26 settembre 2015

La politica non serve a niente, Perché non sarà il Palazzo a salvarci – Stefano Feltri

Confesso di aver preso in mano questo libro, scritto dal vicedirettore del Fatto Quotidiano Stefano Feltri, con un certo scetticismo. Il titolo prima di tutto, che sembrava preso da una delle tante discussioni da talk, dove vince chi grida più forte. Mandiamoli a casa, sono tutti ladri ..
E poi il sottotitolo “perché non sarà il palazzo a salvarci”: ricorda le parole del presidente americano John Fitzgerald Kennedy.

E invece no.
In questo bel saggio, che si legge molto facilmente nonostante si parli di politica, di economia e anche di tecnologie dell'oggi e del domani (e saranno loro a salvarci), c'è molta positività di fondo.
Non è un saggio catastrofista di antipolitica un tanto al chilo: Stefano Feltri spiega il perché è giunto a quella tesi, così netta. Non sarà questa politica e questi partiti politici con questi leader a salvare il paese. A far ripartire l'economia, a far crescere il PIL, a creare quei posti di lavoro che ad ogni elezioni vengono promessi.
La politica non è più in grado di fare molto a causa dei vincoli che essa stessa si è data. I vincoli europei (sul pareggio di bilancio, sul fiscal compact), i vincoli che derivano dalle sentenze della Corte Costituzionale che oggi sembra più difendere i diritti acquisiti dell'oggi, che non preoccuparsi dei diritti degli italiani di domani. Come le pensioni garantite anche a chi non ha erogato contributi a sufficienza.
La politica non è in grado di dare soluzioni nell'immediato per i suoi tempi lunghi, per le discussioni del palazzo inutili, per la resistenza delle lobby (che non sono elette ma che hanno influenza sugli eletti), per le burocrazie nei palazzi.
La politica non è in grado anche perché, più che indicare soluzioni, sembra voler assecondare le grida manzoniane del popolo. Il popolo vuole l'uscita dall'Euro? Diamogli l'uscita dall'euro.
Il popolo vuole un nemico esterno su cui sfogarsi (e per non prendersela coi governanti di ieri e di oggi)? E noi diamo la caccia agli immigrati.
E via discorrendo …
Abbiamo aspettative troppo altre nei confronti dei leader dei partiti, deleghiamo a loro fin troppo delle scelte che poi incidono sulla nostra vita.
Il giornalista spiega come nel corso di questi anni si sia passati da un modello dalla democrazia dei diritti alla democrazia del pubblico:
“nella democrazia del pubblico è l’offerta che determina la domanda. Sono cioè i leader politici che, cercando il consenso per essere eletti”.

Raccontano loro quello che essi stessi vogliono sentirsi dire.

E' certamente una provocazione quella di Feltri: ma che man mano che si scorrono le pagine, diventa sempre più convincente.
Mentre nei palazzi si discute di articolo 18, delle licenze dei taxi, della riforma della scuola, delle trivelle con cui succhiare ancora un po' di petrolio, la fuori c'è un mondo in cambiamento. Una nuova rivoluzione sta avvenendo sotto i nostri occhi e forse noi non ce ne stiamo rendendo conto. Dalla rivoluzione industriale non si assisteva ad un concentrato di idee, tecnologie, strumenti tutti a portata di mano.
Per uscire dalla crisi, spiega l'autore, l'Italia dovrebbe puntare all'istruzione di eccellenza, dalle scuole primarie fino all'università.
Dovremmo investire in ricerca, nelle aziende private e anche nelle aziende pubbliche.
E invece: investiamo nell'università un misero 0,8% del PIL (peggio di noi solo la Grecia).
Stesso discorso per la ricerca: “Nel 2012 l’Italia ha speso l’1,3 per cento del Pil in ricerca e sviluppo a fronte del 2,4 della media dei Paesi Ocse, a sua volta inferiore alla spesa di Paesi quali Stati Uniti (2,8 per cento), Germania (2,9 per cento)”

Pensiamo ancora di competere puntando sul manifatturiero, sull'ortofrutticolo, sulla produzione di bassa qualità che richiede una bassa manovalanza dove ci si scanna solo sul prezzo della manodopera.
Da quando c’è Matteo Renzi presidente del Consiglio si è affermata una rassicurante idea di come uscire dalla crisi. «Bisogna che l’Italia torni a fare l’Italia» ripete il premier, per poi partire con l’elenco di tutto quello che abbiamo di «bello» da offrire al mondo, dal cibo – celebrato a Milano all’Expo 2015 e sugli scaffali dei negozi Eataly del renziano Oscar Farinetti – all’arte e alla cultura, che lui intende sempre come insieme di monumenti, quadri, strade, palazzi, chiese. I libri e le idee sono fuori dal suo orizzonte. Il futuro dell’Italia passa da lì, sembra intendere Renzi, dalla trasformazione dell’intero Paese in una specie di grande museo degli Uffizi, simbolo fiorentino della cultura italiana esposta al mondo”.

Chiaro che se puntiamo al lardo di colonnata, mentre nel resto del mondo si fanno ricerche sui Big data, sulle auto che si guidano da sole, sul risparmio energetico, abbiamo ben poche speranze.
Il modello fordista, dell'azienda che produce in catena l'auto per tutti è fallito. Crollato il muro di Berlino non abbiamo più altre masse di persone cui vendere i prodotti del capitalismo.
Dobbiamo rassegnarci al declino, allora – si chiede retoricamente l'autore.
No.
Perché ormai agli stati nazionali si sono sostituiti gli stati virtuali, transnazionali. La repubblica di Facebook e il regno di Google.
Che si stanno sostituendo agli stati nazionali nell'erogazione di servizi che sarebbero loro prerogative: Feltri ricorda le campagne per l'alfabetizzazione nei paesi africani di Facebook, perché FB ha bisogno di un pubblico istruito, cui dare la porta di accesso ad internet.
Non solo:
“Facebook sta provando a entrare anche nel campo della salute. Nel 2012, Facebook ha ottenuto una risposta imprevista dagli utenti quando ha reso possibile modificare i loro status inserendo la qualifica di «donatore di organi»”[..]Ci guadagnano tutti: gli utenti che hanno un servizio migliore, i gruppi farmaceutici che possono concentrare gli investimenti pubblicitari direttamente sui potenziali clienti e Facebook che aumenta il traffico”.


C'è il settore delle rimesse degli immigrati, i loro soldi viaggeranno un giorno via FB rompendo il monopolio dei due big MoneyGram e Western Union.

Uno dei fondatori di Google si è dedicato invece alla raccolta fondi, come i 7 milioni al Parkinson’s Institute, per creare il più grande database delle malattie genetiche.
Attraverso il fondo Google Ventures, i fondatori Brin e Page intendono finanziare la ricerca per affrontare tutti i problemi risolvibili con la tecnologia.
Bill Gates invece che distribuire soldi sulla ricerca, ha iniziato a finanziare lo sviluppo di prodotti, come “Reinvent the toilet”: un bagno pensato per quanti ogni giorno fanno i loro bisogni all'aperto, con tutti i rischi per la salute.
Spiega l'autore:
“la tecnologia permette qualcosa che fino a qualche anno fa era impensabile, rende molto più interessante vendere qualcosa con margini bassissimi a centinaia di milioni di persone piuttosto che costringere una ristretta minoranza”.

Non è solo filantropia fine a se stessa: come la raccolta di fondi per mandare cibo ai paesi poveri. È l'applicazione del principio per cui è meglio insegnare al povero a come si pesca. Per sfamarlo per sempre.

Solo che queste cose le fanno i privati, mentre la politica sta ad osservare, a cercare di regolare, condannata ad un ruolo di spettatrice. Anche perché quando si muove, rischia di fare più danni che altro. È il caso di Uber e delle altre piattaforme di sharing economy, bloccate da sentenze di giudici e da politici che più che al futuro, si preoccupano dei gruppi attrezzati a difendere i loro privilegi.
Uber liberalizza il trasporto pubblico locale, Spotify supera il concetto di copyright nella musica”. E ancora, Airbnb vanifica il tentativo degli albergatori di fare cartello, CoContest consente a una platea vasta di poter avere un progetto per ristrutturare casa.
Ci sono poi i cuochi a domicilio, il carpentiere che arriva con un click su una app di uno smarphone.
Ma così si uccide l'economia tradizionale, si distruggono posti di lavoro, si mettono in crisi interi settori.
Alcune di queste obiezioni sono vere: non abbiamo garanzie che i posti di lavoro creati con le nuove tecnologie compenseranno quelli persi. Ma è altrettanto vero che queste offrono prodotti e servizi a prezzi più bassi, per una platea di clienti molti più vasta. Nota l'autore che questo permette di “ottenere risultati analoghi o forse migliori di quelli raggiungibili perseguendo un modello di crescita fondato sull’aumento costante di consumi”.
Nemmeno possiamo stare a guardare, non cogliere queste opportunità, non sfruttarne le potenzialità pensando che dalla crisi, prima o poi, passerà con le ricette che abbiamo già applicato. Destra e sinistra nella stessa maniera.

Lo stato latita negli investimenti, taglia le spese sanitarie, la spesa per l'università?
Bene, piattaforme di crowdfunding sono in grado di sostituire i finanziamenti bancari (che in questi anni di crisi sono mancati) per quelle imprese che hanno le idee e le potenzialità per lavorare ma mancano di credito.
Oggi milioni di cittadini del mondo possono seguire delle lezioni di matematica su youtube della Khan Academy (un'università virtuale finanziata all'inizio proprio da Gates).
Ci sono le elezioni di fisica disponibili sulla piattaforma Oilproject.
Facebook sta iniziando a sviluppare un servizio sanitario universale.

E la politica?
Se ancora vuole mantenere un ruolo e non lasciarsi marginalizzare per sempre (col risultato che sempre meno gente parteciperà alla vita politica, andrà a votare, si iscriverà ad un partito), deve permettere ai propri cittadini di cogliere queste opportunità che si aprono, “limitando il numero delle vittime” conclude Feltri.

Vedi anche: Effetto dirompente - il servizio di Report sulla sharing economy

Un estratto dal libro: la visione dell'Italia di Renzi
La scheda del libro sul sito di Rizzoli

I link per ordinare il libro da Ibs e Amazon

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Ciao posso chiederti se questo libro parla anche di CoContest?

alduccio ha detto...

Si, Feltri cita anche il caso di Cocontest, bloccata dagli architetti in Parlamento (non sono riuscito a citare tutto ;-) )

http://blog.startupitalia.eu/cocontest-architetti-interrogazione-parlamentare/

Aldo