01 dicembre 2016

Bastardi, fuori dai piedi! da Pane di Maurizio De Giovanni

Sul Fatto quotidiano del 29 novembre è uscita un'anticipazione del nuovo romanzo della saga dei Bastardi di Pizzofalcone di Maurizio De Giovanni, "Pane":

"Bastardi, fuori dai piedi!" da Pane di Maurizio De Giovanni 
Quella notte sullo scomodo lettino c’era l’ispettore Lojacono, detto il Cinese per gli occhi a mandorla e la calma imperturbabile che ostentava in qualunque situazione. Stava riposando poco e malissimo, in verità. E per un sacco di motivi. (…)Lojacono si destò di scatto e (…) incrociò lo sguardo strabico dell’agente Ammaturo Gerardo, di servizio all’ingresso del centralino, che ripeteva concitato: “Ispetto’… ispetto’… svegliatevi. È arrivata una chiamata, dice che hanno sparato a uno”.Il fatto era accaduto a poche centinaia di metri del commissariato, perciò Lojacono decise di recarsi sul luogo a piedi. Anche di mattina presto non gli piaceva girare in automobile per la città (…).
Stava per controllare l’indirizzo sul foglietto che gli aveva scritto Ammaturo quando notò un piccolo assembramento all’imboccatura di un vicolo; era arrivato. Un agente teneva lontane le persone; la questura aveva mandato una macchina che era in sosta sulla via principale. Lojacono osservò che il portone del palazzo d’angolo era adiacente a una panetteria con la serranda abbassata. Si qualificò e l’agente lo fece passare.
La viuzza era larga non più di tre, quattro metri, e non aveva uscita (…). A destra, un palazzo senza ingressi su quel lato, con tre file di finestre al momento chiuse. A sinistra, un’unica porticina alla quale si accedeva salendo tre gradini di pietra scura. Su questi era riverso un corpo.
Era un uomo magro, vestito di bianco e con un grembiule legato da una fettuccia all’altezza del bacino. Non se ne scorgeva il volto. I piedi, che calzavano degli zoccoli, erano sul primo scalino; il braccio sinistro stava sotto il busto e quello destro disteso sulla strada. Vicino alla mano c’era qualcosa. L’ispettore si avvicinò, attento a non mettere i piedi sul selciato che forse l’uomo aveva percorso prima di cadere: un pezzo di pane, un panino per l’esattezza, col segno di un morso. Il palmo del morto era sporco di farina, come i pantaloni e la parte di grembiule visibile. Una macchia di sangue si allargava all’altezza della scapola sinistra. Mentre Lojacono era lì che osservava, giunse trafelato Francesco Romano, il suo collega cui toccava le reperibilità. “Mi ha avvertito Ammaturo, sono venuto di corsa, ma al solito non trovavo un posto per la macchina. Chi è?”. Il nuovo arrivato era un uomo massiccio, dall’aria un po’ torva, che dava l’idea di un carattere non facile; come in effetti era.
Lojacono gli rispose: “Non so ancora niente, sono qua da pochi minuti. Colpito alla schiena, forse stava entrando da quella porta. Sentiamo un po’”.
Si rivolse all’agente della questura, che fissava la scena in silenzio: “Chi ha chiamato?”.
Prima che il poliziotto potesse rispondere, si fece avanti un uomo di mezz’età, vestito come il cadavere, che tormentava tra le dita un cappellino a busta. Lojacono notò che evitava di guardare in direzione del morto. “Io. Ho chiamato io, dotto’”.
L’ispettore e Romano si avvicinarono. “Il suo nome?”.
Quello si schiarì la voce, coprendosi la bocca con la mano tremante. “Mi chiamo Strabone, dotto’. Strabone Mario. Sono… Lavoro qua al forno da tanti anni. Lui, Pasquale, era uscito per mangiarsi un panino. Glielo avevo dato io, come ogni giorno, ma stavolta non rientrava. Allora Christian, ’o guaglione, è andato a vedere, ed è rientrato bianco bianco che pareva un fantasma. Ha detto: Strabo’, vieni, mi pare che Pasquale non sta bene. Così io…”.
Romano lo interruppe: “Piano, piano. Fatemi capire. La vittima si chiama Pasquale? Pasquale come? Lo conoscete? Lavora con voi? E chi è questo guaglione?”.
L’uomo prese un respiro profondo e scosse il capo. Per la prima volta si girò verso il cadavere; Lojacono si accorse che aveva gli occhi pieni di lacrime.
“Sì. dotto’. Si chiama Pasquale. Granato Pasquale. È il proprietario. Uno dei proprietari, cioè, l’altro è il cognato, Marino, che mo’ non ci sta perché col furgone va a fare le consegne delle brioche nei bar. E il ragazzo, Christian, sta dentro che piange. Ve lo faccio venire?”.
La replica dell’ispettore fu stoppata dallo stridio delle gomme di due volanti, che frenarono bruscamente sulla strada principale. Ne scesero otto uomini; sei, in divisa, si disposero attorno all’ingresso del vicolo, presidiandolo, mentre due, in borghese, si avviarono verso Lojacono, Romano e Strabone. Il più giovane li oltrepassò come se non li avesse visti e si accovacciò vicino al cadavere.
Lojacono ne seguì i movimenti, poi, quando costui allungò la mano verso il corpo, disse ad alta voce: “Non tocchi niente. E si allontani da lì, per favore”.
Il secondo personaggio arrivato con le volanti gli mise una mano sul braccio. “Collega, stai tranquillo. È un magistrato”. (…)
“Qualificati, se sei un collega. Altrimenti vattene subito o ti faccio passare un guaio”.
“Tutti nello stesso canile vi hanno messo, eh? I famosi Bastardi di Pizzofalcone. Tu devi essere Lojacono, quello che chiamano il Cinese. Io, per tua norma, sono il vice commissario Lamagna, della squadra Mobile. Quanto al magistrato, pensavo lo avessi riconosciuto: è il dottor Buffardi. Quel dottor Buffardi. Lo avrai visto in televisione”.
“Io la televisione non la guardo”, rispose. (…)
“Io sono il sostituto procuratore Buffardi, della Direzione distrettuale antimafia. Il morto è persona nota a me, perché rientra in una nostra indagine della quale tu non sai niente e niente devi sapere. Stabilito ciò, ed essendo questo un delitto evidentemente connesso all’indagine di cui sopra, ti sarei molto grato se alzassi il culo e ti levassi dalle palle tornando alle tue contravvenzioni per divieto di sosta. Sono stato chiaro?”.


Pane per i Bastardi di Pizzofalcone, di Maurizio De Giovanni, Einaudi

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