31 gennaio 2018

La lista e le elezioni

"La lista è un bene assoluto. La lista è vita. Tutto intorno, ai suoi margini, c'è l'abisso".

La citazione, che forse risulterà scandalosa, viene da Schindler's List, ma viene bene per descrivere quello che sta succedendo in questi giorni nei partiti a proposito delle liste elettorali per le imminenti elezioni.
Candidati paracadutati, candidati inquisiti o sotto processo. Candidati figli di (le dinastie elettorali in Sicilia da Cardinale a Navarra, dei Cesaro in Campania) e candidati che fino a ieri erano sopra le parti e che poi, ops mi sono candidato (i giornalisti di Repubblica, per esempio). Quest'anno il giudice candidato non andava di moda, a meno che non si tratti di Cosimo Ferri (in una lista col PD) o del giudice Cioffi (FI) del che a differenza di Di Matteo o Davigo, possono essere candidati perché non pericolosi per la democrazia.
Candidati che, per colpa del Rosatellum, verranno votati non dai loro elettori di riferimento: come gli ex Forza Italia nella lista Lorenzin Alli in Lombardia o l'ex UDC Casini a Bologna.
Il ricambio fisiologico di Renzi che si è tramutato in una renzianizzazione del partito in vista di futuri rospi da ingoiare.
E la lista delle eccellenze di Di Maio che si sta accreditando contemporaneamente come forza di governo per la stabilità, quando parla con le imprese e i mercati (candidando un tecnico di FMI o di Bankitalia all'economia) e anche di protesta quando parla con la sua base.

L'impressione è di una competizione elettorale finta: impressione confermata dalle manovre dietro le quinte (dove ci si scanna per chi è più europeista, sulla flat tax e sulle riforme), come per esempio la relazione della commissione sulle banche che non darà fastidio al PD (e nemmeno al PDL); le grandi manovre sul calcio e sui diritti TV.
Se la competizione è finta allora, il vero obiettivo dei grandi partiti è non vincere troppo o non perdere troppo. Quanto meno che nessuno vinca in modo chiaro.
Per poter continuare con lo status quo attuale, quella stabilità che piace tanto a Scalfari a Juncker, all'Europa e forse anche ai mercati.
E agli elettori?

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