30 aprile 2016

Il comunista e il generale – in ricordo di Pio La Torre

Una Smith&Wesson per il comunista Pio La TorreA 55 anni, Pio La Torre fa rapidamente le pratiche per ottenere il porto d'armi per sé e per il suo amico e autista Rosario di Salvo. Compra due pistole Smith&Wesson; i due non sanno come usarle, ma pensano siano un deterrente.Nato nel 1927 in una frazione miserabile di Palermo, Altarello di Baida, La Torre è stato mandato a lavorare nei campi fin da bambino, ha diviso la stanza con una folla di fratelli e una capra, ha conosciuto la luce elettrica solo da ragazzo e la scuola solo per insistente di sua madre.Dal 1945 è iscritto al partito comunista, organizzatore di braccianti, detenuto al carcere dell'Ucciardone per diciassette mesi per occupazione di terre, consigliere comunale a Palermo, deputato nazionale, membro della Commissione antimafia, segretario regionale del PCI siciliano.Sa che cosa è la mafia, perché la vede da quando è bambino , conosce a memoria i nomi di decine di sindacalisti e attivisti ammazzati. Non è un banchiere, ma sa come circolano i soldi e conosce tutti gli appalti che hanno cementificato la città di Palermo. Non è un sociologo, ma sa quanto si guadagna con la droga e la strada che prendono i soldi verso Milano e verso New York. Non è un politologo, ma è rimasto allibito quando è stato stabilito che nella città di Comiso, in provincia di Ragusa, verrà costruita una grande base americana, dotata di missili nucleari per contrastare quelli dell'Unione Sovietica. Ha spiegato al suo partito che sarà la mafia a gestirlo, ma quando parla di queste cose nelle riunioni a Botteghe Oscure non sente il calore della lotta e dell'impegno; e anche a Palermo nel suo partito lo giudicano un uomo all'antica, un romantico. E anche un po' un disturbatore.Nel 1980 ha presentato una proposta di legge tanto semplice quanto rivoluzionaria: la mafia va considerata «associazione a delinquere» e i beni mafiosi vanno confiscati. Tutto il resto non è più lungo di una paginetta, ma non ha trovato nessuno nel suo partito che mettesse la firma accanto alla sua. Gli unici che sono stati vicini sono stati un giornalista, Alfonso Madeo, e due giovani sostituti procuratori di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La sua legge è finita in un cassetto. Allora ha scritto una lettera al presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, in cui gli ha spiegato come stanno le cose – in breve: l'Italia sta per essere divorata dalla mafia – e Spadolini lo ha cortesemente ricevuto e ascoltato stupito; ha garantito che farà avanzare l'iter della sua legge. Poi Pio La Torre è tornato a Palermo e ha organizzato una manifestazione di centomila persone a Comiso – la più estrema delle periferie – in cui, il 4 aprile, hanno sfilato comunisti, pacifisti, monaci buddisti, ragazze inglesi molto determinate. Ovvero, la solita schiuma della terra cge si oppone al corso della storia.Però adesso Pio La Torre ha una Smith&Wesson. Anche se non sa dove metterla. 
Salvatore Riina, il mitragliatore ThompsonSalvatore Riina ha appena tre anni in meno di Pio La Torre, è nato a Corleone che sta a sessanta chilometri da Altarello di Baida. Poverissimo anche lui, quando aveva 13 anni e insieme al suo padre e un fratello stavano maneggiando una bomba americana inesplosa per vendere la polvere da sparo, è rimasto l'unico sopravvissuto. Questo nuovo segretario regionale del Partito Comunista se lo ricorda quando era ragazzo, è già disturbava, a Corleone, con i suoi discorsi. Che cosa combinato nella vita?Niente, tanto è vero che la sua legge non la vuole firmare nessuno. A 52 anni Salvatore Riina è invece un capitalista miliardario, con un piccolo esercito di killer che farebbe invidia a chiunque.I suoi killer ammazzano Pio La Torre la mattina del 30 aprile nel quartiere Zisa di Palermo, con fucili mitragliatori americani Thompson, pistole Colt 45, colpi di grazia. Le due Smith&Wesson appena comprate dai comunisti non hanno fatto in tempo a materializzarsi.Ai funerali, il segretario del PCI Enrico Berlinguer dice che Rosario di Salvo ha risposto al fuoco, forse ferendo uno dei killer; Sandro Pertini annuncia: «prepariamoci a una lunga guerra»; Giovanni Spadolini assiste attonito. Dall'altoparlante collocato su una Fiat 127 escono le note dell'Inno alla gioia di Beethoven, i turisti stranieri scattano le fotografie del folklore siciliano. Al posto di Pio La Torre, il PCI nominerà segretario regionale Luigi Colajanni, un giovane diregente affabile e mondano che per anni accompagnerà il PCI nella sua discesa elettorale e che oggi vive a Malindi in Kenia.Il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato 58 esimo prefetto di Palermo con vaghi poteri speciali, è arrivato a Palermo con un volo di linea da Roma, vestito in borghese e con un paio di occhiali neri, in tempo per partecipare alle esequie.Pio La Torre lo aveva conosciuto da giovane, sulla piazza di Corleone, nel 1949, quando il generale era capitano dei carabinieri («qui la nostra presenza finisce al tramonto e nella notte comincia il potere della mafia», aveva lasciato scritto) e il comunista era un giovane attivista.Avevano simpatizzato. A 62 anni, il generale, vedovo da quattro anni, si è appena sposato con Emanuela Setti Carraro, crocerossina milanese, di trent'anni più giovane di lui e si avvicina al pensionamento per limiti d'età.

Da “Patria 1978 – 2008” Enrico Deaglio, Il saggiatore.

34 anni fa i killer della mafia uccidevano a Palermo il segretario regionale del PCI Pio La Torre: il comunista che sapeva riconoscere il linguaggio della mafia, conosceva l'impero miliardario che aveva messo in piedi grazie al traffico della droga, soldi che prendevano la via del nord, in mano a manager più presentabili che quel rozzo contadino coi “peri ncretati” che era Riina.
Aveva capito come combattere la mafia per vincere una volta per tutte la guerra: la confisca dei beni e l'introduzione del reato di stampo mafioso.
Colpirli nei loro beni materiali: una legge che porta il nome di La Torre Rognoni, arrivata dopo la morte del segretario, come anche il 416 bis arrivò solo dopo la morte del prefetto Dalla Chiesa.
Così stavano le cose in Sicilia: prefetti con super poteri sulla carta, una lotta alla mafia delegata a molti volenterosi ma ostacolata dai palazzi del potere.
Il partito comunista dopo La Torre ha perso la sua battaglia contro le mafie, in Sicilia.
La Torre oggi passerebbe per uno di quei pazzi forcaioli, quelli che vedono ladri dappertutto, che chiedono ostinatamente ai colleghi sotto inchiesta di fare un passo indietro, perché la presunzione di innocenza non c'entra niente. Lasciamola alla magistratura.
I partiti, devono fare pulizia, la famosa questione morale sollevata anche da Enrico Berlinguer.
Quanto sono distanti questi giganti dai nani di oggi, dal partito della nazione...

Letture consigliate
Chi ha ucciso Pio La Torre, di Paolo Mondani e Armando Sorrentino
Uomini soli di Attilio Bolzoni

I pezzi mancanti, Salvo Palazzolo

29 aprile 2016

Normale dialettica?

Vero: Berlusconi e Verdini hanno governato in un governo tecnico con Bersani ed erano nella maggioranza di Letta.
Con molti mal di pancia da parte dell'elettorato di sinistra, sia perché questi governi hanno poi portato avanti quasi esclusivamente politiche di destra (e aumentato le diseguaglianze nel paese), sia perché questo ha di fatto svuotato i partiti di centro dx (oggi in crisi) del loro elettorato che oggi potrebbe tranquillamente votare PD.

Perché oggi l'incontro alla Camera tra Ala e PD dà così fastidio?
Perché mese dopo mese, decreto dopo decreto, riforma dopo riforma, questo andazzo da larghe intese, anticipazione del partito della nazione, sta diventando la normalità.
Diventa normale quello che prima era considerato scandaloso: i casi di corruzione, la voglia di chiudere con la pubblicazione delle intercettazioni, i conflitti di interesse, le lobby, la politica dell'astensionismo sul referendum...
Parlare con Verdini, non è normale dialettica. Punto.

La prima pagina sotto è dell'Unità del 2010:sei anni fa..


28 aprile 2016

Qualunquisti!

C'è un (presunto) evasore che gira in Ferrari. Anzi, secondo la legge non è un evasore, è un nullatenente che gira in Ferrari.
I suoi beni sono intestati alla moglie che abita a Montecarlo. Di beni personali, aggredibili, non ne ha.
Come non ha beni Formigoni, senatore della repubblica, condannato a pagare 5000 euro a Report per una querela temeraria. Niente conti, niente beni.
Forse per questo, l'ex presidente di BPVI Zonin sta intestando i suoi beni alla moglie (prima che si muova la magistratura, senza che ABI o altri facciano qualcosa). Mala tempora ..

Ma non c'è solo l'evasione: ci sono anche corrotti e corruttori. Imprenditori e politici che si mettono d'accordo per mettere in piedi progetti inutili in cui i soldi per dividersi i soldi pubblici.
Soldi che poi quando mancano, vanno presi della spesa per la sanità, per la ricerca, per adeguare finalmente gli stipendi del pubblico...
Se poi la corruzione riguarda la criminalità organizzata, il problema diventa ancora più virulento: la forza delle mafie sta nel potere intimidatorio e nella loro capacità nel poter entrare nelle stanze del potere, come candidati, come portatori di voti.

Per questo la vicenda del presidente del PD in Campania è grave: dal punto di vista processuale, Graziano avrà modo di far valere le sue ragioni.
Dal punto di vista giudiziario, è innocente fino a condanna definitiva.
Dal punto di vista politico dobbiamo seguire un altro ragionamento: per l'accusa che gli viene rivolta, è opportuno o no che faccia un passo indietro?
Non è una domanda scontata e non esiste una risposta che sia vera sempre. E' la politica, di fronte ai propri elettori, che deve saper fare questa scelta, in modo trasparente ed onesto.

Quelli che tirano in ballo il giustizialismo, che da una parte rivendicano la superiorità della politica e dall'altra si nascondono dietro la presunzione di innocenza commettono un errore, sono disonesti intellettualmente.
Nessuno, nemmeno Davigo, nemmeno Travaglio (che oggi sono considetati da renziani e berlusconiani i responsabili dei problemi del paese) dice che tutti i politici rubano.
Non l'hanno mai detto.
Ma i politici che si fanno scudo con la prescrizione, con le immunità (che dovrebbero proteggere solo per questioni inerenti l'attività politica), con le leggi ad personam infangano tutta la categoria.
Lo dice oggi il presidente Mattarella: “La corruzione politica è la più grave”.
Più grave perché aggrava di molto quel senso di ingiustizia che sta avanzando nel paese, per la forbice che si sta allargando tra chi sta sopra e chi sta sotto.

Sotto, le persone alle prese con le code per le visite, alle prese coi contratti rinnovati di anno in anno, pagati coi voucher o in nero.
Senza tutele, senza casa, senza una sicurezza, senza il futuro.

E sopra quegli imprenditori che girano in Ferrari non avendo beni.
Quegli imprenditori che vincono gli appalti perché conoscono le scorciatoie e i politici giusti.
O sbagliati, dal punto di vista della Democrazia.

E ora che l'ho scritto, mi prenderò anche io del Qualunquista!

Sgretolamento

Possiamo vedere la foto dell'Europa dall'alto.
L'Austria che blocca le frontiere e procede ai controlli al Brennero, oggi il primo ministro si incontra con Alfano: di cosa parleranno? Del rischio che l'Italia si trasformi in un grande hub, coi migranti che sbarcano a sud e non riescono ad andare a nord?

Il ritorno della Troika in Grecia: si sono trovati così bene in Grecia che anche quest'anno tornano a fare visita.
Il FMI chiede nuovi sacrifici alla Grecia che ora non ci stà: Tsipras ha chiesto un tavolo politico, ma l'inflessibile Shauble ha risposto nein.
L'Europa è unita solo su conti economici, austerità, fiscal compact.
E le quote dei migranti di cui ciascun paese doveva farsi carico?
Pensiamo veramente che innalzando i muri e bloccando i confini si risolva tutto?
La guerra in Siria (e gli altri conflitti) non è terminate e i trafficanti di uomini non sono stati bloccati (creando dei corridoi umanitari).

Dopo la Grecia ci siamo noi: anche l'Italia è tra i paesi che il presidente della banca centrale Weidmann ha voluto avvisare.
Se la crisi dei migranti relegati nei campi in Turchia e in Grecia si sta trasformando in una bomba sociale che ci esploderà tra le mani (specie a noi paesi del sud), la proposta tedesca è una bomba sui conti delle nostre banche.
I titoli di Stato italiani non possono essere considerati allo stesso modo di quelli tedeschi: se le nostre banche vogliono continuare a tenerseli, che accantonino altri soldi, per sicurezza.

Soldi che dovremo mettere da parte per il futuro intervento in Libia: non riusciremo a temporeggiare sull'intervento a lungo, perché ora Sarraj sta chiedendo l'intervento armato, a difesa dei pozzi petroliferi, chiaramente (l'unica risorsa che interessa libici e italiani).
Per un fronte che si apre, uno si chiude: il caso Regeni definitivamente messo a tacere dal regime di Al Sisi (a cui abbiamo pure venduto il software per spiare meglio le persone).  

E poi c'è il fronte interno: le inchieste su Camorra e appalti al sud, i partiti che intervengono dopo e non vogliono fare pulizia prima (invocando la presunzione di innocenza), la nuova legge col buco per la prescrizione (due anni per fare l'appello e poi stop), le inchieste sulle banche, il futuro bavaglio alle intercettazioni.
Da ieri sera, dall'intervista del ministro ad Otto e mezzo, sappiano che il referendum sulle riforme non è un referendum in realtà sul governo (avevamo tutti capito male ...).
E' il primo passo.
Poi si dirà che se anche dovesse fallire, non è che si andrà a casa (anche perché a stabilirlo sarebbe Mattarella e non Renzi).

Lo sentite anche voi questo senso di sgretolamento?

27 aprile 2016

Un caso come gli altri, di Pasquale Ruju

Una stanza. Spoglia, pareti di cemento grezzo, l'aria condizionata insufficiente a stemperare il caldo torrido di luglio. Eppure la vedova pare non farci caso. Pallida, quasi immobile, se ne stà lì, seduta dietro un largo tavolo metallico inchiodato al pavimento. Senza dire niente, senza fare niente. Una telecamera fissata in alto, sulla parete di fronte a lei, rimanda a qualche schermo di controllo ogni suo più piccolo movimento, ogni cambio d'espressione, ogni sospiro. Cercano di capire cos'abbia in mente, là fuori. Cercano di capire perché ha fatto quello che ha fatto. Vogliono rendersi conto. Rendersi conto, già, pensa lei. Come se fosse facile. Come se fosse facile comprendere quel desiderio bruciante, invincibile .. Quel desiderio che ancora adesso ..Basta, dice la vedova a se stessa. Meglio non ripensare a certe cose. Si chiama Annamaria e ha trentasette anni. È ancora bella, anche a guardarla da un freddo monitor di sorveglianza. Belle le mani lunghe e sottili, bello il volto regolare, splendidi i folti capelli corvini, anche ridotti a macchie in bassa definizione.

Se volete capire quella che è la vita dei familiari di un boss mafioso, piuttosto che seguire le interviste di Riina a Porta a Porta, dovete leggervi questo noir di Pasquale Ruju, costruito attorno al confronto di due donne, profondamente diverse per la loro storia, per il bagaglio culturale, ma entrambe donne forti, di carattere.
Annamaria, la vedova del boss Marcello Nicotra, 'u primu (primogenito del vecchio boss Salvatore Nicotra), da una parte del tavolo della stanza, e Silvia Germano, il procuratore della Repubblica che ne sta registrando su nastro il racconto della sua vita.
Si svolge tutto in lunghi flash back che vanno indietro nel passato, il racconto, che parte dal loro primo incontro, nel piccolo paese nella Locride in cui Annamaria è nata:
Aveva undici anni la prima volta che si videro. Viveva ancora laggiù, nel profondo della Locride, in un paesino arroccato fra l'altipiano e il mare. Insieme a Caterina sua sorella minore, prendeva tutti i giorni una corriera per raggiungere una cittadina appena più grande, sulla costa, in cui tutte e due frequentavano l'istituto magistrale”.

Lei una adolescente con le sue forme da donna fatta, lui il promettente primogenito della cosca dei Nicotra, dedita allo spaccio della droga, al traffico dei rifiuti interrati nei terreni agricoli.
La loro storia d'amore, perché anche di questo stiamo parlando, nasce seguendo antichi rituali, dove si giocava tutto sugli sguardi:
Funzionava così da quelle parti. Una ragazza che non conoscevi non ti avrebbe mai guardato apertamente né tantomeno ti avrebbe rivolto un sorriso.Dovevi essere pronto, se eri così fortunato da piacerle, a cogliere quel lampo nei suoi occhi, quello sguardo fuggevole che sarebbe durato appena un istante”.

Ma Silvia Germano non è interessata solo a questi aspetti della loro vita. Sanno già tante cose degli affari della famiglia, hanno già delle informazioni. Ma ha ora bisogno da Annamaria dei riscontri, sulla rete di relazioni tra le 'ndrine e tra coloro che si mettevano al di sopra, per sanare gli attriti tra le famiglie rivali, per il bene della “Società”. Gente come il Battista:
Annamaria non fece altre domande. Era la prima volta che sentiva parlare del Battista. Un pezzo dell'altra vita di Marcello, quella di cui non bisognava chiedere, presto sarebbe entrato in casa sua.Era anche la prima volta che avvertiva nella voce di suo marito una nota di timore reverenziale, diverso perfino da quello che nutriva nei confronti di sua madre.Dunque esisteva qualcuno di cui Marcello aveva soggezione.[..]Era un uomo magro, non particolarmente alto, già avanti negli anni. Portava una giacca di velluto a coste un po' fuori moda e una camicia scura abbottonata fino all'ultima asola, senza cravatta”.

Il Battista ha in mente un progetto ben preciso per Marcello (e anche Annamaria): dovranno trasferirsi al nord vicino Torino, per seguire più da vicino tutti gli affari che le cosche stanno portando avanti in quelle zone del paese. Gli appalti, i finanziamenti a strozzo agli imprenditori, un po' di traffico di droga (usata sia per il piccolo spaccio che per oliare certi meccanismi con politici e professionisti) e sopratutto i rapporti con gli imprenditori: attraverso le memorie di Annamaria, il libro spiega in modo chiaro come sia avvenuta la penetrazione delle cosche nel tessuto sociale, imprenditoriale, politico, del nord. In modo semplice e consenziente.
Nessuna remora a stringere le mani a questi signori del sud che però si presentavano in giacca e cravatta, come uomini d'affari e, cosa più importante, avevano tanti soldi.
Soldi e voti, con cui comprarsi un posto in comune, in provincia e perfino in regione. Chissà, forse anche in Senato.
Posti da cui, gli amici eletti avrebbero poi garantito appalti e subappalti alle aziende giuste, senza farsi troppi problemi.
Buste piene di banconote avevano cambiato di mano, con discrezione. E consiglieri comunali, presidenti, sindaci, gioiosi ed energici rappresentanti del nuovo che avanza, si erano legati a doppio filo ai nuovi finanziatori. Lo avevano fatto sull'esempio di personaggi ancora più potenti, gente che comandava a Milano e a Roma. Non era sembrato vero a questi signori seduti dietro le scrivanie al cui cospetto un tempo si arrivava dopo lunghe ore in sala d'attesa, di avere accesso a fondi pressoché illimitati. Soldi facili, con cui si poteva fare tutto. Arrivare dappertutto. Permettersi di sognare perfino un seggio nella capitale, il che significava fama e fortuna, inviti nei salotti che contano, ancora più potere e denaro. C'era un lavoretto da far fare, un permesso da concedere, una pratica da facilitare? Pronti, bastava chiedere. I loro nuovi amici, così gentili e generosi, persone a modo, come non sé ne vedono spesso, si erano rivelati efficienti, organizzati, affidabili e riconoscenti. Soprattutto assai riconoscenti. Nuovi quartieri, nuove strade, capannoni, porti, ospedali venivano tirati su un po' dovunque”.

Così, mentre la crisi economica iniziava a mettere in crisi le famiglie italiane, bloccando i consumi, gli ordini delle imprese e la loro chiusura, le cosche ingrassavano. Più il paese andava male, più loro ci guadagnavano, prendendosi pure i pezzi migliori, a prezzi di saldo.
Prestiti ad usura per imprenditori in crisi.
Pacchetti di voti per politici senza scrupoli e per partiti senza elettori.

Gli affari avevano ripreso a prosperare come non mai. La cosca, tutte le cosche, sembravano nutrirsi della crisi economica che attanagliava il paese come sanguisughe appese alla carne di un animale morente. I prestiti a strozzo crescevano, cresceva il gioco d'azzardo e il consumo della cocaina, alternativa all'ansia e alla depressione offerta a prezzi vantaggiosi.
La scolarizzazione sempre più breve, unita all'immigrazione clandestina e alla mancanza di lavoro, alimentava le file dei picciotti al Nord come al Sud. Gli imprenditori facevano la fila per garantirsi finanziamenti e appoggi. E al posto dei vecchi amministratori, che si erano giocati la poltrona fra inchieste e scandali, ne erano arrivati altri, magari di schieramento opposto ma ugualmente pronti a venire a patti con chiunque pur di riempirsi le tasche.
Così andavano le cose. Nel peggiore dei modi , a guardarle da un certo punto di vista. Da un altro, invece, quello dei Nicotra, andava per il meglio”.

Un caso come gli altri si rivela un racconto della 'ndrangheta vista dal suo interno, raccontandone affari e intimidazioni, tensioni e di invidia tra le famiglie col rischio che esplodano nuove guerre. Un mondo in cui ci sono anche i rapporti familiari tra i personaggi che emergono in modo preponderante nella storia.
Perché le tensioni possono esplodere anche all'interno della famiglia, anche tra persone con lo stesso cognome, perché il destino di una persona non è scolpito nel suo sangue ..
a la forza del racconto è nel mostrare lo stesso mostro visto da due punti di vista diversi: quello di Annamaria e quello di Silvia.
Annamaria che, da innamorata, non ha voluto vedere il male, nella persona che aveva a fianco, vedendone il lui solo la quotidianità della vita di tutti i giorni.
Silvia invece, deve sforzarsi a capire, i perché dei vari omicidi e deve andare fino in fondo per fare il suo dovere.
Un racconto che infine, è anche una storia d'amore: perché è anche per amore se Annamaria è arrivata fin lì, in quella stanza grigia, di fronte al magistrato, per raccontare la sua vita e dare delle risposte, tranne quella forse più importante. Perché ha deciso di collaborare?
«Lei che cosa ne pensa?» ripete.La Germano esita, forse ha la testa altrove.(Ti proteggerò. A qualunque costo.)Poi si strinse nelle spalle.«Cosa dovrei pensare? È solo un caso Morelli».(Finché avrò vita, ti proteggerò.)«Un caso come gli altri» dice.Ed esce.Fuori c'è di nuovo il sole.

La scheda del libro sul sito di Edizioni E/O

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26 aprile 2016

Sempre tempo di resistenza

Caro signor presidente della Repubblica, sappiamo bene noi che è sempre tempo di resistenza.
Perché la nostra stessa Costituzione lo prevede: "L'Italia è una repubblica fondata sul lavoro", che non è il posto di lavoro ma si intende lavoro quotidiano delle persone che sono stimolate a partecipare alla cosa pubblica, ad interessarsi alla politica.
Perché in questi anni abbiamo visto e vissuto e resistito ai tanti, troppi tentativi di sovvertire i principi costituzionali.
La legge uguale per tutti, con le leggi ad personam di B. (che il centro sinistra ha subito) per sfuggire dai processi.
La dignità del lavoro e della retribuzione, principio messo in crisi dalle riforme del lavoro targate Monti, Renzi: il boom dei voucher, gli sgravi usati per drogare le assunzioni da usare poi nella perenne campagna elettorale.
La scuola libera, laica e per tutti: come per la giustizia, ogni governo ha messo mano a suo modo alla scuola. Promettendo tanto (la meritocrazia, la fine dei baroni, l'eccellenza) e mantenendo poco: le scuole pubbliche ancora mancano di insegnanti, di mezzi, parte di queste non sono a norma e le assunzioni dei precari avvengono perché lo chiede l'Europa.

E' sempre tempo di resistenza nei confronti del potere che accentra, che monopolizza l'informazione, che la distorce, che spinge i cittadini ad essere spettatori silenti che possono al limite mettere un like, non persone in grado di maturare ed esprimere una loro opinione e chiedere conto all'eletto. O al non eletto.
Cittadini silenti, senza microfono e senza diritti.
La dignità sul posto di lavoro, la sicurezza nei confronti della criminalità, la tutela della loro salute.

Servirà a poco la nostra Resistenza? Forse, oggi i governi vengono abbattuti dallo spread, non hanno più bisogno (e nemmeno lo cercano) il voto popolare, il sostegno dell'elettore. Sono passati anni e ancora sentiamo le solite sciocchezze su giustizialismo, garantismo, barbarie delle intercettazioni.
Come se i cittadini che non hanno giustizia perché i processi finiscono in prescrizione (migliaia ogni anno) non fossero anche loro vittime di mala giustizia.

Il presidente Mattarella, per il 25 aprile, ha citato la lettera di un partigiano che, prima di essere fucilato, ha trovato la lucidità di scrivere agli amici, ricordando che alla tragedia della guerra civile si è arrivati per colpa della generazione che, negli anni del fascismo, non ha voluto occuparsi di politica.
Delegando tutto al regime, al dittatore.

Ho trovato la lettera di Giacomo Ulivi, studente universitario di 19 anni, fucilato a Modena nel 1944: la lettera è lunga, e si sente che è stata scritta di getto, ma alcuni valgono ancora oggi come un monito per noi, che viviamo in una democrazia.
Cari amici,vi vorrei confessare innanzi tutto, che tre volte ho strappato e scritto questa lettera. L’avevo iniziata con uno sguardo in giro, con un sincero rimpianto per le rovine che ci circondano, ma, nel passare da questo argomento di cui desidero parlarvi, temevo di apparire “falso”, di inzuccherare con un patetico preambolo una pillola propagandistica.E questa parola temo come un’offesa immeritata: non si tratta di propaganda ma di un esame che vorrei fare con voi.Invece dobbiamo guardare ed esaminare insieme: che cosa? Noi stessi. Per abituarci a vedere in noi la parte di responsabilità che abbiamo dei nostri mali. Per riconoscere quanto da parte nostra si è fatto, per giungere ove siamo giunti. Non voglio sembrarvi un Savanarola che richiami il flagello. Vorrei che con me conveniste quanto ci sentiamo impreparati, e gravati di recenti errori, e pensassimo al fatto che tutto noi dobbiamo rifare. Tutto dalle case alle ferrovie, dai porti alle centrali elettriche, dall'industria ai campi di grano. Ma soprattutto, vedete, dobbiamo fare noi stessi: è la premessa  per tutto il resto. 
Mi chiederete: perché rifare noi stessi, in che senso? Ecco per esempio, quanti di noi sperano nella fine di questi casi tremendi, per iniziare una laboriosa e quieta vita,dedicata alla famiglia e al lavoro? Benissimo: è un sentimento generale, diffuso e soddisfacente. Ma, credo, lavorare non basterà; e nel desiderio invincibile di “quiete”, anche se laboriosa è il segno dell’errore. Perché in questo bisogno di quiete è il tentativo di allontanarsi il più possibile da ogni manifestazione politica. È il tremendo, il più terribile, credetemi, risultato di un’opera di diseducazione ventennale, di diseducazione o di educazione negativa, che martellando per vent’anni da ogni lato è riuscita ad inchiodare in molti di noi dei pregiudizi. Fondamentale quello della “sporcizia” della politica, che mi sembra sia stato ispirato per due vie. Tutti i giorni ci hanno detto che la politica è un lavoro di “specialisti”.Duro lavoro, che ha le sue esigenze: e queste esigenze, come ogni giorno si vedeva, erano stranamente consimili a quelle che stanno alla base dell’opera di qualunque ladro e grassatore. Teoria pratica co e pratica concorsero a distoglierci e ad allontanarci da ogni attività politica. Comodo, eh? Lasciate fare a chi può e deve; voi lavorate e credete, questo dicevano: e quello che facevano lo vediamo ora, che nella vita politica – se vita politica vuol dire soprattutto diretta partecipazione ai casi nostri – ci siamo stati scaraventati dagli eventi. Qui sta la nostra colpa, io credo: come mai, noi italiani, con tanti secoli di esperienza, usciti da un meraviglioso processo di liberazione, in cui non altri che i nostri nonni dettero prova di qualità uniche in Europa, di un attaccamento alla cosa pubblica, il che vuol dire a se stessi, senza esempio forse, abbiamo abdicato, lasciato ogni diritto, di fronte a qualche vacua, rimbombante parola? che cosa abbiamo creduto? creduto grazie al cielo niente ma in ogni modo ci siamo lasciati strappare di mano tutto, da una minoranza inadeguata, moralmente e intellettualmente.
Questa ci ha depredato, buttato in un’avventura senza fine; è questo è il lato più “roseo”, io credo: Il brutto è che le parole e gli atti di quella minoranza hannointaccato la posizione morale; la mentalità di molti di noi. Credetemi, la “cosa pubblica” è noi stessi: ciò che ci lega ad essa non è un luogo comune, una parola grossa e vuota, come “patriottismo” o amore per la madre in lacrime e in catene vi chiama, visioni barocche, anche se lievito meraviglioso di altre generazioni. Noi siamo falsi con noi stessi, ma non dimentichiamo noi stessi, in una leggerezza tremenda. Al di là di ogni retorica, constatiamo come la cosa pubblica sia noi stessi, la nostra famiglia, il nostro lavoro, il nostro mondo, insomma, che ogni sua sciagura è sciagura nostra, come ora soffriamo per l’estrema miseria in cui il nostro paese è caduto: se lo avessimo sempre tenuto presente, come sarebbe successi questo L’egoismo – ci dispiace sentire questa parola- è come una doccia fredda, vero?
Sempre tutte le pillole ci sono state propinate col dolce intorno; tutto è stato ammantato di rettorica; Facciamoci forza, impariamo a sentire l’amaro; non dobbiamo celarlocon un paravento ideale, perché nell’ombra si dilati indisturbato. E’ meglio metterlo alla luce del sole, confessarlo, nudo scoperto, esposto agli sguardi:vedrete che sarà meno prepotente. L’egoismo, dicevamo, l’interesse, ha tanta parte in quello che facciamo: tante volte si confonde con l’ideale. Ma diventa dannoso, condannabile, maledetto, proprio quando è cieco, inintelligente. Soprattutto quando è celato. E, se ragioniamo, il nostri interesse è e quello della “cosa pubblica”, insomma, finiscono per coincidere. Appunto per questo dobbiamo curarla direttamente, personalmente, come il nostro lavoro più delicato e importante. Perché da questo dipendono tutti gli altri, me condizioni di tutti gli altri. Se non ci appassionassimo a questo, se noi non lo trattiamo a fondo, specialmente oggi, quella ripresa che speriamo,a cui tenacemente ci attacchiamo, sarà impossibile. Per questo dobbiamo prepararci. Può anche bastare, sapete, che con calma, cominciamo a guardare innoi, e ad esprimere desideri. Come vorremmo vivere, domani? No, non dite di essere scoraggiati, di non volerne più sapere. Pensate che tutto è successo perché non ne avete più voluto sapere!Ricordate, siete uomini, avete il dovere se il vostro istinto non vi spinge ad esercitare il diritto, di badare ai vostri interessi, di badare a quelli dei vostri figli, deivostri cari. Avete mai pensato che nei prossimi mesi si deciderà il destino del nostro Paese, di noi stessi: quale peso decisivo avrà la nostra volontà se sapremo farlw valere; che nostra sarà la responsabilità, se andremo incontro ad un pericolo negativo? Bisognerà fare molto. Provate a chiedevi in giorno, quale stato, per l’idea che avete voi stessi della vera vita, vi pare ben ordinato: per questo informatevi a giudizi obbiettivi. Se credete nella libertà democratica, in cui nei limiti della costituzione, voi stessi potreste indirizzare la cosa pubblica, oppure aspettare una nuova concezione, più equalitaria della vita e della proprirela proprietà. E se accettate la prima soluzione, desiderate che la facoltà di eleggere, per esempio sia di tutti, in modo che il corpo eletto sia espressione diretta e genuina del nostro Paese, o restringerla ai più preparati oggi, per giungere ad u progressivo allargamento? Questo ed altro dovete chiedervi. Dovete convincervi, e prepararvi aconvincere, non a sopraffare gli altri, ma neppure a rinunciare. Oggi bisogna combattere contro l’oppressore. Questo è il primo dovere per noi tutti: ma è bene prepararsi a risolvere quei problemi in modo duraturo, e che eviti il risorgere di essi ed il ripetersi di tutto quanto si è abbattuto su di noi.Termino questa lunga lettera un po’ confusa, lo so, ma spontanea, scusandomi ed augurandoci buon lavoro.

25 aprile 2016

L'ingegnere di Fossoli – il mio ricordo per questo 25 aprile

Questo 25 aprile lo voglio ricordare citando uno dei personaggi forse minori, nella grande storiografia della Liberazione. Una di quelle persone di cui ci siamo colpevolmente dimenticati, sebbene, dove sia passato, abbia lasciato una sua impronta.
Parlo dell'ingegnere Carlo Bianchi, milanese di nascita ma inverighese di adozione, perché qui spostò la sua azienda negli anni della guerra.
Carlo Bianchi, laureatosi in ingegneria al Politecnico a soli 23 anni, è stato uno di quegli italiani che di fronte al fascismo non ha girato la testa dall'altra parte: si licenziò dalla Siemens a Milano nel 1938 per non doversi iscrivere al partito fascista (senza tessera, in quegli anni, non si andava da nessuna parte).
La sua avversione al fascismo maturò anche dopo diversi viaggi di vacanza in Germania.
E' vero, poteva permetterselo perché, a differenza di altri, aveva alle spalle una famiglia e nell'azienda di famiglia trovò lavoro. Ma non si fermò qui: dopo l'8 settembre, ad Inverigo, con l'approvazione del cardinale Shuster, dette vita all’organizzazione "Carità dell’Arcivescovo", istituzione con cui dare supporto alle persone colpite dalla guerra.
Strinse rapporti col CLN milanese e le prime formazioni partigiane della Brianza: assieme a Teresio Olivelli, che ospitò anche a casa sua, creò il foglio clandestino "Il Ribelle", alla cui realizzazione avrebbero partecipato anche Claudio Sartori, Enzo e Rolando Petrini e Franco Rovida.
Entra a far parte del CLNAI e fa anche parte dell'O.S.C.A.R., un'organizzazione scout che portò in salvo centinaia di ebrei e prigionieri di guerra ricercati dai nazisti.
Per colpa del tradimento di un delatore, fu arrestato in piazza San Babila a Milano il 27 aprile 1944, incarcerato a San Vittore fu poi trasferito al campo di Fossoli, come internato politico.
Per molti, Fossoli fu il campo di transito verso l'inferno in terra di Auschwitz, un viaggio di non ritorno. Altri sopravvissero e lasciarono per noi, che siamo venuti dopo, il loro ricordo, come fu per Primo Levi.
Carlo Bianchi fu invece fucilato al poligono di Cibeno, insieme ad altri 66 internati politici, il 12 luglio 1944, come rappresaglia per un attentato partigiano compiuto a Genova.

Carlo Bianchi è stato insignito della medaglia d'oro dal comune di Milano, per la sua attività antifascista, in seguito gli fu attribuita la Medaglia di Bronzo al Valor militare
«Animato da profondo amore per la libertà, non esitava, benché padre di quattro figli, a entrare, dall’armistizio, nella Resistenza, segnalandosi per capacità organizzativa e di animatore. Catturato, sopportava stoicamente minacce e torture, nulla svelando che potesse danneggiare l’attività partigiana. Tradotto a Fossoli confermava i suoi alti ideali e la sua fermezza d’animo, pagando con la fucilazione il suo grande amore per Italia».

Qui ad Inverigo esiste una via Carlo Bianchi.
Ma un catasto distratto e un comune poco attento, hanno ribattezzato la via intitolandola ad un altro Carlo Bianchi, poeta.
Ci vuole poco a dimenticare la storia, l'importanza di persone come l'ingegnere di Fossoli. Un italiano, sposato e con tre figli (e in attesa del quarto), che di fronte alla Storia seppe fare le sue scelte. Giuste.

Il 23 aprile, qui ad Inverigo, la compagnia teatrale “Nuovo teatro Ariberto” ha allestito uno spettacolo "L’INGEGNERE DI FOSSOLI. UN EROE DI INVERIGO": c'era Carla Bianchi, la figlia, che ancora si ricordava delle signore inverighesi che l'avevano cresciuta quando passava le estati qui in Brianza.
Cattolico, benestante, anche borghese se vogliamo: uno che ha fatto (purtroppo per poco) la Resistenza senza mai imbracciare un fucile. Ma che aveva contribuito a salvare molte famiglie ebree dalla deportazione e che faceva paura alla dittatura. Per le sue idee e per il suo impegno.
Perché è importante ricordare la storia di Carlo Bianchi? Per due motivi: il primo è legato all'obbligo della memoria della guerra di liberazione, che è stata combattuta sia sul fronte, dagli Alleati contro i tedeschi. Sia sul fronte interno, sulle montagne, nelle città, nelle retrovie del fronte, dai partigiani.
Una guerra non di meno importante perché costrinse i tedeschi a spostare truppe nel contrasto ai “banditen”, così venivano chiamati i partigiani. Nemmeno l'onore di essere considerati truppe belligeranti, perché irregolari. Persone che dopo l'8 settembre scelsero la via della libertà, della fine della tirannia, dei soprusi, delle ruberie, del fascismo. Anche grazie a loro, la liberazione dalla dittatura è arrivata.

E, infine, c'è un secondo motivo: sulla guerra di Liberazione si è creato un falso binomio per cui resistenza = comunisti. Non è vero: le formazioni partigiane erano di tanti colori politici e, soprattutto, a questa guerra parteciparono uomini e donne provenienti da tutto il mondo civile.
Ex soldati, carabinieri, studenti, professori, operai. E ingegneri come Carlo Bianchi.
E preti come don Pietro Pappagallo a Roma.
E donne come Tina Anselmi, la staffetta partigiana.
Questa è stata la guerra di Liberazione: un movimento popolare, il fondamento della democrazia in cui viviamo oggi. Quella che oggi ci permette di esprimerci liberamente, di riunirci, tutela i nostri diritti senza vincoli di sesso, di religione, di ceto sociale, politici.

C'è stato un periodo nella nostra storia in cui tutto questo non era scontato: i giornali non erano liberi, si veniva perseguiti per la religione, per il credo politico, per aver detto certe frasi.
Non si andava a votare e non si poteva scegliere, non esisteva partecipazione. Era con una tessera in tasca che si andava avanti.
Ricordiamocelo, in questa Europa in cui soffiano ancora venti di estrema destra e di quel fascismo che non se ne è mai andato, ma che ogni tanto riaffiora come un fiume carsico.

Buon 25 aprile!

Report – il tallone d'Achille (l'inchiesta su FNM e sui gettoni della Rai)

Cosa hanno in comune l'inchiesta sulgruppo Ferrovie Nord e le spese del presidente, con quella suigettoni d'oro della Rai? Due casi dove qualcuno coi soldi pubblici voleva farsi i comodi suoi.
Però poi qualcuno ha voluto controllare fino in fondo (e non far finta di niente), nel primo caso un funzionario dell'Audit nel secondo una vincitrice.

5 aprile 2013: a Rai 1 hanno assegnato un premio di 100mila euro, alla signora Maria Cristina, che li ha fatti valutare. Scoprendo che non erano d'oro puro: anche Sigfrido Ranucci li ha fatti analizzare, sono risultati 995 e non 999 come timbrati dalla zecca.
Una frode nei confronti della Rai e dei vincitori?
Chi ha frodato, allora? L'oro è fornito da due banche, una nella maggior parte dei caso: banca Etruria.

E poi ci sono quelli che fanno le cresta sulle tasche di tutti: la Corte dei conti stabilisce in 328ml di euro la cifra di soldi rubati: questa sera Report si è occupata di Ferrovie nord e le debolezze del presidente Achille.
E di un funzionario che è andato fino in fondo, nonostante gli avessero detto di fermarsi...

Andrea Franzoso è il funzionario dell'Audit, anzi ex funzionario: ha raccontato dei viaggi fatti con l'Audi aziendale, da usare solo per servizio e che invece era usata per andare in vacanza.
Assieme a Franzoso indagano Nocerino e Schoch: hanno trovato spese per abbigliamento, profumeria, cene, spese per vacanze. A Forte dei Marmi e al Twiga. Conti da 900 euro.
E poi telefonini, 120mila euro pagati in bollette, per figli e moglie.
Le multe pagate da FNM, le scommesse sportive: l'audit presenta il conto all'azienda che avrebbe dovuto segnalare alla procura le carte. Perché si figurava un illecito.

Nel frattempo i treni sono affollati, in violazione del regolamento di servizio perché con meno carrozze di quanto previsto: il servizio ferroviario è gestito da Trenord, quotata in borsa, metà Trenitalia metà FNM.
Quando ci sono ritardi, arriva il bonus: la riduzione dei proventi per i ritardi però la paga la regione, cioè noi, non i manager responsabili.

Lombardia versa 400ml di euro ogni anno, ma non bastano per colmare i servizi, come nel dicembre 2012 quando sono andati in tilt i sistemi informatici. Il DG Biesuz nel frattempo era finito ai domiciliari, per una questione legata al suo passato lavoro.

Le spese anomale di Biesuz e Achille finiscono nel report dell'audit: su cui si sono riversate molte pressioni, da parte del collegio sindacale, per ammorbidire la posizione.
A capo del collegio c'era Belloni, che convoca il funzionario dell'audit che registra tutto: se voi stavate più prudenti .. non bisognava scrivere certe cose ..

Belloni ha paura che l'audit vada fino in fondo: l'ex membro del CDA Quaini ha raccontato della sua esperienza, delle sue amicizie, era politicamente appoggiato.
Achille era ostaggio di Belloni: costui aveva come amici l'ex ministro Gelmini.
EMANUELE BELLANO FUORI CAMPOTra gli agganci politici di Belloni c’è Maria Stella Gelmini, che da ministrodell’Istruzione lo nomina nel cda di Espero, il fondo pensione che gestisce i risparmidei professori. Spese di viaggio e di alberghi sostenute per Espero Belloni se li faanticipare da Ferrovie Nord. Ma Belloni è anche un militante politico: è il coordinatore regionale dei circoli di Agorà Liberi e Forti, l’associazione interna a Forza Italia guidata dall’eurodeputato Lara Comi.
C'è un forte legame tra Agorà e FNM: ci sarebbero assunzioni anomale dentro il gruppo, come Vagliati e Di Renzo, sempre dal circolo Agorà.
Armando Vagliati è l'uomo delle nomine in Lombardia di FI: Rizzi, quando stava per passare a NCD, chiese un posto di lavoro per il fratello, Vagliati lo candida in una società del comune, Metropolitana milanese.

Il benefattore di Arconate: in questo paese Mario Mantovani è considerato un benefattore, braccio destro di Silvio Berlusconi, di Formigoni in regione, nel suo comune dove è stato sindaco, ha fatto tanti lavori.
Ai lavori contribuisce FNM, che da soldi anche alla fondazione Mantovani: alcuni giovani del suo paese li ha piazzati, dicono i pm, in Ferrovie Nord.
Una consulenza a Caianiello, pagata da Nord Energia: consulenza formata da Achille, per i comuni di Legnano e Abbiategrasso.
Proposte mai arrivate nei comuni.

L'assessore regionale Del Gobbo (ex presidente di Nord Energia), ammette che si trattava di una consulenza finta: “io non avevo il controllo del progetto”.
La consulenza da 45mila euro è stata pagata ma non è servita a niente.
E i pendolari viaggiavano stipati.

I regali del presidente.
La cassa di FNM è stata usata per usi personali e anche per omaggiare l'ex presidente Formigoni: dipinti classificati come omaggistica.
Tre dipinti per un totale da 17mila euro: dipinti che sono andati direttamente a casa di Fomigoni.
Ora il presidente è Gibelli, che ai tempi era vice di Formigoni: davanti il giornalista garantisce che i soldi presi indebitamente.

Ci sono poi gli appalti finiti a uomini di CL: come le auto affittate a Kaleidos, società della CDO ad un prezzo maggiorato.
Viene arrestato il presidente di Kaleidos, i pm sospettano che ci sia stata un mazzetta per l'appalto.
La società Sems (del gruppo) ha avuto una sede a Saronno, in una sede di proprietà di Kaleidos, ad un prezzo molto superiore al valore di mercato.
Le cene di Natale ora non si fanno più, mentre si fanno ancora le cene per ospiti particolari: come quella del vicepresidente Arnoldi con ospite Vegas. Vegas, presidente Consob, dovrebbe vigilare sulle società quotate come FNM.
Per Arnoldi, non c'è niente di male ad andare a cena assieme, non è corruzione.

Sono cambiati i tempi oggi, col nuovo management? Non sembrerebbe, vista la sponsorizzazione di FNM a Terra insubre, del consigliere Mascetti.
Mascetti, oltre ad essere manager di FNM, è anche vicina alla Lega.

Come è andata a finire?
Voi non vi occuperete di audit per il resto della vostra vita”: Franzoso è stato spostato in un'altra funzione creata ad hoc, non si occupa più di audit.
Il nuovo cda, dopo lo scandalo, lo ha rimosso: Gibelli parla di riorganizzazione, in ragione di una esigenza organizzativa ..
Siamo maliziosi a pensare male?
Franzoso si è dimostrato capace, indipendente rispetto alle pressioni: meritava di meglio.
Un uomo che non ha un prezzo, purtroppo sono quelli che pagano il prezzo per tutti.

Qui la trascrizione pdf della puntata.

24 aprile 2016

Il giallo dei gettoni d'oro

La seconda inchiesta di questa sera di Report tratterà dei gettoni d'oro con cui la Rai premia i vincitori dei concorsi: questa l'anticipazione della puntata su Reportime


Il giallo dei gettoni d’oro alla Rai «In ogni chilo 5 grammi in meno»L’inchiesta sui premi dei giochi in tv. Il fornitore? Banca Etruria. Tutto inizia con la signora Maria nel 2013: ha vinto 100 mila euro e ne incassa poco più di 64 mila
Dove vanno a finire quei cinque grammi spariti da ogni chilo d’oro fino che la Rai compra per distribuire fin dal lontano 1955 gettoni di metallo prezioso ai concorrenti dei giochi a premi, è mistero. Non meno misterioso è il modo in cui spariscono. Ma che qualche vincitore si sia ritrovato in mano gettoni d’oro taroccati, e che lui e la Rai abbiano subito una frode bella e buona, è fuor di dubbio. La sconcertante vicenda l’ha scoperta Sigfrido Ranucci, autore di un servizio televisivo che Report di Milena Gabanelli manda in onda stasera su Raitre.

Il casoTutto comincia quando alla signora Maria Cristina Sparanide, che nel 2013 ha vinto 100 mila euro alla trasmissione Red or Black su Raiuno arriva una lettera della Zecca, incaricata dalla Rai di coniare quattro gettoni d’oro del valore unitario di 20 mila euro per saldare il conto. Perché 80 mila euro e non 100 mila? Semplice: ci sono le tasse, ma questo il concorrente lo sa. Quello che invece apprende solo quando legge la lettera del Poligrafico dello Stato è che deve pagare pure l’Iva sebbene, spiega il servizio di Ranucci, l’imposta non sia dovuta sull’oro per investimento, cioè quello definito da una direttiva comunitaria come «lingotto o placca». E non ha ragione forse la Treccani a definire il gettone d’oro una «placca»? A questa domanda, però, a quanto pare nessuno sa, può o vuole rispondere. Non il ministero dello Sviluppo. Non le Finanze. Né l’Agenzia delle Entrate.Oltre alle tasseOltre alle tasse, all’Iva e al costo del conio del gettone c’è poi un’altra voce a carico del vincitore: il calo del 2 per cento dovuto alla fusione. Come se su un chilo d’oro si perdessero 20 grammi ogni volta che si fonde il metallo. Decisamente curioso. A conti fatti, la vincita di 100 mila euro si riduce così a poco più di 64 mila. Ma se l’Iva e quel fantomatico calo, sono questioni legate a interpretazioni astruse di norme astruse, ben altra storia è quella della qualità del metallo. I gettoni che escono dalla Zecca sono marcati come oro fino: 999,9. Quando però la signora Sparanide li porta a un’azienda orafa per farli valutare, il risultato la lascia di stucco: non è oro purissimo. Lo conferma anche un laboratorio specializzato accreditato dal ministero per le analisi legali. Il risultato è identico: si tratta di oro 995. Significa che per ogni chilo ci sono 5 grammi di altro metallo non prezioso. Il bello è che la Rai, c’è scritto nero su bianco nel contratto, l’ha acquistato (e pagato) come oro 999,9. Dunque, in questa incredibile vicenda, è chiaramente parte lesa.Banca EtruriaLa faccenda è pelosissima. Milena Gabanelli precisa che la Rai compra ogni anno dai 6 ai 10 milioni di euro di gettoni d’oro dalla Zecca, che a sua volta si rifornisce del metallo in lingotti sul mercato. Da chi? Da Banca Etruria, fornitore storico degli orafi di Arezzo. Da quell’istituto travolto da una bufera nei mesi scorsi per le obbligazioni subordinate la Zecca ha acquistato «milioni di euro in lingotti d’oro per trasformarli in gettoni della Rai», dice Ranucci, «per anni e senza bando di gara». Perché «è la banca che ci fa il prezzo più basso», replica la Zecca. Aggiungendo che dei lingotti forniti da Banca Etruria «il 20 per cento è stato controllato in ingresso, secondo le nostre procedure di qualità, ed è risultato oro 999». Saranno dunque le procedure, ma resta il fatto che l’80 per cento non è stato controllato. A scanso di equivoci la Zecca si è premurata di presentare un esposto alla procura. E la cosa non finirà qui.

Tanto non sono soldi pubblici – Report e il caso Ferrovie Nord

“Trenord non gestisce soldi pubblici” - così si giustificava l'ex presidente di Ferrovie Nord Milano (la controllata che si occupa di trasporto pubblico in Lombardia), Noberto Achille, nell'intervista in cui Marco Lillo gli contestava le spese “pazze” che si faceva rimborsare dal fondo di presidenza. Soldi pubblici, perché rimane una società controllata dalla regione Lombardia, i cui vertici in questi anni sono sempre stati legati alla regione stessa (Formigoni prima e Maroni ora).

Quali sono queste spese? Le multe dell'auto: una da 1000 euro, per un totale di 17mila euro, su auto che la società mette a disposizione della dirigenza e che invece, in alcuni casi, erano in uso ad altre persone.
I quadri comprati alla Galleria Sacerdoti per 17 mila euro.
Spese per i telefonini per migliaia di euro.
Le spese pazze di Norberto Achille, presidente della società controllata da Regione Lombardia e partecipata da Fs: 70mila euro dal 2011 al 2015. Tra poker sul web, abbigliamento, carburante, telefonino e multe. Continua l'inchiesta del Fatto Quotidiano.
La procura acquisisce gli estratti conto, il cda commissiona un report per verificare illegalità. Interrogazioni M5S” [Fatto quotidiano del 11 maggio 2015]

A tutte queste contestazioni, che non hanno trovato molto spazio sui giornali, l'ex presidente ha risposto che toccherà alla magistratura dare una risposta, che FNM non è pubblica, che mica può ricordare tutto...
Forse perché sono un pendolare, a me queste risposte danno molto fastidio: come tante altre persone, ogni giorno mi scontro con ritardi, treni affollati, dove d'estate manca l'aria condizionata.
Magari cambierà qualcosa con la nuova dirigenza, chissà. Ma rileggendosi l'intervista, gli articoli, rimane l'impressione di di un manager che considerava quella poltrona come un feudo personale.
Che si è interrotto grazie agli accertamenti dell'audit interno, che con grande coraggio e senso dell'etica, hanno fatto le pulci alle spese per quadri, scarpe, viaggi e pranzi, per cui Norberto Achille è stato indagato per peculato e truffa e l’ex presidente del collegio sindacale Carlo Alberto Belloni per tentato favoreggiamento.
Si chiama Andrea Franzoso, il funzionario dell'audit: la sua storia però non ha avuto lieto fine, FNM lo ha rimosso dal suo ufficio, niente più funzioni di controllo per questa persona colpevole di aver collaborato coi magistrati e non aver tenuti i panni sporchi ben nascosti.

Dal Fatto Quotidiano del 22 dicembre 2015: si parla del colloquio che Franzoso ha registrato parlando con l'ex capo dell'Audit Belloni
Io vi avevo spiegato, sia a te che a Nocerino, di non insistere sulla strada su cui stavate insistendo”.
Belloni è amareggiato perché dopo l’arresto del precedente capo del servizio audit voleva promuovere proprio le due serpi piene di un veleno chiamato onestà che si era cresciuto in seno. “Io pensavo da voi, o da te o dall’altro di tirare fuori il responsabile dell’Internal Audit… non l’avete voluto capire… sono uscite cose che negli audit non andavano scritte… io te lo dico con molta franchezza: dal 26 maggio in poi quell’ufficio lì (Internal Audit, ndr) viene smantellato”.
La questione interessante è che Belloni sta parlando del nuovo corso di Andrea Gibelli, il nuovo presidente leghista: “Gibelli secondo te cosa fa? Si tiene questo audit? Si tiene questo Odv (Organismo di vigilanza, ndr)? si tiene questa gente qua? Secondo te? Gibelli la cambia. Il minimo che deve fare. Se a te ti mandano a Como? E Nocerino lo mandano ad Iseo? Cosa facciamo? Eh? Ci hai pensato a questo? Ci avete pensato, te e Nocerino, a questa roba qua? Che forse bastava venire su e dire le cose man mano che venivano avanti, e seguire quello che vi dicevo io, e stare più prudenti… e non farvi prendere dalla foga di capire, di avere”.
Belloni fa un ragionamento sottile. Franzoso e il suo collega hanno sbagliato a usare quelle carte nell’interesse della società e non nel loro. Come direbbe Razzi, “fatti un po’ i c… tuoi”, sembra dire Belloni. “Non dicevo che non bisognava trovarle… bisognava trovarle, fare come faceva Orlandini (l’ex responsabile Internal Audit Fnm, poi arrestato per altre storie, ndr), a cui le davate le cose. Orlandini veniva dal presidente e le mediava… a suo vantaggio, a suo vantaggio… che Orlandini fosse un figlio di puttana lo sapevate. Bastava dirmele le cose”.
Poi c’è l’apologo agghiacciante sul campo di sterminio: “Il comandante di Auschwitz, che di certo non era uno stinco di santo (…) l’unica cosa che non ha mai fatto è indagare sui revisori dei conti che gli mandava Berlino. Mai. Mai fatto. Aveva il Comitato di controllo interno, aveva l’Odv interno del campo, fatto da Ss. Quando una Ss si svegliava, in questo caso l’Ss Quaini (ex membro del Cda, ndr) si svegliava e diceva: bisogna indagare sul comandante, su su… sul presidente dei revisori dei conti che arriva da Berlino, gli diceva: ‘Guarda, tu non sei ariano perfetto, comincia ad accomodarti dentro al forno crematorio’”. La leghista Laura Quaini era allora presidente del Comitato controllo e rischi, ed è stata decisiva nell’aiutare i controllori onesti come Franzoso. Dopo essere stata paragonata da Belloni al controllore onesto di Auschwitz, non è stata confermata nel cda scelto dalla Regione a guida leghista.

Di tutto questo si occuperà il servizio di Emanuele Bellano per Report: il tallone d'Achille
Carburante auto per uso privato, pranzi in giorni festivi e scommesse sportive. Tutte spese effettuate da Norberto Achille, presidente di Ferrovie Nord Milano, il gruppo controllato dalla Regione Lombardia che gestisce il trasporto ferroviario lombardo e caricate dal presidente sulle casse della società. Di domenica il presidente Achille paga con la carte di credito aziendale 480 euro in un ristorante a Forte dei Marmi. Ma a spese della società va anche in discoteca: 900 euro al Twiga, il locale di Flavio Briatore in Versilia. Le spese vengono raccolte nel rapporto dell'internal audit, l'organo di controllo interno di Ferrovie Nord, stilato da Andrea Franzoso insieme ad altri funzionari incaricati di controllare i conti. Tra le spese anomale individuate dall'audit anche l'acquisto di tre quadri, in totale 17 mila euro, pagati da Ferrovie Nord e regalati all'allora presidente di Regione Lombardia Roberto Formigoni. E non solo: appalti sospetti a una società di Comunione e Liberazione per oltre un milione di euro, consulenze, sponsorizzazioni e favori a compagni di partito e associazioni amiche. Nonostante controllare i conti e denunciare le anomalie sia il suo compito, Franzoso riceve intimidazioni dai vertici della società. Il funzionario non si ferma e denuncia la vicenda in procura. Oggi che fine ha fatto? Il nuovo presidente di Ferrovie Nord Andrea Gibelli, nominato per risollevare l'azienda dopo lo scandalo delle spese anomale, lo trasferisce in un altro ufficio e oggi Franzoso non si occupa più di controlli. Chi è Andrea Gibelli? Era il vice di Formigoni in Regione.

Il secondo servizio riguarda i gettono d'oro, con cui la RAI premia i vincitori dei concorsi. Ma è tutt'oro quel che luccica? Una signora che ha vinto un premio ha voluto controllare..

Chi vince i gettoni d’oro si sente baciato dalla fortuna e non gli viene in mente di andarci a guardare dentro. Perché a caval donato di solito non si guarda in bocca. Noi invece siamo talmente rompiscatole che l’abbiamo fatto. La Rai sborsa ogni anno dai 6 ai 10 milioni di euro in gettoni d’oro che acquista dalla Istituto Poligrafico Zecca dello Stato. Sono i gettoni con cui premia i vincitori dei concorsi a quiz. Il premio in gettoni d’oro è ormai un meccanismo consolidato dal 1955, con la trasmissione Lascia o Raddoppia; i gettoni vengono usati al posto del denaro contante per non violare la legge sul gioco d’azzardo. Ma la Rai si distingue perché è l’unica televisione al mondo a premiare con gettoni d’oro 999,9, che significa che su un chilo ci sono più di 999 grammi di oro: il massimo della purezza. Le altre emittenti televisive, come Mediaset, pagano con gettoni in oro 750. La Rai ha un contratto di fornitura esclusiva con la Zecca dello Stato, la quale conia i gettoni d’oro e li certifica. Ma è davvero tutto oro quello che luccica, anche se proviene dalla Zecca? E soprattutto, da chi compra la Zecca i lingotti d’oro per coniare i gettoni della Rai?

Terzo e ultimo servizio, i costi di produzione delle targhe delle auto: privatizzarle ci farebbe risparmiare soldi?

In Italia la produzione delle targhe auto è affidata in regime di monopolio al Poligrafico dello Stato. L'automobilista le paga oltre 42 euro, mentre nei paesi europei dove il servizio è privatizzato i costi sono molto più bassi. Ma cosa succede se la targa prodotta dallo Stato si rovina? Secondo il codice della strada va sostituita e per il cittadino arriva un'altra beffa perché c'è un conto ancora più salato da pagare. 

23 aprile 2016

La colonizzazione del nord – da un Caso come gli altri.

Già da molti anni, famiglie legate alla Società si erano stabilite nel Norditalia. Avevamo mandato là i figli più dotati perché studiassero, perché capissero. Le regioni più ricche, con la loro rete di imprese, cooperative, industrie, appalti, erano come un frutto maturo. Non bisognava avere fretta, però. C'era da parlare, da organizzare. Da costruire. Esponenti delle 'ndrine ioniche, ma anche clan campani e in misura minore perfino siciliani, avevano preso posizione in diverse comunità della Lombardia, della Liguria e del Piemonte. Per non parlare della Valle d'Aosta, in cui le prime infiltrazioni erano avvenute addirittura negli anni di piombo.Una pesca succosa. Da addentare.Gli ambasciatori delle varie famiglie si stabilivano in un comune, preferibilmente piccolo e ricco. Si guardavano attorno, annusavano l'aria. I figli andavano a scuola mentre i padri, gli zii e i loro sodali frequentavano i bar, le sezioni dei partiti, gli studi di avvocati e commercialisti. Erano nuovi, non sapevano ancora molto su come andavano le cose lassù. Ma avevano tempo, pazienza e denaro. Molto denaro. Non sarebbero servite minacce o sparatorie da quelle parti, lo avevano capito subito. Non era casa loro. Lo sarebbe diventata, questo sì, a suo tempo, ma al momento occorreva muoversi con cautela. Mostrare la faccia cortese, quella dell'amicizia e degli affari.Il vecchio secolo era finito e in Italia le cose erano cambiate. Vecchi partiti avevano lasciato posto a partiti nuovi, i centri di potere andavano formandosi o riformandosi, regione per regione, città per città. Aveva bisogno di voti quella gente, e di quattrini. Voti? Quattrini? Le famiglie potevano procurare gli uni e gli altri. Così i loro avvocati, i commercialisti, i faccendieri fidati avevano avvicinato i nuovi eletti. Nessuna minaccia, nessuna pistola. Solo sorrisi, aperitivi, scorpacciate di funghi e polenta, qualche squillo di lusso, un tiro di polvere bianca, promesse, i primi appalti. Buste piene di banconote avevano cambiato di mano, con discrezione. E consiglieri comunali, presidenti, sindaci, gioiosi ed energici rappresentanti del nuovo che avanza, si erano legati a doppio filo ai nuovi finanziatori. Lo avevano fatto sull'esempio di personaggi ancora più potenti, gente che comandava a Milano e a Roma. Non era sembrato vero a questi signori seduti dietro le scrivanie al cui cospetto un tempo si arrivava dopo lunghe ore in sala d'attesa, di avere accesso a fondi pressoché illimitati. Soldi facili, con cui si poteva fare tutto. Arrivare dappertutto. Permettersi di sognare perfino un seggio nella capitale, il che significava fama e fortuna, inviti nei salotti che contano, ancora più potere e denaro.C'era un lavoretto da far fare, un permesso da concedere, una pratica da facilitare? Pronti, bastava chiedere. I loro nuovi amici, così gentili e generosi, persone a modo, come non sé ne vedono spesso, si erano rivelati efficienti, organizzati, affidabili e riconoscenti. Soprattutto assai riconoscenti.Nuovi quartieri, nuove strade, capannoni, porti, ospedali venivano tirati su un po' dovunque. Altre buste cambiavano di mano. Si trasformavano un vacanze tropicali, feste, belle donne, macchine sportive. E poi ville padronali, attici firmati da architetti di grido, altre feste, donne ancora più belle, cocaina di prima qualità.

Una caso come gli altri, Pasquale Ruju (Edizioni E/O).

Così racconta il libro di Pasquale Ruju, un lungo confronto tra la vedova di un boss della ndrangheta e il magistrato che ne sta raccogliendo la confessione (ma non il pentimento): come è successo che le 'ndrine entrassero nel tessuto sociale, industriale, professionale, politico del nord. Per la ndrangheta erano un frutto maturo, da cogliere, a colpi di soldi, voti e coca.
Perché questo è successo.

In Piemonte, dove è ambientata la storia, ma anche qui in Lombardia, in Brianza, come ha raccontato l'inchiesta sulla Perego strade.