03 dicembre 2015

Salvate le banche ma non gli azionisti (risparmiatori)

Come per gli esodati: per risolvere un problema se ne crea un altro, perché la coperta è corta e non si riesce a coprire tutto.
Parliamo degli azionisti e clienti delle 4 banche appena salvate dal "salva banche", che ora si ritrovano senza i risparmi investiti nelle obbligazioni delle banche.
Ai tempi del ministro Fornero erano i conti delle pensioni, ora sono i conti delle banche. In crisi non per colpa dei risparmiatori ma più probabilmente per prestiti concessi con poca accortezza ad amici.
A pagare ora, grazie alla riforma appena passata in Parlamento, sono anche i risparmiatori (il meccanismo si chiama bail in).
Ci avranno pensato, i signori al governo?
I ministri dell'ottimismo?
Bankitalia e Consob?
Da una parte gli istituti di credito, salvaguardati dal mega prestito dei grandi gruppi (e garantito da cassa depositi e prestiti).
Dall'altra persone normali, che non verranno tutelate.

Giorgio Meletti per il Fatto Quotidiano:
È una bomba da 2 miliardi di euro. I 130mila azionisti e clienti delle quattro banche salvate il 22 novembre scorso, che hanno perso in molti casi tutti i loro risparmi, rischiano di diventare i nuovi esodati. Solo a cose fatte il governo comincia a capire la portata del problema. E infatti ieri alla Camera, mentre il ministro dell’Economia Pier Carlo Pa-doan ha difeso le decisioni prese dal Consiglio dei ministri e dalla Banca d’Italia, il vice ministro Enrico Morando ha fatto balenare l’ipotesi di “una approfondita verifica circa la possibilità che siano messe in atto misure in grado di ridurre gli effetti negativi del processo di risoluzione sulla componente socialmente più debole degli investitori coinvolti, che possa aver agito senza la necessaria consapevolezza del livello di rischio del prodotto acquistato”.
VEDIAMO I TERMINI di un pasticcio che appare inestricabile. Il salvataggio di Banca Marche, Popolare dell’Etruria, Cassa di Ferrara e Carichieti è incardinato sul versamento di 3,6 miliardi conferiti da tutte le 208 banche italiane all’apposito fondo presso la Banca d’Italia. Per l’Unione europea è un aiuto di Stato (soldi versati obbligatoriamente a un fondo gestito dall ’autorità pubblica), ed è ammissibile, come ha detto Padoan, solo prevedendo come “precondizione l’azzeramento del capitale subordi-nato della banca beneficia-ria”. Cioè l’azzeramento delle azioni e delle obbligazioni “subordinate”. Il problema è che per anni la stessa Banca d’Italia e la Consob hanno consentito alle quattro banche (che sapevano essere gravemente malate) di vendere ai propri clienti azioni e obbligazioni subordinate senza informarli adeguatamente del rischio altissimo di quell’investimento. Quando le quattro banche sono state commissariate (nel corso degli ultimi due anni) sono di fatto andati in fumo 788 milioni di obbligazioni subordinate di recente emissione, circa 400 milioni di aumenti di capitale, più il valore delle azioni che molti risparmiatori hanno tenuto in portafoglio in mancanza di informazioni chiare sullo stato di decozione delle banche.
Un conto da circa 2 miliardi, che diventano 2,6 se si tiene conto del capitale bruciato dalle Fondazioni azioniste di controllo di tre delle banche coinvolte e, quindi, responsabili prime del crac.
È dunque evidente che questo disastro da 2 miliardi a danno di risparmiatori ingannati non è attribuibile all’operazione varata il 22 novem-bre, che è stata piuttosto una presa d’atto della rapina avvenuta negli anni passati. Si ripete il copione di una decina d’anni fa, con i crac di Parmalat (14 miliardi)e Cirio (2,2miliardi). Ma c’è una differenza non da poco. Allora si trattò di due imprese industriali che avevano piazzato le loro obbligazioni ad alto rischio attraverso le banche.
I risparmiatori hanno potuto così far causa ai loro istituti di riferi-mento, accusandoli di aver venduto titoli spazzatura sen-za informarli adeguatamente. La Cassazione, con un’importante sentenza del 2012, ha dato loro ragione: le banche devono rispondere del danno. In seguito a quei due scandali sono state introdotte norme stringenti sulla vendita di prodotti finanziari agli sportelli bancari. Alla banca spetta l’obbligo di valutare l’adeguatezza dell’investimento al soggetto che lo sottoscrive. Per esempio non si può con-vincere un pensionato a met-tere tutti i suoi risparmi su un unico titolo rischioso, mentre può essere accettabile che investa sulla stessa obbligazione il 10 per cento del suo pa-trimonio.
Queste norme sono state sistematicamente calpestate. Ma la differenza più grave con i casi Parmalat e Ci-rio è che stavolta non ci sono intermediari da incolpare: chi ha piazzato i titoli marci sono le stesse banche che, nonostante le iniezioni di liquidità,sono fallite.
Da questo punto di vista il salvataggio è apparente: sono state create quattro nuove banche, le vecchie – che dovrebbero rispondere ai risparmiatori ingannati– sono in liquidazione svuotate, senza un euro in cassa. Adesso il governo deve farei conti con un bubbone cresciuto per evidente responsabilità della Banca d’Italia, che ha cercato per anni – invocando “rafforzamenti patrimoniali” in grado di rattoppare i bilanci – di rinviare la resa dei conti con la mala gestio di manager oggi tutti sotto indagine penale per gravi reati. Ma la buona volontà espressa da Morando va a sbattere contro un dato di realtà: nemmeno volendo lo Stato può risarcire i 130 mila nuovi esodati, perché sarebbe un aggiramento delle regole europee. Il dann oda 2 miliardi è stato fatto e adesso è troppo tardi.

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