03 luglio 2017

Come era umano lei


Come tutti quelli della mia generazione sono cresciuto coi film di Paolo Villaggio.
Da Fracchia a Fantozzi, la serie dell'impiegato della "italpetrolcemetermotessilfarmometalchimica" (parodia della Italsider, dove Villaggio aveva lavorato).
Impiegato vessato da colleghi, superiori, innamorato respinto della collega Silvani.
Era una parodia della vita impiegatizia, del leccaculimo nei confronti dei capi (il megadirettore Galattico), dei simboli del potere in ufficio (la pianta di ficus), la sfida a biliardo col direttore Catellani per perdere e fare carriera:
"Al 38° coglionazzo e a 49 a 2 di punteggio, Fantozzi incontrò di nuovo lo sguardo di sua moglie ..."
Peccato che qualcuno poi, lo abbia preso sul serio, per sposare questo modello.
In ufficio, nella vita, in politica.

Grazie di tutto Paolo (anche per quel modo di vestire stravagante degli ultimi anni).

Alessandro Gilioli, come sempre in modo puntuale, spiega bene questa distanza, tra il mondo fantozziamo e la realtà del mondo del lavoro (a proposito, oggi un'altra statistica ci dice che il numero degli occupati è in calo, si salvano solo gli ultracinquantenni): 
Il mondo del lavoro descritto nei libri e nei film di Fantozzi era così: pacchiano nel suo classismo, volgare nella sua esibizione della gerarchia, violento nello scontro quotidiano tra l'alto e il basso, tra il capo e il sottoposto.
Eppure era un mondo a suo modo limpido, "onesto", trasparente. Non c'erano gli infingimenti cosmetici con cui oggi vengono mascherati divari di potere e di reddito che peraltro nel frattempo sono aumentati, non diminuiti.
Il sottoposto era appunto un sottoposto, non si faceva finta che fosse un "collaboratore". La sua prestazione non era a cottimo, né forzatamente notturna e festiva - come oggi avviene nei magici mondi della gig economy e della logistica, ma non solo - bensì legata a precisi orari diurni, terminati i quali i dipendenti avevano diritto perfino a scappare dalla finestra, pur di non regalare un minuto di più all'azienda.
 
Lo stipendio era garantito (garantito, incredibile!) così come garantite erano le ferie, che Fantozzi poi trascorreva sotto la sua consueta nuvola.
Il patto tra azienda e lavoratore era di tipo schiavistico - certo - ed era anche grottesco: eppure era un patto definito, un accordo triste ma rassicurante, ingiusto ma solido, che non rischiava di dover essere riscritto ogni giorno e ogni giorno peggiorare, o semplicemente sparire - puf, oggi non ci servi.
 
E ancora, non c'era bisogno di dissimulare coinvolgimento motivazionale negli obiettivi dell'azienda, fosse essa pubblica o privata. Non c'era bisogno di mettere in scena la grande ipocrisia dell'identificazione, degli obiettivi, dell'"empowerment". Né si era costretti al sorriso perenne e alla disponibilità 7/24, che sono la galera del free agent attuali, delle partite Iva attuali, dei "rider" attuali. Potevi limpidamente odiarla la tua azienda, potevi odiarlo il tuo ufficio, anzi era scontato che tu lo odiassi. I ruoli erano più onesti, in fondo. 
Villaggio ha descritto lo schiavismo umiliante del mondo del lavoro com'era prima della globalizzazione e prima che l'epocale vittoria del liberismo estremo polverizzasse ogni argine, ogni regola, ogni patto. Ci faceva ridere, perché caricaturava e portava all'estremo quello che milioni di persone realmente vivevano nei loro polverosi e grigi luoghi di lavoro. Lo schiavismo di oggi non è nemmeno caricaturabile perché è già all'estremo in sé, non può essere portato oltre con la chiave del grottesco.
Non si riesce più nemmeno a ridere, parlando di lavoro, oggi.
Ecco, non si ride quando si vedono i ragazzini cantare la canzoncina al Presidente del Consiglio in visita ad una scuola, non si ride quando si vede lo spottone della FCA a Melfi (e le tute blu danzare al ritmo della canzone Happy), che ora sono in cassa integrazione.


Non si ride a leggere dei giornalisti de l'Unità rimasti senza stipendio, abbandonati dal PD.

Nessun commento: