02 settembre 2016

Governare Roma


Al netto del fumo sollevato dai partiti di opposizione (e dai signori del cemento, dei rifiuti ..) che hanno tutto l'interesse a screditare il lavoro della giunta Raggi a Roma, quello che sta succedendo nella capitale (le cinque dimissioni di ieri) non è un bel segnale.
Mettendo da parte le dimissioni dentro l'Atac (persone nominate da Tronca), le altre tre dimissioni nascono da scontri interni al movimento stesso.

Non so se si rendono conto, nel direttorio, dentro la Casaleggio, Grillo stesso, quanto l'occasione romana sia importante come viatico per sperare di arrivare al governo nazionale.
Chi comanda a Roma? Il sindaco, la sua giunta o altri, non eletti e fuori dal Campidoglio?
Su Radio popolare ieri, il giornalista Michele Raimo riportava voci raccolte fuori dal palazzo secondo cui a Minenna, il superassessore al Bilancio, non avessero fatto toccare palla.
Scomodo, forse, per la sua idea di accorpare l'amministrazione di tutte le partecipate sotto un solo amministratore, secondo il principio della spending review.

Andrea Managò sul FQ:
E' sulla gestione delle società partecipate del Campidoglio, una galassia di 26 aziende con circa 22 mila dipendenti, che si è consumato l’ultimo scontro, il più acceso, tra Marcello Minenna, ex assessore al Bilancio, e i fedelissimi dello staff della sindaca Virginia Raggi, a partire dal vice capo di gabinetto Raffaele Marra fino al capo della segreteria politica Salvatore Romeo. Una contesa di intensità tale che ieri in Campidoglio ha fatto sussurrare a più di un consigliere grillino: "Se l’andazzo è questo, che ci stiamo a fare qui?"
Da quasi un mese, Minenna lavorava ad un piano per la razionalizzazione delle aziende municipalizzate, che rendesse definitiva la scelta di farle guidare da un amministratore unico, già sperimentata negli ultimi anni in Campidoglio. Via i cda, sarebbe rimasta una sola figura, assistita da un direttore generale, a guidare le aziende in house del Comune di Roma. Una scelta in linea con la spending review tanto cara ai 5Stelle. La delibera era pronta ma è slittata per diverse sedute di giunta visto che il nuovo modello di governance non avrebbe trovato ampia condivisione tra gli uomini più vicini alla sindaca, desiderosi di inserirsi nella partita. Perché avere le mani libere su Atac e Ama – una gestisce i trasporti, l’altra i rifiuti – significa dirigere buona parte dell’attività del Campidoglio.
A Roma per anni il “capitalismo municipale” ha generato mostri: società pubbliche che producono servizi di bassa qualità ad un costo elevato. Ma anche un grande bacino di consensi, visto il numero dei dipendenti. Numeri alla mano sia Atac sia Ama spendono più per i costi del personale che per i servizi erogati. La prima conta 11.738 lavoratori, forte di un contratto di servizio da 440 milioni di euro all’anno, a cui vanno aggiunti 71 milioni di fondi della Regione Lazio. L’altra, invece, ha in organico 7.924 addetti e incassa un contratto col Comune da 793 milioni l’anno. Non a caso uno dei concetti ripetuti della campagna elettorale della Raggi è stato fornire rassicurazioni ai dipendenti delle due partecipate che, nonostante i loro conti dissestati (solo Atac perde circa 1 miliardo) i servizi non sarebbero stati messi sul mercato. L’addio alla giunta di Minenna però ha generato un effetto domino anche in Atac e Ama: in entrambe le aziende si sono dimessi i vertici, anche se le due situazioni vanno distinte.
Governare Roma è già complicato di suo, per i problemi che ci si porta dietro da anni, perché in tanti sperano nel fallimento della nuova giunta per tornare a banchettare.
Perché complicarsi la vita allora con questi scontri, queste polemiche interne che fanno trasparire l'ancora scarsa maturità del movimento nel governare le grandi città?
Mi tornano in mente i primi mesi di questa legislatura, quando l'entusiamo portò i neo eletti (e i due portavoce del M5S) ad impantanarsi in gaffe sugli scontrini e sugli apriscatole.

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