14 luglio 2016

Morte di un boss

Quando Bernardo Provenzano fu arrestato nel suo casolare, il giorno dopo la vittoria del centrosinistra alle elezioni del 2006, partì la messinscena mediatica per impostare nella direzione giusta la narrazione.
Il vecchio malato, che mangiava verdura e ricotta, che sottolineava le frasi sulla Bibbia e comunicava con l'esterno solo coi pizzinni.
E questo sarebbe il boss più potente della mafia?
Per una sera soltanto la mafia occupò la prima serata Rai, coi complimenti alla squadra Cortese che lo arrestò a Montagna dei Cavalli vicino Corleone (e un po' anche ai magistrati).

Eppure quella stessa persona è la stessa che negli anni precedenti ha traghettato la mafia dalla disfatta delle stragi e delle condanne, a diventare mafia imprenditoriale, indistinta dall'imprenditoria locale.
La stessa persona che è rimasta latitante per 42 anni.
Di cui non esistevano foto recenti, se non un identikit elaborato da una foto degli anni 60.
Di cui esisteva una voce, registrata su un nastro sotto custodia della procura di Palermo, poi sparito.

Ora che è morto, muore anche la possibilità di fare luce sulla trattativa che, per i politici coinvolti, per i giornalisti "garantisti" coi potenti, è sempre e solo presunta, nonostante la sentenza passata in giudicato di Firenze sul boss Tagliavia.
Come se la stagione delle stragi fosse terminata solo per caso e non per l'arrivo di nuovi accordi con lo stato. 
Come se una latitanza di 42 anni, la mancata cattura in diversi blitz (come Mezzojuso) fosse solo frutto di sfortuna (e di scarsa abilità degli investigatori del ROS come dicono le sentenze).
Come se la mancata perquisizione del covo di Riina fosse solo una dimenticanza.
Come se il 61 a zero di FI nel 1994 non fosse un segnale politico preciso ...

La Trattativa, i nuovi accordi, le leggi antimafia depotenziate dall'interno o rese non utilizzabili (come il 416 ter), una classe politica che non è stata in grado di fare pulizia e di rinnovarsi.
Una classe imprenditoriale al sud come al nord che ha avuto la forza di denunciare in blocco le pressioni della mafia e che, invece, alla mafia si è rivolta per i suoi servizi nella gestione dei rifiuti, del recupero crediti, come facilitatore negli appalti.
Tutti a nascondersi dietro le sentenze della magistratura, il garantismo, il terzo grado di giudizio dimenticandosi delle parole di Borsellino:
"L'equivoco su cui spesso si gioca è questo, si dice: quel politico era vicino a un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con l'organizzazione mafiosa, però la magistratura non l'ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. Eh no! Questo discorso non va perchè la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale. Può dire che ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire che quest'uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, cioè le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, cioè i consigli comunali, o quello che sia, dovevano già trarre le dovute conseguenze da queste vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato, ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica.Questi giudizi non sono stati tratti perchè ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza. Si dice: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto... ma dimmi un poco... tu non ne conosci gente disonesta che non è mai stata condannata perchè non ci sono le prove per condannarla? C'è il forte sospetto che dovrebbe, quanto meno, indurre i partiti a fare grossa pulizia, a non soltanto essere onesti, ma apparire onesti facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi e fatti inquientanti...".
Anche quelli che hanno perduto memoria di quegli anni: De Gennaro, Mancino, Martelli, Amato, Conso ..
La testimonianza di Gianni De Gennaro (allora capo della Dia, di fronte al GUP Morosini) sull'alleggerimento del 41 bis :
Giudice Morosini: In quella nota della Dia, dopo aver parlato degli attentati e del possibile ricatto allo Stato si dice testualmente: “È chiaro che l’eventuale revoca, anche solo parziale, dei decreti che dispongono l’applicazione dell’articolo 41 bis potrebbe rappresentare il primo concreto cedimento dello Stato, intimidito dalla stagione delle bombe”. Io mi chiedo il perché di quella precisazione.De Gennaro: Mah, io penso che vada riletta nel contesto.Giudice Morosini: Sì, ma qua sembra che voi parliate ad altri poli istituzionali.De Gennaro: Mah.Giudice Morosini: Cioè è quasi una sollecitazione... guardi, qua la sensazione che ho io è che siete... voi agite in una situazione in cui tutti hanno la linea della fermezza sulle labbra, ma c’è qualcuno che probabilmente nel cuore potrebbe avere altre idee.De Gennaro: Guardi, signor giudice, che l’attuazione di quella misura di detenzione aveva delle difficoltà di applicazione in sede carceraria.Giudice Morosini: Sa qual è il motivo di curiosità processuale rispetto a questo documento? È che si fa riferimento a due anime dentro l’organizzazione mafiosa, di cui una più disponibile a una “interlocuzione” in presenza di qualche concessione carceraria.Per questo le chiedevo... poteva anche fisiologicamente emergere, in un’ottica di diverse sensibilità del circuito istituzionale, qualche voce che – magari in ossequio al rispetto del trattamento della persona – poteva avanzare dei punti di vista diversi. Mi ha colpito quel riferimento: attenzione, non diamo segnali di cedimento sul carcere.De Gennaro: Guai a dare interpretazioni quando c’è una oggettiva delicatezza della domanda. Per quello che sicuramente è il mio ricordo c’era certamente una difficoltà applicativa e c’era anche una discussione in termini teorici dell’istituto. La prego di non chiedermi perché.Giudice Morosini: Però non si ricorda chi. De Gennaro: Non ho un ricordo.(Testimonianza di Gianni De Gennaro, udienza preliminare del processo sulla trattativa Stato-mafia, 12 febbraio 2013).
E anche quando arrivano le sentenze, nemmeno bastano a far suscitare una reazione all'interno: dopo le condanne di Dell'Utri e di Cuffaro, per esempio, o di Contrada.
E ora che Provenzano è morto, tutti possono tirare un sospiro di sollievo e spendersi nelle solite parole vuote, di circostanza.

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