03 aprile 2017

Il gas cancerogeno per i biberon - l'inchiesta di Report

Sul Fatto Quotidiano di domenica, un'anticipazione del servizio di Emanuele Bellano per Report sull'utilizzo dell'ossido di etilene per la preparazione dei biberon usati negli ospedali italiani.
Sarebbe cancerogeno, dunque vietato: ma basta una parolina, "dispositivo medico", e questo divieto non vale più
“Usano un gas cancerogeno per i biberon degli ospedali”Domani sera su Rai3 l’inchiesta sull’ossido di etilene utilizzato per sterilizzare contenitori monouso e tettarelle delle Neonatologie: basta chiamarli “dispositivi medici” e il gioco è fatto 
È cancerogeno. Ma viene utilizzato per sterilizzare il 95% dei 7 milioni di biberon e tettarelle usati nei reparti di neonatologia italiani. È usato anche per alcuni biberon e tettarelle in vendita in farmacia e su Amazon. Parliamo, va sottolineato, solo di quelli sterili e monouso! Ossido di etilene, si chiama così il gas incriminato. Eppure i nostri figli rischiano di assumerlo con il latte. Parliamo di 500 mila neonati all’anno in Italia (sono esclusi quelli che in ospedale assumono solo latte materno). Tutto nasce, come racconterà Report domani sera su Rai3, da un cavillo lessicale: basta scrivere “dispositivo medico” sulla confezione.
L’ossido di etilene è un gas che garantisce la sterilizzazione dei prodotti. È tossico. La lavorazione avviene in ambiente stagno: la sostanza è spruzzata nella confezione e poi deve essere totalmente eliminata (degassazione). Ma dalle analisi di laboratorio emerge che in alcuni casi restano residui. Così i neonati sono esposti a un pericolo. Tanto che in Francia il gas può essere utilizzato soltanto per i neonati in terapia intensiva (per i quali si ritiene che il rischio di malattie sia più grave dell’esposizione a cancerogeni). Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità esiste un rapporto diretto tra ossido di etilene e leucemia. Ma si parla anche di tumori a cervello, stomaco e pancreas. Come Marco Manservigi, ricercatore dell’Istituto Ramazzini di Bologna, ha spiegato a Report: “L’ossido di etilene provoca mutazioni genetiche. Si possono avere danni legati all’apparato riproduttivo, quindi che vanno a influire sulla fertilità, sullo sviluppo delle gravidanze. Danni che possono essere trasmessi ereditariamente”.
Eppure quasi tutti i reparti di neonatologia italiani – comprese strutture di eccellenza come il Bambino Gesù di Roma o il Gaslini di Genova – utilizzano prodotti sterilizzati con il gas incriminato: “Le forniture avvengono in base a specifiche decise a livello regionale”, spiegano ambienti del Gaslini. “Noi non possiamo scegliere, questa è una gara Estar (il sistema acquisti della Regione Toscana, ndr)”, spiegano dall’ospedale dell’Alta Val d’Elsa.
Vale per tutti, insomma. Com’è possibile? Basta una scritta sulla confezione. Dal 2007 l’ossido di etilene per l’Ue non può essere utilizzato per contenitori che entrano in contatto con gli alimenti. Ma su biberon e terrarelle sterili e monouso viene scritto: “Dispositivo medico”. Il ministero ha chiesto un parere al professor Gaetano Privitera dell’università di Pisa. Lo studioso parla di pericolosità intrinseca del gas cancerogeno e dice che “non avremo mai la certezza di eliminarlo completamente dai materiali trattati”. Ma poi conclude, ricorda Report, che i biberon e le tettarelle sterilizzati a ossido di etilene se sono venduti come dispositivi medici “si possono utilizzare”.
Lo studio non menziona i sistemi alternativi di sterilizzazione. Che invece esistono. Un’impresa lombarda utilizza, per esempio, i raggi beta. Che, secondo le analisi, offrono le stesse garanzie. Lo Stato dovrebbe pagare ogni tettarella 50 centesimi invece di 28 circa. Ma non esporrebbe mezzo milione di bambini al rischio di tumore. È il 7 gennaio 2016 quando la Direzione generale della prevenzione sanitaria del ministero scrive una lettera: “Vista la classificazione dell’ossido di etilene come agente cancerogeno, si raccomanda che tale sistema di sterilizzazione sia limitato esclusivamente a biberon e tettarelle destinati ai neonati prematuri o con gravi patologie”. Ma dopo 15 mesi, come verificato da Report e dal Fatto, quasi nessun reparto di neonatologia o Asl ha ancora ricevuto la lettera. Nel frattempo negli ospedali circa 700 mila bambini potrebbero aver utilizzato biberon e tettarelle a rischio.

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