31 ottobre 2016

Report – la nuova geografia (delle città) e il Cina compact

I grandi sistemi urbani che stanno ridisegnando la geografia del mondo e gli investimenti delle società cinesi in Africa (non è che saranno loro a risolvere i problemi dell'immigrazione per l'Europa?).
Ma prima, Sabrina Giannini e l'inchiesta sul consumo della carne.

Indovina chi viene a cena – carnaio
Gli allevamenti inquinano sulla terra: la soluzione è l'hamburger chimico, fatto in laboratorio?
Sabrina Giannini è partita intervistando Sylvie Guillem, ballerina che ha preso la scelta di diventare vegana: come scelta morale, per dare una risposta al problema dell'alimentazione nel mondo.
“Anche se è una goccia nel mare, io faccio la mia parte” - questo il suo pensiero.

Nel 2050 saremo 15 miliardi di homo sapiens: quanto sapiens lo sapremo tra qualche anno.
Nel frattempo i grandi paesi si sono accordati per una diminuzione “volontaria” dei gas serra. Ma ad inquinare sono anche gli allevamenti intensivi: l'allevamento del bestiame causa impoverimento delle risorse del suolo e idriche, causa inquinamento.

Quando saremo 15 miliardi quanti animali dovremo macellare, se manteniamo questo ritmo di consumi (e allevamento)?
Ci accontenteremo dell'hamburger senza carne? Lo producono in California, nella Silicon Valley: contiene le proteine del grano e la vitamina B12, ha lo stesso gusto e consistenza.
Bill Gates ha donato fondi al progetto: è questa la soluzione per salvare il pianeta?
Di certo le alternative sono diventare vegetariane, ignorare il problema e far finta di niente.

Segey Brinn, fondatore di Google, sta lavorando ad un hambuger prodotto per via cellulare in un laboratorio: siamo in fase di prototipo e, chi lo ha assaggiato, racconta che ha un gusto simile a quello fatto con la carne.

Dovremo superare l'avversione a mangiare qualcosa che esce dal laboratorio: tutto questo per il bene del pianeta e per il bene degli animali.
La cultura cellulare può essere applicata per riprodurre carne di pesce, volendo.

Si deve solo prelevare delle cellule muscolari dal tessuto degli animali, che il professor Post usa in laboratorio per ricreare la carne in laboratorio: carne con gli stessi valori nutrizionali, la stessa struttura e lo stesso sapore.

Potremmo addirittura togliere alla carne gli elementi che portano, se consumata in eccesso, al cancro: certo lo si potrebbe chiamare frankenstein burger, ma anche negli allevamenti intensivi di polli e bovini non sono tutte rose e fiori.

La politica ha di fatto reso lecito tutto ciò che serve alle industrie della carne: animali ridotti a vivere in piccoli spazi, riempiti di antibiotici (che creano poi malattie resistenti a questi), i gas prodotti che inquinano l'aria.
Ma anche gli allevamenti biologici non basterebbe a soddisfare l'esigenza di carne nel mondo: con la carne artificiale, niente allevamenti, niente antibiotici ..

L'europa intende investire 15 ml di euro l'anno, negli allevamenti intensivi: da una parte l'UE si impegna a ridurre le emissioni di co2, dall'altra investe soldi nostri per favorire le industrie che a Bruxelles hanno i loro lobbisti.

Michele Buono – la nuova geografia

Nelle grandi città si concentra buona parte della popolazione mondiale, si produca una buona parte del PIL. Ma nelle grandi città si concentrano anche i problemi della gente: se si mettono insieme, si producono soluzioni che vanno bene per tutti.
Le città del mondo che si legano per scambiarsi idee e progetti creano un nuovo continente – ci racconta Michele Buono.
Torino, Nairobi e New York: qui l'agenzia per lo sviluppo lavora come catalizzatore per accogliere nuove idee e contribuire al loro sviluppo.
La vecchia ferrovia che diventa un museo, viene rigenerata in spazi comuni, un parco sopraelevato, e attorno si costruiscono nuove case.
La città si rigenera dal suo interno, sia dal di sopra che dal di sotto, come a Manhattan: un giardino sotterraneo dove coltivare orti, grazie ad una tecnologia che da luce tutto l'anno.
Al terminal dell'esercito di Brooklin ci è passato anche Elvis Presley: oggi è del comune ed è usato come terminal di aziende di manifattura, oltre che atelier di artisti e uffici per consulenza.
In questa zona, l'incubatore non fa pagare tasse alle aziende di ricerca che arrivano: accesso alle risorse, al capitale e ai servizi.
Così si attirano lavoratori e si riqualifica un'area ex militare che altrimenti sarebbe rimasta abbandonata a sé stessa.

L'università Columbia ha scelto per la nuova sede un quartiere multietnico: Renzo Piano ha spiegato che la scelta è stata fatta apposta, per permettere il miscuglio di studenti e gente normale. I corsi nell'università sono gratuiti, è un investimento anche questo.

Tutto questo è alimentato da un fondo “del sindaco” che investe in abitazioni pubbliche, in corsi di informatica per tutti.
Sono progetti di impatto sociale in cui investono anche i privati: l'interesse nel non lasciar nessuno indietro, anche le fasce svantaggiate, è comune.

Capannori, vicino a Lucca: il sindaco ha messo in rete tutti i servizi, ma si è chiesto se i cittadini fossero preparati. Nel caso, è il comune che viene a casa delle persone non esperte.
I ragazzi aiutano la gente, mettendo le loro competenze per fare assistenza digitale, casa per casa. Anche per gente immigrata, che conosce poco l'italiano: si crea una comunità più coesa, senza digital gap, dove tutti hanno accesso all'informazione.
Niente corsi costosi: l'idea è usare le risorse che hai (a New York i quartieri messi male a Capannori i giovani in cerca di lavoro) per riqualificare una comunità.

Perché non si creano anche da noi le macro aree, come a New York? Se Milano, torino e Genova si mettessero a sistema?
Abbiamo connessioni ferroviarie, stazioni ferroviarie.
A Milano, porta Genova: l'area ex Ansaldo è ora di una impresa che farà da incubatore per nuove imprese. Aiutare le startup a trovare la direzione giusta per fare impresa.
Se hai bisogno di uno spazio, c'è Talent Garden che ti aiuta.

A Torino ci sono le periferie ex industriali: anche qui c'è spazio per nuove idee, per startup, per abbattere le barriere sociali e di competenze.
Qui ci sono scuole di jazz, un forno, una radio.
Aree morte che si trasformano in aree vive: il comune di Milano lancia una raccolta online per riqualificare una zona, crwfounding civico per recuperare spazi.
Se il progetto raccoglie una soglia minima, il comune ci mette il resto: come una cascina del 600 tra i palazzi.
Le persone hanno creduto nel progetto: la cascina è diventata oggi un luogo comune, aperto a tutti.
Sesto S. Giovanni: qui si produceva acciaio, ora Renzo Piano l'ha ridisegnato pensando ad un ospedale, uffici, spazi per startup.
Le bonifiche le farà un privato e verrà controllato dalla United Risk: si crea fiducia in nuovi investitori che arrivano da fuori.

Cosa succede a Genova?
In collina ci sono gli uffici dell'IIT, l'istituto di tecnologia specializzato in robot: un imprenditore farmaceutico ha investito qui pensando a sviluppi industriali degli arti bionici.
Altra idea innovativa: il robot tascabile, dentro uno smartphone.
Un'idea, un crowdfounding per raccogliere fondi e l'idea diventa qualcosa che va in produzione.

Il futuro di Expo: l'istituto di Cingolani arriverà ad Expo e farà ricerca nel settore della mappatura del genoma. Attrarre cervelli e portarli qui a Milano.
Un tecnopolo di umanoidi a Genova in relazione con un altro a Milano: i due politecnici dovrebbero fare sistema, per giocare la stessa partita e mettersi in competizione con la silicon valley.

Come a New York, anche a Milano per attrarre le imprese si punta sulla detassazione e con un patto per assumere in cambio dei servizi e delle minori tasse.

Anche il sindaco della città di Monheim ha seguito lo stesso principio: meno tasse per le industrie che vengono qui ad investire.
Nel comune c'è un intero ufficio che segue i problemi delle imprese: tempi brevi per le licenze, per le autorizzazioni, per le ristrutturazioni.
Lo sconto fiscale è stato usato dalle imprese per fare formazione e per assumere (non è finito nei paesi off shore..). Così, il comune ha potuto permettersi nuovi asilo e questo ha portato a nuove nascite …
Un circolo virtuoso.

Parigi.
Uber a Parigi ha aperto un centro proprio in una Banlieu: nel centro spiegano come lavorare con loro. Uber ha dato una possibilità di lavoro a gente con poche possibilità, senza un titolo di studio, spesso immigrati.
I ragazzi delle Banlieu, ragazzi di colore che arrivano dall'Africa, oggi si possono mettere in contatto con persone di altri quartieri.
Anche questa è inclusione sociale (il servizio di Uber è quello di fascia alta).

A Nairobi si fanno corsi per informatica, per formare giovani ragazzi che poi andranno a lavorare per le grandi imprese.
La chiamano la Nairobi Valley: si combina tecnologia, università e investimenti privati.
Qui hanno realizzato Brck, un “mattone” per portare la connessione ovunque.


Roberto Marrucci racconta dei cinesi in Africa: industrie, scuole, alberghi, città. Che significa posti di lavoro e dunque meno migranti verso Lampedusa ..
In Etiopia una linea di metropolitana, una ferrovia, una autostrada.
In Tanzania una ferrovia che la collega con lo Zambia.
L'Italia aveva proposto di investire in questi paesi, per ridurre i flussi migratori: in questi anni tutti i paesi hanno investito in Africa, ma senza preoccuparsi di creare benefici anche per questi paesi.

Nel 2000 è nato il forum Africa e Cina: si vedeva l'Africa come una opportunità, per la Cina e per l'Africa. Dove ci sono le materie prime per produrre quei beni poi vendute ai paesi occidentali.
Si chiama metodo Angola, il metodo: l'Angola ha finanziato col suo petrolio le opere miliardarie realizzate dai cinesi in questo paese. Non è un aiuto e nemmeno un approccio coloniale.
La Cina non detta condizioni ai governi africani.

I cinesi vincono gli appalti per i progetti finanziati dal FMI, dai paesi arabi e dalla stessa unione europea.
Oggi le imprese cinesi sono le più competitive: anche l'arcidiocesi di Nairobi si affida ai cinesi per costruire la loro sede. Ad una società di un paese ateo...
Ai campus di Nairobi si parla cinese e con le borse di studio (cinesi) gli studenti africani possono studiare. E ci sono altri centri in Mali, Tanzania, Etiopia.

Il crollo del prezzo delle materie prime sta ora mettendo in crisi questo sistema: i paesi africani rischiano di non poter pagare i debiti. Ma qui si stanno spostando le aziende cinesi, sfruttando un costo del lavoro che qui è più basso.
L'Africa è il futuro della Cina: qui stanno investendo nei porti, nei trasporti, nell'energia elettrica.
Vedremo anche in Africa le mega autostrade che sono il vanto della Cina?
In Etiopia hanno creato una nuova area industriale, con tanto di riproduzione della Muraglia cinese. Un investimento tra i 400-500 ml di euro.

Se negli anni '70 si è limitati a gestire gli aspetti sociali, in Africa, o la governance dei paesi.
Ora la Cina ha cambiato punto di vista: ha realizzato nuove infrastrutture, che hanno portato aziende che hanno portato posti di lavoro.
E forse arriverà anche l'evoluzione sociale che un giorno spazzerà via i dittatori corrotti che hanno affossato il continente africano.


Sul crollo del ponte di Annone

Mi capita di percorrere quella strada, la statale 36, quelle volte che vado verso Lecco o, prima, verso uno dei paesi della Brianza lecchese.
Quel ponte, il numero 17 vicino ad Annone, l'ho attraversato tante volte: dover guardare in alto, per il timore che il ponte ti crolli in testa è un po' come attraversare un passaggio a livello e guardare a destra e sinistra nel timore che passi il treno.

Uno si fida, quando è in macchina. Dopo il crollo del cavalcavia sulla statale 36, venerdì scorso, mi sono letto diversi articoli sulla notizia, che ha avuto una eco importante non solo qui: perché sono tanti gli automobilisti che ci passavano sotto, perché su quella arteria ce ne sono altri di ponti (e anche nel resto della regione) in gestione all'Anas.
E perché il rimpalleggio di colpe tra Anas e provincia ha indignato (per usare un termine fair) non poco le persone.

Ho cercato di capirci qualcosa.
Il tir pesava 108 tonnellate e dunque era un trasporto eccezionale: la società di trasporto, come raccontato ieri sera dal TG3 regionale, aveva chiesto l'autorizzazione alla provincia di partenza (Bergamo) e non a quella di attraversamento (Lecco). Tutto regolare sulla carta, dunque.
Il cantoniere dell'Anas Tindaro Sauro, dopo una segnalazione di un automobilista alla polstrada (arrivata all'Anas alle 13.30) di calcinacci sul suolo stradale, si era recato sul posto, dopo circa 10 minuti.
Constatato il pericolo, aveva avvisato la centrale e anche una pattuglia della polstrada.
Era stata bloccata una corsia della superstrada, in direzione Lecco (la strozzatura ha rallentato il traffico, impedendo ai mezzi di circolare a velocità elevata ed evitando una tragedia peggiore).

Tra Anas e provincia è partita una serie di comunicazione verbali: da una parte Anas racconta di aver dato un ordine di bloccare il traffico sul cavalcavia con ordini formali.
Dall'altra parte la provincia di Lecco pretendeva una ordinanza formale dall'Anas per chiudere la strada sul cavalcavia.
Così il capocentro dell'Anas è dovuto uscire per una ricognizione, partendo da Milano, perdendo ore preziose, che è arrivato ad Annone pochi minuti dopo il crollo, alle 17.20.

Anas è responsabile della struttura del ponte e lo aveva già riparato due volte, nel 2006 e nel 2009, dopo che era stato lesionato dal passaggio di altri tir, troppo alti per la struttura e che erano andati a sbatterci addosso. La provincia è invece responsabile del manto stradale: l'Anas gestisce la parte strutturale, quella che ha ceduto venerdì pomeriggio.
In questo momento non risulta che fosse sotto osservazione né erano in corso dei lavori.

Ora la situazione è la seguente: c'è l'inchiesta della procura di Lecco e quella interna del Ministero dei trasporti. Stabiliranno eventuali colpe, se non si sono rispettate le procedure e le norme sulla sicurezza.
Ma ci sono alcune domande che rimangono: qual è lo stato di salute delle infrastrutture gestite dall'Anas in Lombardia e nel resto dell'Italia?
In questi anni Anas si è occupata più di grandi opere che non della manutenzione delle “piccole opere” nel territorio. 4 km della statale di cui stiamo parlando sono stati affidati alla Impregilo e dopo 10 anni non sono ancora finiti e costati 230 ml, il doppio di quanto era stato preventivato.

Quanto sono “sicuri” gli altri cavalcavia sulla stessa statale?
Il ruolo delle province: le province non esistono più eppure ancora esistono e possono decidere cosa circola sulle nostre strade (come la provinciale che passava sopra la statale 36). Eppure hanno molte meno risorse per gestire le strade (e anche le scuole) rispetto al passato.
E quando devono prendere delle decisioni, si rimettono nelle mani dell'Anas. Che, in questo caso, non ha saputo prendere una decisione in emergenza affidandosi alla sola valutazione del cantoniere.


Senza aspettare che quell'ultimo tirpassasse sul ponte.  

Le città connesse, i cinesi in Africa e il consigliere senza titoli


"Nel mondo quattro miliardi di persone vivono nelle grandi città. Nel mondo cinquantottomila miliardi di dollari è la ricchezza prodotta dalle grandi città. Nel mondo le capitali più avanzate dialogano tra loro. Stanno formando un nuovo continente e la partita passa in mano ai sindaci".
Questa sera due inchieste dal respiro mondiale: la prima riguarda il nuovo mondo creato dalle grandi città sempre più connesse tra di loro, tanto da formare un nuovo continente che passa sopra i confini degli stati nazionali.
Sono le grandi città nel mondo, da Milano a New York, che si scambiano idee, progetti, soldi, per generare nuovi flussi di ricchezza.
Nel servizio di Michele Buono si parlerà di New York che parla con Nairobi e di Milano, Torino e Genova potrebbero condividere le loro risorse: gli aeroporti, le stazioni collegate in un unico hub per i trasporti. 
Il tecnopolo degli umanoidi di Genova che lavora assieme al tecnopolo di Milano (che sorgerà sulle aree dell'Expo) per portare avanti il progetto di mappatura del genoma umano, nella lotta sui tumori.
Mettere a sistema le università, i centri di ricerca, per attrarre risorse e realizzare qui la nostra silicon valley.

Tutto questo a patto che il governo trovi veramente i soldi per il dopo Expo (per rimpinguare le casse) e che risolva tutti i dubbi emersi dalla comunità scientifica sull'affidamento del polo all'IIT di Cingolani (dubbi che sono stati raccontati in una recente puntata di Presa diretta).


La scheda del servizio: La nuova geografia di Michele Buono  (in collaborazione di Andrea De Marco e Filippo Proietti)
Nascono nuovi continenti ma non sono rappresentati sulle carte geografiche. Si tratta di confini virtuali e lo spazio è quello della rete globale delle città connesse. Un viaggio da Nairobi, attraverso Milano, Torino e Genova, passando per la Francia e la Germania verso New York per tracciare la mappatura di una nuova infrastruttura economica. La parte principale della ricchezza è prodotta negli spazi urbani che, grazie alle nuove tecnologie e alle politiche di inclusione sociale, superano confini, distanze e aggregano anche coloro che vivono nei posti più svantaggiati del globo. È una rivoluzione che passa sopra la testa della politica che ragiona ancora per trattati economici tra nazioni. Ora il gioco passa nelle mani di chi amministra gli enti locali. Si sta costruendo una sorta di arca virtuale, e chi non riuscirà a salire a bordo rimarrà tagliato fuori dalle grandi relazioni economiche. Solo gli amministratori più illuminati lo capiscono, si inseriscono nel flusso mettendo in piedi le infrastrutture adeguate, trovano le risorse e favoriscono la crescita, quella che serve a tutti.
L'anteprima su Reportime 


Cina compact, di Giuliano Marrucci

La via cinese al superamento della crisi mondiale e gli investimenti in paesi africani, dove stanno costruendo città, strade, ferrovie, porti: in una Europa dove si chiudono i ponti, si alzano le barriere, la Cina sta attuando la sua politica economica di investimenti (di stato) sia in Europa (hanno investito anche qui in Italia con l'ingresso nella Pirelli) che nel continente africano.
E tutto questo ha anche degli impatti sui flussi migratori da questi paesi verso la civile Europa: mentre qui si discute di migration compact e di "aiutiamoli a casa loro", la Cina si sta già muovendo in questo senso. 
Mentre l'Europa continua a dividersi sul migration compact e a tirare su i muri tra nazioni, chi investe davvero in Africa sono i cinesi: dai grandi contractor di proprietà dello stato, ai piccoli imprenditori privati. È un nuovo modello di cooperazione che decreta la fine del vecchio e superato modello delle ong. L'occidente li accusa di politiche neocoloniali, mentre loro costruiscono strade, ferrovie, porti, aree industriali e intere città. È parte della nuova via della seta, il megaprogetto lanciato tre anni fa dal presidente Xi Jinping, che vede nella costruzione di infrastrutture praticamente ovunque tra l'Europa e la Cina, la via cinese dell'uscita dalla crisi economica globale e un contributo concreto al contenimento dei flussi migratori che dall'Africa investono l'Italia.
Onore al merito: il consigliere di Giorgio Mottola
Dopo il venditore di scarpe diventato commissario dell'ente che si occupa di prestiti nel settore agricolo.
Dopo il dirigente alle poste che è anche fratello del ministro Alfano.
Dopo il rappresentante a Bruxelles del ministero della Salute, nel passato indagato per corruzione e poi prescritto.
Un altro caso di merito all'italiana.
L'avvocato che diventa consigliere Istituto Nazionale dei Tumori.
Si chiama Antonio Gentile, è figlio del senatore NCD Andrea Gentile, dello stesso partito del ministro (senza laurea) della sanità Lorenzin.
Non lamentiamoci poi se i nostri migliori cervelli se ne vanno all'estero..
E qui mi ricollego al primo servizio di Michele Buono: possiamo fare tutti i poli che vogliamo, tra Milano e Genova. Ma dobbiamo anche selezionare il merito, dei dirigenti delle strutture di ricerca. 
Due anni fa la notizia fece scalpore. Il direttore del quotidiano L'Ora della Calabria ricevette pesanti minacce dal suo editore quando provò a pubblicare la notizia delle indagini a carico di un giovane avvocato calabrese, finito nel mirino della Procura di Cosenza per una storia di consulenze false con l’Asl locale, Andrea Gentile, figlio di Antonio, parlamentare del Nuovo Centrodestra, all'epoca fresco di nomina a sottosegretario alle Infrastrutture. Pur di non far pubblicare la storia, vennero bloccate le rotative. Ma nel momento in cui il direttore del giornale denunciò tutto, scoppiarono polemiche così pesanti da costringere il sottosegretario Gentile a dimettersi.Trascorsi due anni, il padre, Antonio, è stato nominato sottosegretario allo Sviluppo Economico, il figlio Andrea è stato indicato dal ministro Beatrice Lorenzin come membro del Cda dell’Istituto Nazionale dei Tumori, il quinto centro a livello europeo. Abbiamo sottoposto il suo curriculum a due luminari dell'oncologia italiana per sapere se il figlio del sottosegretario ha competenze sufficienti per ricoprire questo incarico.

30 ottobre 2016

Ce lo ricordano le scosse

La basilica di Norcia (immagine presa da Repubblica)
Un altra scossa, in centro Italia, molto forte.
Altri crolli, che hanno che hanno colpito edifici e case risparmiate dalle scosse della settimanascorsa e dalla scossa del 24 agosto.
A Norcia è crollata la basilica di San Benedetto: una nube di fumo avvolge il paese, che pure è stato costruito secondo le norme antisismiche.
Non posso immaginare come possa vivere questa gente, costretta a dormire fuori dalle loro case, distrutte. In molti han perso tutto e la loro vita è l'unica cosa che rimane.

Gente costretta a convivere con l'incubo di altre scosse, a convivere con un mostro che giace a chilometri sotto le loro case e che ogni tanto di risveglia.
Un mostro con cui dobbiamo prendere coscienza.
Un mostro a cui colpevolmente abbiamo accresciuto le forze, per come si è costruito in queste zone antisismiche.
Ma tutto ciò finirà nel calderone delle polemiche: oggi no, silenzio, non è il momento..

Guardate le prime pagine dei giornali di oggi. Che notizie riportano: certo la scossa è avvenuta alle 7.40 di questa mattina, nella notte più lunga dell'anno.
Ma la scorsa settimana, giovedì, il terremoto c'è stato, ma è già finito nel dimenticatoio.
Come anche finito nel dimenticatoio il crollo del ponte ad Annone, sulla statale 36, qui vicino: una storiadi cattiva burocrazia, colpevole (c'è stato anche un morto), di colpe rimpallate tra enti dello stato.

Che oggi Repubblica sembra quasi voler presentare in chiave referendaria: si muore perché in Italia non si vuole decidere.  




In televisione (e i social chiaramente) sentirete parlare delle scosse, del dolore, delle mappe con le zone sismiche, gli annunci e i proclami di politici e governatori.
Sulla carta stampata c'è tutta la distanza col paese reale: la festa del PD raccontata, a seconda della convenienza, come un momento di festa o come uno spreco di soldi, con una piazza non proprio affollata.
Certo, è facile parlare dopo, specie se si è a distanza di km, al sicuro, sotto un tetto.

Ma questo vale anche per quelli che devono prendere le decisioni e decidere quali le priorità del paese.
Un paese a rischio, dove si lavora in emergenza, dove si fa fatica a stanziare soldi per evitare le tragedie. Ma i soldi per le grandi opere, spesso inutili e sicuramente portatrici di fenomeno corruttivi (a quando la cancellazione della legge obiettivo?).
E ogni volta serve una scossa per ricordarcelo.

28 ottobre 2016

Guai a cambiare lo storytelling su Expo - Gianni Barbacetto

L'articolo di Gianni Barbacetto su mafia ed Expo: 
NORDISTI - Expo e mafia, guai a cambiare lo “storytelling” di Gianni Barbacetto 
C’è voluta un’inchiesta della Procura di Reggio Calabria per rivelare, un anno dopo la fine dell’esposizione universale, che la ’ndrangheta aveva messo le mani su Expo. Le imprese legate alle cosche calabresi Aquino-Coluccio di Gioiosa Jonica e Piromalli-Bellocco di Rosarno si erano aggiudicate importanti subappalti per Palazzo Italia, le vie d’acqua, i cluster, la “piastra”, i padiglioni di Cina ed Ecuador. Nel luglio scorso, un’altra indagine aveva fatto emergere la presenza di Cosa nostra: il consorzio Dominus, che aveva allestito in subappalto stand e grandi padiglioni stranieri, faceva riferimento a siciliani che portavano i soldi in Sicilia, ai boss di Pietraperzia, in provincia di Enna. Il cocktail Expo: qualche parte di ’ndrangheta e una parte di Cosa nostra. Aspettiamo la spruzzata di Camorra e poi le principali organizzazioni mafiose ci sono tutte. 
Eppure nessuno s’indigna. Ormai l’esposizione universale è stata archiviata come “grande successo”. Lo storytelling di Expo è una narrazione fatta di folle oceaniche, code al padiglione del Giappone, occhi incantati delle luci dell’Albero della vita, aumento dell’occupazione e del pil, milioni di euro attesi nei prossimi anni come ricadute positive dell’evento (addirittura 31,6 miliardi d’indotto nei prossimi 15 anni, con 240 mila occupati).
Nessun giornale – a parte il Fatto quotidiano – ricorda i duri fatti. I 21 milioni di biglietti venduti ai grossisti non sono stati tutti effettivamente incassati, i visitatori veri non sono stati più di 15-18 milioni, i conti reali sono disastrosi (2,2 miliardi di soldi pubblici spesi, con incassi non superiori ai 700 milioni), la disoccupazione non è diminuita, il pil italiano è cresciuto a malapena di uno zero virgola, le cifre dell’impatto economico futuro sono promesse da cartomante redatte su commissione. E quell’area enorme (e costosissima) su cui è stata montata la grande fiera non ha ancora, al di là di mirabolanti human-tecno-promesse, un destino certo.
Quel che è sicuro, scritto nero su bianco nelle carte delle indagini giudiziarie, è che le mafie a Expo hanno banchettato. “Non hai capito, noi bruciamo tutto!”, dicevano intercettati gli uomini delle cosche. Ci avevano detto, con grande vanto, che l’esposizione universale è stata un modello anche per quanto riguarda la sicurezza e i controlli antimafia. Ora le inchieste giudiziarie smontano miseramente questa pretesa: né i controlli né la retorica sono riusciti a fermare le aziende collegate alle famiglie calabresi e siciliane.
 
Come sappiamo, lo storytelling radioso di Expo ha avuto anche un effetto politico: sulla base del (presunto) successo dell’esposizione, il manager che l’ha gestita è stato candidato sindaco di Milano e ha vinto le elezioni. Oggi i giornali si guardano bene dal fare i conti finali e relegano le notizie sulla mafia in Expo nelle pagine locali. Altrimenti sarebbero costretti a rivedere i giudizi entusiasti sull’evento, ma soprattutto su Giuseppe Sala, diventato nel frattempo sindaco di Milano.
Un manager che non si è accorto di quello che succedeva attorno a lui non ha naturalmente responsabilità penali, fino a prova contraria. Ma un manager che non ha visto che, non solo la “cupola” della corruzione, ma anche le mafie si erano impossessate dell’esposizione non è certo da premiare. La sua vantata immagine di custode della legalità dell’operazione esce a pezzi. Eppure i giornaloni tutti zitti: non possono smentire la narrazione che hanno contribuito a creare.

Le mafie in Brianza - l'incontro col magistrato Walter Mapelli


Ieri sera ad Inverigo si è svolto l'ultimo incontro pubblico sul tema della legalità e della lotta alle mafie: ospite della serata era il magistrato Walter Mapelli (procuratore capo a Bergamo) che, assieme al giornalista Duccio Facchini ha parlato della presenza delle mafie in Brianza.



Presenza e non più infiltrazione: le inchieste del passato, fino all'ultima sui lavori di Expo raccontano di come nel territorio lombardo e, nello specifico qui in Brianza, siano presenti le ndrine, come nel sud, le strutture territoriali della ndrangheta che qui al nord persegue gli stessi obiettivi che ha al sud.
Portare avanti le attività criminali, nei settori a bassa competitività e ad alta manovalanza (logistica, guardiania, movimento terra, le costruzioni). Occupare e controllare il territorio.
In questi anni è cambiato anche l'atteggiamento della ndrangheta nei confronti della società e delle istituzioni: il procuratore Mapelli ha ricordato come negli anni '90 il boss Iamonte, al confino a Desio, si limitasse a portare il suo pacchetto di voti al politico locale, lumbard, nel classico rapporto clientelare.
L'inchiesta Infinito che nel 2010 è stato il punto di svolta, sono stati arrestati i suoi nipoti, che erano consiglieri comunali: dopo quasi vent'anni la famigila era rimasta ndranghetista e le sue persone si erano inserite nelle istituzioni.

E che ruolo ha avuto la politica?
Tangentopoli, la crisi dei partiti, ha reso la politica qui al nord più fluida, meno attenta alle mafie: in assenza di anticorpi (e di politici di statura) i nostri rappresentanti hanno fatto finta di non vedere, si sono trincerati dietro "finché una sentenza passata in giudicato non confermerà che tizio è mafioso io continuo a frequentarlo".
A prendere il pacchetto di voti che questa persona porta al partito.
Nascondendosi dietro le sentenze della magistratura ha di fatto delegato ad essa la selezione delle persone dentro le istituzioni.

Così le ndrine hanno messo le mani sui lavori pubblici (che sono il loro vero obiettivo), per strade, viadotti, ospedali.
E dentro i padiglioni di Expo, come sembrerebbe dalle ultime inchieste: tutto ciò nonostante l'Anac e nonostante i sette livelli di controllo.
Che però si applicavano solo alle infrastrutture principali, non ai padiglioni o alle opere "minori": nessuna gara pubblica, nessuna trasparenza.
C'è stata miopia o forse peggio e questo buco nei controlli ha contribuito anche la fretta con cui sono stati fatti i lavori nell'ultimo anno, dopo che si sono persi 4 anni solo per decidere la governance.

Da dove arriva l'appeal delle imprese ndranghetiste?
Sono aziende dove non si pagano contributi, dove si lavora a nero, dove non si rispettano tutte le norme di sicurezza e che dunque possono puntare su prezzi più bassi per le opere (tanto si rifaranno coi sovraprezzi e le modifiche in corso d'opera).
C'è una convergenza di interessi, tra la ndrangheta e chi vince l'appalto e piazza il subappalto a chi offre un prezzo migliore senza farsi troppe domande.
Niente controlli, niente problemi: basta che sulle carte, sulle certificazioni antimafia (o sulle autocertificazioni) sia tutto a posto.

Così le costruzioni sono fatte con poco cemento, i viadotti crollano, i soffitti cadono a pezzi. I costi delle opere salgono.
Serve che le associazioni di categoria facciano il loro lavoro, aggiungeva Mapelli.
Ma per le imprese criminali muoversi in Italia è facile: siamo il paese dell'illegalità diffusa (i reati non li commettono solo gli ndranghetisti) e in Italia ci sono troppe leggi a contrasto della corruzione. 
"Quanti tipi di reato ci sono in Italia? Sinceramente non lo so ..".
Lo strumento di prevenzione più importante è il sequestro dei beni: beni che non devono necessariamente diventare un fine. Il magistrato si è detto contrario al principio per cui i beni sequestrati non possano essere venduti a privato.
Non c'è sempre convenienza ad usarli a fini pubblici: faceva l'esempio di un negozio in centro a Bergamo, sequestrato e in possesso dall'agenzia dei beni. Il costo per riconvertirlo a magazzino per la Procura era così alto, che si è deciso di non affittarlo. 

Si deve rendere profittevole rispettare le regole - questa è la strada per contrastare le mafie nei loro affari e la corruzione in generale: premiare le imprese che rispettano le regole negli appalti e penalizzare le altre, quelle che si sono fatte coinvolgere in inchieste di mafia, che si sono lasciate avvicinare da queste organizzazioni criminali.
Mapelli si è dimostrato scettico nei confronti dello strumento delle certificazioni antimafia e anche dei "provocatori", per scoprire i casi di corruzione: la legge italiana è così complessa per le sue figure di reato che si rischierebbe di fare troppa confusione.
L'Anac di Cantone dovrebbe concentrarsi sul suo compito e non dovrebbe normare tutto lo scibile (per esempio di come gestisce i suoi soldi l'ordine dei farmacisti).
Come giudica l'azione di questo governo? In chiaroscuro, ha risposto.
Ci sono azioni positive (e ha citato l'autoriciclaggio), ci sono anche azioni dubbie, come la soglia del contante innalzata.

Questo governo, come la politica italiana in generale, soffre del respiro corto: pensa all'oggi, a come mantenere il posto nel governo, piuttosto che occuparsi del domani e portare avanti politiche che scontentino qualcuno.
Si insegue l'emergenza giorno dopo giorno: oggi il terremoto, domani altro.

A fine serata, dopo aver risposto anche a domande del pubblico, si è lanciato in una sua dissertazione sul diritto di voto attivo e passivo.
O si diversifica il peso di un voto, in base a quanto uno è veramente "cittadino" attivo oppure si mettono dei vincoli su chi fa politica: perché non tutti possson fare politica, dovrebbe farla solo chi è veramente capace di risolvere i problemi.
Serve preparazione, esperienza, delle qualifiche vere: oggi viviamo un disallineamento tra la complessità dei problemi e la superficialità della classe politica che tende solo a campare di consenso.

Walter Mapelli, assieme al giornalista Gianni Santucci, ha scritto il libro "La democrazia dei corrotti", lettura consigliata sul come è cambiata la corruzione in questi anni e di come gli strumenti legislativi siano insufficienti.

27 ottobre 2016

Gli sponsor della guerra (e la memoria breve di alcuni giornalisti)

"Colin Powell tifa Clinton" titola Il giornale, in un articolo che occupa la testa della home page.

"Sponsor della guerra in Iraq, ora vuole Hillary presidente": non sfugge nulla al giornalista.
Eccetto il fatto che anche l'allora presidente del Consiglio, nonché proprietario del quotidiano, fosse favorevole alla guerra .
E che parte delle prove false, per rafforzare la tesi delle armi di distrazioni di massa gliele ha fornite proprio il Sismi di Pollari.

Lo aveva raccontato Giuseppe D'Avanzo su Repubblica nel 2005, poi ripubblicati nel libro "Inchiesta sul potere"
Il Nigergate 24 ottobre 2005 Così il Sismi consegnò alla Cia il falso dossier sull'uranio 24 ottobre 2005 “Pollari andò alla Casa Bianca per offrire la sua verità sull'Iraq” 26 ottobre 2005 Nigergate, i silenzi italiani che permisero il Grande Inganno 
Il Nigergate: la “smoking gun” che ha permesso l'inizio della guerra in Iraq è in realtà una bufala. Organizzata dentro quel sottobosco nei nostri servizi segreti militari (l'ex Sismi), di cui il direttore Pollari nulla ha visto e nulla sapeva. Falso l'acquisto di yellowcake dal Niger, falsa la notizia sui tubi scambiati per pezzi delle centrifughe per produrre uranio. Anche questo lo ha rivelato, al solito modo fornendo date, nomi, luoghi in modo dettagliato e preciso, D'Avanzo. Come ha anche messo nero su bianco la volontà del nostro esecutivo nel volersi mettere in mostra nei confronti dell'alleato americano, che cercava ostinatamente un pretesto per attaccare Saddam. Link: sourcewatch “La repubblica expose”
Non tutti i candidati sono uguali e nemmeno i giornalisti (specie quelli con la memoria breve).

Sotto le macerie


Gli hanno pure inventato un nome di battesimo, alla vicenda dei frigoriferi abbandonati lungo le strade di Roma.
Frigogate, un nome che ricorda l'inchiesta del Post per lo scandalo Watergate.
Era su tutte le prime pagine dei giornali, con tanto di sberleffi alla sindaca romana e alle sue tesi complottistiche (che in verità avevano spiegazioni più chiare). 
Mentre la magistratura arrestava e indagava manager e costruttori e anche figli di come Monorchio jr e Lunardi jr. 
Quest'ultimo figlio del ministro che diceva che con la mafia bisognava convivere.
E anche con la ndrangheta che, nelle intercettazioni da prendere con le pinze, si vantava di aver realizzato il 70% delle opere di Expo.

L'expo dei miracoli ha fatto fare cassa alle ndrine, soldi pubblici. E lo scopriamo (su alcuni giornali, dopo le notizie sui frigoriferi e sulle barricate di Goro, sull'ultimatum alla UE del governo italiano..). E non è solo Expo la grande opera finita sotto inchiesta: è in buona compagnia assieme al terzo valico e all'autostrada Salerno RC.
Tutte grandi opere strategiche, così dicono, necessarie, frutto della legge obiettivo, la legge "criminogena" (così la definì il procuratore Cantone, all'Anac) che avremmo dovuto riformare dopo l'inchiesta che ha fatto saltare Lupi dalla cadrega di ministro.

Soldi pubblici che spariscono nelle tasche di direttori di lavori, tecnici e imprenditori.
E soldi pubblici che poi mancano per la messa in sicurezza del paese. In un paese a rischio come il nostro.
Nella triste giornata di ieri abbiamo avuto la sintesi di tutti i mali di questo paese: l'informazione disattenta, la politica dei tagli dei nastri e delle opere monstre e la cattiva imprenditoria famelica. 
Da una parte quelli che ridono a macerie ancora fumanti, pensando ai facili guadagni.
Dall'altra quelli che piangono davanti quelle macerie.

PS: consiglio la lettura del breve articolo di Marco Lillo ("Ma coda deve fare la ndrangheta ..")

26 ottobre 2016

Se uno vuol vedere l'odio

L'articolo di Mario Lavia sull'incontro avvenuto ieri al Pigneto, sul referendum:


2. Il Pigneto non è tutta Roma, ma è certamente emblematica di un modo di essere dei romani. Che da scettici sono diventati sospettosi – anzi: certi – che qualcuno “in alto” li stia fregando. Il grillismo si incista con un certo modo di pensare di questa città. Ne diventa la proiezione politica, si imbeve di senso comune. Altre volte i romani hanno messo il loro grande cuore al servizio di cause che si sono rivelate sbagliate o illusorie ma è anche vero che hanno avuto tante, troppe delusioni. Dalla sinistra storica, certamente. E hanno votato Virginia Raggi perché hanno pensato che tutti gli altri fossero – come si dice – una sòla. Una fregatura. E a Roma probabilmente il No vincerà: nulla di male, se non fosse che è un No drogato da un “umor nero”, da una voglia invincibile di buttare tutto per aria. Nichilismo, appunto. 
3. Però ieri sera c’erano tante persone che si danno da fare per migliorare la vita del quartiere, per sistemare nel migliore di modi questo cinema che cadeva a pezzi ed era stato pure sequestrato per mafia. Tutta gente che si conosceva, che sbarca una vita che desidererebbe più degna. A queste persone la sinistra – da anni, diciamo dalla fine del Pci – ha detto poco o nulla, questa è la verità. Sono mondi che non parlano la stessa lingua, anche se magari se ti esponi alle critiche alla fine poi ti danno una pacca sulla spalla e ti offrono la birretta. E’ difficilissimo, ma la sinistra, il Pd, non può rinunciare a parlarci, almeno con coloro che hanno voglia di ascoltare.4. Il Fatto è il loro giornale di riferimento, come una volta potevano essere Il Manifesto o Lotta continua. Silvia Truzzi è stata molto gentile e competente. Marco Travaglio è stato dialetticamente bravissimo (per me, è il più bravo del No, meglio dei professionisti della politica alla D’Alema), anche quando infila forzature e battutine nei suoi discorsi. Sono stati molto applauditi da un pubblico che voterà No soprattutto in odio a Renzi. Gli ho detto che vincerà il No, pazienza, ci terremo Senato e Province, non cadrà il mondo. E’ evidente che non saprebbero cosa fare, se vincessero. Ma non si pongono granché il problema.
Primo, il PD a Roma ha fatto poco per le periferie e molto di più per le coop poi coinvolte in mafia capitale.
Volutamente o meno lo stabilirà il processo.

Secondo: se non vince il Sì, il Senato rimane come ora e così pure le province, che rimangono tali anche se dovesse vincere il sì. questo per chiarezza.
E aggiungo anche che Travaglio, come Zagrebelsky e altri costituzionalisti, un'idea di cosa fare dopo ce l'hanno eccome: come riformare la Costituzione, su quali aspetti. Basterebbe ascoltarli e non ripetere solo e soltanto "sanno solo odiare".

Tanto per essere chiari: se vince il si ci sono tanti aspetti delle istituzioni poco chiari. Come voteremo alla Camera? Non si sa ancora.
Come saranno nominati i nuovi senatori? Non lo sappiamo.
L'iter di approvazione delle leggi sarà più veloce (anche ammettendo che questo sia il problema dei problemi, e le retate di questa mattina sulle grandi opere dicono il contrario)? Non è detto.

Infine: dare del nichilista a chi vuole votare "no" alla riforma è secondo me un insulto. In molti voteranno no contro la politica di Renzi, come anche i si voteranno in questa maniera sulla fiducia.
Se passa il no, la Costituzione rimane come ora, come anche Senato e Camera.
Di quale nichilismo parlate? 

Una sera con Daniele




"L'idea di essere pagati a consegna [a cottimo] spinge ad andare più veloce, a prendere più rischi".

Così parla Daniele, rider di Foodora a Torino: sembra di essere tornati ai tempi di Lulù, il protagonista di La classe operaia va in paradiso.
“Un pezzo, un culo, un pezzo, un culo” ...

Daniele in 4 ore ha fatto 10 consegne percorrendo 35 km.
Con la sua bici e il suo smartphone (ma dopo le proteste l'azienda ha stipulato una convenzione con un'azienda che ripara le bici, che consente uno sconto del 50%).
Ha una laurea in storia e, almeno fino a novembre, questo lavoro che, dopo il servizio, difficilmente gli verrà rinnovato.

Il film di Elio Petri finiva Lulù che lavora ad una catena di montaggio rumorosa, intento a raccontare ai compagni di un sogno in cui tutti gli operai sfondavano un muro ed entravano in paradiso.
chissà cosa sogna la sera uno come Daniele.

Anni fa il libro di Michela Murgia "Il mondo deve sapere" aveva scoperchiato il mondo dei call center, i soprusi, le piccole storie di schiavitù.
E oggi, che sappiamo di nuovi schiavi a cottimo nel mondo dei call center, nelle consegne, perfino nel mondo del giornalismo, non abbiamo nemmeno più alibi.
Stiamo allevando una generazione di schiavi, senza nemmeno una fabbrica, senza il miraggio del progresso, del futuro.

Invasione

I recenti arresti da parte della Guardia di Finanza nei confronti di esponenti di famiglie ndranghetiste raccontano una verità, per molti scomoda, ma ormai assodata: la ndrangheta è entrata dentro gli appalti di Expo, nonostante i Cantone e la stratta vigilanza lumbard.
Questa mattina è in corso un altro blitz in Lazio, Lombardia, Piemonte, Liguria, Toscana, Abruzzo, Umbria e Calabria, per l'ipotesi di corruzione negli appalti sulle grandi opere "della tratta Tav Milano-Genova-Terzo Valico Ferroviario dei Giovi” (Alta Velocità Milano-Genova) ; del 6° macrolotto dell’Autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria e del 'People Mover' di Pisa".

E' finita la moratoria per la pax giudiziaria durante i mesi di Expo, consentendo di lasciare candida l'immagine dell'esposizione milanese, il grande successo per l'immagine del paese.
Già ai tempi dell'inchiesta sulla Perego strade (inchiesta Infinito, del 2010) si era capito che l'obiettivo delle famiglie era entrare nel grande banchetto di Expo, sia per un discorso di soldi che per una questione di prestigio: si sapeva eppure i regolamenti laschi su appalti e subappalti e il dover lavorare in "emergenza", per fare in fretta, hanno portato a questo.

Si sapeva che ogni padiglione faceva storia a sè, essendo territorio extraterritoriale e non potendo applicarsi il protocollo antimafia (firmato da solo 6 paesi).
Il procuratore Gratteri nei giorni scorsi aveva commentato le inchieste esternando tutti i suoi timori:

"Quando ero procuratore aggiunto a Reggio Calabria avevo detto che la 'ndrangheta sarebbe arrivata all'Expo 2015 perché per la 'ndrangheta è un fatto di prestigio essere presente in queste grandi opere": così Nicola Gratteri, procuratore di Catanzaro, a Melog su Radio 24 commentando la questione delle infiltrazioni della 'ndrangheta a Expo.
"Non è un fatto solo di guadagno - ha spiegato - perché la 'ndrangheta è stata presente nella Tav, è stata presente nell'alta velocità, è stata presente nella questione Autostrada del Sole, è sempre presente, nel terremoto de L'Aquila". E "noi proprio come procura di Reggio Calabria abbiamo inviato gli atti a Milano, abbiamo inviato le intercettazioni telefoniche dalle quali emergeva proprio che queste organizzazioni della 'ndrangheta stavano effettuando dei lavori soprattutto nella parte principale dell'Expo".
"Sostanzialmente loro lavoravano sotto soglia, sotto i 600mila euro e quindi sotto quella soglia non c'era il controllo o il controllo era blando", ha proseguito Nicola Gratteri spiegando come la 'ndrangheta sia riuscita a inserirsi nelle opere di Expo, nonostante fossero controllate.."
Ecco, non mi vengono in mente barricate di paesani contro l'invasione dei signori della ndrangheta, come successo ieri a Goro.
nemmeno andando indietro nel tempo, quando si vedeva la Perego strade finita in mano di questi signori che parlavano in dialetto.
E nemmeno ai tempi in cui a Seveso la ndrangheta apriva la sua banca per gli imprenditori in difficoltà.
Nemmeno la Lega, ai tempi e oggi, ha mai fatto barricate contro le infiltrazioni delle mafie sulle grandi opere.

Certo, l'invasione di 20 persone venute dal terzo mondo, donne e bambini scappati da Boko Haram in Nigeria e dagli stupri dei trafficanti libici fa più paura.
L'italia agli italiani.
Basta invasione.
No alla colonizzazione.

No alle mafie? 

25 ottobre 2016

I piccoli fuochi, di Ben Pastor



«S'incontrano strani tipi d'eccezione sui treni e sulle stazioni» 
Paris Mediterranée, canzone del 1938

Il Prologo
Caro amico, come lei sa, ho perso la vista ventidue anni or sono, verso la fine della guerra. 
Di fatto, quell'evento ha diviso la mia esistenza in due parti distinte: quella del mondo visibile, durata poco più di quarant'anni, e la presente, che sembra già così lunga e definisco «l'ergastolo della privazione», o mondo invisibile ...

Non c'è la guerra nei libri di Ben Pastor con protagonista l'ufficiale investigatore Martin Bora. Non c'è la guerra, appena passata lasciando dietro di sé lutti e distruzioni da una parte, la gloria e le medaglie per i vincitori. Tra questi, anche un giovane ufficiale della cavalleria, con un incarico presso i servizi segreti dell'esercito, l'Abwher: studi filosofici alle spalle, un padre naturale maestro di musica e un patrigno generale dell'esercito. Nato e cresciuto a Lipsia, ma con origini scozzesi per parte di madre. La Germania dei von Bora, famiglia dedita alla stampa di libri, la Scozia e anche l'Italia dove un giovane Martin ha trascorso piacevoli estate da adolescente.
Prima di intraprendere, in modo convinto, la carriera militare. C'è tutta l'Europa nelle vene di Martin Bora, tutta la tragedia della seconda Guerra mondiale e dell'Europa, nelle storie in cui si trova coinvolto.
La finta diplomazia negli anni '30 tra le potenze mondiali, con l'ipocrita negazione delle velleità militari del Reich tedesco.
La guerra di Spagna, in cui venne soffocata la rivolta popolare contro l'esercito di Franco (e dove Bora si trova ad indagare nella morte del poeta Garcia Lorca).
Il blietzkrieg in Polonia nel 1939, quando a seguito delle truppe di occupazione si trova testimone dei massacri contro i civili da parte delle SS e dei soldati della Wermacht. E dell'altro massacro, ancora più imbarazzante, della polizia politica russa contro gli ufficiali polacchi massacrati a Katin.
A Cracovia, per seguire il caso dell'omicidio della badessa di un convento di suore.

Non c'è la guerra, non leggeremo mai di trincee e di linea del fuoco nelle sue storie: in anni di delitti di massa, Martin Bora si trova ad indagare su singoli omicidi, frutto delle debolezze dell'uomo, delle sue malsane passioni. E attraverso questi racconti saremo anche noi testimoni della guerra, vista dalla parte dei civili, del fronte interno, degli occupati.
Sarà lo stesso a Verona ("Luna Bugiarda"), nel 1943 e poi a Roma ("Kaputt mundi") nel 1944, nel lungo inverno prima della liberazione della città eterna da parte delle truppe americane.
Sempre con la profezia di Remedios, la strega, “Brujos”, conosciuta in Spagna nel 1937. “Quando mi si mostrerà di nuovo, sarà perché dovrò morire”....
Stadt ohne Gesicht. 
«La città che non ti guarda». (Definizione tedesca di città occupata)
Parigi, giovedì 24 ottobre 1940
 
Non c'era nessuno ad aspettarlo alla stazione. Non che Bora prevedesse un benvenuto, era perfettamente capace di raggiungere da solo il quartier generale dell'Abwher su boulevard Raspail.A seconda che trovasse o meno un taxi, se ne sarebbe servito o avrebbe preso la quarta linea della metro verso la Rive Gauche. L'aria presso i binari aveva l'odore di una città del nord (metallo, cemento, carburante), come Berlino, ma a Berlino arrivava di tanto in tanto anche il tanfo di intonaco bagnato e travi bruciate, dalle rovine del bombardamento di domenica notte.A Berlino era più freddo, si dice aspettando che scaricassero il baule militare.

In questo romanzo ci troviamo a Parigi nell'ottobre del 1940, pochi mesi dopo la conquista della Francia e a 11 mesi dai fatti di Cracovia (piccolo suggerimento: se avete la possibilità, leggetevi prima Lumen, sempre edito da Sellerio): Bora riceve l'incarico di mettersi sulle tracce dello scrittore nonché capitano dell'esercito Ernst Jünger, Der Krieger, un eroe dell'esercito che però non ha seguito il suo reggimento ma si è spostato in Francia, forse a Parigi. Un eroe, lo scrittore che pure Bora ha letto, ma un eroe in cattivi rapporti col regime che pure la Gestapo (la polizia politica delle SS) tiene d'occhio.
Contemporaneamente, riceve una seconda busta dall'Abwher, questa volta direttamente da parte dell'ammiraglio Canaris. Un contatto, un nome, un indirizzo a cui rivolgersi o da cui prendere informazioni.
Un incarico ufficiale e uno nascosto, che è legato probabilmente alle scoperte che aveva fatto in Polonia, sulle esecuzioni di massa da parte dell'esercito tedesco, poi riferite al comandante Blaskowitz.
Come il massacro di Katin:
- Sono state impiegate pistole tedesche, modello Walther P38. Perché? ho chiesto a Zadawski. Ha detto di non saperlo, ma io conosco la risposta.Blaskowitz lo prevenne. - Perché le Tokarev sovietiche non sono affidabili se usate ripetutamente.
- Sì. Oppure per farlo sembrare un eccidio compiuto da noi.L'unica reazione del generale al racconto di Bora fu: - Ho bisogno d'aria. La prego, capitano, apra la finestra.

Ma Bora è costretto nuovamente a muoversi, per colpa di quello che viene chiamato “il brutto incidente di Landerneau”: con queste parole ipocrite viene chiamato l'omicidio della moglie del commodoro Arno Hansen Jacobi (amico di Canaris), nella regione della Bretagna. Per conto dell'Abwher, Bora deve recarsi sul posto e indagare discretamente.

Seguire un'indagine, avvicinando un pezzo grosso della Marina, in una regione occupata, non è facile. La donna è stata trovata morta in una vasca, usata per la lavorazione del lino, ma probabilmente è stata uccisa altrove, forse a Brest, dove ha sede il comando del commodoro.
Bora deve appoggiarsi a dei contatti locali, filo tedeschi, come il prete sospeso Gildas Hervé, come filo tedeschi sono anche i gruppi dell'indipendentismo bretone, che pure l'esercito tedesco ha aiutato.
Alla complicazione dell'inchiesta, si deve aggiungere l'ulteriore difficoltà del muoversi sentendosi spiato dalle SS, che non hanno dimenticato il suo atteggiamento in Polonia, le sue denunce.
Tanti sono i perché senza risposta dietro l'omicidio: perché quello spostamento del cadavere, perché Maria Jacobi aveva iniziato a frequentare la chiesa e perché voleva fare tutte quelle donazioni. Perché quei 50000 marchi, prelevati dal suo conto, che portava addosso e che qualcuno (un ladro? L'assassino?) ha preso.

In questa storia dove tutti spiano tutti, Bora arriva a scoprire che tutti sono in qualche modo legati. L'amante del commodoro (la Mome, una delle “donne liquide ti attirano come in pozzi profondi, anche se fai di tutto per non esserne attratto”) era un'informatrice delle SS.
Ci sono gli strani traffici dei tedeschi e quelli dei nazionalisti bretoni.
Un'ingente somma di denaro, prelevata dalla morta che aveva fatto infuriare marito e figlio.
Forse un ricatto ai danni della donna o del figlio....
Il monsignore, preoccupato per le reazioni del commodoro, ha rifiutato l'ultimo dono di diamanti. Forse ha chiesto una donazione scritta che la Jacobi non voleva firmare. Può essere uscita di Chiesa delusa e offesa dal rifiuto, tanto distratta da diventare facile preda. Indossava gli orecchini, o li aveva messi via, come a volte si fa nei quartieri pericolosi? Ma allora, perché la borsetta è sparita col suo contenuto meno prezioso, mentre gli orecchini giacevano in strada? Non ha senso.

Sarà proprio il capitano Jünger ad aiutarlo nell'inchiesta, anche seguendo schemi poco ortodossi, scoprendo anche di avere un legame e un'affinità con l'eroe di guerra, per lo spirito indipendente e nell'insofferenza alle imposizioni dall'alto.
Ma a Landerneau, ospite della casa dell'ex prete, Bora si trova in “Finis terrae”: lontano dai rumori della guerra, in mezzo a luoghi dal forte valore simbolico, che legano assieme paganesimo e religione cristiana.
- Prenda Kerne, là dentro: san Kerne. Dà il nome a molte chiese bretoni, eppure è uno dei vecchi dei pagani, con tanto di pietre erette in suo onore, davanti alle quali non si devono «accendere fuochi», come ammonisce la dottrina. È reale come Barbablù o Merlino, o le streghe della foresta di Huelgoat, non lontano da qui. Ha il piede caprino e le cosce villose, e benché piaccia al Santo Padre di mettergli la tonaca e dichiararlo Santo, è Kerne-Cernunnos , o Pan, con le corna sulla fronte.

L'inchiesta, la stessa guerra, i “piccoli fuochi” dell'indipendentismo, qui prendono una pausa. Scopriamo, pagina dopo pagina, come questo soggiorno lontano dal mondo (Berlino, Parigi, Cracovia), lo stia rendendo più consapevole della sua volontà, del suo carattere, forgiato per la guerra ma cresciuto anche sugli studi di filosofia, di musica, di storia.
- Al mondo gli uomini non si dividono fra santi e peccatori. Ci sono quelli che hanno bisogno di compagnia e quelli che devono astrarsi. Questi si riconoscono dal modo con cui si trattengono.

Un uomo che si trattiene, per la sua educazione e per il suo lavoro dentro i servizi: così lo definisce il suo ospite, Gildas Hervé.
Bora annota nel suo diario:
Il buio cancellava la geografia tutt'intorno, vicino e lontano. Berlino non esisteva più di quanto non esistessero Parigi, o Brest, o Landerneau. O Sizun. Non c'era più la fattoria di Jünger, né i menhir, né i calvari ai crocicchi. Ogni curva e ogni bassura allagata nutrivano la sua bramosia di lasciarsi andare, di abbandonare tutto. Era a Finis terrae, in un lembo estremo di mondo, che Martin Bora veniva a nascondersi.Nella casa, per quanto ne sapeva, lo aspettavano il disertore di Mont-Valerien, o Tampico, che prima di morire aveva mangiato tutti i dolci che desiderava, o la coppia di ladri abbattuti per strada. O il padre di Drez, che era morto in prigione, o Friedrich von Bora con la sua mancanza di praticità e le sue innumerevoli amanti, responsabile di aver perso lo spartito che recitava Quel che Dio fa, è ben fatto. Forse non sarebbe mancata neppure neppure Maria Jacobi. E oltre la casa non ci sarebbe stato l'ondulato bocage fino ai Monts d'Arrée, ma il nero grumo d'abeti della foresta di katin.

Ci sono i rumori della notte che gli fanno compagnia. I piccoli fuochi delle anime dei morti che sembrano popolare la notte nella casa a “Les Trépassés”.
Spettri come il disertore che lui stesso ha giustiziato a Parigi, un'ombra che gli si è appiccicata addosso.
O come le vittime delle brutali violenze delle SS e dei commilitoni, che mettono in difficoltà la sua coscienza di uomo e di soldato (che ha giurato nelle mani di Hitler).
Come fare a rispettare dovere e etica, in un mondo dove l'etica e la pietà sembrano calpestate, dissolte, infangate?

Piccola nota a margine de “I piccoli fuochi” : rispetto ad altri romanzi di Ben Pastor l'ho trovato più “appesantito” nel suo scorrere e non solo per l'alternarsi tra il Bora investigatore del crimine e il Bora investigatore della sua anima. Ed è un peccato perché questo tende ad allontanare nuovi lettori dallo scoprire questa brava scrittrice e il suo personaggio seriale così avvincente, le contraddizioni, il rigore etico, la sua inflessibilità. E la sua passione, come un fuoco pronto a riaccendersi sotto la brace:
"Se devo ardere, che io arda in fretta. Qualunque sia il fuoco".

La scheda del libro sul sito di Sellerio.

La scheda del libro sul sito di Ibs e Amazon