31 luglio 2017

Immaginarsi un mondo futuro - Fahrenheit 451


Incipit (potete scaricarlo qui)
Era una gioia appiccare il fuoco.Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse. Con la punta di rame del tubo fra le mani, con quel grosso pitone che sputava il suo cherosene venefico sul mondo, il sangue gli martellava contro le tempie, e le sue mani diventavano le mani di non si sa quale direttore d'orchestra che suonasse tutte le sinfonie fiammeggianti, incendiarie, per far cadere tutti i cenci e le rovine carbonizzate della storia. Col suo elmetto simbolicamente numerato 451 sulla solida testa, con gli occhi tutta una fiamma arancione al pensiero di quanto sarebbe accaduto la prossima volta, l'uomo premette il bottone dell'accensione, e la casa sussultò in una fiammata divorante che prese ad arroventare il cielo vespertino, poi a ingiallirlo e infine ad annerirlo. Egli camminava dentro una folata di lucciole. Voleva soprattutto, come nell’antico scherzo, spingere un’altea su un bastone dentro la fornace, mentre i libri, sbatacchiando le ali di piccione, morivano sulla veranda e nel giardinetto della casa, salivano in vortici sfavillanti e svolazzavano via portati da un vento fatto nero dall’incendio.Montag ebbe il sorriso crudele di tutti gli uomini bruciacchiati e respinti dalla fiamma. 
Sapeva che quando fosse ritornato alla sede degli incendiari avrebbe potuto ammiccare a se stesso, specie di giullare negro, sporco di carbon fossile, davanti allo specchio. Poi, all’atto di coricarsi, si sarebbe sentito quel sorriso, una sorta di smorfia, ancora artigliato nei muscoli facciali, al buio. Non scompariva mai, quel sogghigno, non se n’era andato mai nemmeno una volta per quanto riandasse con la memoria al passato.

E' arrivato per me il momento di colmare una grave lacuna letteraria: Fahrenheit 451, di Ray Bradbury, uno dei romanzi distopici più famosi assieme a "1984" di George Orwell e "Il mondo nuovo" di Aldous Huxley.
Un romanzo dove l'autore, prendendo spunto dal mondo in cui viveva (ovvero l'America degli anni '50, dove la televisione prendeva il posto della radio e anche dei rapporti umani in famiglia, l'America del maccartismo..) cercava di immaginarsi come avrebbe potuto essere il futuro.
Come cambierebbe il mondo se pian piano i rapporti umani tra le persone venissero soppiantati da rapporti tra uomini e macchine?
E se all'improvviso smettessimo di leggere i libri, tanto c'è la televisione che ci dice le cose (o internet ..)?

Il mondo immaginato da Ray Bradbury è solo uno dei possibili mondi futuri (o presenti, se pensiamo che il libro è uscito negli anni '50).
E se i pompieri bruciassero le case invece di salvarle?
E se la gente passasse le giornate con le cuffiette alle orecchie o seguendo i programmi alla televisione (coi televisori a parete) dove potevano anche partecipare ai programmi, con le loro batture (insomma, Bradbury aveva già immaginato i reality)?
E se la gente smette di pensare, di immaginare, di creare, di vedere il mondo reale ....?

Qui la scheda del libro sul sito di Mondadori.

Non è merito del jobs act

Cresce l'occupazione (sulla nuova rilevazione mensile) ma è frutto della componente femminile e a crescere sono solo i contratti a termine.
Una mezza buona notizia: ma usarla per portare acqua al mulino del jobs act è sbagliato, poiché la riforma del lavoro doveva incentivare i contratti a tutele crescenti, non i precari.
Risultato: finiti gli incentivi, finito l'effetto boom dei contratti a tempo indeterminato.

Poi, possiamo anche andare avanti ad incensare il governo dei mille giorni che, anche se dimissionato, continua a dare buoni effetti.
Eccetto quando si parla di politica estera: allora no, come scrive Lavia, quando c'era Renzi l'Italia era più forte nella politica estera (infatti abbiamo ottenuto tanto aiuto dall'Europa nel 2016, vero?).

Il nero futuro

Ieri tra Repubblica e l'Espresso, veniva tracciato il futuro nero di questo paese.
Si comincia con Repubblica e l'intervista a Berlusconi di Carmelo Lopapa: il futuro federatore (non più candidabile presidente grazie al cielo) rassicura (o minaccia) "non mi faccio da parte proprio ora".
Da parte abbiamo messo la nostra memoria: gli anni con la crescita all'italiana, dei governi delle leggi vergogna e delle leggi ad personam. Dei condoni fiscali, dello smantellamento del servizio pubblico, delle minacce alla stampa critica e ai magistrati che osavano applicare il principio della legge uguale per tutti.

Ci siamo dimenticati la condanna per frode fiscale (con un pezzo di nero finito prescritto), delle società nei paradisi fiscali costruite dall'avvocato Mills (prescritto) e, infine, di quanto emerso dalla condanna per mafia di Dell'Utri. Quest'ultimo era il mediatore tra Berlusconi e la mafia, si proprio quella mafia che ad ogni 19 luglio (o 23 maggio) condanniamo.
“In virtù di tale patto i contraenti (Cosa nostra da una parte e Silvio Berlusconi dall’altra) e il mediatore contrattuale (Marcello Dell’Utri), legati tra loro da rapporti personali, hanno conseguito un risultato concreto e tangibile, costituito dalla garanzia della protezione personale dell’imprenditore mediante l’esborso di somme di denaro che quest’ultimo ha versato a Cosa nostra tramite Marcello Dell’Utri che, mediando i termini dell’accordo, ha consentito che l’associazione mafiosa rafforzasse e consolidasse il proprio potere sul territorio mediante l’ingresso nelle proprie casse di ingenti somme di denaro”.

Passiamo all'Espresso il cui ultimo numero era in buona parte dedicato ai nuovi fascisti: che gli eredi del fascismo, i nostalgici di un dittatore che ha mandato l'Italia alla rovina, partiti nati dallo stesso terreno politicodello stragismo degli anni '70, si considerino i difensori della patria è quasi paradossale.
Su l'Espresso un articolo di Biondani parlava delle impunità dell'estremismo nero, delle protezioni dei servizi, di come siano rimasti impuniti dai processi per le stragi di Bologna e Milano.
Basterebbe qualche libro di storia per ricordare cosa sia stato il fascismo: altro che difesa della patria, difesa degli italiani. 
Certo il fascismo ha fatto cose buone: 
"Ha fatto delle cose buone"! Ma dico, se neanche di Mussolini si può parlar male, ma che deve fare uno perché si possa parlarne male? Deve stuprare le capre in via Frattina? Che deve fare? Dice "Ha fatto delle cose buone", certamente: anche Adolf Hitler o Stalin, un ponte, una strada l'avranno fatta! Anche il Mostro di Firenze l'avrà detto "Buongiorno" a qualcuno qualche volta"
Benigni - una battuta dello spettacolo Tutto Benigni del 1995

E le BR? E i crimini del comunismo? E i soldi della Russia al PCI? ..
E il PD? E la Raggi a Roma? ...


Se questo è il futuro che ci aspetta, il ritorno del caimano grazie al lavoro dell'estrema destra, siamo proprio a posto.

29 luglio 2017

Stesso sangue – raccolta (Guccini e Macchiavelli, Lansdale, Nesbo, Fois)

Buon sangue non mente
Di padre in figlio
Tale padre tale figlio

Sono tanti i proverbi e i modi di dire che riguardano le relazioni di sangue tra padre e figlio o comunque all'interno dello stesso ambito familiare.
La famiglia, il luogo nel quale sentirsi più protetti: al sicuro nel guscio familiare, protetti dalle cattiverie e dalle bruttezze del mondo.
Ma non è così: sappiamo che spesso il male si nasconde proprio dentro questo mondo e il cattivo, l'uomo nero, è a volte il marito, il padre o una persona vicina a te.

In questa raccolta, che è uscita l'anno scorso per Einaudi, cinque autori si cimentano su questo tema nei loro quattro racconti: come in tutte le raccolte anche in questa troviamo racconti riusciti meglio e altri no.

Questo incanto non costa niente – Guccini Macchiavelli

Estate 1938, ci troviamo sull'appennino Tosco Emiliano a Bagni dell'Appennino, una località turistica dove trovare un cinema, alberghi, sale da ballo. Luogo di riposo ma anche di cura, per le sue acque che sgorgano dalle montagne.
Una località di lusso dove i rampolli delle famiglie “bene” bolognesi vengono a divertirsi.
Uno di questi, Romano Pareschi, viene trovato morto dopo un volo in fondo al burrone all'interno della sua auto, una fiammante Isotta Fraschini.
Un incidente.
O forse no, il padre, il federale di Bologna Adolfo Pareschi chiede che venga aperta un'indagine non ufficiale sul caso, perché il figlio è stato ucciso.
L'indagine è affidata al giovane maresciallo Benedetto Santovito, che arrivato in paese, prende contatto con gli amici di Romano.

Durante il viaggio Santovito guardò più volte l'immagine di Romano Pareschi che gli sorrideva dalla foto. In divisa da giovane fascista, alto e dall'aspetto sano e sportivo, come da disposizioni del gerarca, camerata Achille Starace.

No: non è stato un incidente, e Santovito scoprirà le cause e i responsabili.
E scoprirà anche i perché di quel delitto: una storia di soprusi, di razzismo (il manifesto della razza era lì da venire) e di olio di ricino

Andava di moda. I picchiatori fascisti ne facevano abbondante uso conviti che facesse cambiare idea ai sovversivi. Il risultato era: dolori al ventre da rotolarsi a terra e giorni di dissenteria violentissima. E un rinnovato odio contro i fascisti..

Ci eravamo chiesti, leggendo Macaronì, quale fosse il motivo per cui l'arma aveva mandato, per punizione, Santovito, uomo che veniva dal Cilento, uomo di mare e di sole, in quel paesino dell'appennino?
Alla fine del racconto scopriremo qualcosa di più, del maresciallo.
E vedremo la faccia disonesta, violenta, del regime. Dell'incanto del regime
Voglio vivere e goderl'aria del monteperché questo incantonon costa niente

Coco Butternut, di Joe Lansdale

Un caso all'apparenza semplice, quello che viene affidato all'agenzia investigativa di Brett e Hap e Leonard: pagare il riscatto per avere indietro il cadavere, mummificato, di un cane, Coco Butternut.
Cane che qualcuno ha dissotterrato dal cimitero gestito dal signor Farmer e che lui rivuole indietro, spendendo anche quei 100mila dollari di riscatto.

Fin qui, solo una delle tante strane storie capitate alla più strana coppia di cercaguai del Texas.
Ma poi la storia inizia a prendere una direzione un po' più che strana, pericolosa. Per quale motivo qualcuno dovrebbe pagare quella cifra per un cane morto?
Insospettitosi, Hap e Leonard ispezionano la bara e, sotto il cane, trovano il cadavere di una donna.
Arrivati a casa di Farmer, lo trovano morto, la testa sfondata da una mazza o qualcosa di simile.

E così, la squadra investigativa si mette in moto, tutta assieme, compresa Chance, la figlia di Hap
- Cavolo – intervenne Chance. - Una gita al cimitero per consegnare dei soldi e farsi dare il cadavere in cambio. Un omicidio. Un incendio doloso. Mio padre e mio zio che dicono le parolacce. Un appostamento. Sono stata per anni al riparo da tutto questo, ma la nuova vita mi piace molto di più.

Siero, di Joe Nesbo

La storia di un padre che non voleva fare il padre e di un figlio cresciuto senza padre, con la passione per il gioco, per la cocaina e in generale, per spendere male i suoi soldi. Con la convinzione che avrà comunque una seconda chance.
Li ritroviamo assieme in Africa, in Botswana, alle prese con un morso del cobra nero sul corpo di Stan, il padre.
Ken, il figlio, deve fare in fretta a trovare il siero.

Un racconto breve ma duro, che racconta della legge di natura dell'uccidere per non essere uccisi.
Come il cobra che uccide e mangia i piccoli cobra suoi figli.
Divoriamo i nostri padri o i nostri figli quando dobbiamo farlo, non per odio, ma per amore della vita. Eppure, crediamo che bruceremo all'inferno per questo. E forse bruceremo davvero. Ecco perché il cobra è moralmente superiore a noi quando sceglie di mangiare i suoi figli. Non si sente in colpa neanche per un attimo, perché il peccato non esiste, esiste solo una fortissima volontà di vivere.Capisci. L'unico che può salvarti sei tu, e ti salvi semplicemente facendo quello che devi fare per sopravvivere.

Ti ho fatto male, di Marcello Fois

Un commissario di polizia distrutto dal dolore per la morte della moglie, Laura.
Uccisa in modo brutale.
Un dolore che l'ha tenuto isolato da tutti, solo.
Un dolore che vede in sé stesso, osservandosi allo specchio.
Un dolore come gli ricorda quel passaggio del libro di Tolstoj, Guerra e pace, quando il perfido Dolochov incontra alla vigilia della battaglia di Borodino Pierre Bezuchov.
Dopo averlo dileggiato, tradito, ingannato, lo raggiunge e lo abbraccia:
«Ti ho fatto male, - gli sussurra, - ti ho fatto male, ma ora stiamo per morire ..»

La nebbia del dolore gli ha cancellato il ricordo. Il ricordo di Laura, il ricordo di cosa è stato.
Come quando da bambino, mentre era in treno coi genitori che litigavano, si era messo ad osservare la foresta di pioppi, allungati verso l'alto come le colonne di una chiesa. E osservando quegli alberi aveva provato quella sensazione di estraniamento, una senza di pace in quell'ordine verticale.

Chiunque avesse concepito lo spazio dove lui si trovava adesso era stato un bambino, solo nella navata principale della foresta. Come lui vi si era perso e aveva chiesto la grazia di ritrovare la via.
La scheda del libro sul sito di Einaudi

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

28 luglio 2017

Qualcosa di sinistra

Prosegue la migrazione verso destra del governo Gentiloni.
Dopo i voucher, lo stop allo ius soli (col sospetto che sia stata tirata fuori per non approvarla), i decreti Minniti, tocca ora alla missione militare in Libia, il blocco navale delle nostre navi davanti le coste libiche.


Potrebbe non essere nemmeno necessario un voto in aula, visto che verrà cammuffata come estensione di una missione esistente.
Ho cercato su twitter #blocconavale e, sorpresa, sono venuti fuori i tweets di Alemanno, Salvini, della Lega e della nostra destra italica. Quella che prima gli italiani (specie se parenti di Bossi o amici di Alemanno).
Ecco, mi veniva in mente la scena di Aprile, di Nanni Moretti: "D'alema, di qualcosa di sinistra" ..

Ecco, il governo Gentiloni ha battuto nuovamente il colpo.
Non poteva farsi trovare impreparato dopo l'attivismo di Macron (il salvatore dell'Europa, ricordiamo quanto scrivano i nostri giornali).
Ovviamente qualcuno poi dovrà andare a vedere cosa si nasconde dietro la superficie dell'annuncio sulle navi da guerra: per esempio, come la mettiamo con le regole di ingaggio?
Cosa facciamo se, in Libia, dovesse succedere un episodio analogo a quanto avvenuto in India coi nostri due marò (diventati poi gli eroi della nostra destra)?

PS: altre notizie che magari sfuggono ad un lettore disattento.
Ieri il CSM ha nominato procuratore capo a Napoli Melillo, ex capo di gabinetto di Orlando. Ora con che faccia CSM e politici diranno che le toghe non possono fare politica?
La commissione industria al Senato ha approvato (coi voti del PD, di FI e degli alfaniani) un emendamento che metterà fine, il 30 giugno 2019, al mercato tutelato dell'energia. Un regalo alla lobby dell'energia.

Di seguito la relazione del presidente Mucchetti, PD, contrario a questa norma che, anziché concorrenza, rafforza i monopoli:
La Camera dei deputati, venendo meno al percorso condiviso, ha introdotto cinque modifiche. Un alto esponente della maggioranza le ha qualificate come poco rilevanti, sottintendendo con ciò che il Senato non avrebbe dovuto poi modificare ulteriormente il testo. Ma, se davvero si tratta di modifiche così poco rilevanti, il PRESIDENTE si chiede perché siano state introdotte, ritenendole invece in almeno due casi di grande rilievo.
Avendo dedicato buona parte della propria vita professionale alla politica della concorrenza, egli avverte il disagio di dover approvare un disegno di legge che è intitolato alla promozione della concorrenza ma che invece, accanto a norme positive, contiene anche norme a favore di interessi organizzati o di monopoli.
Passando al suo emendamento 1.18, ricorda che l’altro ramo del Parlamento ha soppresso, al comma 60, quella parte della norma con la quale il Senato chiariva che gli utenti del servizio di maggior tutela sono clienti dell’Acquirente Unico e non di coloro che, come ENEL, A2A, ACEA e altri ancora, forniscono all’Acquirente unico il servizio di vendita. Non a caso ENEL, A2A, ACEA e gli altri operatori hanno costituito società distinte per i clienti in libero mercato e per quelli dell’Acquirente Unico.

27 luglio 2017

La rivincita contro le fake news

Per un caso del destino, oggi, 27 luglio 2017 (giorno delle bombe della strategia eversiva della mafia a Milano e Roma del 1993), si concentrano tante notizie che smentiscono tutte le fake che ci siamo sorbiti.

Vi ricordate Macron l'europeista, il salvatore dell'Europa?
Prima ha chiuso i porti francesi alle ONG che salvano i migranti nel mare tra la Libia e l'Italia.
Poi ha preso (a sentire quanto dicono i giornali) la scelta di nazionalizzare i cantieri navali STX (proprio quelle misure che ieri Giavazzi, il liberale, condannava..)

La destra nazionalista e anti immigrati oggi dovrà starsene zitta (almeno per 5-10 minuti diciamo).
Vi ricordate la C-Star, la nave anti-ONG affittata da "Defend Europe"? Il comandante è stato arrestato a Cipro con l'accusa di traffico di essere umani.  
Insomma, sti razzisti lavoravano in regime di conflitto di interesse: prima li portano da noi e poi protestano...

Sempre in tema di razzisti vari e di gente che soffia sul fuoco dell'intolleranza: il controllore Trenord che aveva denunciato l'aggressione da parte di una persona di colore si era inventato tutto.

Dopo quell'aggressione era stato indetto uno sciopero, si era invocato l'esercito, i tornelli nelle stazioni più critiche. E le guardie giurate (un bel business).
Qui non si tratta di minimizzare dei rischi o il problema sicurezza.
Si tratta solo di evitare di alimentare un clima di odio e insicurezza.

Immagine presa dal sito nextquotidiano

Una cosa sola - la nascita della seconda repubblica

La novità vera, emersa dall'inchiesta della procura di Reggio, è l'aver messo nero su bianco la collaborazione tra cosa nostra e ndrangheta nelle stragi e negli attentati (in partcilare contro i carabinieri) nel 1993-94.
Gli anni del passaggio tra prima e seconda repubblica.
Gli anni in cui la mafia, dopo la sentenza del maxi in Cassazione, cerca nuovi referenti.
Gli in cui cui gli ex gladiatori della VII divisione sismi rivendicano la loro pensione senza dover rispondere delle loro azioni (dopo che Andreotti ne aveva rivelato l'esistenza).
Gli anni in cui si dovevano convincere gli italiani che questi partiti erano inadeguati, che tutto si doveva cambiare per non cambiare niente, istillando nelle persone dosi di paura (le bombe, gli scandali) e speranza.
Gli anni in cui anche la massoneria cerca un posto a tavola, per la ricerca di nuovi equilibri politici. Le leghe meridionali al sud con la pacificazione della mafia (come si auspicava l'ideologo Miglio), in risposta alla Lega di Bossi al nord.

Equilibri che sono arrivati con la discesa in campo del cavaliere, la nascita di Forza Italia, con la fine delle bombe, l'arresto dei Graviano.
Per chi volesse un approfondimento, è uscito per Chiarelettere un bel libro di Stefania Limiti "La strategia dell'inganno"
Per arrivare poi a tempi più recenti: le bombe del 1992-1993 a quale vero obiettivo erano destinate? Erano l'attacco della mafia allo Stato dopo il maxiprocesso (e il tradimento della politica) oppure servivano anche ad altro? Magari per ricucire quell'accordo tra stato e antistato che il crollo del Muro di Berlino (e la fine della guerra fredda e dell'anticomunismo, di cui la mafia era alfiere al sud) aveva interrotto?Oltre alla mafia, le cui responsabilità sono ormai abbastanza chiare dal punto di vista militare, quali altre entità sono state coinvolte in questa stagione di terrorismo e di grande confusione?Sappiamo che dietro quegli attentati erano presenti anche le altre organizzazioni della criminalità organizzata, come la ndrangheta.E anche altre organizzazioni (le onnipresenti logge massoniche che al sud si sono dimostrate permeabili alle mafie, l'eversione nera, uomini dei servizi che ufficialmente non esistevano, ..) che hanno suggerito obiettivi, strategie, perfino aiutato gli stragisti.
Se non di sola mafia stiamo parlando, che significato assumono allora le bombe, i delitti politici, la trattativa (o le trattative) stato mafia?Perché quegli attentati, così eclatanti, così impressionanti (l'attentatuni a Capaci contro Falcone e la sua scorta, quando bastava ucciderlo mentre girava a Roma)?E come mai, all'improvviso, quelle bombe hanno smesso di scoppiare? L'ultimo attentato di cui parlano i pentiti era pianificato a gennaio 1994, allo stadio Olimpico e doveva colpire il pullman dei carabinieri in servizio. La bomba non esplose, il radiocomando non funzionò e a Spatuzza non fu chiesto di riprovarci.
Poi i suoi capi, i fratelli Graviano furono arrestati. E nel 1994 il paese attraversò definitivamente il guado per approdare alla seconda repubblica, guidato dall'uomo nuovo, l'imprenditore delle TV, Silvio Berlusconi a capo del partito azienda costruito attorno al manager di Publitalia Marcello Dell'Utri.
In pochi mesi eravamo passati dal caos alla nuova stagione del milione di posti di lavoro, con la scomparsa dei vecchi partiti e con la sinistra che ancora una volta perdeva l'appuntamento con le urne (e l'ingresso al governo).

PS: me ne ero colpevolmente dimenticato. Ma oggi, proprio qui a Milano, abbiamo l'obbligo di ricordarci di quanto avvenuto 24 anni fa.
Era il 27 luglio 1993, quando al PAC in via Palestro scoppiò la bomba che uccise un vigile, tre vigili del fuoco e un immigrato.
Nella stessa notte a Roma, esplosero due altre bombe (qui la cronologia degli attentati e delle bombe): la prima in San Giovanni al Laterano, la seconda, mentre le forze dell'ordine si dirigono nella zona, in San Giorgio al Velabro.

Quella notte Palazzo Chigi resta isolato a causa di un black-out telematico: il presidente del Consiglio Ciampi è costretto ad usare il suo cellulare privato.
Nel suo discorso per la commemorazione della strage alla stazione di Bologna (a cui non doveva partecipare), Ciampi pronuncia un discorso nel quale fa espliciti riferimenti alla Loggia P2.

26 luglio 2017

Questi populisti

Non sono mai stanchi nel darci sempre i loro consigli, gli economisti di scuola liberale italiana.
Quelli che non hanno previsto la crisi, che non hanno capito che le ricette applicate dal 2009 (austerity, crollo salari, taglio investimenti pubblici, precariato) hanno fallito e che forse sarebbe anche ora di cambiare disco.
Francesco Giavazzi oggi se la prende coi populisti che, a suo dire, hanno solo due proposte: il reddito di cittadinanza e il protezionismo.
Tutte e due fallimentari, chiaramente: la prima perché crea debito, la seconda perché blocca il mercato salvaguardando aziende che magari dovrebbero chiudere perché non competitive.
Un esempio di redistribuzione è il reddito di cittadinanza proposto dal Movimento 5 Stelle, cioè un sussidio indipendente dallo sforzo che una persona dimostra di fare per trovare un lavoro. La redistribuzione finisce inevitabilmente in un aumento del debito pubblico e quindi in un rallentamento della crescita. Un altro esempio è il protezionismo: protezione delle aziende nazionali anche se sono poco produttive e i medesimi beni potrebbero esser acquistati altrove a prezzi inferiori. Anche questo danneggia la crescita sia perché prezzi più alti riducono i consumi,
Peccato che la realtà sia diversa: il debito pubblico sale pur non avendo alcun reddito di cittadinanza.
Anzi, il debito sale perché ci sono state azioni fortemente populiste di cui però Giavazzi non ha memoria: gli 80 euro, i bonus a pioggia (da quello ai 18enni a quello per gli asilo).
Il debito pubblico sale perché la corruzione rimane un tabù e dunque le opere pubbliche (le famose infrastrutture senza di cui saremmo tagliati fuori dall'Europa) costano in Italia più che altrove.

E poi veniamo al gran finale: l'ostilità per le elite e per i vincoli
Populisti di destra e di sinistra (Syriza in Grecia, Podemos in Spagna, Bernie Sanders negli Stati Uniti, e dall’altro lato Trump, Geert Wilders in Olanda, Marine Le Pen in Francia, Matteo Salvini) non solo, come sempre, hanno condiviso sostanzialmente le medesime proposte, ma questa volta lo hanno anche fatto allo stesso tempo, così trovandosi alleati. Il punto di incontro fra populismo di destra e di sinistra è stato il rifiuto delle élite, una narrazione suggestiva per ciò che in realtà significa rifiutare ogni vincolo di bilancio, cioè non considerare gli effetti che le «politiche aspirina» avranno sui nostri nipoti. 
Quali sarebbero queste elite?
Il manager di Tim Cattaneo con una buonuscita da 25 ml di euro che non ha alcuna evidente corrispondenza coi risultati?
O lo stipendio dei super manager del pubblico, da Eni a Finmeccanica, alle Ferrovie dello Stato, in Alitalia? Quanti milioni di buonuscita hanno preso questi super manager, con buchi di bilancio alle spalle e ricadute sui conti pubblici?
Strano che non ci siano vincoli di bilancio su stipendi d'oro (perché è il mercato, ti rispondono, peccato che non esista mercato), sulle grandi opere come TAV, AV e Mose (quanto sono costate? Quanti benefici economici abbiamo ricavato?).

Oggi prendersela coi populisti, mettendo assieme tutto, è molto facile.
Tutto è populista, dalla flat tax, alla caccia agli immigrati, al basta euro cacciandoci dentro anche il reddito di cittadinanza (una forma di sostegno economico presente in altri paesi europei).

Una bella foto

Il saggio indica la luna e lo stolto vede solo il dito.
Ovvero, lo stolto vede la foto e i sorrisi tra Pisapia e la sottosegretaria Boschi e non nota quello che manca.
Pisapia è favorevole o meno ai voucher, all'abolizione dell'articolo 18, alle trivelle facili e allo sblocca Italia (è roba del 2015, ma sempre attuale), ai bonus a pioggia per tutti, al dipartimento per le mamme al posto degli asili nido?

E anche della nuova proposta di censura (perché così si chiama) in discussione in commissione Giustizia, che assegna ad AGCOM o al garante della privacy il ruolo di controllore del web (senza passare da un giudice). Certe cose una volta le faceva il centro destra berlusconiano.

Discutiamo di contenuti, confrontiamo su cosa mettere dentro programmi e proposte, altrimenti ci fermiamo a guardare la foto coi due volti sorridenti e, si, ha ragione Michele Serra, è una bella foto.
Ma una foto vuota, che non dice nulla.
Un po' come la nostra politica estera, incautamente affidata a gente come Alfano e i risultati si vedono.

25 luglio 2017

Che mangino brioches

Maestà, il popolo è senza pane
E allora che mangino le brioches

Una volta bastavano le brioshes, oggi invece per accontentare il popolino servono le battaglie di facciata.
Il popolo dice basta alla casta? E allora noi mandiamo alla Camera una legge che toglie i vitalizi (su cui l'onorevole Richetti ci ha messo la faccia e gli va riconosciuto), tanto verrà affossata al Senato.
In Italia le donne fanno meno figli e non si riesce ad avere piena occupazione nel settore femminile?
E noi anziché costruire più asili, facciamo un bel dipartimento per le donne “in difesa della razza” (così ha scritto la responsabile PD Patrizia Prestipino).

In Italia abbiamo l'emergenza roghi (e alluvioni, e terremoti, e frane ….)? 
E noi compriamo i caccia F35 (oltre a finanziare TAV, autostrade inutili come la Pedemontana, il Mose) non si capisce se per bombardare le macerie o per spegnere gli incendi.

La giostra dei criceti, di Antonio Manzini

La copertina originale di Einaudi (2007)

La copertina della riedizione Sellerio (2017)
René guardò l'orologio.Cinque minuti era il tempo prestabilito, e ne mancavano cinque.Il sudore gli colava lungo la colonna vertebrale appoggiata al palo della luce. La strada era vuota e grigia.Dalla curva in fondo, spuntavano i banchi di un mercatino rionale. Intravedeva grembiuli colorati, stoviglie, pezzi di baccalà secco che penzolavano da corde sfilacciate. Dall'altra parte della via, dietro un autosalone plurimarche coi vetri appannati dalla sporcizia, doveva esserci la macchina truccata da Cencio, motore acceso, in attesa.

Una rapina ad una Cassa Rurale che doveva essere una passeggiata di salute e che invece finisce male, con l'arrivo dei carabinieri e due morti per terra, tra i rapinatori.
Il palo arrestato da uno strano carabiniere, un maresciallo coi baffi alla Zapata.

Un impiegato dell'Inps alle prese con l'insonnia, con un lavoro che non gli dice nulla, con una vita che non gli dice nulla. Alla ricerca di quella botta di fortuna che gli consenta di scappare da quel bilocale vicino all'Ostiense, dalle telefonate di nonna Ida, dalla tigre che ogni tanto gli artiglia le budella e che deve sfogare la sua rabbia.

Un dirigente dell'Inps, il classico dirigente pubblico come tutti gli stereotipi ci hanno raccontato. Carriera ottenuta grazie ad amicizie e buone relazioni, una bella casa, una moglie con cui non non parla e tanta ambizione per volere ancora di più.

Una banda di rapinatori, piccola criminalità romana, che bazzica sempre gli stessi bar, gli stessi posti, la stessa vita fatta di piccole truffe, rapine, stando attenti a non pestare i piedi ai pesci grossi, in cerca del colpo grosso per finirla con tutto questo.
Come Alessia, che vorrebbe scappare da quel bar schifoso dove tutti ti guardano il culo.

La giostra dei criceti è il primo noir di Antonio Manzini, tra Le iene di Tarantino, perché anche qui tutti tradiscono tutti, e il primo Ammaniti, per la capacità di saper mescolare houmor e cattiveria: i protagonisti di questo romanzo, veloce, feroce, vivono i sette giorni della storia cercando di arrivare al colpo grosso, a quello che ti fa cambiare la vita.
E che invece, in gioco di tradimenti, di ambizione personale, di paura e di sospetto, finiranno per farsi la pelle l'uno con l'altro: come i criceti della giostra, che corrono tutto il giorno pensando forse di andare lontano.
In questa libro ci sono più storie che partono distanti, ma che alla fine sono tutte legate.
La banda di Franco, che doveva fare il colpo alla cassa rurale e prendersi quei 500mila euro facili facili, e che forse è stata fregata da un infame e venduta alla Camorra.
Renè, uno della banda, finito nelle mani di strani carabinieri che deve ora capire chi lo ha fregato e di chi può fidarsi.
Alessia, che lavora al bar Il balilla (nostalgie fasciste del proprietario) assieme al padre che non è mai stato un padre, con un fidanzato che è un armadio e che non ama. Sperando che arrivi un treno per andare via. Anche un treno merci, come il bello e dannato Renè.
L'ingegner Toti, dirigente di una sede Inps all'Eur, che si trova dentro un complotto così surreale da essere quasi credibile (siamo d'altronde nell'epoca delle fake news, dove l'incredibile diventa quasi più credibile della realtà): un piano per ridurre il numero dei pensionati ..
Noi colpiremo solo per pirsone a cui l'opinione pubblica non bada. Quelli che troviamo morti putrifatti dopo giorni e giorni. Che riempiono i giardini e danno da mangià ai piccioni..”

Diego, l'impiegato dell'Inps, senza genitori, che dalla vita vuole solo una donna, una bella macchina, una vita tranquilla. E che si sente frustrato da quanti campano sulle spalle degli altri, come i baby pensionati o anche i pensionati che prendono quella pensione che lui forse non vedrà mai.
Ma ora anche lui ha la sua possibilità.
E non si farà prendere da alcun scrupolo.
Come non si faranno prendere da scrupoli nemmeno gli alti burocrati dello stato, come il ministro che ha proposto il piano diabolico
.. uno che aveva basato la sua campagna alle amministrative sui valori sacri della famiglia, contor l'eutanasia, l'aborto, per il probizionismo medioevale, contro i matrimoni dei gay e che adesso parlava con la freddezza di un Mengele ..”

Come il nostro ingegner Toti, casa e famiglia anche lui, certo, che invece nel suo subconscio ha già accettato tutto (anche se dovrà poi fare i conti la coscienza tardiva, che si farà viva nelle sue notti):
- Allora parliamo di Cortés. Terribile quello che hanno fatto gli spagnoli laggiù, no?- Terrificante.- Ma hanno portato un livello di civiltà superiore. Oggi se un Indio vive come un essere umano lo deve a Cortés..

Sono più colpevoli i balordi della rapina alla Cassa rurale o questi uomini dello Stato senza scrupoli, senza remore, senza valori che non siano ricchezza, potere, ambizione?
In questo romanzo, l'intreccio narrativo diventa anche mescolamento degli strati sociali: l'assenza di qualsiasi scrupolo morale, di qualsiasi pietà, li accomuna a tutti quanti.

E tutti quanti si ritroveranno soli, a finire soli, nonostante l'inutile corsa del criceto dentro la giostra.
Era vissuto come un granello di sabbia. Niente da ricordare. Niente da dire in sua memoria. Nel momento in cui avesse chiuso gli occhi, nessuno se lo sarebbe più ricordato. Sentiva freddo. Parecchio. Cominciò a tremare. Non era giusto, ma la giustizia non esiste in natura. A lui era toccata quella vita, e gli era toccata finirla così. Siamo carne da cannone, aveva detto René. Era vero. Carne da cannone. Gente che muore senza un senso, senza un'utilità. Che ha vissuto senza sapere, e senza sapere se ne va. [..]Il cielo stava diventando una massa di azzurro e di rosso. Sentì una grande mano prendergli il cuore. Fu un attimo e tutto si fermò. Né caldo, né freddo. Solo basta così. E il sangue, insieme ai suoi pensieri, smise di correre come un criceto idiota lungo le sue vene.

Rocco Schiavone è cresciuto in questo ambiente, da queste periferie, tra questi balordi, tra piccoli reati e la grande criminalità sullo sfondo (a proposito, la mafia a Roma esiste).
Solo che lui, Rocco, ha scelto di non correre dentro la gabbietta.

La scheda del libro sul sito di Sellerio (la prima edizione era stata pubblicata nel 2007 da Einaudi)

I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

24 luglio 2017

L'ipocrisia dietro l'aiutiamoli a casa loro

Aiutiamoli a casa loro, dicono: basta non fare come in Libia dove il petrolio fa gola alle multinazionali che si occupano di estrazione come Eni e Total.
Già nel 2011 la guerra a Gheddafi fu usata per mettere le mani sui pozzi.
Oggi valo lo stesso per l'incontro che Macron ha fissato a Parigi tra le due fazioni in guerra, senza invitare l'Italia.

Viva l'emergenza

Se non ci fossero le emergenze bisognerebbe inventarle.
L'emergenza roghi (sempre d'estate, sempre negli stessi posti) per incentivare il business delle flotte antincendio private.
L'emergenza sicurezza per fare appalti con società di security private e mettere qualche guardia giurata sui treni.
E ora l'emergenza idrica che poi, a ben guardare non è affatto un'emergenza.

"Siccità, 10 Regioni in emergenza chiedono lo stato di calamità" titola Il Messaggero, quotidiano della famiglia Caltagirone, azionista anche di Acea la società che gestisce la distribuzione idrica a Roma.
La società che, dopo la scelta della regione Lazio di bloccare i prelievi dal lago di Bracciano, ha preventivato i blocchi del servizio, i "razionamenti" dell'acqua a Roma.

Da qui poi è partito il gioco della speculazione: dopo le olimpiadi, i ratti, la monezza, pure l'acqua ci toglie la Raggi.

Eppure era tutto previsto: i lunghi periodi di siccità, le emissioni di C02 e il cambiamento del clima, la rete idrica che è un colabrodo (e a Roma peggio che nel resto del paese), gli scarsi investimenti in manutenzione fatti dalle società pubbliche o private (solo 32 euro contro gli 80-130 del resto d'Europa).
Tutto scritto nel rapporto sui cambiamenti climatici dell'Onu del 2007.

Abbiamo troppi gestori, piccoli, distribuiti sul territorio che non possono (o non vogliono fare investimenti): Il sole 24 ore ci fa sapere che se queste piccole utility si accorpassero (o meglio se venissero accorpate ai giganti), andrebbe tutto meglio, avremmo già pronti 2 miliardi per gli investimenti.
Servono aree di gestione non solo provinciali (i 70 ambiti territoriali ottimali indicati dal regolatore, ndr) ma regionali e per un efficiente servizio idrico integrato occorre che un unico gestore presidi l’intera filiera, dalle sorgenti alla depurazione», afferma Andrea Bossola, direttore area Idrica di Acea.Risultati che portano il presidente dell’Autorità per l’energia elettrica il gas ed il sistema idrico (Aeegsi) Guido Bortoni a sollecitare il passaggio «dalle campagne ideologiche sulla proprietà pubblica o privata delle società idriche alla battaglia per una gestione industriale, e quindi specializzata, del bene comune più prezioso che abbiamo, l’acqua. La regolazione non vuole mortificare le istanze del territorio ma deve favorire in modo pragmatico l’aggregazione per rafforzare il modello industriale».

Non è ideologico sostenere che, laddove esiste il privato (Acea è per il 49% privato) non si sono visti comunque investimenti e le tariffe dell'acqua sono aumentate.
E non è ideologico nemmeno sostenere che laddove si è privatizzato senza fare controlli, come nelle autostrade, la storia è sempre la stessa: investimenti pochi, tariffe ai caselli che aumentano.
Insomma, abbasso le ideologie e viva il mercato (anche se non è libero e sarà in mano a pochi gestori che detteranno le regole al pubblico e alla politica).
Il fatto che gli italiani nel 2011 si siano espressi in modo diverso col referendum poco importa.

PS: abbasso le ideologie che però vivono e lottano insieme a noi, come l'ideologia finta del finto mercato, quella sui licenziamenti facili, quella della flat tax e della ricchezza che "gocciola" dall'alto verso i poveri ..

23 luglio 2017

Sciur padron dalle belle braghe bianche - la storia della Manufat

Me lo ricordo ancora cosa si diceva in paese, quando fallì la Manufat ad inverigo, un'azienda tessile che faceva capi di qualità, con 90 dipendenti e che aveva ordini in Italia e nel mondo.
Colpa della crisi e dello Stato che strozza le aziende nel momento peggiore.
Qualcuno, in pochi in verità, raccontava dei problemi di gestione, del padrone dell'azienda: azienda che era in crisi già da anni, prima del periodo 2009-2011.

Poi è arrivato il fallimento, le dipendenti sono rimaste senza lavoro e senza stipendio, perché lo "sciur padrun" non le aveva pagate.
Nonostante l'occupazione dello stabilimento, nonostante, per far sentire meglio la loro protesta, fosser arrivate anche le telecamere di Servizio Pubblico, nel 2013:
Nella puntata di ieri si è parlato dell'emergenza in Sardegna e della crisi delle piccole imprese nel nord: il primo servizio di Giulia Innocenzi era proprio dedicato alla Manufat, un'azienda tessile di Inverigo oggi chiusa.


Per colpa delle scelte industriali fatte, dice il proprietario, che ha pagato la scelta di mantenere la produzione di capi tessili in Italia. E calando la domanda, per la crisi delle famiglie che non possono spendere, sono iniziati i problemi. Problemi accentuati da Equitalia e dalle banche che hanno chiuso i rubinetti del credito.

Al nipote dell'imprenditore avevano consegnato pure il drappo bianco, simbolo delle piccolo imprese messe in difficoltà dallo stato vampiro, quello di Equitalia, delle cartelle, che ti blocca i conti, che ti uccide con la burocrazia. Tutto vero, lo sappiamo.
Poi però, è emersa una verità diversa: lo ha raccontato il quotidiano La Provincia di Como
Maglieria fallita «per colpa del fisco»Ma avevano 71 milioni in Svizzera 
La Manufat Inverigo è stata travolta dai debiti, in 90 sono rimasti enza lavoro. I titolari diedero la colpa al fisco e a Equitalia. Ma la Procura accusa l’ex proprietario: nel corso degli anni avrebbe portato sui conti in Svizzera 71 milioni di euro 
Quando la maglieria Manufat, una istituzione della Brianza, 90 lavoratori rimasti a casa dalla sera al mattino, fallì nel 2013, in molti puntarono il dito contro lo Stato vampiro e il fisco assassino. I titolari ricevettero addirittura il “drappo bianco”, simbolo della ribellione civile contro la pressione fiscale. E a dispetto delle precisazioni di Equitalia («non abbiamo decretato noi il fallimento della ditta») per tutti la Manufat di Inverigo era fallita per colpa dei debiti con un fisco privo di scrupoli.
Quattro anni dopo la Procura di Como sta riscrivendo la storia di quella fine ingloriosa di un fiore all’occhiello dell’industria tessile comasca. E lo fa dopo che l’ex proprietario Angelo Baggi, ha deciso di riportare in Italia attraverso la voluntary disclosure qualcosa come 71 milioni di euro che fino allo scorso anno si trovavano al sicuro sui conti correnti svizzeri dell’imprenditore.
Quaranta milioni di euro di quel tesoretto, che sarebbe bastato più che ampiamente per risolvere i guai economici della Manufat (fallita con un passivo di circa 10 milioni), sono finiti sotto sequestro su ordine del giudice delle indagini preliminari Ferdinando Buatier de Mongeot e richiesta della Procura (che avrebbe voluto sequestrarne 60 di milioni).
Il motivo è presto detto: stando al sospetto della magistratura quei soldi sarebbero il provento di una lunga e paziente fuga di capitali in nero dalla Manufat alla Svizzera, accumulati tra il 1980 e il 2000. La Procura ha anche aperto un’inchiesta per bancarotta fraudolenta e autoriciclaggio, ma delle due persone finite sotto indagine una, nel frattempo, è morta.
L’uomo infatti, si è spento all’età di 97 anni. Una morte che ha causato l’immediato ricorso della moglie contro il sequestro dei soldi del marito. La prossima settimana il caso approderà in aula, dove i giudici del Tribunale del riesame dovranno decidere se restituire - come richiesto dalla difesa - quei quaranta milioni o confermarne il sequestro, come vorrebbe invece il pubblico ministero Mariano Fadda.
 
Sotto inchiesta è finito anche l’ultimo amministratore della Manufat, prima del fallimento, Franco Di Raimondo, nipote del titolare. Era stato proprio lui, nei giorni del fallimento nel 2013, a puntare il dito contro il fisco: «Non siamo però riusciti a pagare due rate da 10mila euro con l’Inps, le banche hanno chiuso i rubinetti e ad aprile è arrivata Equitalia che ha messo in atto un pignoramento presso terzi bloccando i nostri conti correnti». 
Versione che aveva spinto Equitalia a una smentita.
Nei mesi scorsi, aveva accettato di essere interrogato in Procura per chiarire la sua posizione. Il sequestro dei 40 milioni di euro a carico del fondatore della Manufat è arrivato dopo quell’interrogatorio. E se gli ex dipendenti confidano nell’arrivo dei soldi che non hanno potuto avere a causa del dissesto (il tesoretto sequestrato finirebbe infatti nelle casse del fallimento), il decesso de fondatore potrebbe portare all’annullamento del provvedimento di sequestro del giudice.
L'ex proprietario è morto la settimana scorsa: al funerale le voci che giravano su di lui erano discordanti. Alcuni lo ricordavano come il benefattore, quello che aveva finanziato la ricostruzione della chiesa a Guiano, una frazione di Inverigo.
Altre dipendenti ricordavano del clima in cui si lavorava: quanto fosse difficile ottenere permessi, chiedere un aumento.
Con i soldi che Baggi ha portato in Svizzera si poteva affrontare la crisi, si poteva tenere in piedi l'azienda, mantenere l'occupazione, tenere attivi gli impianti.
Oggi quell'insegna, Manufat, sul portone di un'azienda chiusa, è un'emblema di una certa imprenditoria che fa male al paese. 
Certo, non tutti gli imprenditori sono così, ci sono stati anche quelli che han scelto di fare sacrifici, pur di andare avanti, ma quella della Manufat è una storia che insegna qualcosa, quando si sente dire non si può fare produzione in Italia, colpa delle tasse, etc etc.

La soluzione al problema delle pensioni - piano Annozero (da La giostra dei criceti, Antonio Manzini)

Da anni si discute di pensioni, di sistemi di riforme, di quanto il sistema pensionistico incida sui conti dell'inps e su quelli dello Stato.
Ah, se quei soldi potessero essere utilizzati meglio .. Se l'aspettativa di vita cresce, bisogna andare in pensione più tardi ..
Come risolvere il problema?
Boeri (presidente Inps), in audizione alla Camera, ha spiegato che servirebbero più immigrati (regolari), disposti a lavorare (anche a bassi salari), che versano allo Stato più di quanto prenderanno un giorno.
Di questi giorni la polemica sui pensionati che se ne vanno a godere la vecchiaia all'estero. Ingrati a cui qualcuno ha pure augurato una cattiva sorte.
Sorprende come, qualche anno fa, proprio partendo dalla questione pensioni, uno scrittore italiano, Antonio Manzini, avesse già trovato una soluzione.
Grottesca, che gronda di houmor nero, ma sempre una soluzione.

Ci troviamo in un ristorante di quelli nemmeno di lusso, esclusivi.
Attorno ad un tavolo il ministro del Tesoro, un dirigente e il il direttore generale dell'Inps, un generale dell'esercito. E un uomo, chiamato l'Innominato.
Come i gerarchi nazisti riuniti a Wansee, anche loro sono pronti a mettere nero su bianco la "soluzione finale" al problema dei pensionati.
- La popolazione sta invecchiando. I pensionati di questo paese superano i lavoratori. Lo Stato non riesce più a colmare questa disparità. Quindi non rimane che una soluzione. Diminuire i pensionati.Toti non aveva capito. Non si poteva diminuire il numero dei pensionati. La pensione era un diritto.- Come facciamo a diminuirli? I sindacati ci saranno a pezzi.- Prego, dottor Rispoli, faccia proseguire il nostro amico. L'Innominato prosegui. - I sindacati, le commissioni parlamentari e sottocommissioni, i Tribunali, i datori di lavoro, la Confindustria, le parti sociali .. sono finiti. Via! - e con un gesto della mano spazzò l'aria. - Fanno parte di una politica che non deve più esistere. Sono freni inibitori dell'economia. Sono cancri avviluppati intorno al corpo dello Stato e lo succhiano quotidianamente senza restituire nulla. Tutto questo va aggirato. Aggirato! Il silenzio nella sala era rotto solo dal leggero ronzio del condizionatore. L'uomo girava i suoi occhietti freddi passandoli sui volti dei presenti. Erano fissi, non batteva le palpebre, come uno squalo che guarda la preda, il suo prossimo pasto, la cosa che gli avrebbe garantito la sopravvivenza. [..]
Rispoli aveva la fronte imperlata di sudore. Solo il generale Mochi se ne stava tranquillo. La sapeva più lunga degli altri. Toti guardo di nuovo il ministro che aveva ripreso la parola.- E' inutile che vi dica che se l'esperimento riuscirà noi tutti passeremo alla storia. Prima ci daranno addosso, ci diranno che siamo dei pazzi. Poi capiranno. Quando il benessere entrerà dritto dritto nelle tasche della popolazione attiva, allora capiranno. E ci faranno santi, eroi, e i nostri busti li metteranno nella Promototeca del Campidoglio. Protomoteca, c****!, lo corresse mentalmente Toti. - Noi siamo il secondo Risorgimento! Iacobazzi aveva gli occhi iniettati. Si capiva che il progetto era suo. E man mano che si eccitava la cadenza dialettale stava prendendo il sopravvento. - Abbiamo fin troppi pinsionati. Gente che grazie alle passate amministrazioni se ne andava a casa a 48 anni nel pieno delle forze, a vivere sulle spalle dello Stato. Finti invalidi, finti malati. E che Madonna! Basta tutto questo deve finì. Volete che i vostri figli arrivino all'età della pinsione senza percepire quello che gli è dovuto? Todi era frastornato. Si sentiva nel mezzo di una riunione di una loggia massonica deviata. Roba da galera. Aspettava la soluzione del problema come una bomba lanciata dall'Enola Gay. - La soluzione del problema non è economica, non è finanziaria. E' strutturale! - sentenziò l'Innominato.Poi continuò: - Daremo il via all'esperimento che chiameremo «Annozero». E' semplice. Niente cartelle, fogli, ricorsi. Ci serve solo gente motivata che vada fino in fondo. E questa gente per la ricollocata nell'esercito, nelle Forze Speciali. Di qui la presenza del generale. Questa è gente che lei recluterà. 
Mocchi annuì, con uno strano sorriso sulle labbra. Impercettibile a un occhio poco attento, ma sorrideva.Poi l'Innominato di scatto indicò Toti e Rispoli che se ne stavano accucciati sulle poltrone uno accanto all'altro. Appena tolti vide l'indice dell'Innominato puntato verso di lui, sobbalzò.- Signori! Da voi abbiamo bisogno di impiegati giovani, volenterosi e pronti a tutto. Davanti a loro si aprirà una carriera sfolgorante- Ma che devono fare? - disse Toti con una voce fessa è rotta.- I vostri impiegati dovranno scegliere fisicamente gli individui più adatti ai nostri pensionati.- Mi scusi, - intervenne timidamente Rispoli, - adatti a fare cosa?- Ad essere eliminati. Fisicamente.Cadde un silenzio astrale. La giostra dei criceti, Antonio Manzini (Sellerio Editore)

Antonio Manzini è uno scrittore italiano capace di coniugare nei suoi libri houmor nero e thriller. Capace di raccontare il mondo degli outsider, del popolo delle periferie, del mondo criminale. Anche quello degli alti burocrati dello stato che portano avanti questo complotto inverosimile.
Portando il lettore in una sorta di terra di mezzo, dove osservare il mondo che sta sotto e quello che sta sopra.
Questo libro era uscito nel 2007 per Einaudi, ora è stato ripubblicato per Sellerio.

22 luglio 2017

Maigret perde le staffe di Georges Simenon

Incipit
Era mezzogiorno quando Maigret varcò l'ingresso a volta sempre fresco e il portone fiancheggiato da due agenti in uniforme che se ne stavano attaccati al muro per godere di un po' di ombra. Li salutò con un cenno della mano e per un istante rimase immobile, indeciso, guardando verso il cortile, poi verso place Dauphine, poi di nuovo verso il cortile. Su, nel corridoio, e poi sulla scala polverosa si era fermato due o tre volte, facendo finta di riaccendere la pipa, con la speranza di vedere spuntare fuori un collega o un ispettore.
Non accadeva quasi mai che la scala fosse deserta a quell'ora, ma il 12 giugno di quell'anno la polizia giudiziaria e la già immersa in un'atmosfera di vacanza.

Maigret, oltreché perdere le staffe (forse per la prima volta) si annoia: lo vediamo ad inizio romanzo indeciso, quasi perso nei corridoi vuoti del palazzo al Quai de Orfevres, per la partenza per le vacanze dei colleghi. Così, sceglie di recarsi alla brasserie Dauphine, a bersi un pernod, sperando di incontrare qualche volto amico:
"Erano settimane che faceva il bravo, accontentandosi di un bicchiere di vino ai pasti e, le sere che era uscito con la moglie, di un bicchiere di birra."

Qui incontra Lucas, assieme ad un signore italiano, Antonio Farano, gestore di uno dei locali del cognato Emile Boulay, sparito da tre giorni. Emile Boulay era stato chiamato come testimone dalla polizia giudiziaria per la morte di un piccolo criminale corso, Mazotti.
Quest'ultimo gestiva il racket dei locali notturni (con tanto di streap tease), come quelli di cui Boulay era proprietario a Montmartre: mandava i suoi uomini prima a chiedere una tangente per avere protezione poi, in caso di diniego, inscenava delle risse nei locali per far allontanare la clientela.
Ma questo trucco non aveva funzionato: Boulay aveva chiamato dal suo paese, Le Havre, degli scaricatori di porto che avevano dato una lezione agli scagnozzi del criminale, poi ammazzato a colpi di pistola.

Un caso che generalmente non interessa la polizia giudiziaria e nemmeno i magistrati, usi a pensare che se si ammazzano tra di loro non c'è nulla di male. Ma è un caso che incuriosisce Maigret, forse anche per scappare dalla noia e dalle pratiche di burocrazia cui è costretto.
Così, quando viene avvisato del ritrovamento di un cadavere, strangolato, corrispondente proprio a Emile Boulay. Ucciso e scaricato dopo tre giorni, come dirà poi il medico legale, su quella strada vicino al cimitero.
Ogni quartiere di Parigi, ogni classe sociale ha, per così dire, il proprio modo di uccidere – così come ha il proprio modo di suicidarsi. In alcune strade ci si butta dalla finestra, in altre ci si uccide con le esalazioni della stufa o con il gas, in altre ancora ci si avvelena con i barbiturici.Ci sono quartieri in cui ci si accoltella, altri dove si usa una spranga e altri ancora, come Montmartre, in cui dominano le armi da fuoco.Il piccolo proprietario di night non solo era stato strangolato, ma per due giorni e tre notti l'assassino non si era sbarazzato del corpo.Maigret aprì l'armadio e prese giacca e cappello.«Andiamo!» borbottò.Aveva finalmente una scusa per abbandonare le sue incombenze burocratiche.

L'inchiesta di Maigret, assieme al suo ispettore Lucas, svolge interamente nel mondo dei locali notturni che il commissario aveva ben conosciuto nel passato, per motivi professionali.
Ma il morto non era un criminale o un impresario con pochi scrupoli: era felicemente sposato con una ragazza italiana; la sorella della moglie gli faceva da segretaria e il cognato gestiva uno di questi locali.
Una vita tranquilla, si direbbe, da normale imprenditore.
Uno che non si approfittava della situazione.
Non solo le note del jazz che filtravano dalle porte dei night davano all'aria una vibrazione diversa, ma anche i passanti erano diversi e i taxi notturni cominciavano a riversare la loro clientela mentre una nuova fauna passava e ripassava dall'ombra alla luce.

Di locale in locale, Maigret cerca di ripercorrere la vita del morto, in particolare le sue ultime azioni compiute l'ultima sera. Che ci sia qualcosa che non torna, lo capisce subito: il modo in cui è morto, il rischio che ha avuto l'assassino a tenersi il corpo. E poi quella sera, il suo passeggiare nervoso, quelle telefonate che aveva fatto, cercando di parlare con una persona, senza riuscire subito a rintracciarla (come racconta al commissario un suo confidente, “Topolino”.
Detestava non capire, ne faceva una questione personale. Gli ritornavano in mente sempre le stesse immagini: Emile Boulay, con il vestito blu, che se ne andava al Lotus, poi entrava, faceva una telefonata, non otteneva la risposta, gironzolava un po', provava a chiamare un'altra volta, e un'altra ancora, sotto lo sguardo indifferente della guardarobiera.

Il classico vicolo cieco dell'investigatore: ma a furia di continuar e continuare a ripetere gli stessi gesti del morto, a risentire tutte le persone che lo conoscevano, riesce a trovare una pista. Uno spiraglio. Un'idea che si forma in mente.
E allora il commissario diventa il Maigret implacabile, che come una goccia insistente, ostinata, a furia di battere sulla roccia, ne lascia il segno.
Aveva gli occhi spalancati, come persi nel nulla, la schiena curva e il passo lento e pigro.In quei momenti, le persone intorno a lui e soprattutto i suoi collaboratori pensavano che si stesse concentrando. Niente di più falso. Maigret aveva un bel dire, ma nessuno gli credeva. In realtà, ciò che faceva era un po' ridicolo, addirittura infantile. Prendeva un briciolo d'idea, un pezzettino di frase e se lo ripeteva come uno scolaro che cerca di farsi entrare in testa la lezione. Gli capitava anche di muovere le labbra, di parlare a bassa voce, da solo nel bel mezzo dell'ufficio, sul marciapiede, dovunque.E quello che diceva non sempre aveva senso. A volte sembrava una battuta.«Ci sono stati casi di avvocati uccisi da un cliente, ma non ho mai sentito parlare di clienti uccisi dal loro avvocato...».

Cosa porterà Maigret a “perdere le staffe”?
Quando scoprirà che l'assassino aveva usato il suo nome, per infangarlo e trascinarlo in una storia di corruzione, di processi aggiustati.
No, nessuno si deve permettere di tirare in ballo il suo onore di uomo e di poliziotto.
Maigret non era mai stato così pallido in vita sua. Il suo viso, inespressivo, sembrava un blocco di pietra. Con voce neutra, impressionante, ordinò: 
«Ripeti!..». 
«I..i..mi fa male ...». 
«Ripeti!».«I centomila franchi ..». 
«Quali centomila franchi?». 
«Mi lasci .. Le dirò tutto ..». 
Maigret lasciò la presa ma aveva la faccia livida,e a un certo punto si mise la mano sul petto e sentì il cuore battere all'impazzata.

La scheda del libro sul sito di Adelphi

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