dall'FBI perché si avevano espresso critiche nei confronti del commander in chief in pubblico.

La Grecia vs la ex Troika: la partita a poker è arrivata al rialzo della posta, col governo Tsipras che indice un referendum sulle manovre chieste da FMI, BCE e Unione europea.
Troppo comodo fare così, dice capo Lemming: prima restituisci i soldi, poi te ne vai dall'Europa.
Come se le ricette che chiedono alla Grecia non si fossero già dimostrate fallimentari.
Come se non sapessimo che un fallimento della Grecia avrebbe un costo per tutti, superiore a quello della ristrutturazione del debito.
Debito fatto dai governanti precedenti, anche per una spesa pubblica non sostenibile.
E quando verrà chiesto a noi di tagliare ancora di più spesa sociale, stipendi e pensioni (come hanno già fatto), cosa risponderemo?
Che i debiti non li abbiamo fatti noi ma quelli di prima?

Così, mentre corriamo sul bordo del precipizio, sentiamo ripetere le stesse parole, ad ogni attentato ad ogni fatto di sangue, ad ogni sbarco, ad ogni fallimento di trattativa …
Come se l'Isis e il terrorismo fosse un nemico con un esercito, un'ambasciata cui presentare l'atto di guerra, con dei confini da invadere.
Chiudiamo le frontiere e Shengen, così stiamo più al sicuro. E gli immigrati già in Italia: a Charlie Hebdo l'attentato è stato fatto da ragazzi francesi, figli di immigrati.
Schediamo anche loro?

E di questa Europa cosa ne facciamo? Tutta preoccupata dei vincoli e dei trattati, meno del benessere e della salute dei suoi cittadini. Incapace, perché incapaci i suoi rappresentanti, di avere una visione unica su immigrazione, rifugiati, crisi economica, welfare.
Che si preoccupa del formaggio fatto col latto in polvere, per favorire le grandi aziende alimentari e non capisce che così si sta scavando la fossa da sola.
Perché non si combattono i finanziatori dell'Isis? Per capirne gli obiettivi? Come lo scontro tra sunniti e sciiti: in Kuwait hanno colpito una moschea sciita e l'accordo sul nucleare con l'Iran non fa piacere ai paesi arabi confinanti.

Forse perché andremmo a toccare paesi che stanno facendo investimenti anche qui in Italia?

PS:ieri si ricordavano i 35 anni dell'abbattimento del DC9 Itavia, Ustica. Ecco quando qualcuno vi parla di sicurezza, ricordategli che anche questi italiani meritavano sicurezza. 

27 giugno 2015

Ad un passo dalla guerra – scenari di guerra nei cieli di Ustica

I-Tigi siamo noi, ogni volta che siamo in volo racconta Marco Paolini nel suo monologo dedicato alla tragedia del volo Bologna Palermo, Ustica.
La storia del volo IH870, I-Tigi.
L'abbattimento di un aereo civile nei cieli del Tirreno: significa che non dobbiamo e non possiamo accontentarci della solita litania del cordoglio istituzionale, del teatrino di Ustica (ad ogni anno nuove rivelazioni per arrivare alla verità, poi dimenticate). Significa che di mezzo c'è il senso della democrazia e della giustizia: pretendere una verità che non può essere in alcun modo messa in disparte per una ragione di Stato o per motivi di sicurezza nazionale. Che quantomeno per le 81 vittime non c'è stata.
In quale scenario di guerra si è trovato il DC9 quella sera del 27 giugno 1980?
Come hanno potuto i vertici militari portare avanti con quella sicurezza, la menzogna del non sappiamo, non abbiamo niente da dire?
Come hanno potuto mentire, in modo così impunito, raccontando le storielle del cedimento strutturale o della bomba a bordo? Nessuno ci crede ormai.
Ustica, o la storia de I-Tigi per dirla alla Paolini (non possiamo ridurre una tragedia come questa a geografia), racconta del nostro paese: la sovranità limitata, lo scarso rispetto per le istituzioni e per i cittadini. La doppia morale e la doppiezza politica dei governanti. Sposati alla causa atlantica dentro i confini della Nato ma anche con tanti interessi economici con la dittature africane e coi paesi orientali, come quella libica di Gheddafi. La moglie americana e l'amante araba, per usare un'espressione vecchia delle cancellerie europee.
Il muro di gomma è l'altra espressione che si tira fuori, ad ogni anniversario: una metafora che calza bene l'atteggiamento delle istituzioni, mondo politico e mondo militare, capaci di rimbalzare via qualsiasi richiesta di chiarimento, qualsiasi domanda. Un mondo arroccato su una linea di difesa del non so, dunque non posso dire nulla. Del cedimento strutturale, come si è detto. Della bomba, su un aereo partito con due ore di ritardo.
I radar italiani non hanno visto niente, nemmeno quelli a ridosso. I tracciati? Spariti, cancellati, sovrascritti. Possibile? Beh, se nessuno dice al magistrato di sequestrare i nastri e se il magistrato non ci pensa.
Alcuni pezzi del relitto del DC9 che spariscono. Strane sparizioni: il serbatoio supplementare, la radiolina di bordo francese.

Un muro impenetrabile, almeno all'apparenza.
Perché, ci sono voluti anni, ma qualcuno ha parlato: l'aviere di Marsala che telefona alla trasmissione di Augias (presente il generale del Sios Tascio) per dire che sì, aveva visto il Dc9 cadere ma gli era stato detto di stare zitto. E l'altro aviere di Marsala che, dopo anni, si era deciso a raccontare tutto alla commissione stragi. L'aereo che cadeva, la traccia radar che perdeva qualità.
Ma ci sono tante altre tracce di quella sera che sono rimaste: le telefonate da Ciampino all'ambasciata americana in quella sera d'estate.
Le parole dei radaristi da Marsala: "stai a vedere che quello dietro mette la freccia e sorpassa". Chi era l'aereo dietro (o sotto?) il DC9? Perché si era nascosto? Che fine ha fatto?
E poi ci sono le analisi fatte a Bruxelles nel 1997 dai tecnici della Nato (non italiani, ma della Nato) sui nastri radar di Marsala, quelli che non avevano visto niente nemmeno loro perché c'era una esercitazione.

L'analisi racconta di una intensa attività volativa quella notte. Di aerei militari che razzolano (ovvero affiorano dai radar per poi scomparire) nel Tirreno e che, per alcune ore dopo l'abbattimento viaggiano coi transponder spenti.
C'erano aerei americani, sicuramente c'erano aerei francesi (decollati dalla base aerea di Solenzara, come testimonierà il generale Bozzo davanti ai giudici).
E quasi sicuramente c'era in volo anche quel Mig 23 poi trovato sulla Sila.
Trovato il 18 luglio successivo, con accanto il cadavere del suo pilota (che indossava scarponcini americani, strano). Morto nell'impatto, come disse il medico legale in una perizia poi ritrattata.
Forse morto proprio quella sera.
Francesi, americani, libici. E anche due caccia italiani, due F104 in volo da Grosseto: uno di questi era guidato dalla coppia di piloti Naldini e Nutarelli. Quelli morti poi nell'incidente di Ramstein.
Avevano lanciato un segnale d'allarme, mentre erano in volo, incrociando il volo del DC9. Un allarme generale. Che cosa avevano visto?

Non sappiamo ancora la nazionalità dell'aereo che ha lanciato il missile (a meno di non volerci accontentare della forma dell'acqua, la bomba o il cedimento ..). La bandierina non la danno i giudici ma nemmeno Marco Paolini alla fine del suo spettacolo.
Una ricostruzione di quella sera hanno provata a farla i tre giornalisti Daria Lucca, Paolo Miggiano e Andrea Purgatori nel libro "A un passo dalla guerra":

Prova a immaginare di trovarti sospeso proprio al centro di questa diapositiva. Ecco: da quel punto d’osservazione faremo insieme una discesa verticale e ragionata verso la superficie del mare. In questo caso, il mar Tirreno. Esattamente fino a dove è precipitato il DC9, la sera del 27 giugno. ”
L’Ammiraglio prese una stecca da biliardo che era poggiata al muro. La impugnò, la alzò a mezz’aria in direzione dello schermo, sempre continuando a fissare la diapositiva.
“E a mano a meno che il livello del tuo punto di osservazione tenderà ad abbassarsi, si restringerà anche il campo visivo. Insomma: vedrai meno cose insieme ma più chiaramente. Forse così riusciremo a capire cosa è accaduto quel giorno … ”.
L’Ammiraglio poggiò l’estremità della stecca da biliardo in mezzo al mare tra Ponza e Palermo: lì da qualche parte doveva esserci l’isola di Ustica. Poi si voltò verso il presidente.
“.. e perché siamo stati a un passo dalla guerra”.
L’Ammiraglio prese una stecca da biliardo che era poggiata al muro. La impugnò, la alzò a mezz’aria in direzione dello schermo, sempre continuando a fissare la diapositiva.“E a mano a meno che il livello del tuo punto di osservazione tenderà ad abbassarsi, si restringerà anche il campo visivo. Insomma: vedrai meno cose insieme ma più chiaramente. Forse così riusciremo a capire cosa è accaduto quel giorno … ”.L’Ammiraglio poggiò l’estremità della stecca da biliardo in mezzo al mare tra Ponza e Palermo: lì da qualche parte doveva esserci l’isola di Ustica. Poi si voltò verso il presidente.“.. e perché siamo stati a un passo dalla guerra”.
Siamo nell'agosto 1980: il presidente del Consiglio di un governo tecnico, trovandosi in mezzo alla storia del Mig libico da restituire alla Libia, decide di volerci vedere chiaro. Perché gli americani e l'ambasciatore in particolare sono così interessati a quei rottami caduti sulla Sila?
Perché ogni volta che si parla del Mig, spunta fuori l'altro aereo, il DC9 esploso in volo la sera del 27 giugno.
Il presidente incarica un ex compagno di classe, ora al Sismi, di dargli in quadro della situazione, di riscostruire cosa sia successo quella sera. Mette sotto accusa i vertici della Difesa e dell'Aeronautica. Il direttore del Sismi.
Come uno degli antieroi dei romanzi di Sciascia, il capitano Bellodi o il professore Laurana, anche il presidente che aveva cercato ingenuamente di far luce sul mistero, di arrivare da solo alla verità, rimane schiacciato dal sistema.

E' un romanzo di fiction, ma il fatto che la storia sia di fantasia, non significa che tutto il resto non sia accaduto.
Il trasferimento di caccia Phantom dall'Inghilterra verso l'Egitto, per rafforzare le difese aeree di questo paese in crisi con la Libia.
Le tensioni internazionali, nel Mediterraneo e nel mondo: la Francia contro la Libia per la storia dei diamanti di Bokassa. Gli Usa contro Gheddafi per la storia del Billygate, il fratello del presidente Carter lobbista per la Libia.
Il G7 tenuto quel giugno a Venezia, coi timori di una guerra nucleare: la guerra avrebbe potuto scoppiare da un momento all'altro, anche solo per un errore, un falso allarme.
Di equilibrio del terrore parlava il segretario del Pci Berlinguer, in una intervista al Corriere.
Perché specialità olimpica dei governi nazionali era la famosa corsa agli armamenti, per le sempre crescenti spese militari che i paesi occidentali facevano.
La Russia che aveva invaso l'Afghanistan e gli Stati Uniti che, per ritorsione avevano disertato i giochi olimpici.
Il presidente Carter che, per essere rieletto, puntava sul rafforzamento della politica estera: far fuori Gheddafi era una buona soluzione.
E noi italiani in tutto questo scenario dove eravamo?
Nella Nato, certo. Ma con la Libia come maggiore azionista della Fiat. La Libia dove lavoravano molti tecnici italiani nel settore del petrolio: la Libia di Gheddafi era uno dei nostri maggiori partner commerciali, anche per gli armamenti.
E noi italiani stavamo firmando, proprio in quei giorni, un trattato di cooperazione e di protezione militare nei confronti di Malta, che si voleva affrancare dalla tutela libica.
Chissà Gheddafi come l'avrà presa questa scelta ..
Gheddafi che aveva sguinzagliato i suoi sicari per l'Europa (e anche in Italia) per far fuori gli oppositori al suo regime.

Non è fiction l'operazione Proud Phantom col trasferimento di questi caccia dalla base di Cannon verso Il Cairo. Non è fiction il caccia F111 (come quello del serbatoio supplementare trovato..) che quella sera viene accompagnato a terra da due caccia della base di Grosseto.
Non sono fiction i due plot rimasti impressi sul nastro di Ciampino, che mostrano una manovra d'attacco, da ovest, di un caccia che attraversa la scia del DC9 mentre questo esplode in volo.
Non sono fiction i tre misteriosi suicidi di avieri o radaristi, in vario modo legati a questa tragedia. Uno di questi era il maresciallo Dettori, della base di Poggio Ballone. Quello che confidò alla cognata "siamo stati ad un passo dalla guerra".
Non è fiction nemmeno il fatto che i magistrati hanno fatto fatica ad avere i nomi degli avieri al lavoro quella sera, nelle sedi dei radar. Borsellino, magistrato capo a Marsala, minacciò di mandare la finanza se non avessero tirato fuori i nomi, dopo la telefonata alla trasmissione Telefono Giallo.
Non è fiction che il generale Rana, del RAI (il registro aereo, l'ente che controlla lo stato degli aerei civili in volo), avesse fin da subito riferito al ministro Formica, la pista del missile.
Non è fiction l'infiltrazione della P2 dentro i vertici delle forze dell'ordine e dei servizi.
Non è fiction il mistero della Saratoga e della Clemenceau, le due portaerei americana e francese, ufficialmente in porto. Ma qualcuno quei caccia che razzolavano dal mare, avrà pur dovuto guidarli, no?

Tutto questo è potuto succedere perché non c'è stata vera volontà politica di fare luce sul mistero. Ma è anche colpa nostra, che abbiamo accettato che la tragedia delle 81 vittime del DC9 fosse ridotta ad un fatto geografico, Ustica. Abbiamo lasciati soli i parenti delle vittime, che poi si sono riuniti in un'associazione. Che ora dovrà pure pagare le spese processuali.
E' toccato a loro e non a me.
Sono cose che non mi riguardano.

No: la storia de I-Tigi è una storia dell'Italia e di italiani come noi.

26 giugno 2015

Lo sport preferito dagli italiani

La città dello sport di Tor Vergata
HOTEL ITALIA 90. E' uno degli ecomostri più celebri di Milano. 


Lo sport preferito dalla classe politico dirigente italiana è quello del cimentarsi nelle imprese impossibili, per fallirle quasi tutte.
La raccolta dei rifiuti? Il trasporto pubblico? La manutenzione delle strade, delle scuole, degli edifici pubblici? La trasparenza degli atti e dei conti?
Tutte cose da paese civile, normale, democratico oserei dire.
A noi italiani piace lanciarci nelle imprese grandi, complesse: come Italia 90, come le olimpiadi invernali di Torino, i mondiali di nuoto a Roma.
Ma ieri siamo andati oltre: abbiamo gettato il cuore (e anche altro) con la candidatura di Roma per le olimpiadi del 2014. Nonostante le retate di mafia capitale.

Ancora dobbiamo pagare i mutui accesi per Italia 90, leggo oggi in un articoletto del FQ: 
"Per farsi un’idea sull’impatto economico dei Mondiali di calcio di Italia ‘90(il comitato organizzatore era diretto dallo stesso Luca di Montezemolo che oggi promuove Roma 2024), può bastare questo dato: lo Stato italiano paga ancora una cifra vicina ai 60 milioni di euro l’anno per i mutui accesi prima dell’inizio della manifestazione. La spesa totale del Mondiale è stata superiore ai 7mila miliardi di lire, pari a 3,7 miliardi di euro. Oggi, secondo il calcolo rivalutato dell’Istat, sarebbero 7,5 miliardi di euro. Per brevità, taceremo delle strutture mai terminate. Le Olimpiadi invernali di Torino del2006, invece, sono spesso utilizzate come termine di paragone positivo. Eppure hanno comportato costi per lo Stato superiori ai 3 miliardi, mentre i ricavi ne hanno fatto rientrare uno solo. Uno dei simboli degli sprechi di quella ma-nifestazione è la pista da bob di Cesana Pariol: è costata 110  milioni (dopo  un preventivo  di 60). Ora è abbandonata e ne servirebbero altri15 solo per il ripristino."
Come per l'Expo di Milano, anche con le prossime Olimpiadi (semmai dovessimo vincere la candidatura) non rientreremo nei costi, saranno cause di sprechi e corruzione, si dovrà lavorare in urgenza e in deroga alle leggi ..

Sempre sul FQ,  Tommaso Rodano racconta della seduta al comune di Roma dove destra e sinistra hanno votato assieme per la candidatura, per il bene superiore 
"Fabrizio Panecaldo, capogruppo democratico in Campidoglio, suda, si agita, confa-bula, cerca di persuadere. Pronuncia un accorato intervento nel nome della “più ampia convergenza possibile”: “Bisogna andare oltre”,dice Panecaldo, “oltre anche i propri errori” e allude (nemmeno velatamente) all’irruenza verbale del suo sindaco. Funziona: quando finisce il discorso, Gianni Alemanno –indagato per associazione di tipo mafioso –taglia l’aula per andarlo ad abbracciare. È il segnale: la destra resta offesa per le fogne, ma fa capire di esser disposta all’estremo sacrificio: votare insieme alla maggioranza innome del bene superiore, ovvero i soldi; il “volano economico”(Alemanno dixit) che potrebbe rilanciare la città".
E sono soddisfazioni.
Potevamo accontentarci di completare la metro C nei tempi e nei costi. Di sistemare le strade, i conti del comune, anzi della città metropolitana, dell'emergenza delle case (per tutti quelli che ne hanno diritto).
E si, perché abbiamo creato le città metropolitane con la storica riforma delle province. Abolite per finta, perché così si governa meglio.
Per poi scoprire che questi enti non solo non erano inutili, ma partono pure con dei buchi di bilancio.
Come Milano, città di Expo: il bilancio è in rosso per 90 milioni. La Grecia non è così lontana in fondo. Solo che lì c'è una sinistra fastidiosa da spodestare.
E a Milano ancora dovranno gestire il dopo Expo ..
Ma questo non fa parte dello sport preferito da lorsignori.

25 giugno 2015

Preparate la corda

La gara a chi la spara più grossa sta toccando vette sempre più incredibili.

Il candidato premier Salvini "No al reato di tortura, polizia deve fare il suo lavoro".


Tutto sta a capire quale sia .. 

PS: per la serie aiutiamoli a casa loro: da repubblica "Politica estera e spesa per la Difesa: 9 euro su 10 destinati a militari, briciole alla cooperazione"

Colpo di stato in Grecia ( e nessuno ci ha avvisati)

Come previsto, la trattativa Grecia-creditori nasce e muore ogni giorno.
L'ultima bocciatura è fallita quando si era ad un passo dall'accordo: ne parla oggi Gilioli

«La non approvazione delle misure compensative non era mai accaduta prima. Né in Irlanda né in Portogallo, in nessun posto», ha twittato ieri il premier greco Alexis Tsipras facendo un po' il riassunto di quello che sta succedendo, secondo lui, a Bruxelles.
Se provate a inerpicarvi nei contenuti della trattativa tra Atene e i suoi creditori (sostanzialmente, l'Europa e il Fmi) rischiate oggi di perdervi in una quantità di dettagli tecnici che rischiano di far perdere di vista il problema di fondo. Ad esempio, non sembra così insuperabile il litigio sull'aliquota della tassazione societaria (Tsipras vuole il 29 per cento, la Troika il 28); né pare così fondamentale che l'introduzione ai disincentivi dei prepensionamenti avvenga il 1 gennaio 2016 (proposta greca) o il 30 giugno 2015 (richiesta dei creditori).
Viste così, insomma, paiono tutte o quasi questioni di lana caprina e abbastanza da sbadiglio.
Poi però c'è il problema di fondo, appunto, quello posto da Tsipras nel suo tweet: alla fine, il saldo contabile per lo stato greco a cui arriva il piano del governo di Atene è uguale a quello richiesto dai creditori; solo che i creditori vogliono che la Grecia ci arrivi in un altro modo. Ad esempio, portando l'Iva sui ristoranti dal 13 al 23 per cento e rifiutando al contempo la proposta alternativa greca di un prelievo una tantum del 12 per cento alle aziende che fanno utili superiori a mezzo milione di euro l'anno.
In altri termini, i creditori non si accontentano che la Grecia raggiunga quegli obiettivi di bilancio che lo stesso governo Tsipras si impegna a raggiungere: vogliono stabilire loro come questi obiettivi devono essere raggiunti, indicando nei dettagli dove si tassa e dove no, dove si taglia e dove no.
Verrebbe da commentare che c'è stato un colpo di stato in Grecia (e in europa) e nessuno ci ha detto niente.
La sovranità non appartiene al popolo, ma bensì al fondo monetario e alla BCE. Che hanno sì prestato soldi alla Grecia, ma per salvare la loro economia e anche la popolazione. La ricetta che è stata applicata ha funzionato? No, dunque impuntarsi su uno stato sovrano affinché faccia le cose che chiedono loro, è anche fuori luogo.
Come a dire che è troppo facile tagliare ancora salari, servizi pubblici e pensioni.
Più complicato prendersela con la casta degli armatori.

Il sole 24 ore cerca di dare un retroscena di quanto successo nel FMI: le velleità politiche di DSK nel 2011, quando il fondo entrò per salvare la Grecia su insistenza anche della Germania. Che non voleva a sua volta impegnare solo l'Europa nel salvataggio.
E ora, al suo fine mandato, Lagarde si trova a dover gestire la restituzione del debito mentre punta ad un nuovo mandato:
Difficile dire cosa sarebbe stato del caso Grecia senza la drammatica uscita di scena di Dsk nel 2011, ma, di fatto, l’Fmi resta invischiato in una vicenda nella quale ha recitato sempre una parte subalterna, accettando anche soluzioni che andavano contro alla propria esperienza di decine di casi di Paesi debitori, e mettendoci del suo con l’avallo a una serie di previsioni sbagliate sugli effetti dell’austerità imposta ad Atene sulla crescita e quindi sul debito. Una circostanza che la settimana scorsa è stata ammessa dal capo economista dell’Fmi, Olivier Blanchard. Il quale però ha ricordato anche un’altra cosa: un ammorbidimento degli obiettivi di surplus primario di bilancio ormai «irrealizzabili» (il 3% per il 2015 dovrà diventare l’1) comporta una copertura attraverso il riscadenziamento su lunghissimo termine del debito. Il Fondo infatti, il cui programma con Atene scade nel marzo 2016 deve assicurarsi che il debitore copra tutto il fabbisogno di finanziamento per la durata del programma stesso. E con un surplus primario ridotto, questo può venire solo da un allungamento delle scadenze del debito o, a più lungo termine, ricorda Blanchard, con un haircut, che a questo punto dovrebbe essere sopportato dagli europei.
Ma nel 2016 scade anche il mandato di Christine Lagarde alla direzione e questo rende la posizione dell’Fmi scomoda anche sul fronte interno: i Paesi emergenti, che hanno contestato fin dall’inizio nel consiglio del Fondo i prestiti alla Grecia e le loro condizioni, restano una spina nel fianco del vertice dell’istituzione e sono pronti a dare battaglia sui termini del possibile accordo che si discute in queste ore. E ancor più sul possibile coinvolgimento dell’Fmi in un terzo pacchetto di aiuti ad Atene. Non certo un incentivo per la signora Lagarde a tenere una linea morbida nella stretta finale su Atene.
Dopo Tsipras, che qualcuno evidentemente si sta preparando a defenestrare, c'è alba dorata (dubito che torni un goveno tecnico di larghe intese).
Evidentemente ai signori in gracca e cravatta del fondo e dell'Unione questo non importa.

Avete mai sentito Draghi preoccuparsi dell'Ungheria?
Non solo non li eleggiamo, i vari Juncker, Lagarde, DSK,Draghi .. ma in un foturo prossimo (quello dove si smontano i diritti civili, il welfare, le tutele sul lavoro) non eleggeremo nemmeno i nostri deputati o senatori. 
Questa è democrazia?

La repubblica fondata sul pareggio di bilancio

Cari cittadini state attenti: se i vostri diritti, quelli sanciti dalla costituzione, sono in conflitto coi vincoli europei, coi vincoli di bilancio, saranno considerati carta straccia.
Questo racconta la sentenza di ieri della Consulta, in una sentenza che qualcuno potrebbe definire pure "politica".
Laddove si stabilisce che i blocchi agli statali dei governi Berlusconi, Monti, Letta e Renzi (non a tutti gli statali, certo, figli e figliastri) è incostituzionale, ma chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato ..

Decisione saggia, dirà qualcuno.
Peccato che sia una decisione che conferma la trasformazione dell'assetto di questo paese: si possono comprimere salari e pensioni, per arrivare verso una situazione di deflazione, senza doversi preoccupare di sprechi, corruzione e ladrocini vari.
La corruzione costa svariati miliardi l'anno, sia in termini di soldi persi sia in termini di servizi no erogati?
Non importa, al massimo si lima la spesa pubblica, si taglia un pochetto su salari e diritti e via ..

Al massimo si può sempre dare la colpa ai clandestini, tutti 'sti clandestini che non ne possiamo più. Gli italiani sono costretti a dormire in macchina e questi pretendono l'albergo tre stelle!
Ogni sera la trasmissione più politica di Mediaset, quella di Del Debbio, batte questo tasto.
E funziona. Basta sentire quello che la gente dice sui treni, alla pausa caffè.

Perché ora nemmeno la sinistra deve avere paura di questa parola, rimpatri: non deve essere tabù rimandare a casa sti clandestini che non hanno titoli per rimanere qui, nella ricca Europa.
Peccato che il meccanismo dei rimpatri sia già previsto dalla legge e qualche volta venga pure applicato.
Il problema è che costa e non è efficace.
Non possiamo tenerli in quarantena nei lager o nei Cie, senza identificarli.
Dunque, solo chiacchiere al vento.

L'Europa esiste solo quando si tratta di fare la voce grossa con la Grecia. O per le generiche affermazioni sugli immigrati.
Chiacchiere al vento, appunto.

24 giugno 2015

Tav chi sì - il webdocumentario sull'alta velocità e le grandi opere

Il trailer del web documentario
Il Fatto Quotidiano pubblica la nota dell'editore al ebook "Tav chi sì", l'inchiesta social su grandi opere e tav, tra sprechi e cricche.





Ecco un estratto della nota dell’editore all’opera “Tav Chi Sì”, ebook più webdocumentario sulle grandi opere all’italiana realizzato da Trancemedia.eu in collaborazione con ilfattoquotidiano.it. “Tav Chi Sì” è curato dal collettivo Junius I (Ivan Cicconi, Andrea De Benedetti, Claudio Giorno, Francesco Paola) ed è acquistabile online a 4 euro. I lettori potranno inviare segnalazioni e contributo che saranno vagliati da un team di esperti.

 L’Alta Velocità ferroviaria ha registrato, in termini di costo, il più colossale investimento pubblico dai tempi di Traiano. Non una spesa minore, una fra tante, ma la maggior spesa assoluta. I suoi mutui, cari non-estinti, ci accompagneranno per vari decenni ora che la maggior parte delle linee è completa. Tracciati mastodontici, come quelli su cui corrono le Frecce e Italo, in Germania non saranno più costruiti. La Germania per il futuro ha scelto la via leggera del Pendolino, che in Italia era stato sviluppato, brevettato, industrializzato – e svenduto. Nella spesa pubblica, i tagli a sanità, istruzione, ferrovie locali-notturne-merci, manutenzione strade, cultura diventano drammatici dal 2007. Data non casuale: poco prima Bruxelles aveva rivisto i conti dell’Alta Velocità italiana e aveva imposto di iscrivere ai passivi dello Stato debiti per una decina di miliardi di euro, l’uno per cento del pil in un sol colpo. Ma il costo totale delle nuove linee ha già superato il decuplo di quella cifra, senza contare i tunnel transalpini. Pubblicità Saltano fuori come un coniglio magico: sono i passivi nascosti, larvati nelle finte spa attinenti alla nuova costosissima ferrovia. Sacrificio una tantum? No, nel 2015 e ben oltre continuano i costi per capitale, interessi, arbitrati, su una ferrovia pianeggiante sei volte più cara che in Francia, sette o otto volte più che in Spagna.

 Nel frattempo, molti pendolari sono dovuti tornare all’auto. Chi viaggiava tra Nord e Sud con gli espressi notturni è stato spinto sugli aerei. Il trasporto merci è stato largamente smantellato e deviato su strada. L’Alta Velocità ferroviaria ha messo persone e cose su gomma e su ali: l’ideale per il clima, per la bilancia dei pagamenti! La pratica nuova (post-Tangentopoli) di intese tra politica, finanza, media e consorterie ha generato un metodo poi viralmente applicato come paradigma in mille pretese innovazioni e riforme.
Ne risultano impatti violenti sulle voci di spesa più onerose per i contribuenti (e rischiose per i risparmiatori): sanità, trasporto, utilities. E non resta capacità per finanziare il riassetto del territorio, mentre il modello di futuro del secolo scorso accelera i cambiamenti climatici. I partiti si emulsionano al punto che oggi nelle nuove metropoli (un vanto?) i rappresentanti sono spesso accorpati in liste uniche, ove la democrazia elettorale formale sottende con frequenza il comitato di affari.

La libertà di stampa tocca il minimo dai tempi delle leggi speciali mussoliniane; senza violenza, di solito, ma con l’autocensura indotta in chi è consapevole del ‘gioco di squadra’ nei media sovradimensionati, indebitati, ricattabili e obbedienti. Investigare l’Alta Velocità equivale a indagare il colossale business che si giocherà per decenni sul nostro patrimonio collettivo e sui risparmi privati. Afferrare il paradigma del Mose, dell’Expo, dell’autostrada tirrenica, della Orte-Mestre, delle altre opere di grande impatto. E magari formarsi un giudizio utile, modelli nuovi.
In questo articolo si parla anche del ruolo delle banche sulle grandi opere (prendi i soldi e scappa) e dei media tradizionali, che non sono stati capaci (o non hanno voluto) di informare correttamente le persone:
IL RUOLO DELLE BANCHE: PRENDI I SOLDI E SCAPPA. 
L’investigazione di “Tav Chi Sì” approfondisce anche il ruolo delle banche, riassumibile alla Woody Allen in “Prendi i soldi e scappa”: “Le banche costituenti Tav nel luglio 1991 usciranno dalla società 7 anni dopo, calcolando come prestiti a prezzi di mercato e non come apporti in capitale i loro finanziamenti al progetto alta velocità (i piccoli capitali investiti saranno loro rimborsati all’uscita). Questi interessi, moltiplicati dai ritardi e dalle continue revisioni in corso d’opera, incombono ancor oggi e per i decenni a venire sul bilancio dello Stato”. Fino ai tempi moderni della Cassa depositi e prestiti. 
“‘Tav Chi Sì’ è un tentativo di avviare nuove forme di editoria politica negli anni del web sociale e ubiquo “, spiega Claudio Papalia di Trancemedia.eu. “Una corretta informazione al pubblico sul tema della spesa pubblica non è disponibile in Italia almeno dai tempi in cui Guido Carli introdusse lo slogan delliberarsi di lacci e lacciuoli. A quarant’anni di distanza, il tema del controllo democratico sulla spesa pubblica è rovente anche perché lo scioglimento di lacci e lacciuoli, innestato sul pensiero unico della deregulation e praticato con leggi urgenziali, si è rivelato moltiplicatore di debito pubblico (e privato)”. Risultato, continua Papalia, “a partire dal recente Sblocca Italia di Renzi, tra il 2015 e il 2016 la politica delle cosiddette Grandi Opere rischia di bruciare definitivamente il bilancio del Paese in spregio ai beni pubblici, all’ambiente e ai più elementari principi dipartecipazione democratica“. Ma, ed è la scommessa di “Tav Chi Sì”, oggi “i media digitali e sociali sono il mezzo per favorire nel pubblico la consapevolezza e la capacità di giudizio”.

Genio, per andare dove vogliamo andare ..

Oggi non vorrei parlare (e dire sempre le stesse cose) di mafia capitale e #Marinostatisereno, del governo che salva Castiglione (dando ragione così a Buzzi) e mette la fiducia sull'emendameno che sblocca le assunzioni nella scuola (e rimanda a poi le parti più contestate della riforma).
Il pasticcio sulla delega dfiscale, coi decreti su catasto e slot machine, la Severino rivista per consentire a De Luca di formare la giunta e governare d assente ...

No, oggi voglio parlare di quello che mi è successo in metrò: "causa guasto circolazione sospesa tra le stazioni di Zara e Sondrio", l'annuncio appena scesi sulla gialla, che proseguiva parlando di mezzi di superficie in sostituzione (si vabbé, sai che coas).
Buona parte delle persone a fianco hanno messo mano allo smartphone, come se fosse il genio della lampada.
"Genio, per andare dove devo andare... per dove devo andare?"

Ecco il miracolo (o la cosa che non ti aspetti): in molti, infastiditi dalla risposta troppo tecnica del genio, hanno preferito alzare la testa dallo schermo per chiedere un aiuto alla persona che stava a fianco.
Per molti, tra quelli che entrano nei vagoni con le cuffiette e passano il tempo del viaggio guardando solo lo schermo del proprio cellulare, deve essere stata una scoperta accorgersi che esistono altre persone attorno, che fanno lo stesso tragitto, che magari vanno anche nella stessa via ..

23 giugno 2015

L'equivoco di Grasso

Arrestato con l’accusa di truffa aggravata e frode fiscale. Massimiliano Scarabeo (Pd), assessore regionale alle Attività produttive del Molise, è finito ai domiciliari questa mattina nell’ambito di un’operazione della Guardia di Finanza nelle province di Campobasso e Isernia. Scarabeo è finito agli arresti domiciliari nell’ambito di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Isernia. Con lui ai domiciliari anche il fratello Gabriele. All’operazione partecipano una ventina di finanzieri che stanno eseguendo perquisizioni in abitazioni private, aziende e uffici pubblici, comprese le sedi della Regione a Campobasso.
A difenderlo è l’avvocato Danilo Leva, deputato Pd nonché componente della Commissione Giustizia alla Camera. “Sono convinto dell’estraneità di Massimiliano alla vicenda – ha detto Leva, che peraltro era responsabile Giustizia dei dem quando era segretario Guglielmo Epifani – tra qualche ora saremo in grado di esprimere una valutazione più compiuta perché leggeremo gli atti”. Leva è affiancato dall’avvocato di Campobasso Mariano Prencipe, mentre il fratello è difeso da Fabio Del Vecchio.
Dopo la mancata elezione del senatore Casson a sindaco di Venezia, il critico televisivo Aldo Grasso scriveva del problema di un ex giudice, candidato, che fa politica:
"Tornato a Roma, come membro della Giunta delle Immunità in merito all’arresto del senatore Azzollini, ha dichiarato: «Non c’è fumus persecutionis. Ho letto le carte. Per me l’ordinanza è fatta bene, è lineare e corretta». In poche parole, sì all’arresto. Sia chiaro, a Casson non si può imputare nulla, le sue scelte sono garantite dalla Costituzione. Ma dovrebbe almeno aiutarci a uscire dall’equivoco dei magistrati che fanno politica".

Ecco, ci aiuti Grasso a risolvere quest'altro equivoco, di un membro della commissione giustizia che fa anche l'avvocato difensore di un collega (stesso partito, PD), imputato per truffa.
Una volta erano cose che capitavano nel centrodestra (vi ricordate cosa si diceva sugli avvocati onorevoli Ghedini e Longo)?
Si tratterebbe della solita questione del conflitto di interesse.
L'equivoco del professionista (non necessariamente un magistrato) che entra politica e non si dimentica della bottega. O degli amici.

Mammaroma

«A Roma salutavo gli amici. Dove vai? Vado in Perù. Ma che sei matto? Me ne andavo da quella Roma puttanona, borghese, fascistoide, da quella Roma del "volemose bene e annamo avanti", da quella Roma delle pizzerie, delle latterie, dei "Sali e Tabacchi", degli "Erbaggi e Frutta", quella Roma dei castagnacci, dei maritozzi con la panna, senza panna, dei mostaccioli e caramelle, dei supplì, dei lupini, delle mosciarelle...
Me ne andavo da quella Roma dei pizzicaroli, dei portieri, dei casini, delle approssimazioni, degli imbrogli, degli appuntamenti ai quali non si arriva mai puntuali, dei pagamenti che non vengono effettuati, quella Roma degli uffici postali e dell'anagrafe, quella Roma dei funzionari dei ministeri, degli impiegati, dei bancari, quella Roma dove le domande erano sempre già chiuse, dove ci voleva una raccomandazione... Me ne andavo da quella Roma dei pisciatoi, dei vespasiani, delle fontanelle, degli ex-voto, della Circolare Destra, della Circolare Sinistra, del Vaticano, delle mille chiese, delle cattedrali fuori le mura, dentro le mura, quella Roma delle suore, dei frati, dei preti, dei gatti...
Me ne andavo da quella Roma degli attici con la vista, la Roma di piazza Bologna, dei Parioli, di via Veneto, di via Gregoriana, quella dannunziana, quella barocca, quella eterna, quella imperiale, quella vecchia, quella stravecchia, quella turistica, quella di giorno, quella di notte, quella dell'orchestrina a piazza Esedra, la Roma fascista di Piacentini... Me ne andavo da quella Roma che ci invidiano tutti, la Romacaput mundi, del Colosseo, dei Fori Imperiali, di Piazza Venezia, dell'Altare della Patria, dell'Università di Roma, quella Roma sempre con il sole - estate e inverno - quella Roma che è meglio di Milano...
Me ne andavo da quella Roma dove la gente pisciava per le strade, quella Roma fetente, impiegatizia, dei mezzi litri, della coda alla vaccinara, quella Roma dei ricchi bottegai: quella Roma dei Gucci, dei Ianetti, dei Ventrella, dei Bulgari, dei Schostal, delle Sorelle Adamoli, di Carmignani, di Avenia, quella Roma dove non c'è lavoro, dove non c'è una lira, quella Roma del "core de Roma"... Me ne andavo da quella Roma del Monte di Pietà, della Banca Commerciale Italiana, di Campo de' Fiori, di piazza Navona, di piazza Farnese, quella Roma dei "che c'hai una sigaretta?", "imprestami cento lire", quella Roma del Coni, del Concorso Ippico, quella Roma del Foro che portava e porta ancora il nome di Mussolini, Me ne andavo da quella Roma dimmerda! Mamma Roma: Addio!»
Remo Remotti - Mamma Roma addio

La roma degli ex fascisti rimasti tali e quali, dei tassisti col braccio teso, dei cardinaloni a braccetto col politico e l'amante giovane. Di quelli rossi di fuori, col libro da presentare sotto il braccio, ma vuoti dentro.
Dei comitati per roma olimpica, per roma capitale, per il nuovo stadio .. tutto nuovo purché se magni.
La roma capoccia del cupolone, delle strade dissestate, del colosseo, dei fori.
Della metro C dei ritardi e dei costi gonfiati che crescono , crescono ..
La roma che la mafia non esiste, che basta co sti zingari, che prima le case agli italiani (che non avevano la casa nemmeno quando non arrivavano i profughi).
La roma caput mundi, mammaroma .. mamma mia.

22 giugno 2015

Le inchieste del colonnello Reggiani di Valerio Massimo Manfredi

Antonello da Messina - Ritratto d'uomo
Un nuovo investigatore si affaccia sul panorama letterario dei romanzi gialli: nuovo perché a differenza di altri colleghi, non si occupa di delitti o di crimini comuni. Il colonnello Aurelio Reggiani, dopo una lunga esperienza nel ROS dove si è occupato di criminalità organizzata, è ora a capo di una squadra che segue i reati contro il patrimonio artistico:
“Se prima la sua battaglia quotidiana era contro coloro che minacciavano la sicurezza fisica della gente, ora egli combatteva contro coloro che volevano rubare l'anima del popolo, privarlo della sua memoria storica e civile.La sua battaglia era più cauta e prudente, più sottile e sommessa, ma non meno dura, non meno pesante. Soprattutto gli pesava la responsabilità: se prima il suo compito era di togliere dalla circolazione qualche individuo pericoloso, anche assassini certo, sequestratori e mercanti di morte, si trattava comunque di cause ed effetti effimeri e contingenti, legati a circostanze in fondo casuali. Ora gli si chiedeva d salvare pezzi della civiltà universale, tesori di valore assoluto la cui unicità irripetibile li rendeva assolutamente insostituibili, come se l'Odissea o la Divina Commedia, come se la Quinta di Beethoven esistessero per assurdo in un unica copia e non riproducibile. Ecco, quel momento in cui il capolavoro letterario o musicale è appena uscito dalla penna del genio, prima che venga copiato, stampato e diffuso, quel momento terribile in cui potrebbe andare perso o bruciato era invece la condizione permanente del capolavoro d'arte”.

Assieme al suo braccio destro, il tenente Ferrario, deve affrontare inchieste (ambientate quasi tutte in un recente passato e non nella stretta attualità) che riguardano furti di quadri, tavole in legno e statue da musei e ville private, reperti sottratti agli scavi, quadri sottratti da chiese... la Muta di Raffaello o la Madonna di Senigallia di Piero della Francesca, nel museo di Urbino.
Questo non significa che il suo lavoro sia meno importante di chi insegue assassini o rapinatori: un furto di un'opera d'arte è un danno sia per il valore dell'opera in sé, sia per il danno di immagine per l'Italia, la patria dell'arte, il grande museo a cielo aperto dove migliaia di tesori sono nascosti in musei e chiese.
C'è un altro aspetto che Reggiani ha ben presente: preservando i nostri tesori si preserva anche una parte importante della nostra storia a chi verrà dopo.

Per questo motivo Reggiani, colonnello vecchio stampo, persona colta, di buon gusto, pretende il massimo impegno dai suoi uomini. Sa che dietro un dipinto di Raffaello ci sono tanti intenditori, collezionisti, mercanti d'arte con pochi scrupoli, in Italia e all'estero, disposti a borsare una grossa cifra per accaparrarsi uno di questi tesori. Per sé e per nessun altro.
I cinque casi raccontati in questo romanzo da Valerio Massimo Manfredi ci ricordano quanto il nostro patrimonio sia a rischio e non solo per l'incuria del tempo e dell'uomo.
E quanto sia importante il lavoro dei nuclei investigativi che indagano sui furti di opere d'arte.

Detto questo, veniamo al libro che, purtroppo per quelli come me che hanno apprezzato i suoi romanzi su Alessandro Magno, su Ulisse, sul tiranno di Siracusa, i thriller storico-archeologici su Mosè, sugli etruschi, sull'ultima legioneromana, l'impero dei draghi .. rimarranno un po' delusi.
Non sono riuscito ad immedesimarmi del tutto in questo nuovo personaggio, nelle sue storie, nelle sue vicende personali. Una figlia diventata adulta senza madre. Un donna importante, conosciuta ai tempi in cui si occupava di rapimenti.

Forse, se anziché più racconti, Manfredi si fosse concentrato su uno solo, dando il tempo al personaggio di farsi conoscere al lettore, il libro sarebbe riuscito meglio.
Ma rimane un mio parere ..
Anche perché, per come finisce l'ultimo racconto, ci sarà modo di tornare sul colonnello dei carabinieri Reggiani.

La scheda del libro sul sito di Einaudi e qui potete scaricare l'incipit del libro.

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Oggi no, domani forse

Forse oggi è la volta buona per trovare un accordo tra la Grecia e la (ex) Troika: nel caso ciò non avvenga, domani si tornerà a parlare di tonfo delle borse e di Grexit ..
Ci sono margini per tagliare ancora qualcosina, come i prepensionamenti, una tassa per le aziende con oltre 500mila euro di utili (magari anche gli armatori pagheranno).
Ma non si potrà andare avanti a spremere il limone all'infinito: l'Unione europea e gli organi sovranazionali dovrebbero capirlo, che serve avere una visione a lungo termine, che a furia di passar sopra le scelte dei cittadini poi questi si disamorano dell'Europa e si favoriscono le destre fasciste.

Di certo ieri non è stato affrontato né risolto l'argomento immigrazione tra Hollande e Renzi: il presidente francese (come tutti i paesi del resto), non vogliono le quote. L'Italia tira in ballo la solidarietà tra i paesi europei.
Andremo avanti a non risolvere il problema e a rimandare ad un domani dove l'emergenza (e l'insofferenza delle persone) diventerà sempre più grande.

L'arte del rimandare è come una partita a poker, dove devi essere bravo a capire quando smettere coi bluff.
Funziona a breve termine.
Si sono salvate le banche creditrici europee.
Si è scaricato sulle regioni del sud (e su poche città del nord come Milano) il problema dei profughi, su cui hanno speculato le coop rosse e bianche. 

Ma domani?

Sempre in tema migranti: Fabrizio Gatti su l'Espresso racconta dei progetti nati e fatti morire in Africa. Progetti che avrebbero potuto arginare i flussi migratori creando un minimo di benessere e posti di lavoro.
Con i due miliardi e 288 milioni spesi dal nostro governo negli ultimi quattro anni, avremmo potuto far lavorare un milione e 830 mila uomini e donne. E garantire una ricaduta positiva sulle loro famiglie per un totale di dodici milioni e ottocentomila persone. In altre parole, con un investimento di 180 euro per persona in Africa e un progetto decente, e soprattutto gestito dai beneficiari, potremmo alla fine fermare al via gran parte degli emigranti in cerca di lavoro. Destinando così l’accoglienza in Europa a quanti chiedono asilo o protezione umanitaria perché davvero in fuga da guerre o dittature: come siriani, eritrei e somali. Il successo dell’esperimento è tutto qui, nel caldo torrido di Makalondi, sulla strada nazionale che dal Burkina Faso porta a Niamey, la capitale del Niger. 
Un successo talmente a buon mercato che proprio in questi giorni il progetto, avviato nel 2012 dall’associazione piemontese “Terre solidali” e dall’Università di Torino, verrà chiuso e archiviato dall’Unione Europea. Non è una bocciatura. Funziona proprio così. Bruxelles ci mette il 75 per cento dei soldi necessari, gli altri bisogna trovarseli. Poi però i risultati devono essere raggiunti e rendicontati all’Ue in appena tre-quattro anni, in modo che il commissario di turno possa appropriarsi di cifre e applausi nel corso del mandato. L’Europa industriale sta depauperando il continente da secoli, ma noi pretendiamo che gli africani si rimettano in piedi nel giro di trentasei-quarantotto mesi. Con questi cappi al collo, qualunque Sergio Marchionne troverebbe più conveniente e capitalistico pagarsi il viaggio sul barcone.
Possiamo continuare a ragionare come se questi (la Grecia, la povertà nei paesi africani, le guerre, la disperazione di chi scappa) non siano un problema nostro.
Ma non dimentichiamoci che c'è sempre qualcuno disposto a specularci sopra.
E a portare i migranti qua.
E attraverso la Grecia passa una parte dei migranti dall'Asia: che succede se la Grecia fallisce? Ci avete pensato?

Ma il PD non ti ha detto niente?

E arrivò anche per Marino il momento di togliersi il sassolino dalla scarpa, nei confronti della destra (quella giustizialista con gli altri, che deve tornare nelle fogne) e del Partito democratico.
Evidentemente ha smesso di fidarsi del partito che lo ha candidato e piazzato a Roma: è lo stesso partito che fino a dicembre gli chiedeva un rimpasto (o anche di fare un passo indietro). Poi, dopo il primo filone dell'inchiesta mafia capitale aveva fatto quadrato. Marino non si tocca!
E ora, siamo al #marinostaisereno, se sei capace di governare bene, perché come ha spiegato il ministro per i rapporti col parlamento, l'onestà non basta.

Serve qualcosa d'altro. Forse per governare Roma devi dimostrare di essere fedele al partito, di accettare le sue regole non scritte e magari di essere pure ricattabile.
E ora è arrivato il momento dei mezzi ricatti: 
“Quando stavamo cambiando i Cda delle municipalizzate mi chiamò il mio predecessore Gianni Alemanno per dirmi che aveva ‘due nomi da segnalarmi’. Io non capii, pensai che volesse presentarmi dei curriculum, e lui disse: ‘Ma il Pd non ti ha detto niente?”. 
Alemanno ha sporto querela, accusando il sindaco di parlare di telefonate inesistenti. Vedremo.
Ora, Marino ha solo una possibilità: andare in procura e raccontare tutto quello che sa. Altrimenti rimarrà anche lui invischiato in questi giochi di mezzi ricatti, mezze bugie e mezze verità ..
Strano partito, il suo: sembra che soffra di una sorta di labirintite nei confronti dei propri eletti/candidati. De Luca impresentabile è stato difeso come un sol uomo, dopo le il presidente della commissione Antimafia Bindi l'aveva messo in lista nera.
Liste di proscrizione.
E ora che è stato eletto, ma non può governare (e dunque chi governa la Campania?), tutti zitti.

21 giugno 2015

#missingmatteo

L'iniziativa di quei geni di Gazebo: lasciare un cartonato a dimensioni naturali del presidente Renzi, in attesa del suo arrivo di persona.
Le vele di Scampia, la Thyssen a Terni (e qui i problemi non sono risolti), Carbonia, l'Aquila (ancora da ricostruire il centro), Lampedusa e la baraccopoli di Rosarno (che non scandalizza come quello che succede in centrale, perché lontano dalle telecamere).







Sono tutti posti dove il premier si è tenuto alla larga. Forse anche questo spiega il calo del PD nei voti? Seppur vincente ora, ma alla prossima?
Ci pensi, presidente. Anche questa è Italia in fondo.