26 aprile 2018

L'altra Milano, oltre a quella delle luci

La scorsa settimana durante uno zapping serale, mi sono imbattuto in Sgarbi che, ospite di Otto e mezzo, lodava la nuova Milano, quella dei grattacieli, da quelli in piazza Gae Aulenti a quelli del nuovo quartiere Citylife.
I grattacieli delle archistar che svettano verso il cielo.
Milano ha avuto voglia di costruire, mentre Roma ha rinunciato alle Olimpiadi - questo il commento del critico d'arte che dovrebbe limitarsi all'arte.

Perché Roma avrà e ha avuto i suoi problemi, che grazie al cielo sono sotto gli occhi di tutti.
Ma anche Milano in quanto a problemi non è messa bene.
Prima di tutto Expo, la grande esposizione universale con cui ci siamo riempiti la bocca tutti quanti: ha dato sì i suoi effetti positivi sul pil, sul turismo.
Ma c'è stato un costo per le opere, su cui la procura di Milano sta ora facendo delle indagini (si legga il libro di Iacona dove si parla delle indagini del pm Robledo stoppate nel 2015 per sensibilità istituzionale).
L'impatto sull'occupazione stabile non c'è stato.
Le proposte per un modello diverso di gestione del cibo, per diminuirne gli sprechi, solo promesse.

E poi c'è la Milano che non si vede: leggetevi qui l'articolo di Emanuele Coen che cita due autori importanti dello scenario milanese, Alessandro Robecchi e Gianni Biondillo.
Poi leggetevi due loro romanzi, dove parlano delle tante Milano, distanti anni luce non solo come immagine, ma anche come abitanti: sono due gruppi quasi antropologicamente diversi.
La Milano dei quartieri centrali e delle periferie come quella in piazza Selinunte, dove la giustizia dello Stato non arriva, in "Torto marcio" di Robecchi e l'occupazione delle case è in mano ai meno cattivi dei cattivi:

«Ti hanno cercato i calabresi». «Quale?». «Quello basso». Quindi questioni di case, pensa Francesco. I calabresi si occupano di tanti traffici, lì dentro, ma il business principale è quello degli alloggi.Sanno quali sono vuoti e quali si possono liberare con piccole innocue minacce. Buttano giù porte e procurano chiavistelil nuovi.Per cinquemila euro puoi avere la tua casa popolare, un prezzo onesto se pensi che spesso è gente che ne ha spesi altrettanti per attraversare il mare su un canotto del cazzo.Scampati ai negrieri, arrivano qui e trovano due fratelli che sembrano usciti dritti dal neorealismo, che li rapinano per la casa. Ma almeno dormono in un letto, per la prima volta dopo chissà quanto tempo.Francesco non è mai riuscito a tracciare un confine certo tra ingiustizie della vita e gente che ne approfitta. Tra racket degli alloggi e gente con un bambino in braccio che ti dice «non so dove dormire».E comunque, no, i calabresi non sono befattori, questo lo sa.«Hanno i loro cazzi, adesso» dice Chiara.E' una cosa che lo lascia sempre di sasso: pare che lei sappia cosa sta pensando [..]Ma sì, sa cosa vuol dire Chiara. Adesso c’è un’altra banda, nordafricani, non si sa di dove, esattamente. Hanno cominciato piazzando due famiglie alla scala F, ora chiedono altri posti per amici loro. Mafuz, che è l’altro potentato dei palazzi, ha deciso di abbozzare, non interverrà perché non vuole casini, i calabresi non hanno più il monopolio, ma questo pare turbare solo i calabresi. Giustamente. 
«E che voleva?» «Parlare. Faranno un incontro, Mafuz, loro due della Calabria Saudita e questi qui nuovi, che pare siano cattivi un bel po'. Vorrebbe che qualcuno del collettivo fosse presente, credo così .. per avere testimoni del patto».Francesco Girardi sorride, si asciuga con un vecchio telo da mare, mette un paio di pantaloni corti e una magietta della Mano Negra, antiquariato puro.«Cioè, adesso il collettivo per il diritto alla casa diventa una specie di sensale per gli accordi mafiosi?», dice. Lei alza le spalle:«Ma sì, lo sai... Dice che può venire fuori qualcosa per noi, che Mafuz vuole solo che non ci sia casin, così i suoi ragazzi possono vendere la loro merda senza problemi, ma vogliono un accordo preciso .. hanno paura che quelli nuovi si allarghino... e noi abbiamo Giovanna e Illa da piazzare, lo sai, no?». 
Politica, pensa Francesco.Trattative, accordi, compromessi, dare, avere, buoni rapporti con i cattivi... Ma lì dentro i buoni dove sono? Ah già, saremmo noi, pensa Francesco, che ridere.

La Milano degli italiani brava gente che si sfogano sull'immigrato venuto da noi a ribare il lavoro:

“Gli eroici vigliacchi iniziarono a bombardare di lattine vuote e sassi raccolti per terra il baracchino ambulante. Avevano mesi di affitto inevaso, la corrente elettrica tagliata, un conto in rosso in banca, un assegno di disoccupazione, un lavoro in nero, una pratica di divorzio in corso, un fido negato, una causa col condominio, la macchina da cambiare, lo scaldabagno rotto, una suola bucata, il cellulare di vecchia generazione, la figlia che doveva fare la cresima e voleva il vestito nuovo, la fattura del dentista da saldare, le vacanze programmate a Sharm el Sheykh saltate, una litigata furibonda col principale una moglie depressa, e sapevano, sapevano all’unisono, che la colpa di tutto ciò era senza ombra di dubbio di quel fottuto musulmano del cazzo che faceva panini nel cuore della notte nelle strade di Milano”.

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