06 settembre 2016

Il mistero della giovane infermiera, di Dario Crapanzano

Incipit
C'era fermento quel mattino di maggio in corso Buones Aires. Mancava poco alle otto studenti di ogni età, cartella alla mano, si affrettavano per raggiungere la scuola dove di lì a poco sarebbero iniziate le lezioni.In mezzo alla strada, sfrecciavano le biciclette dei garzoni di negozio, degli operai e degli impiegati, avvisando della loro presenza con squillanti colpi di campanello, così come le decise strombazzate di clacson delle poche auto richiamavano all'ordine qualche incauto pedone che attraversava il corso distrattamente.Ma il signore indiscusso del traffico era il tram, strapieno di passeggeri, qualcuno addirittura abbarbicato sul predellino fuori dalla vettura: si faceva sentire con scampanellii forti e insistiti, come a dire: “Attenti a tutti, fatevi da parte che arrivo io!”.Nell'aria si percepivano un'allegria e un'euforia che non erano dovuto solo alla bella giornata di primavera, ma anche alla diffusa sensazione che i tempi grami erano finiti, Milano stava rinascendo dopo le distruzioni e i disastri provocati dalla guerra. Il segno più tangibile della ripresa era la lenta ma graduale scomparsa delle macerie. Che pian piano lasciavano il posto prima ai cantieri e poi a nuovi caseggiati.

Milano maggio 1953.
Il simbolo della rinascita di Milano, ci dice Crapanzano nell'incipit, è il sorgere dei cantieri per tirar su al posto delle macerie, i nuovi caseggiati, pronti ad accogliere anche la massa di immigrati dal sud, per quel boom dell'industria ancora non arrivato ma che già si sente nell'aria.
In un cantiere di questi, in via Boscovich, zona porta Venezia, un muratore ritrova il cadavere di una giovane ragazza. Colpita alla testa con un martello, proprio un martello da muratore, magari preso dall'assassino proprio dal cantiere.
La ragazza, molto giovane ma soprattutto molto bella si chiamava Gemma Salvadori e abitava lì vicino, in via Tadino (come nel primo caso del commissario, Il giallo di via Tadino).
Il nuovo caso per il commissario Mario Arrigoni e per i “quattro moschettieri del Porta Venezia” riguarda la morte della bella Gemma, di professione infermiera e si muoverà, con molte cautele e molti rischi, nel mondo delle cliniche private (che già all'epoca godevano di forti protezioni politiche) e nel discreto mondo familiare della morta.

Il martello e le altre tracce sul luogo del delitto non sono d'aiuto ad Arrigoni che, del resto, come il suo ben più celebre collega Maigret, preferisce risolvere i casi guardando in faccia i sospettati e arrivando a moventi e prove col suo intuito.
Ma questa volta la raccolta delle testimonianze sul campo, rischia di portare il commissario e la sua squadra fuori campo. Era bella la Gemma, così bella che sul suo conto se ne dicevano tante..
Anche malignità, come quelle che la portinaia dello stabile racconta: un fidanzato tassista che la veniva a prendere ma anche altre relazioni, come quella col primario della clinica Santa Sabrina, il professor Vinciguerra, dove lei aveva trovato lavoro grazie all'aiuto di una compaesana.
E che l'aveva assunta proprio per la sua avvenenza – lascia intendere al commissario.
«.. La Gemma, come le ho detto, è piaciuta subito al signor Vinciguerra, chissà perché .. A dire la verità, mi sono un po' meravigliata che si sia accontentata di un lavoro normale» continuò, saltando di palo in frasca, «lei ha altro per la testa, vuol guadagnare tanti soldi, fare la modella .. infatti posa tuttora per un pittore che abita in questa casa, l'Emiliano Pivetta, il vecchio scapolone che ha lo studio all'ultimo piano. Non voglio dare retta alle voci, ma si dice che la nostra Miss Italia non si limiti a farsi ritrarre dal professore ..».

Un fidanzato che doveva controllare gli altri ragazzi che la avvicinavano, un lavoro ottenuto forse per la sua bellezza dove riceveva le attenzioni del primario, un pittore con pochi soldi.
E una sorella, con qui era in cattivi rapporti.
Anche sulla sorella, o meglio sul marito, la portinaia non risparmia altre malignità:«Per non nascondervi niente, vi devo dare conto di un altro pettegolezzo: secondo alcune malelingue, pare che anche suo marito, il signor Giovanni Mirandola, piacesse la bella cognatina ..»

Messa da parte l'ipotesi della rapina finita male (sebbene sia sparita la collana di perle che aveva al collo la sera in cui è uscita di casa , le attenzioni di Arrigoni si concentrano sulle persone più vicine alla morta, che vengono ascoltate, una per una.
Il fidanzato Gigi, che forse non era più fidanzato.
La sorella Antonella, con cui non giravano buoni rapporti.
Il primario Vinciguerra, un tipo con la passione per le donne ma anche con capace di muoversi con molta scaltrezza. Fascista prima e antifascista poi, i soldi per aprire la clinica se li è sposati, con una donna poco avvenente.
I proprietari di una scuola di Tango argentino, che consente al nostro commissario di conoscere il poeta Enrique Santos Discepolo (“Il tango è un pensiero triste che si balla”).
E poi i colleghi della clinica. Che poco aggiungono alla storia, di utile per le indagini.
Se non altre chiacchiere, da prendere con le pinze per non correre il rischio di finire fuori strada: le voci su aborti clandestini in clinica, i rapporti tra il primario e Gemma …

Sarà l'esame del medico legale e la testimonianza di un'amica, Valeria Vernazza, a dare finalmente un contributo all'indagine che rischia ad un certo punto, di arenarsi, nonostante l'impegno: Gemma aveva trovato un amore- racconta ad Arrigoni l'amica - un amore clandestino che non poteva essere mostrato alla luce del sole. Forse una persona sposata o chissà. E da questa persone aspettava un bambino, essendo incinta di due mesi.

Per la squadra di Arrigoni, il neo brigadiere Di Pasquale, l'irascibile vice Mastrantonio (che cambia sospettato ad ogni stormir di fronda) e l'ispettore Giovine (in questo romanzo con un ruolo defilato), l'indagine rischia di arenarsi (“la polizia brancola nel buio” si legge di solito sui giornali), con tanto si smacco per il commissariato di Porta Venezia.
Ma il commissario stesso rischia un provvedimento disciplinare per una sua mossa incauta nei confronti di una persona sospettata, la moglie del primario, di cui abbiamo già raccontato il suo essere abile nel costruirsi delle amicizie politiche.

Che fare allora? A venire in soccorso sarà la signora Lucia, la moglie del commissario, e una intuizione del giovane Di Pasquale.
Occorre cambiare prospettiva nell'indagine: se a partire dagli interrogatori è complicato individuare il responsabile (chi?) e risalire poi al movente, perché non provate a partire dal cosa (ha fatto l'assassino dopo il delitto) per risalire al chi e individuare poi il movente?
Inutile dire che anche questa volta la meritata fama dei moschettieri del Porta Venezia verrà confermata!

Ne “Il mistero della giovane infermiera” si conferma tutta la capacità di Dario Crapanzano nell'imbastire una trama non banale, che fa da spunto per la scoperta di una parte di Milano che Mario Arrigoni, commissario capo ama girare a piedi e che oggi purtroppo è quasi scomparsa.
E' stato così con le case di ringhiera nel primo romanzo “Il giallo di via Tadino”, le case chiuse ne La bella del Chiaravalle, il mondo degli oratori con “il prete bello”....
Era una Milano dove le serate delle famiglie non si concludevano davanti la TV ma ascoltando gli sceneggiati alla radio, dove era il tram a farla da padrone sulle strade, dove i pranzi si consumavano nelle osterie che servivano i sanguis (l'italianizzazione dell'inglese sandwich) o l'ossobuco col risotto.
La Milano dove i materassi erano ancora di lana e questi trovavano nuova linfa grazie al lavoro dei “materassai”, dove le forbici venivano affilate dal lavoro del mulèta e dove agli spazzacamini veniva pure dedicata una canzona popolare in cui si esaltava la loro arte amatoria!

Il mistero della giovane infermiera, Dario Crapanzano - Mondadori
La scheda del libro sul sito di Mondadori

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