24 febbraio 2017

Mani pulite 25 anni dopo

L'archiviazione delle accuse (da parte del Gip) contro l'ex presidente del cons. regionale Graziano.
Le inchieste della procura di Napoli che toccano un ministro e il padre dell'ex presidente Renzi.
Il doppiopesismo col quale si (pre)giudica la giunta romana da altre, come quella milanese.
L'uso del garantismo da una parte, e delle insinuazioni (su comportamenti non penali) dall'altra. 
25 anni dopo Mani pulite non hanno insegnato nulla, se ogni inchiesta che tocca un politico diventa un pretesto per una speculazione politica che segue lo stesso copione: da una parte quelli che si difendono dietro la presunzione di innocenza, quelli che "facciamo lavorare i magistrati" e dall'altra quelli per cui un avviso di garanzia, un indagine è già una condanna.
Dimenticandosi che esistono indagini e indagini.
Che l'essere assolti in via penale significa poco, perché esistono comportamenti non penalmente rilevanti che però possono essere censurabili per un politico.
Come frequentare un mafioso, ad esempio. Come ad esempio avere rapporti,anche chiedere voti (non importa che poi non si dimostri che ci sono stati degli scambi tra politico e mafioso).
Come il traffico di influenze, un reato difficile da dimostrare finché non esiste una legge sulle lobby.
Come, infine, le inchieste sulle spese pazze dei consiglieri regionali: possono anche essere spese di rappresentanza, costumi o cene. Ma rimangono comportamenti poco opportuni.

Detto ciò, a 25 anni da Mani pulite, Il Fatto Quotidiano pubblica un saggio su quell'inchiesta, cercando di sfatarne i luoghi comuni e le bufale che si sono costruite dopo:
Da domani in libreria e in edicola “Mani Pulite 25 anni dopo”. Eccone un’anticipazione
1.Mani Pulite fu un’operazione politica che eliminò per via udiziaria un intero sistema che aveva garantito 50 anni di democrazia in Italia.
È stata una grande, ma ordinaria indagine giudiziaria, Mani Pulite, non un’operazione politica. Partì da una piccola inchiesta su una tangente da 7 milioni di lire che poi, come nel gioco del domino, si allargò mazzetta dopo mazzetta e portò alla luce un gigantesco sistema della corruzione. E poté svilupparsi grazie a un insieme di concause. L’abilità investigativa dell’ex poliziotto Antonio Di Pietro e degli altri pm a cui il nuovo Codice di procedura penale del 1989 aveva passato la direzione delle indagini e il coordinamento della polizia giudiziaria. La crisi economica, che aveva assottigliato il denaro pubblico da destinare agli appalti e dunque i margini per le mazzette, il che rese gli imprenditori più disponibili a denunciare i politici che chiedevano loro tangenti (...). Poi furono non i giudici nei processi, ma gli elettori nelle urne, a far saltare il sistema dei partiti (...). Tant’è che il primo a beneficiarne fu il più abile figlio dell’Ancièn Regime corrotto, Silvio Berlusconi(...).
2. Mani Pulite ha salvato i“comunisti” e ha annientato gli anticomunisti, cioè i democristiani e i socialisti.
A guardare i fatti, i “comunisti” non sono stati affatto salvati: il primo politico arrestato da Mani Pulite non fu il socialista Mario Chiesa (amministratore di un ospizio comunale), ma il pidiessino ex comunista Epifanio Li Calzi, assessore comunale all’Edilizia, deceduto nel 2013. Dopo di lui, finì in carcere o sotto indagi nel’intera dirigenza del Pds milanese: i “cassieri” occulti Luigi Carnevale e Sergio Soave, il segretario provinciale Roberto Cappellini, l’ex vicesindaco Roberto Camagni, l’assessore Massimo Ferlini, il segretario provinciale Barbara Pollastrini e il parlamentare Gianni Cervetti (gli ultimi due poi assolti). A Roma, le indagini giunserofino al tesoriere nazionale Marcello Stefanini (...), furono arrestati e condannati il funzionario Primo Greganti e il responsabile del settore energia Giovanni Battista Zorzoli. Il pool indagò anche sulle coop rosse e su una misteriosa valigia piena di soldi che Raul Gardini portò nella storica sede del Pci, di cui però non si riuscì a individuare il destinatario(...). Il Psi apparve più colpito da Mani Pulite perché il suo padre padrone Bettino Craxi risiedeva e operava a Milano, (sotto la competenza diretta di quella procura, diversamente dai segretari degli altri partiti,con base perlopiù a Roma) e perché gli imprenditori (...) di area socialista si rivelarono i più disponibili a confessare(...) Infine, Craxi si rivelò l’unico segretario di partito che rubava anche per sé e senza alcuna precauzione: come raccontano alcuni testimoni, i soldi gli venivano consegnati in grandi buste gialle nel suo ufficio milanese, in piazza Duomo 19.
3. Mani Pulite usò il carcerecome forma di tortura e le manette per estorcere confessioni.
La decisione di mandare in carcere gli indagati veniva presa non dal pool di Mani Pulite, ma dai giudici delle indagini preliminari (i gip), come previsto dalla legge. Quanto alle confessioni, molti degli indagati le rendevano senza essere arrestati o ancora prima che scattassero le manette (“Cominciavano a parlare già al citofono”, ricorda ironico Davigo). Chi confessava veniva rimesso in libertà perché erano cadute le esigenze cautelari(...).
4. ManiPulite ha indotto al suicidio molti arrestati.
È un argomento drammatico e ricattatorio (...). Nessun indagato di Mani Pulite si è tolto la vita in carcere. Erano indagati, ma a piede libero, il segretario del Psi di Lodi, Renato Amorese, e il deputato socialista, Sergio Moroni, entrambi morti suicidi. Era libero anche Raul Gardini, che non sopportò il peso delle accuse che avrebbe dovuto confessare di lì a qualche giorno nell’interrogatorio già fissato in Procura. Morì in carcere, invece, il presidente dell’Eni Gabriele Cagliari, ma il pool Mani Pulite l’aveva già fatto scarcerare: era trattenuto in cella da altri magistrati per una diversa indagine, quella sulla tangente Eni Sai (...). Moroni lasciò una lettera, in cui non se la prendeva con i magistrati, ma con i compagni del Psi che l’avevano emarginato (...) Dopo la morte di Moroni, Craxi commentò: “Hanno creato un clima infame”. D’Ambrosio (...) replicò: “Il clima infame l’hanno creato loro. Noi ci siamo limitati a scoprire e perseguire fatti previsti dalla legge come reati. Poi c’è ancora qualcuno che si vergogna e si suicida”.(...)
5. Mani Pulite fu ispirata o manovrata da poteri occulti (la Trilateral, la Cia...) che volevano mettere fine alla Prima Repubblica e impossessarsi delle aziende di Stato.
Anche qui, la verità storica è molto più prosaica e banale. Nel biennio 1992‘93 l’Italia vive una grande trasformazione nel contesto della profonda mutazione geopolitica internazionale (la fine della Guerra Fredda). Molti poteri, italiani e non, cercano di incunearsi in questa svolta storica e provano a pilotarla per i propri interessi (...). Ma non c’è alcun complotto. (...) Dopo l’implosione dell’impero sovietico, gli americani lasciano che l’Italia segua il suo destino. E le indagini di Mani Pulite possono decollare.
6. Il protagonista di Mani Pulite, Antonio Di Pietro, era un personaggio spregiudicato e corrotto.
“Da che pulpito viene la predica”, verrebbe da dire, citando Davigo: a dare lezioni di etica a Di Pietro e agli altri magistrati del Pool hanno provato personaggi pesantemente coinvolti nel sistema di Tangentopoli. Quanto a Di Pietro,è stato indagato in lungo e in largo senza che sia stato trovato un solo elemento di rilievo penale a suo carico. (...) Quello che resta è il fango messo in circolo in una campagna politica e mediatica durata anni e che alla fine è riuscita a raggiungere l’obiettivo di appannare l’immagine dell’uomo che nel 1992 93 era considerato “l’eroe di Mani Pulite”(...).
7. Bettino Craxi fu un grande statista morto in esilio, a cui sarebbe ora di dedicare una via o una piazza di Milano.
Non è questo il luogo per valutare le qualità politiche di Craxi, il quale ha sempre diviso l’Italia fra ammiratori e detrattori (...). Comunque sia, è stato riconosciuto colpevole invia definitiva dalla Corte diCassazione (...) di reati gravi come l’illecito finanziamentoai partiti e la corruzione. (...)Lui stesso manteneva saldamente la leadership del partito anche grazie ai soldi delle tangenti, con una grave distorsione del gioco democratico. E utilizzò una parte dei proventi delle mazzette per scopi personali. Lo documenta la sentenza del processo All Iberian (concluso in primo grado con la condanna di Craxi e del suo finanziatore occulto Berlusconi, e in appello e in Cassazione con la prescrizione dei reati accertati): almeno 50 miliardi di lire raccolti per il partito e finiti su tre conti svizzeri intestati allo stesso Craxi furono da lui destinati a finanziare il canale televisivo Gbr della sua “amica” Anja Pieroni, per comprarle l’hotel Ivanohe a Roma, per acquistare una casa a New York, per affittare una villa in Costa Azzurra per il figlio Bobo.

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