31 maggio 2018

La voce del violino, di Andrea Camilleri



Incipit

Che la giornata non sarebbe stata assolutamente cosa il commissario Salvo Montalbano se ne fece subito persuaso non appena raprì le persiane della càmmara da letto. Faceva ancora notte, per l’alba mancava perlomeno un’ora, però lo scuro era già meno fitto, bastevole a lasciar vedere il cielo coperto da dense nuvole d’acqua e, oltre la striscia chiara della spiaggia, il mare che pareva un cane pechinese.
Dal giorno in cui un minuscolo cane di quella razza, tutto infiocchettato, dopo un furioso scaracchìo spacciato per abbaiare, gli aveva dolorosamente addentato un polpaccio, Montalbano chiamava così il mare quand’era agitato da folate brevi e fredde che provocavano miriadi di piccole onde sormontate da ridicoli pennacchi di schiuma. Il suo umore s’aggravò, visto e considerato che quello che doveva fare in matinata non era piacevole: partire per andare a un funerale.

Una storia di scangi, di scambi, quella che ci racconta Andrea Camilleri in questo romanzo (uno dei primi con protagonista Andrea Camilleri).
Un ragazzo con problemi scambiato per un assassino, una scarpa per una bomba, un ragazzino, Francois, che addirittura scambia famiglia.
E un violino di poco prezzo che viene scambiato per un violino dal valore incommensurabile:

Tutto era stato, fin dal principio, uno scangio dopo l'altro. Maurizio era stato scangiato per un assassino, la scarpa scangiata per un'arma, un violino scangiato con un altro e quest'altro scangiato per un terzo ..

Sarà proprio la voce del violino, di quel violino che è lì dove dovrebbe stare ma che è incongruo rispetto al contesto, che sarà di spunto per Montalbano, per capire cosa non torna nella morte di Michela Licalzi.
Una donna bellissima che da Bologna si era innamorata della Sicilia e che qui stava costruendo la sua villetta.
Un delitto scoperto per caso, per un incidente in cui la macchina del commissario va a scontrarsi proprio con la Twingo di Michela: come mai dopo una giornata intera, nessuno è andato da loro a reclamare il danno?
E la curiosità, o senso dello sbirro, fanno sì che una notte Montalbano scopra quel corpo, strappato alla vita
.. al contrario di quello di sotto, qui regnava un notevole disordine. Un accappatoio di spugna, rosa, era stato gettato a terra, come se chi lo portava se lo fosse levato di prescia. La terza era la càmmara da letto padronale. E certamente della giovane e bionda padrona era il corpo nudo, quasi inginocchiato,, con la pancia appoggiata al bordo del letto, le braccia spalancate, il viso sepolto nel lenzuolo ridotto a brandelli dalle unghie della donna che l'aveva artigliato negli spasimi della morte per soffocamento.

Un delitto scoperto per caso e che viene scippato al commissariato di Vigata per un puntiglio di Montalbano, sbirro vecchio stile che non sopporta i modi della scientifica e nemmeno l'astio del nuovo Questore Bonetti Alderighi

Il commissario contemplò l'inquietante capigliatura del suo superiore, abbondantissima e con un grosso ciuffo in alto, ritorto come certi stronzi lasciati campagna campagna..
Scippato del caso e scippato anche del piccolo Francois (il bambino protagonista del precedente romanzo Il ladro di merendine), che ora non vuole più abbandonare i nuovi fratellini, dopo il trauma subito:
«Ma che te ne fotte? L'indagine non ti appartiene più!»Spense la luce, si ricoricò.«Come Francois», aggiunse amaramente

In questo romanzo troviamo Montalbano alle prese con le sue paure sulla sua paternità, le difficoltà nel rapporto a distanza con Livia.
Un rapporto fatto di “sciarriatine” al telefono e di riappacificazioni.

Ma a farla da padrone è il Montalbano investigatore, vero deus ex machina di tutti gli eventi che ruotano attorno all'omicidio della bella Michela, bionda come bionda è il ricordo madre
«A mamà era biunna?» aveva domandato una volta il piccolo Salvo al padre.«Frumento sutta u suli» era stata la risposta

Non sarà la scienza a risolvere il caso ma, come detto prima, la voce di quel violino trovato dentro il villino della signora Licalzi.
La capacità di seguire il filo del caso senza seguire la via dell'ovvio, della soluzione più semplice.
La capacità di leggere nell'animo umano.
Di sfuggire agli agguati del caso e dei ricatti della mafia, osservatrice non indifferente di investigatori superficiali e cinici.
Di sfuggire al fascino di belle donne, come Anna, l'amica di Michela, insegnate di fisica, che rischia di mettere in crisi il suo rapporto con Livia.
Passato il ponte fermò l'auto, ma non scese. C'era luce nella casa di Anna, sentiva che lei lo stava spettando. Si addrumò una sigaretta, ma arrivato a metà la gettò fora dal finestrino, rimise in moto, partì. Non era proprio il caso di aggiungere un altro scangio.

La scheda del libro sul sito dell'editore Sellerio
Il sito di Vigata.org
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

30 maggio 2018

Il problema del debito

Ho sempre sentito dire per mettere al riparo il nostro paese dalle fluttuazioni del mercato e dal nervosismo degli investitori (come in questi giorni) si deve ridurre il debito.
Ecco, pensavo a questo, mentre ascoltavo l'ex Presidente Renzi attaccare il duo Salvini Di Maio ritenendoli responsabili del rialzo dello spread.
Se lo spread a quota 300 è colpa della dabbenaggine di Lega e 5 stelle, parte di questa colpa sta anche chi in questi anni il debito non l'ha fatto scendere.

Ognuno deve prendersi le sue responsabilità: se lo spread dovesse risalire, per l'impossibilità di formare un governo (tecnico con Cottarelli o politico nuovamente con Lega e 5 Stelle) la colpa sarebbe anche del PD che sta giocando anche lui la sua mano a poker.

Di questo passo, se si continuano ad applicare in modo ottusamente burocratico queste regole, con queste politiche, con questi vincoli, non solo non abbasseremo mail debito, ma continueremo a peggiorare la nostra situazione economica: Francia e Germania non si fidano di noi (e certamente le proposte iniziali del contratto di governo sul debito da tagliare non avranno fatto loro piacere) e per questo hanno studiato regole più stringenti per le banche.
Milena Gabanelli sul corriere propone un altro modello di gestione del debito, che passa per una nuovo fondo salvastati, comune a tutti i paesi europei:


Un’assicurazione sul debito 
Nell’assoluto vuoto politico una proposta alternativa nasce da un gruppo di economisti italiani, fra cui Marcello Minenna (direttore Consob), Roberto Violi (direttore Bankitalia), Giovanni Dosi (professore ordinario all’università Sant’Anna di Pisa ) e Andrea Roventini (professore associato sempre a Pisa) supportati anche in sede Ocse (dal policy advisor del Tuac Ronald Janssen). L’idea è quella di togliere il debito dalle spalle degli Stati — non farne più di nuovo — e assicurarlo attraverso un vero Fondo Salvastati (quello attuale, l’Esm, è sotto lo scacco della Germania). Facciamo un esempio: quest’anno all’Italia scadono un miliardo di titoli di Stato? Quel miliardo va rifinanziato, e il Tesoro lo fa emettendo sul mercato titoli a tassi di interesse più bassi pagando una polizza al fondo, che assicura gli investitori dai rischi. Lo stesso fanno tutti gli Stati membri, man mano che il loro debito scade. Chiaramente la polizza italiana costerà di più di quella francese o tedesca, ma intanto ti levi un rischio, e tempo 10 anni, tutti i Paesi avranno tutto il debito assicurato. A quel punto, con un unico soggetto garante, il debito avrà un solo tasso di interesse uguale per tutti.

Vogliamo un'Europa più unita? Ecco, perché non provare questa strada?

29 maggio 2018

Difendere la democrazia (da se stessa)

Bene, ora che abbiamo difeso la democrazia, chi ci difende dai mercati?
Cottarelli evidentemente non va bene. Lo spread sale (e alla fine pagheremo noi).

A mezzogiorno sui giornali online erano già presenti liste di probabili ministri e ora si parla di voto a luglio.

PS: mi chiedo quale sia l'obiettivo degli europeisti alla Oettiger?
Che lezioni vuole dare agli elettori italiani?
Di questo passo chi si metterà più a difendere l'Europa di fronte a frotte di elettori sempre più inferociti?


Pro o contro


Stiamo perdendo ancora una volta di intavolare una discussione seria su cosa vogliamo fare da grandi, come Italia e come Europa.
Non sono ammesse oggi vie di mezzo: o pro o contro, o #ilmiovotoconta o #iostoconmattarella.
O grazie Mattarella per aver difeso la Costituzione oppure impeachment per Mattarella.
La polizia sta pure monitorando la rete per braccare gli insultatori alla @Napalm51 che si sono sfogati sui social.

Il risultato è che dopo le parole ammonitrici dalla Germania (abbiamo trovato un accordo con tutti, anche con Tsipras dopo che ha cacciato Varoufakis) ci becchiamo un governo tecnico, a rischio sfiducia.
E questa Europa che è unita solo per quanto riguarda la tenuta dei conti.
Un po' come la nostra Costituzione che, stringi stringi, si riduce solo ad una questione di trattati economici.
E che la politica fosse qualcosa di più che un azzardo a poker (e qui mi riferisco a Salvini)

28 maggio 2018

Sovranità limitata

Non so è stato un caso oppure c'è un disegno sopra la coincidenza (o forse è solo complottismo): l'anniversario di una strage fascista di 44 anni fa e la misera fine del governo del cambiamento.
Forse è colpa mia, a vedere complotti da tutte le parti.
Eppure...
La bomba fascista scoppiata in piazza della Loggia a Brescia, piena di persone per la manifestazione indetta dai sindacati contro l'insorgere del neofascismo, è stato uno degli episodi della strategia della tensione. Serviva a destabilizzare, creare terrore per poi stabilizzare l'asse politico al centro e impedire quel cambiamento che il nostro paese non poteva permettersi.

Lo abbiamo scoperto solo dopo: dopo anni di depistaggio, finte piste, altre morti, anni di giustizia mancata per i parenti delle vittime.
C'era un'espressione che raccontava la nostra situazione in quegli anni: eravamo un paese a sovranità limitata.

Leggere oggi la sentenza che ha portato alla sbarra alcuni responsabili (ma non tutti e non i mandanti) da comunque un senso di incompiutezza, di un qualcosa che manca. Il rimpianto di un paese che avrebbe potuto essere e che non è stato per colpa di forze superiori ed esterne alla volontà popolare.

Cosa c'entra questo con quanto successo ieri?
Il presidente Mattarella ha bocciato la nomina a ministro di Paolo Savona, bocciando di fatto l'investitura a Presidente del Consiglio di Conte e il governo Salvini-Di Maio.
Era suo potere farlo, lo dice la Costituzione: ha spiegato che la ragione del suo no a Savona nasce dal rischio per i mercati, per i nostri risparmi e per i mutui delle famiglie italiane.
Lo spread che è salito in questi giorni.
I titoli e le vignette dei giornali stranieri che commentavano un governo non ancora in essere, solo dalle dichiarazioni (in parte dissennate) rilasciate dai vincitori.

Eppure mutui e risparmi sono andati in fumo anche l'anno scorso quando lo spread è salito a 212.
Quando c'è stato il crack degli istituti bancari ed è stato tutto risolto dal bail in.

Savona, forse, paga la colpa di aver detto quanti pensano su Europa ed Euro: il no di Mattarella porterà ora ad un governo tecnico e, alle prossime elezioni, ad una più ampia vittoria del fronte antieuropeo.
Una bella responsabilità.
Per noi di sinistra ci sono scenari più inquietanti: trovarsi alle prossime elezioni tre grandi blocchi PD + FI (assieme), Lega + estrema destra e il M5S.
Un incubo, almeno per una parte del paese.

In molti inizieranno a pensare che questa europa e questo sistema economico finanziario non si può cambiare, sebbene intervenga pesantemente sui processi democratici.
Un governo lo puoi bocciare, se fa politiche sbagliate.
Ma poi quanto conta il tuo voto?
Sovranità limitata, appunto.

Mattarella ha difeso le sue prerogative, la Costituzione, i risparmi certo.
Ma come la mettiamo con la sovranità che appartiene al popolo? 
"La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione": ecco quanto è emerso ieri è uno di quei limiti delle attuali istituzioni italiane ed europee che dovremo prima o poi affrontare. 

Consulenze d'oro, la vendita del Milan e AirBnb – le inchieste di Report


Lunedì 21.15 Rai3 Le grandi società di consulenza certificano i bilanci della pubblica amministrazione, delle banche, delle grandi aziende. Fanno anche i corsi anticorruzione. Ma quanto sono pure e trasparenti? E poi: cosa c'è dietro l'acquisto del Milan, di chi sono i 740 milioni di euro?»

Anche questa sera tanti argomenti: ma l'anteprima della puntata ci parla di sostenibilità e di scarti dell'industria che possono essere utilizzati in nuovi prodotti.
Per esempio gli scarti della frutta che oggi si possono indossare e che trattati nel modo giusto diventano morbidi come la seta. Nell'anteprima del servizio di Alessandra Borella viene intervistata la fondatrice di Orange Fiber: stupisce vedere una sciarpa e pensare che arriva dagli scarti di una arancia perché si pensa che sia un prodotto di non lusso: noi invece abbiamo voluto dimostrare esattamente il contrario, non è un prodotto di bassa qualità.
Anche il lusso può essere sostenibile ed essere attento all'ambiente: le 700 tonnellate di rifiuti agrumicoli potrebbero vestire il mondo, perché per fare un metro di questo tessuto servono tre kg di buccia d'arancia.


I rifiuti possono anche diventare suppellettili e perfino opere d'arte, come quelle firmate dall'urbanista ungherese Friedman.
Obiettivo è stimolare un consumo più consapevole del cibo e dei prodotti che compriamo: lo stesso principio che ha ispirato un'azienda a Vicenza (Alisea e Perpetua) che produce matite, esportate in Australia, fatte con gli scarti di grafite (e non col legno).
"Dalla culla alla culla", come dice il guru dell’economia circolare Walter Stahel: un'economia "pensata per potersi rigenerare da sola” in un processo di riciclo virtuoso. Così, con i fondi di caffè si può produrre di tutto e dai pannolini usati nascono mollette da bucato, la grafite diventa una matita senza legno e le bucce di arancia si trasformano in un tessuto morbido come la seta. Sono numerosi gli scarti industriali riutilizzabili, dalla carta al vetro, alla plastica recuperata dagli oceani trasformata per produrre scarpe da ginnastica. Tra i grandi paesi europei l’Italia è quello che recupera più materia prima da reimpiegare nel sistema produttivo, il 18,5%. Il "pacchetto economia circolare" è stato da poco approvato in Europa. Tuttavia, con le norme vigenti, se lo scarto di produzione viene classificato come “rifiuto” anziché come “sottoprodotto”, è intoccabile e non può essere riciclato. 

Chi controlla i consiglieri – le società di consulenze strategiche

Le società di consulenza: fatturano centinaia di milioni di dollari in tutto il mondo e hanno un peso sulla nostra vita quotidiana più grande di quel che immaginiamo. Quanto sono pure? (E che c'entrano gli Oscar?)

Fanno politica, sia politica di investimenti, che politica industriale. Danno consigli su come spendere soldi pubblici, su dove investire e su dove tagliare.
Ma non sono persone elette o nominate: sono le società di consulenza che si siedono a fianco dei manager, dei ministri, dentro la macchina dello Stato o dentro le grandi banche, per “dare consigli”.
Il servizio di Giulio Valesini cercherà di fare chiarezza: chi sono, quanto sono trasparenti, qual è la loro influenza, come usano i soldi che incassano per il loro lavoro?


Una di queste è la PWC (PricewaterhouseCoopers), la multinazionale della consulenza che aveva firmato i bilanci di Banca Marche (uno dei crac bancari che Report aveva raccontato l'anno scorso con Paolo Mondani) nel 2008, certificandone la bontà senza evidenziare alcun problema.
A Jesi PWC se la ricordano bene: contro questa società oggi pendono diverse cause per risarcimento , sia da parte degli allora commissari dell’istituto di credito (per 180 milioni di euro), che dalle Fondazioni marchigiane ex proprietarie, sia da parte di alcuni risparmiatori, alcuni dei quali sono stati ascoltati da Report e li potremo vedere lunedì in trasmissione.
«La PwC se la ricordano bene i risparmiatori per le certificazioni dei bilanci di Banca Marche. Dopo un commissariamento di tre anni la banca è fallita nel 2016 , affondata da sei miliardi di crediti deteriorati. Un pozzo senza fondo che ha fatto sparire i risparmi del territorio», sottolinea il servizio di Report. Al centro della querelle, l’aumento di capitale della primavera del 2012, certificato dalla società di revisione nonostante le ispezioni di Banca d’Italia avessero iniziato a mettere in luce dubbi sui conti e sulla gestione dell’istituto di credito.

Banca Marche è fallita nel 2016, affondata da 6 miliardi di crediti deteriorati: un pozzo senza fondo che ha fatto sparire i risparmi del territorio.
La Consob ha contestato alla Price ben 40 principi della corretta revisione: lavorò anche al prospetto informativo per l'aumento del capitale, presentato ai risparmiatori, dove attesto come veritiero il piano industriale della banca che prefigurava un utile di 92,4 ml. Insomma, era un buon affare investire in Banca Marche.

Su Raiplay trovate un'anticipazione: si parte dalla gaffe nella notte degli Oscar 2017, quando un consulente della PWC consegna a Warren Beatty il foglio sbagliato per il miglior film, Lalaland invece che Moonlight.
La società di consulenza aveva il compito di conservare le buste dei giurati fino alla premiazione.
Non è la prima volta che la credibilità dei colossi delle consulenze strategiche viene meno: passiamo dagli Oscar a Londra, aprile scorso, con le proteste dello staff del British Museum, gli ex dipendenti della società Carrilion, addetti alle pulizie che non ricevevano stipendi da mesi.
L'azienda che gestiva le pulizie era finita in bancarotta a gennaio: i dipendenti delle pulizie una volta lavoravano direttamente per il museo, fino alla loro esternalizzazione.
Fino a pochi mesi fa Carillion era considerata una multinazionale solida: aveva però debiti nascosti per 1 miliardi, debiti sfuggiti anche alla società di revisione KPMG. Per certificarne i bilanci incassava 1,5 ml di sterline, ma non si erano accorti di nulla.
Il Parlamento inglese istituisce una commissione di inchiesta sul fallimento e chiama in causa anche KPMG: “non vi farei certificare nemmeno il mio frigo, perché non sapreste cosa c'è dentro”.
KPMG risponde che certificherebbe ancora quel bilancio perché succede, nel settore edile, di perdere 1 miliardo di sterline.

La scheda del servizio: POKER D’ASSI di Giulio Valesini in collaborazione di Simona Peluso e Cataldo Ciccolella
 Re Artù aveva al suo fianco il fidato Mago Merlino. I capitani d'industria e i funzionari statali oggi hanno accanto le “big four”, il poker d'assi della consulenza e revisione. Network di società e studi legali che fatturano centinaia di milioni e sono ovunque nel mondo. Perché ci dovrebbe interessare? Perché indicano alle aziende come muoversi nei paradisi fiscali o ristrutturare unità produttive, spesso tagliando migliaia di posti di lavoro, certificano i bilanci delle banche, anche quelle che poi fanno crac. E poi fanno analisi per le indagini giudiziarie, aiutano la pubblica amministrazione a gestire i fondi europei e qualche volta finiscono anche a lavorare dentro ai ministeri, persino accanto ai ministri più strategici. Mentre con la mano sinistra, in certi casi, indirizzano i privati che a quei fondi e a quelle politiche sono interessati. Insomma si tratta di un pezzo di potere poco conosciuto ma molto influente. E Report ve lo racconta, in una puntata di vero servizio pubblico. 

Da dove vengono i soldi per la vendita del Milan

Il servizio di Luca Chianca è un derby tutto calcistico: cosa c'è dietro il suicidio di uno juventino e dietro l'acquisto del Milan?

Lunedì Report guarderà da vicino l'operazione con cui, un anno fa , Yonghong Li ha comprato la squadra da Silvio Berlusconi.
Dei 740 ml dell'operazione, ben 200 ml arrivano dal paradiso fiscale delle British Virgin island, 304 ml dal fondo Elliot (quello che ora, grazie a CDP ha preso il controllo di Tim a spese di Vivendì).
Chi è allora il vero padrone del Milan e da dove vengono i soldi entrati nelle casse di Fininvest?

La scheda del servizio: IL GIOIELLO DI FAMIGLIA di Luca Chianca con la collaborazione di Alessia Marzi

Ad aprile del 2017 dopo 31 anni e 29 trofei all'attivo Silvio Berlusconi vende il suo Milan a Mr Li, un cinese del Guangdong e residente a Hong Kong. Ma chi è veramente Yonghong Li? Nessuno lo sa. L'operazione però vale ben 740 milioni di euro che entrano nelle casse della Fininvest da una serie di società con sede nel paradiso fiscale delle British Virgin Island. Per concludere l’acquisto Mr. Li è stato seguito dalla Rothschild il cui vicepresidente a Londra è Paolo Scaroni, ex Eni, da sempre vicino al Cavaliere. In Cina però Mr. Li ha avuto diversi problemi con una delle sue holding: mentre stava prendendo il Milan aveva i creditori alle costole e, pochi mesi fa, un tribunale cinese ne ha dichiarato il fallimento. E infatti dopo aver dato i primi 300 milioni, Yonghong Li, a pochi mesi dal closing, ha difficoltà a trovare i soldi per chiudere l'acquisto. Provvidenziale, arriva il Fondo Elliott con un prestito che gli consente di chiudere l'operazione. Ma chi c'è dietro al Fondo? 

Il paradiso (fiscale) di Airbnb

Abbiamo fatto un viaggio dentro il mondo di #Airbnb, per scoprire che molti host sono in realtà grandi società immobiliari e non semplici cittadini che arrotondano: il giornalista di Report si è messo a cercare un appartamento a Firenze, tra tanti annunci.
All'appuntamento per la consegna delle chiavi, ha scoperto che la casa non era delle due persone ce avevano messo l'annuncio, ma di una agenzia. Ovvero, ci sono agenzie pubblicizzano le loro vendite nascondendosi dietro cittadini normali.

Da Firenze a San Francisco, patria di AirBnb, la più grande azienda turistica al mondo: tanto diffusa, vero, ma le tasse sono pagate solo dove c'è una società, peccato che le sedi stiano anche in diversi Paradisi Fiscali.

Un altro problema di cui parlerà il servizio riguarderà lo spostamento di popolazione da queste grandi città, per colpa di prezzi di affitto troppo alti: per far spazio ai manager delle società della rete, le persone normali devono fuggire dal centro.
I proprietari delle case hanno alzato il valore degli affitti, per metterli fuori mercato e costringere le persone a lasciare le case o a essere sfrattate, e poi hanno messo questi appartamenti in affitto su Airbnb.

La scheda del servizio: UN SOGGIORNO IN PARADISO (FISCALE) di Manuele Bonaccorsi in collaborazione con Lorenzo Di Pietro
 
È il nuovo modo di viaggiare, che sta soppiantando bed and breakfast e alberghi: Airbnb gestisce nel mondo 4,8 milioni di annunci.  In Italia, nel 2017 ha dato ospitalità a 7,8 milioni di turisti. Parola d’ordine: condivisione. Non solo di una camera da letto, ma di un’esperienza reale, tra la gente che vive davvero il luogo che visitiamo. Ma è così? Abbiamo fatto un viaggio dentro il mondo di Airbnb, per scoprire che molti host sono in realtà grandi società immobiliari e non semplici cittadini che arrotondano. E che nei centri storici il fenomeno degli affitti a breve termine sta producendo un esodo degli abitanti. In Europa sono corsi ai ripari, limitando la possibilità di affittare le case ai turisti. Negli Stati Uniti, a San Francisco dove Airbnb è nata, il Comune è riuscito a farsi consegnare dalla piattaforma web i dati degli host, per poter governare il fenomeno e colpire l’evasione fiscale. E in Italia? Una legge ci sarebbe, ma Airbnb ha fatto ricorso e ha deciso di non applicarla. Anche per evitare che il fisco bussi alla porta della multinazionale californiana, che scherma i suoi profitti nei paradisi fiscali. 


27 maggio 2018

La repubblica degli hashtag

Siamo passati dall'hashtag #senzadime a #vogliamosavona.

Passeremo da un governo scelto da un segretario di partito ad un altro governo il cui presidente è scelto dai due leader politici.

Passeremo sempre dalle forche caudine dell'Europa, dell'America dei mercati, dello spread.



La Lega e il M5S ci porteranno in Ungheria: il partito di Orban, dentro il partito popolare europeo, a fianco della Merkel.



Savona non va bene perché anti Europa. Mentre quelli di prima erano europei quando promettevano (il pil in crescita, la riduzione del debito) e anti europei quando toglievano la bandiera europea dalle spalle.

Passerà tutto, forse anche questa ipotesi di governo. Rimarremo sempre un paese a sovranità limitata per colpa dei nostri limiti: primo fra tutti una politica debole, fatta di personalismi, di tigri da tastiera sui social, con poche idee ma confuse.

26 maggio 2018

Uccidete il Camaleonte, Carlo F. De Filippis



Una nuova indagine del commissario Vivacqua

Incipit

.. sfilò il coltello, lo fece scattare. Si girò di un quarto .. 
Domenica 8 agosto. Ore 4.20 
L'uomo dietro le tende masticava saliva, al buio. Si asciugò le fronte col dorso della mano, prese un lungo respiro e guardò fuori. I lampioni spandevano un bagliore colloso sul viale alberato.Poi nulla fino alla campagna, dove il colpo d'occhio non offriva che oscurità e silenzio. Spinse lo sguardo in fondo alla strada. Nessuno in giro. Assaporò la discrezione della solitudine. Riusciva appena a distinguere le palazzine del circondario affogate nell'ombra della notte: una selva di torri diffidenti prive di luce. Sulla statale, macchine solitarie sfrecciavano indifferenti a tutto il resto. Alle quattro del mattino di domenica, quel flusso di chiarori lontani non aveva nulla di minaccioso, era perfino rassicurante.Con la mano destra pizzicò il guanto e lo lasciò schioccare sul palmo della mano. 
Stlack!

Ma quanto mi piace il commissario Vivacqua! Siciliano come il più noto commissario Montalbano, ma nella borghese Torino e non nella provincia (inventata, ma molto reale di Vigata).
E non è l'unica differenza, Salvatore Vivacqua detto Totò, è pure sposato con tanto di figli: tanto comanda i suoi uomini in commissariato, tanto si trova sotto bacchetta dentro le mura domestiche, perché pure Assunta, la moglie, con cui condivide gioie e dolori, ha un bel caratterino.

Siamo in pieno agosto, a Torino: la polizia è alle prese con una serie di omicidi in cui le vittime sono tutte donne, giovani e belle ragazze trovate morte in casa, con la gola tagliata.
Un serial killer, dunque: quel genere di omicidi che tanto appassionano gli spettatori dei talk (e i lettori dei gialli), quanto rappresentano invece una piaga per gli investigatori, per la pressione che sono costretti a subire. Sono otto le ragazze uccise fino a quel momento, e altre ragazze sono a rischio di fare la stessa fine, se non viene arrestato l'assassino: per questo la squadra omicidi viene affiancata da altri investigatori venuti da Roma:
Per beccare il mostro, era salita dalla Direzione Centrale Anticrimine di Roma la squadra di cacciatori più cazzuta che si fosse mai vista a Torino: quindici elementi più il capo, la dottoressa Gardenia, responsabile del settore crimini seriali, un profiler, un cervellone di matematica statistica, un vittimologo, un esperto di linkage, ovvero lo specialista che sa tutto degli altri crimini ..

E la squadra antimostro, usando tutti i suoi strumenti, informatici e psicologici, arriva a catturare un presunto mostro, il cui volto viene sbattuto in prima pagina affinché il buon cittadino a casa possa fare il suo lombrosiano commento:
Vivacqua stirò il giornale e cacciò un gran sospiro. Ancora cinque giorni di lavoro e sarebbe partito per le vacanze con il cuore in pace. La cattura di Fabbricatore era una mano santa anche per il suo reparto ..

Ma a quelle vacanze assieme alla famiglie e al cane Tommy, Totò dovrà rinunciare: il mostro, il serial killer ha ucciso ancora.
Si tratta di una parrucchiera con un suo negozio, che ogni tanto, per tenere alto il suo tenore di vita, arrotondava con qualche marchetta.
Anche lei, come le altre vittime, uccisa con un taglio alla gola.
Come negli altri casi, l'assassino non ha lasciato impronte, non ha lasciato alcuna traccia, nemmeno biologica: è entrato in casa della vittima, ha ucciso e ha ripulito tutto.
Un maniaco. In tutti i sensi.
Così, il Questore Renier, detto il Doge (per una antica discendenza), chiede a Vivacqua e al suo vice di affiancare la squadra antimostro: un sacrificio doppio per il nostro commissario, prima di tutto perché dovrà lavorare con un team che non conosce, seguendo delle procedure che non lo interessano. A che serve sapere che è stato adottato, che ha avuto una madre ossessiva, se non sai come sceglie le vittime, come si muove, come fa a nascondersi.
Nascondersi e mimetizzarsi in mezzo alla gente: come un Camaleonte, appunto.
"In greco il suo nome significa Leone di terra, noi moderni lo chiamiamo camaleonte. E un rettile, un sauro più precisamente, piuttosto lento, capace di attendere la preda in totale immobilità per delle ore. Non è un animale sociale, vive per i fatti suoi, anzi disdegna i propri simili con i quali spesso ingaggia lotte mortali. Sa mimetizzarsi, si adatta perfettamente all'ambiente; alcune tribù ritengono che porti in sé lo spirito maligno dei morti. Noi invece parliamo di un essere umano che uccide, per follia, per rabbia, per comunicare la propria malattia."

C'è un altro motivo che preoccupa Vivacqua: non è l prima volta che ha anche fare con un pazzo, già anni prima, quando lavorava a Bergamo, la sua strada si era incrociata con un serial killer che lo stava per colpire molto da vicino.

Mentre osserviamo gli investigatori battere tutte le piste e ascoltare le colleghe di Lilly (l'ultima vittima) per cercare di capire come fosse stata avvicinata dall'assassino, vediamo quest'ultimo muoversi per prepararsi ad una nuova ragazza da colpire.
Anzi, per una nuova ragazza da sposare, secondo un suo rito:
Chiuse gli occhi, distese la mano sinistra e immaginò la sposa infilare l'anello. Percepì la sensazione del metallo che accarezzava la pelle, incespicava, saliva sull'anulare e si posizionava per restare lì: un gesto sensuale, quasi erotico.«Vi dichiaro marito e moglie» disse rapito.Premette un comando e gli altoparlanti attaccarono la marcia nuziale.Un mondo lontano tornò presente in un carosello di figure: il volto della madre, la stanza del pianterreno, affacciata sul porto, il mare che sciabordava monotono, lui bambino seduto coi pantaloncini corti ..

L'uomo, così viene chiamato per gran parte del romanzo, è un uomo che vive con la mente bloccata ai tanti ricordi del passato, al dolore che che si è impossessato della sua anima, da costringerlo ogni volta a dover cercare una nuova ragazza, da corteggiare e sposare.
Fino alla morte:

Guardò scorrere la raccolta, come faceva tutti i giorni. Ammirò Mina, Deborah, Patty, Clivia .. Otto magnifiche spose; era un uomo fortunato a ricevere tanto amore.

La caccia al Camaleonte metterà a dura prova il fisico e lo spirito di Vivacqua e della sua squadra: il vice Santandrea e gli ispettori Migliorino e Gargiulo.
Perché il Camaleonte arriverà a sfidarli, andando a colpire le persone che stanno loro attorno, come se volesse lanciare loro una sfida.
E perché non si può osservare un fenomeno, toccarlo, senza che si creino delle modifiche o delle conseguenze imprevedibili: è il principio di Heisenberg, modificato secondo i principi di Totò Vivacqua
Il primo risultato del principio di Heisenberg lo pagava di persona: non puoi mettere le mani su una serie di omicidi senza sentire il sangue impregnarti i vestiti; se nono lo catturi, finisci per far parte del crimine, quasi come un complice.

Riuscirà anche questa volta a vincere la gara contro il tempo, Vivacqua, per fermare la scia di sangue di questo assassino che sembra invincibile?
Chi è veramente il Camaleonte, da dove arriva tutto quel bisogno di una sposa, di mettere l'anello al dito di una donna? Che desiderio morboso e che fa paura, c'è dietro?
Si arriverà ad un secondo colpevole, uno dei protagonisti della storia parallela in cui si divide il libro: ma tutto si risolverà nelle ultime due ore: le due ore che vengono concesse a Vivacqua per risolvere tutti i suoi dubbi, tutte le cose che non tornano, con la sua tenacia e la sua testardaggine ..

La scheda del libro sul sito dell'editore Mondadori
Il blog dell'autore
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

25 maggio 2018

A cosa serve la politica

Non c'è più destra o sinistra..
A cosa serve la politica, se sono tutti uguali .

Ecco, la politica serve a questo: operaio licenziato per sostituzione da un robot.


Milano, dopo 30 anni in fabbrica operaio licenziato da una macchina. La lettera dell'azienda: "Sa fare il tuo lavoro"

La politica serve a governare questi cambiamenti: nessuno intende distruggere i robot, i progressi.
Ma non possiamo permetterci che siano questi progressi a governare noi, modello far west. 

La tutela dei nostri dati


Oggi entra in vigore il GDPR, la nuova normativa europea che ci tutelerà come cittadini su come le aziende usano i nostri dati personali.
Ce ne dovremmo essere accorti, per tutte le mail ricevute in questi giorni dai siti cui ci siamo registrati, che ci avvertivano del cambiamento.
La reazione da parte delle persone che ho incontrato e a cui ho provato a chiedere se sapevano qualcosa di questo GDPR variava dal "non ne so niente" a "che palle tutte queste mail".
Magari sono le stesse persone che non danno il cellulare in giro perché non si sa mai, ma poi postano l'inverosimile della loro vita privata sui social.

Questa normativa dà più diritti a noi e richiede maggiori controlli alle imprese: come dovremmo aver imparato, siamo noi il prodotto, quando usufruiamo di servizi all'apparenza gratis.
Quando postiamo foto su Facebook o mettiamo un like.
Speriamo che questa legge funzioni e che, se dovesse rendersi necessario, rivendicare questi diritti, non si riveli macchinoso.

24 maggio 2018

Senti chi parla

Tutto si può dire di questo governo che ancora non esiste ma ha già una specie di programma (e un presidente incaricato che si dovrà attenere al programma): basta presidenti del consiglio non eletti, mai accordi con altri partiti, governo del cambiamento, terza repubblica .. 
Ma quello che non si può sentire sono le critiche di quelli che, per il momento sono passati all'opposizione.
Come Renzi, per esempio, e anche per scelta personale: 

Il governo delle "larghe intese populiste". "La nuova casta", con i leader di Lega e M5S che adesso "devono smettere di strillare su Facebook e iniziare a governare l'Italia". Perché "gli alibi non ci sono più". L'ex segretario del Partito democratico Matteo Renzi commenta nella sua enews la probabile nascita del governo a trazione grillo-leghista. "Dopo 80 giorni, ci siamo. Nel tempo necessario a fare un celebre giro del mondo letterario, l'alleanza tra Lega e Beppe Grillo ha più modestamente scritto un contratto e partorito il governo delle larghe intese populiste. Noi dobbiamo pensare a costruire un'opposizione degna di questo nome e prepararci a costruire l'alternativa se loro falliranno, quando loro falliranno". E all'attacco anche il centrodestra. Con Berlusconi che annuncia il no al nuovo governo e attacca il programma: "Scelte preoccupanti per l'Italia".
Non è che appena vai al governo diventi Kasta o establishment.
E non è che Renzi abbia mai disdegnato i social.
Forse oltre all'opposizione, dovrebbe riflettere sull'operato del suo governo, su quello che ci ha lasciato (una riforma del lavoro a metà, una riforma delle intercettazioni pericolosa, una riforma della scuola che non ne ha risolto i problemi, una legge elettorale che non funziona..).
Perché fare opposizione è facile (e penso ai mesi in cui Renzi faceva opposizione a Letta): governare meno, anche se ti fai un partito tutto tuo come Macron.

Di protesta e di rassicurazione

Una volta si parlava di partito di lotta e di governo: dopo la conferenza stampa di ieri sera, possiamo vestire la definizione anche addosso al presidente del consiglio incaricato.
L'avvocato del popolo ma anche capo di un governo che non ripudierà l'Europa.
Con Salvini e con Bruxelles che ha già lanciato i suoi moniti.
Altre minacce, nemmeno troppo velate arrivano da Clemens Fuest, economista della CDU: "La BCE dovrebbe verificare se è ancora possibile comprare titoli di Stato italiani".

Non male come esordio.
Siamo qui a spulciare il cv di Giuseppe Conte per capire dove ha studiato, se ha taroccato qualcosa (o magari se ha copiato la tesi senza indicare i testi delle citazioni) quando abbiamo il nemico alle porte.
Oggi siamo diventati tutti diffidenti: da Boccia, presidente di Confindustria, che si chiede dove troveranno le risorse. 
Chissà se anche questa volta riusciremo a tranquillizzare l'Europa con qualche promessa, con le clausole di salvaguardia o altri mageggi.

23 maggio 2018

Il complotto contro l'America di Philip Roth

Non è solo contro l'America il complotto: ma contro ciò che questa rappresenta: la giustizia, la libertà per tutti, un complotto contro gli ebrei americani in prima battuta, ma anche contro la repubblica americana.
Il piccolo Philip Roth, figlio di una famiglia benestante di Newark, New Jersey, è il testimone della ipotetica svolta antisemita dell'America. L'autore immagina che, nelle elezioni del 1940, l'aviatore Lindbergh 
vinca le elezioni presidenziali, sfruttando la paura degli americani per la guerra scoppiata nel 1939 in Europa. La politica dell'America cambia: smette di appoggiare le nazioni alleate, Francia e Inghilterra e, dietro una apparente neutralità, stringe un patto con la Germania nazista, diventando una nazione chiusa isolata dal resto del mondo. 

Lindbergh, davanti ad una sala di Des Moines piena di sostenitori plaudenti, tenne finalmente il famoso discorso radiofonico che nominava, <>, un gruppo che che rappresentava meno del 3 per cento della popolazione e al quale l'oratore accennò chiamandolo alternativamente <> e <>”. 
Philip vede con i suoi occhi la trasformazione del suo paese e, di riflesso della sua vita familiare: il padre viene chiamato “fanfarone ebreo”, per aver espresso le sue idee anti Lindbergh.
Durante una gita a Washington, gli viene dato un assaggio di come si sta trasformando la vita pubblica: con una scusa sono cacciati dall'albergo e subiscono minacce antisemite da altri turisti. Il trionfo di Lindbergh 
per classe media americana è il segnale di un inizio di stagione di caccia. Consci di quello che i nazisti stanno facendo agli ebrei in Europa, anche i Roth e altre famiglie ebree, temono che dopo le discriminazioni, anche qui possano iniziare le persecuzioni.
Queste paure dividono la comunità ebrea: all'interno di questa sono presenti persone che appoggiano il presidente e la politica che sta portando avanti. Perché il complotto è portato avanti in maniera insidiosa e solo poche persone ne intuiscono la pericolosità: queste vengono liquidate come folli, paranoiche.

Il rabbino Bengelsdorf rappresenta invece quella parte della comunità ebraica che non vede il pericolo: è infatti un collaborazionista della politica del presidente Lindbergh
Sposa una zia di Philip, Evelyn, e, ad una conferenza dei repubblicani, appoggia pubblicamente l'aviatore che mostra una medaglia da Hitler: la sua politica è tenere fuori l'America dalla guerra. 
Questo significa, egoisticamente, salvare gli ebrei americani e lasciare i suoi correligionari in Europa al loro destino. La spaccatura colpisce direttamente la sua famiglia: un cugino scappa in Canada per combattere contro i tedeschi, con i commandos canadesi. Tornerà ferito, disilluso, ferito nel fisico (gli viene amputata una gamba) e nel morale: su una sedia a rotelle prima e su una gamba artificiale poi, si lascerà andare, fino a finire nel giro della malavita, a controllare le macchinette da gioco. 

Il fratello di Philip, Sandy, sotto l'influenza della zia e del rabbino Bengelsdorf, si iscrive al programma Just Folks, che allontana i bambini ebrei dalle famiglie. Dopo aver trascorso un'estate a lavorare in una fattoria (di una famiglia rurale, ossia simpatizzante con Lindbergh), torna a casa incapace di comprendere perché i genitori si agitino tanto per Hitler e siano in preda a un “complesso di persecuzione”. Diventa reclutatore dell'organizzazione Just Folks: con questa il governo cerca di allontanare i giovani dalle proprie famiglie, “per meglio integrare gli ebrei nella società americana”. 


Nel racconto, Roth rappresenta bene le diverse facce dell'America: la famiglia cristiana del Kentucky e la famiglia ebrea del New Jersey. 
Mawhinney era cristiano, membro di vecchia data della schiacciante maggioranza che aveva fatto la Rivoluzione e fondato la nazione e civilizzato la selva e soggiogato gli indiani e ridotto i negri in schiavitù ed emancipato i negri e segregato i negri, uno dei milioni di buoni cristiani, puliti e laboriosi, che avevano colonizzato la frontiera, arato i campi, costruito la città, e che governavano gli stati, sedevano al congresso, occupavano la Casa Bianca, [...] uno di quegli inattaccabili protestanti nordici e anglosassoni che governavano l'America e sempre l'avrebbero governata – generali, dignitari, magnati, capitani d'industria, gli uomini che facevavo le leggie comandavano e quando volevano richiamavano all'ordine- mentre mio padre, naturalmente, era soltanto ebreo.”

La paura di Philip è che niente potrà più essere come prima, ed è ben manifestata da un suo incubo: immagina che su tutti i suoi francobolli della collezione appaia la svastica dei nazisti. Sulla serie dei parchi nazionali, (Yosemite, Grand Canyon, Zion ..) sulla faccia dei francobolli, “su quanto di più verde, bianco e blu ci fosse in America, da conservare per sempre in queste riserve incorrotte, era stampata la svastica nera”. 


Il complotto gli impone una visione di un mondo diviso tra noi e loro, basato sull'odio e sul sospetto: si trasforma da americano ebreo ad un povero ebreo d'America. È proprio questo l'obiettivo che il complotto del titolo di Roth intende raggiungere: espellere gli ebrei dall'America. Juden Raus.

Il governo, dopo aver sottratto i giovani alle loro famiglie, porta avanti un altro progetto: il trasferimento delle famiglie di religione ebrea con l'obiettivo “di indebolire la solidarietà della struttura sociale ebraica, come purre di ridurre la forza elettorale che una comunità israelitica poteva avere alle elezioni locali e congressuali”. Il padre rifiuta, preferisce andare a lavorare in un mercato ortofrutticolo e rimanere a Newark, piuttosto che abbandonare le sue radici. Il padre, Herman, sente che questa è la sua America, non è l'America di Hitler o di Lindbergh: sono loro ad essere estranei alla cultura e alla democrazia. 


Il complotto non è un romanzo storico, perché il passato che Roth va a rappresentare non è reale: l'autore è stato costretto ad agganciare il suo racconto alla storia troncandola in due punti. Il primo, nel 1940, con l'elezione di Lindbergh e la deriva antisemita. Il secondo nel 1942, con la sua caduta. La resistenza al complotto si raccolgono attorno alla voce di Walter Winchell che, dal suo programma radiofonico, scaglia le sue accuse contro Lindbergh. Viene criticato dal New York Times e, all'interno, dagli ebrei come Bengelsdorf definendoli “ebrei collaborazionisti ultracivilizzati”. Rimosso dalla radio, annuncia la sua candidatura alle primarie, per i democratico, per le elezioni del 1944, ma viene assassinato durante un comizio. Il sindaco di New York, durante il funerale, tiene un discorso nel quale si accusa il silenzio nel quale i nazisti d'America stanno agendo. In America si era detto, non potrà mai accadere: ma sta accadendo in realtà ...

Il discorso termina con la domanda ironica “Dov'è Lindbergh? ” E Lindbergh scompare, durante un volo, mentre la situazione peggiora: il potere è ora in mano al vicepresidente Wheeler, che porta la nazione in uno stato di terrore. Nei tumulti in cui sono presi di mira gli ebrei e le loro attività commerciali, vengono uccise 122 persone, come avvenuto nel 1938 durante la Kristalle Nacht. La moglie del presidente viene posta sotto custodia dall'FBI, l'esercito si mobilita per una guerra contro il Canada. Ma il paese reagisce: nelle elezioni presidenziali del 1942 viene rieletto Roosevelt e il Giappone bombarda Pearl Harbour. La storia, riprende così il suo corso.

Quanto c'è di immaginario e quanto c'è di vero nel libro di Roth?L'antisemitismo di Lindbergh (e di Ford, che nell'ipotetico governo assume il ruolo di ministro) era reale. Rappresentava un sentire comune nella società americana: un antisemitismo alimentato dalle comunità di immigrati europei, che si intrecciava nell'intolleranza nei confronti dei neri. Reali sono stati anche il Ku Klux Klan, i bundisti tedesco-americani, il partito di America First e il partito Nazista americano. 


Perché è un libro da leggere: perché appartiene alla categoria di quelli che ti allargano gli orizzonti. Ti fanno sorgere delle riflessioni: allora (in questa storia ipotetica) era la paura della guerra a spingere l'America verso l'isolazionismo. L'illusione di poter chiudere gli occhi e non vedere il nazismo, la repressione dei diversi (ebrei, in primo luogo, ma anche gli oppositori), la guerra e poter scendere a patti con esponenti del nazismo. Stringere quelle mani e non accorgersi che quelle mani sono ora sporche di sangue. Oggi il mondo occidentale, e l'America per prima, ha paura di tutto ciò che sta all'esterno dei propri confini: la paura del terrorismo sta portando ad altre chiusure. La storia che il libro di Roth racconta è ancora attuale.


La scheda del libro sul sito di Einaudi
Il link per comprarlo su Ibs

Quel 23 maggio di 26 anni fa


Quel 23 maggio 1992 non sapevo chi fosse Giovanni Falcone. Io come tanti altri italiani.
Conoscevo, certo, la parola mafia, ma non sapevo cosa fosse la mafia.
Il potere di intimidire, di inserirsi nei buchi dello Stato, la sua capacità di avvicinare politici, uomini delle istituzioni. E di colpire tutti quanti si mettessero di mezzo. Magistrati, poliziotti, sindacalisti..
La strage di Capaci, quell'enorme cratere che aveva ingoiato le vite di Falcone e della compagna, dei tre uomini della scorta (Montinaro, Dicillo, Schifani) saltati in aria e scagliati a decine di metri, aveva riportato la mafia sulle prime immagini dei giornali.
Forse ne avevo visto l'immagine in qualche articolo di giornale, ma non conoscevo bene Falcone, i suoi anni da magistrato antimafia nel pool di Chinnici prima e Caponnetto poi, assieme ai colleghi Borsellino, Di Lello e Guarnotta.


E poi l'istruttoria per il maxi processo scritta nel carcere dell'Asinara (come se i reclusi fossero loro): un'istruttoria in cui si ricostruivano anni di omicidi, traffici di droga per miliardi, appalti per il sacco di Palermo.
E poi tutte le altre cose tenute fuori dal processo, perché era ancora troppo presto per arrivare ad un processo: gli omicidi politici, La Torre, Mattarella, Dalla Chiesa, i rapporti con la politica, la DC di Andreotti Lima e dei fratelli Salvo.
I rapporti tra mafia e Gladio, per avvicinare nei salotti uomini d'onore e uomini d'affari.

Tutte cose emerse negli anni successivi, tanti le conoscevano già certo, ma serviva ancora tempo per far accettare agli italiani e a parte della magistratura questa verità.
Per conoscere la mafia serve aver studiato, letto, compreso. Oppure esserci nato dentro, averla vista muoversi, crescere. Altrimenti rimane qualcosa di lontano.
Come lo era per me, cresciuto felice (più o meno) in un piccolo paese della Brianza.

Chi conosceva veramente, in quegli anni in cui svaniva il sogno degli anni 80, la mattanza di Palermo (i mille morti in pochi anni, per il golpe dei corleonesi)?
Di mafia e di lotta alla mafia in Italia se ne parla solo quando avvengono i “cadaveri eccellenti”: Boris Giuliano, Pio La Torre, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, Beppe Montana e Ninni Cassarà ..
Tutti i nostri martiri civili.
Diventati martiri ed eroi solo dopo morti: perché da vivi, se uno ha letto la loro storia, hanno passati tanti sacrifici.
La solitudine di Dalla Chiesa e i superpoteri per combattere la mafia da prefetto di Palermo mai arrivati.
I sacrifici e le umiliazioni che ha dovuto subire Falcone, da vivo.
Le tante calunnie sul suo lavoro, sui fascicoli nel cassetto, le lettere del corvo.
L'attentato all'Addaura, opera di “menti raffinatissime”.

Tanto è stato osannato (e messo sul piedistallo) da morto, tanto la sua carriera è stata bloccata da vivo: prima per quel Giuda nel CSM che ne bloccò la nomina al pool al posto di Caponnetto, poi con la bocciatura a capo della superprocura antimafia.

“La mafia mi ucciderà e mi renderà giustizia” - così diceva di sé Falcone, consapevole dei rischi che correva: “Si muore quando si è lasciati soli, quando si entra in un gioco troppo grande”.

Il gioco troppo grande era la sua vita contro la mafia, culminata nella sentenza di condanna all'ergastolo dei boss, fine pena mai.
Il gioco che teneva assieme mafia, politica, massoneria, gli equilibri bloccati dell'occidente e del nostro paese fino al crollo del muro di Berlino.
Equilibri che dovevano mutare ma senza che il sistema, sotto la superficie, ne risentisse.
Non si poteva raccontare al paese, non nel 1992, quanto il sistema fosse marcio sotto: da Portella della Ginestra, alle stragi degli anni settanta, agli omicidi politici compiuti secondo un preciso disegno di cui aveva parlato lo stesso La Torre "omicidi in cui si realizza una singolare convergenza di interessi mafiosi e di oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica, fatti che presuppongono un retroterra di segreti e inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e debbono essere individuati e colpiti se si vuole davvero voltare pagina".

Oggi è la giornata in cui si ricordano i 26 anni dalla strage di Capaci: è la giornata dei discorsi pienidi retorica, dove si arriverà a dire che la mafia che è stata sconfitta.
Sconfitta perché sono stati arrestati gli esponenti dell'ala militare dei corleonesi (quelli degli omicidi politici dove si realizzava la convergenza di interessi ..).

E' la stessa mafia che oggi offre servizi alle imprese del nord, del centro e del sud e che viene richiesta da tanti imprenditori per i servizi (recupero crediti, smaltimento rifiuti, protezione) senza che nessuno denunci.
La mafia che oggi offre pacchetti di voti, senza che nei partiti si faccia alcun filtro.

La stessa mafia che ha saputo cambiare pelle, dopo Riina, arrivando a stringere con lo stato nuovi accordi, per una reciproca convenienza.
Sempre per quella convergenza di interessi.


Lo dice la sentenza (solo di primo grado) del processo alla “Trattativa stato mafia”: il ricatto agli organi dello Stato, portato avanti da mafiosi, con la complicità di uomini del Ros.
E con la copertura di uomini nel mondo politico.

Per questo sono morti Giovanni Falcone, Giovanna Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani.
Non dobbiamo dimenticarlo mai.

22 maggio 2018

Falcone e la pista Gladio - l'articolo di Antonella Mascali

Antonella Mascali è autrice di diversi libri sulla mafia e su Giovanni Falcone, tra cui "Vi aspettavo" e "Le ultime parole di Falcone e Borsellino" ha scritto oggi un articolo sul Fatto Quotidiano dove si parla di una pista che Falcone stava seguendo e che portava a Gladio

“Falcone seguiva la pista di Gladio”: le indagini top secret di BorsellinoLe audizioni al Csm dei magistrati di Palermo all’indomani di Capaci e via D’Amelio: “Allarmi inascoltati” 

Ci sono testimonianze inedite dei magistrati di Palermo che hanno lavorato fianco a fianco con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino sulle settimane precedenti alle stragi di Capaci e via D’Amelio a Palermo, avvenute il 23 maggio e il 19 luglio 1992. Sono racconti drammatici sulla strada sbarrata a Falcone che voleva la verità sugli omicidi politico-mafiosi e i possibili legami con Gladio; sulla diffidenza di Borsellino nei confronti di alcuni colleghi, a cominciare dall’allora procuratore di Palermo Pietro Giammanco. Borsellino stava conducendo indagini in gran segreto sulla morte di Falcone, ma anche su vicende indicate dallo stesso magistrato nei suoi diari pubblicati dopo Capaci. Sugli allarmi ignorati che, forse, avrebbero potuto salvare le vittime delle due stragi. Alfredo Morvillo, Roberto Scarpinato, Vittorio Teresi, Ignazio De Francisci, Antonio Ingroia, sono alcuni dei pm di allora alla Procura di Palermo che sono stati ascoltati dal comitato antimafia del Consiglio Superiore della Magistratura tra il 28 e il 30 luglio 1992, una decina di giorni dopo la strage di via D’Amelio. Sono i pubblici ministeri che avevano firmato assieme a Teresa Principato, Antonio Napoli e Giovanni Ilarda (tra i contrari Giuseppe Pignatone, Guido Lo Forte e Gioacchino Natoli ) un documento in cui presentavano polemicamente le dimissioni per l’assoluta mancanza di sicurezza e per la gestione della Procura da parte di Giammanco. Il procuratore, com’è noto, su sua richiesta sarà trasferito nell’agosto successivo, i pm ritireranno le loro dimissioni e alla guida della Procura arriverà Gian Carlo Caselli. Le deposizioni dei magistrati non sono mai state rese pubbliche. Stranamente, il Csm non le ha incluse negli atti desecretati su Falcone e Borsellino in occasione del venticinquesimo anniversario della strage, l’anno scorso. Al Fattorisulta che queste testimonianze, di recente, siano state acquisite dalla Procura di Caltanissetta che è tornata a scandagliare i buchi neri delle indagini su chi ha voluto la morte di Falcone e Borsellino.
 
Roberto Scarpinato
(Ex pm e ora procuratore generale di Palermo – audizione del 29 luglio 1992)
Dinanzi alla bara di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino disse: ‘Ciascuno di noi deve avere la consapevolezza che se resta, il suo futuro è quello’ e indicò la bara di Falcone. Paolo Borsellino sapeva che doveva morire. I carabinieri avevano segnalato che si stava organizzando un attentato, sapevamo che era arrivato il tritolo, sapevamo che il prossimo della lista era Paolo Borsellino. Ecco perché è una strage in diretta. Borsellino è morto per il tritolo e per l’incapacità di questo Stato di proteggere i servitori dello Stato. Mi è venuto in mente che era stato abolito il servizio di elicotteri per sorvegliare le autostrade di Punta Raisi perché ogni volo costava 4 milioni, e che Giovanni era addolorato di questo fatto. (…).
C’è una riunione alla quale partecipa il Procuratore Giammanco, Falcone dice in tono acceso a Giammanco: ‘Io non condivido il tuo modo di gestire l’ufficio’ (con riferimento al processo per gli omicidi politici di Michele Reina, Piersanti Mattarella e Pio La Torre, ndr) . I problemi con Giammanco si ponevano quando si passava in materia di mafia a livelli superiori. Per esempio il caso Gladio. Accade in particolare che un estremista di destra, di Palermo, dichiara alla televisione che lui faceva parte di un’organizzazione clandestina che era simile a quella di Gladio, che aveva avuto il compito di seguire alcuni personaggi politici siciliani (tra cui Mattarella, ndr).
( …) La posizione di Falcone e mia era quella di acquisire tutti gli atti di Gladio (…). Le resistenze erano talmente avvertite da Falcone che disse: ‘A questo punto io vi rimetto la delega, occupatevene voi’. Alla fine si decide che Falcone sarebbe andato nella sede dei servizi segreti a guardare gli atti e a verificare se per caso c’era qualcosa che ci poteva interessare. Si decise di affiancarlo con il collega Pignatone ( l’attuale procuratore di Roma, ndr) fatto che lui visse come una specie di mancanza di fiducia e ricordo che io rimasi insoddisfatto perché dissi: ‘Come si fa nell’arco di pochi giorni a visionare tutti questi atti, a memorizzarli e a prendere in considerazione tutti i fatti che ci possono essere utili in questo processo. Può darsi ché un nome che in quel momento non dice assolutamente niente, tra 15 giorni può essere rilevante (…).
C’è un fatto che mi ha molto inquietato e cioè che Paolo Borsellino conducesse delle indagini su fatti di grande rilevanza all’insaputa del Procuratore (Giammanco, ndr). Mi chiedo, ma cosa sta succedendo in questa Procura? Mi inquieto perché Paolo Borsellino è una persona che gode della mia assoluta stima e fiducia. Perché se fosse stato qualsiasi altro magistrato avrei potuto pensare a qualche cosa di deteriore. Paolo Borsellino si comporta così. Mi vincolò al segreto. E su queste indagini, naturalmente, non posso dir niente per motivi di ufficio. Diciamo che questa situazione, credo di non sbagliare, almeno, io l’avevo conosciuta un mese prima (della strage di via D’Amelio, ndr). Ecco, il fatto che lui l’abbia confidato a me è stato un gesto di grande fiducia. Però di grande responsabilità (…). Questa circostanza è nota soltanto a me, al sostituto Ingroia, e forse a uno o due altri sostituti, le persone che godevano dell’assoluta fiducia di Paolo Borsellino. Paolo riferiva tutto e sempre (a Giammanco, ndr) ecco perché io vengo colpito (…) proprio perché la normalità era quella, se così non fosse stato non sarei rimasto colpito. Ma quei fatti, fatti che non vi posso riferire, ma che sono di grandissima rilevanza e che riguardano determinati livelli, su quei fatti Paolo Borsellino raccomandò la segretezza.
 
Antonio Ingroia(Avvocato. Ex pm di Palermo, ex coordinatore dell’inchiesta sulla trattativa – audizione del 31 luglio 1992)
Borsellino una volta, eravamo a casa sua a Marsala una sera, quindi prima ancora che arrivasse a Palermo, lo ricordo con esattezza anche se non mi diede spiegazioni precise in merito, mi disse testualmente: ‘Giammanco è un uomo di Lima’ (Salvo Lima, ex ‘proconsole’ di Giulio Andreotti in Sicilia, ndr), affermazione per la quale io evidentemente rimasi turbato. Dopo la morte di Giovanni Falcone, oltre a occuparsi delle sue indagini, oltre ad avere interesse per l’indagine Mutolo (il pentito Gaspare Mutolo, ex pupillo di Riina, ndr) oltre ad avere interesse per l’indagine Falcone, faceva numerose indagini per conto suo. Chiamiamole approfondimenti sulle questioni indicate nei diari di Falcone. Chiese un colloquio con Scarpinato per quanto riguarda la questione Gladio, la questione del rapporto dei carabinieri sugli appalti . Il discorso è che non si fidava del dott. Giammanco. (Non approfondii, ndr) Paolo era per me quasi Vangelo.
 
Vittorio Teresi(Pm di Palermo, coordinatore dell’inchiesta sulla trattativa – audizione del 28 luglio 1992)
In un’indagine che conduco io e che conducevo assieme a Paolo Borsellino a un certo punto Paolo mi comunicò una notizia molto riservata che aveva appreso da un organo di polizia e riguardava un politico, riguardava un grosso mafioso eccetera, era una notizia ovviamente tutta da controllare, da verificare ma comunque era una delle tante ipotesi di lavoro. Paolo disse espressamente di non parlarne in giro perché temeva che finisse all’orecchio di Giammanco. Qual è l’indagine non lo posso dire, questa non era affatto notizia confermata, era semplicemente una pur fondata confidenza di un organismo di polizia, però era molto scottante, era molto delicata.
 
Alfredo Morvillo(Ex pm di Palermo, oggi procuratore di Trapani. Fratello di Francesca Morvillo Falcone – audizione del 28 luglio 1992)
Quello che è successo a Borsellino, quello che è successo a Falcone, credetemi, non è una qualche cosa di imprevedibile e di inevitabile, perché io vorrei sapere per quale motivo si dica che Falcone era l’uomo più scortato del mondo, il che non è affatto vero e vi dico perché: a Falcone, negli ultimi tempi, avevano diminuito le misure di protezione. Lo sapevano tutti a Palermo che Falcone ormai non aveva più l’auto di staffetta e l’elicottero. Ma non gliene frega niente a nessuno! I ragazzi della scorta, che sono venuti a trovarmi, mi hanno detto che avevano chiesto anche la possibilità di avere a disposizione, a Punta Raisi che è sul mare, di una pilotina per eventualmente utilizzarla per ritornare via mare, una pilotina, una barca della polizia per tornare via mare. La verità è questa, che persino nei confronti di Giovanni Falcone si adopera la mentalità del rilassamento burocratico! Falcone, signori miei, diciamolo, siamo chiari, in certe situazioni, contava molto poco. Falcone, al di là delle parole che tutti noi possiamo essere bravissimi a dire (…) Falcone non coordinava niente! (…). Dopo la strage del 23 maggio arriva un anonimo con chiare minacce per alcuni colleghi, con le fotografie di Borsellino, De Francisci, Teresa Principato… nonostante sia successo quello che è successo il 23 maggio, in questa riunione mi dicono i colleghi (io non c’ero per i noti fatti) ancora una volta sottovalutazione. Giammanco: ‘È una stupidaggine, che fa, la stracciamo?’. La stracciamo? Arriva l’anonimo, dopo quello che è successo a Palermo, per i colleghi del tuo ufficio che sono come, a volte, lui stesso ha detto, ‘tuoi figli’ e tu che fai? ‘Lo stracciamo!’. E allora lo mandiamo, per competenza, a Caltanissetta. Al Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica, mi dicono i colleghi, che, fra l’altro, non hanno avuto nessuna protezione dopo questo fatto (fino alla strage di via D’Amelio, ndr).
 
Ignazio De Francisci(Ex pm di Palermo, procuratore generale di Bologna – audizione del 29 luglio 1992)
Questa lettera era un collage fotografico: c’era la foto di Paolo, c’era quella mia e quella della collega Principato. Tra l’altro era una strana fotografia perché io non ricordavo di averla vista mai, non è che io spunti molto su i giornali, quindi la cosa mi colpì… Sono andata da Giammanco e io gli ho detto: ‘Senti Procuratore, io non me la terrei né la cestinerei’. Ricordo che il Procuratore mi disse: ‘Mah!’, Cioè era dubbioso sull’opportunità o meno di inviarla (agli organi preposti, ndr). Dopo ne parlai con Borsellino e ricordo che lui era già un po’ incupito anche se dal punto di vista personale mi disse una frase del genere: ‘Noi non ci dobbiamo far spaventare per una lettera’. (…) Ora mi hanno dato una specie di scorta composta dalla macchina blu con le insegne dei carabinieri. L’Arma ha fatto levare in volo l’elicottero che ha seguito la mia autovettura da casa sino all’aeroporto di Punta Raisi. La polizia prima l’aveva dato a Giovanni Falcone per anni e poi gli era stato tolto. Quando sentivo questo elicottero non potevo non ricordare l’amarezza di Giovanni Falcone quando glielo tolsero. Voi lo conoscevate, non è che parlasse molto di queste cose; non ne parlava in maniera enfatica, però, mi ricordo che una volta che io partii con lui notai l’assenza dell’elicottero, glielo dissi e lui mi rispose: ‘Che ci vuoi fare?’, insomma con una frase un po’ fatalista. (…).
 
Io ho avuto la netta sensazione che il Procuratore, nella gestione dell’ufficio, avesse una corsia differenziale sulla quale passavano o potevano passare soltanto alcuni colleghi. Quello che io sinceramente non ho mai capito è perché lui si fidasse soltanto di due, tre persone e passasse con loro le grosse decisioni dell’ufficio: Guido Lo Forte, Giuseppe Pignatone, in prima istanza Giustino Sciacchitano. Ecco, il fatto che specialmente Lo Forte e Pignatone siano tecnicamente bravissimi e abbiano una innata dote di prudenza, anche abilità nel gestire tutte le seccature che un grosso ufficio comporta, questo secondo me, in assoluta serenità di spirito, non consentiva (a Giammanco, ndr) di accentrare attorno a queste persone tutte le decisioni, se vogliamo anche strategiche o comunque le pre-decisioni dell’ufficio, per poi venire alle riunioni con una sensazione che almeno io avevo di minestra già fatta (…) . L’arrivo di Borsellino aveva ridato impulso alle indagini (…) Ebbi la sensazione che nei confronti.di Paolo si riproponessero le stesse difficoltà di cui mi aveva parlato Giovanni.