29 giugno 2018

Occhio non vede, cuore non duole

In una immagine tutta la disfatta dell'Europa (che di fatto si consegna ai populisti che dice di voler combattere e alla destra estrema)


Ecco spiegato il blocco alle ONG: così nessuno potrà più testimoniare i naufragi, mostrare quei volti sofferenti e ricevere le testimonianze di torture e violenze in Libia.
Cosa ci sia da festeggiare non lo capisco proprio...

Ridicola Europa, ridicolo paese




Il finto accordo sui migranti e la questione dei vitalizi: sono queste le due notizie che occuperanno le prime pagine e di cui si discuterà oggi (giornata senza calcio mondiale, tra l'altro).
Non so quale delle due sia la più ridicola.
L'accordo che non c'è su come gestire i flussi dei migranti di fatto è un piegare la testa ai desiderata del gruppo di Visegrad, della destra popolista, una difesa arroccata della civile Europa che pensa di risolvere una questione epocale con hotspot (che suona meglio di centri di detenzione o lager) e con la gendarmeria in outsourcing a Turchia e Libia.

La pantomima del taglio ai vitalizi: non salveremo di certo i conti col taglio ai vitalizi (ovvero al taglio di quei vitalizi che dietro non hanno versamento di contributi corrispondente all'esborso dello Stato).
Ma lo Stato, i nostri rappresentanti, hanno modo di salvare la faccia in un momento come questo in cui è alta la sfiducia nelle istituzioni.
Certo, i diritti acquisiti non si toccano: non dovrebbero essere toccati nemmeno i diritti ad una istruzione adeguata, alle cure sanitarie, a poter vivere con un salario dignitoso senza ammalarsi per i veleni nell'aria e nell'acqua.
Come per i migranti, siamo di fronte ad un sistema che si arrocca in difesa di privilegi, facendosi scudo con la parola diritti.

Chiaro che se questa, sui migranti e sui vitalizi, è la risposta delle istituzioni massime, i populisti avranno sempre vita facile.

28 giugno 2018

Naviganti delle tenebre, di Carlo Mazza






Incipit
Costantino Lassandro osservava i giocatori del lotto in attesa delle nuove estrazioni, fermi davanti alle vetrine della ricevitoria e scrutati a poca distanza da un noto strozzino, pronto a calare sulle sue vittime: pensionati dall'aria malaticcia, casalinghe afflitte da tabagismo cronico e nullafacenti taciturni. Spiare quell'umanità dolente era il suo passatempo preferito: percepiva la sua superiorità in confronto a quel manipolo di sciagurati e ne traeva un perfido conforto...

Ho fatto una certa fatica ad inquadrare il personaggio, dentro il racconto: non aver letto i precedenti romanzi di Carlo Mazza con protagonista il capitano dei carabinieri Antonio Bosvades (“Lupi di fronte al mare” e “Il cromosoma dell'orchidea”) non aiuta.
E non aiuta nemmeno la scelta fatta dall'autore di non raccontare nulla della sua vita passata, ma di gettare il lettore di fronte al tempo presente, sia per Bosvades e in parte anche per gli altri personaggi.
Personaggi che di questo passato sono ostaggi, e questo è un tratto che li accomuna tutti : l'investigatore Bosvades alle prese coi problemi familiari che hanno vecchie radici; la donna del boss, Zelda, custode di una colpa grave e che per espiarla ha deciso di rovinare la sua via mettendosi assieme ad un criminale.
Infine un faccendiere, Lassandro ex poliziotto cacciato dal corpo per una storia di ricatti ed estorsione: in lui il passato ha lasciato addosso una cicatrice che ora vorrebbe chiudere per sempre. Per riprendersi quanto gli spetta.

Persone che vorrebbero fuggire dal presente, ma che sono costrette a navigare in mezzo alle tenebre, impotenti e incapaci di affrontare il presente.

Nell'illusione che il suo nuovo compagno l'avrebbe guidata nella navigazione tra le tenebre, gli aveva rivelata la propria scellerata impresa, scaldandosi grata al fuoco della sua comprensione..

Ci troviamo a Bari, città che immaginiamo illuminata dal sole e bagnata dal mare ma che in questa storia vediamo ostaggio della criminalità, che ne soffoca l'esistenza e a cui le persone sembrano essersi assoggettati, rimettendo alcun desiderio di libertà.
Il malaffare aveva invaso la città come una silente scia d'acqua che, insinuandosi giorno dopo giorno, nelle falle di una diga, aveva finito per allagare la valle. Bari era divenuta un'estesa zona grigia tra lecito e illecito, governata da una fitta e vischiosa zona d'interessi e connivenze, impenetrabile come una casamatta e alimentata dalla trasmissione da padre in figlio delle professioni più ambite. Nei miei primi anni di attività la mancata risoluzione di un caso mi procurava ansia, ma con il tempo la tensione per i crimini irrisolti si era tramutata in un frustrante senso d'impotenza.
Una criminalità che controlla lo spaccio, la prostituzione e anche l'assegnazione degli alloggi pubblici, che l'amministrazione comunale vorrebbe assegnare anche agli immigrati.
Somali, etiopi, di religione musulmana, cristiano copta ..

Una di queste, Samira, viene rapita mentre sta rientrando a casa, da questo faccendiere che, dismessi panni da poliziotto, ha iniziato a svolgere quei lavori sporchi per i boss, nascondendosi dietro un'attività di facciata.
Perché quel rapimento? E' una vendetta contro Samira, contro la sua gente? Oppure è un messaggio da mandare a qualcuno, in grado di cogliere il senso?
Sono domande che si deve porre il capitano Bosvades, alle prese anche con la riappacificazione con la moglie, che viene incaricato del caso direttamente dal generale Papandrea.
Entrambi, capitano e generale, attendono una promozione e quel caso irrisolto potrebbe causare danni.

Comincia così l'inchiesta sul rapimento, con pochi elementi a supporto ma che il generale Papandrea collega ad un vecchio episodio: nel 1993, Samira era scampata ad un attentato in cui erano morti tutti i componenti della sua famiglia.
Tre attentatori, mai scoperti, lanciarono una molotov nello sgabbiotto del liceo Aristofane: le prime indagini seguirono la pista del delitto politico, indagando i principali esponenti dell'estrema destra locale.

Tocca a Bosvades riaprire quella storia per capire se questa ha attinenze con l'inchiesta di oggi: all'apparenza indolente, ironico quanto basta per far innervosire i superiori, con cui non dimostra un atteggiamento remissivo, il capitano saprà trovare il filo giusto, facendosi aiutare anche da due suoi amici.
Ermanno, un “seduttore” compulsivo capace di sedurre le donne trovando le parole che queste vogliono sentirsi dire.
E Caterina, che ha già fatto diverse inchieste nel mondo degli immigrati a Bari e che sa a chi chiedere.

Alcune cose non mi sono piaciute di questo romanzo: come vengono descritti e presentati alcuni personaggi, inseriti nella storia senza comprenderne bene il ruolo.
Altri invece sono ben disegnati, come l'avido viceparroco del quartiere San Paolo, don Anselmo:
Il sacerdozio era per lui un mestiere, che coniugava la massima noia con il massimo disinteresse. Per un'intera vita aveva inseguito famelico tutto ci che ai suoi occhi poteva apparire come un risarcimento di un grigio destino

Ma questo romanzo ha due grandi pregi: il primo, mostrarci il volto crudele della criminalità che non ha nulla da invidiare alle efferatezze dell'Isis.
E poi il raccontarci di come siano anche le mafie a soffiare sul fuoco dell'intolleranza contro gli immigrati, specie quando questi chiedono qualche diritto: in un epoca ci sono politici che avvelenano l'acqua dei pozzi parlando di immigrati che fanno la pacchia coi nostri soldi, mentre gli italiani fanno la fame, il libro spiega bene chi sono le persne che si arricchiscono col business dei migranti
«I soldi pubblici del sistema di protezione erano tanti e i controlli pochi. Per dire, rubavi sul personale: i dipendenti della tua cooperativa sociale li pagavi tardi e per la metà delle ore lavorate, e pure se per vincere il bando di gara avevi promesso di assumere psicologi, mediatori culturali e consulenti legali, a occuparsi di quelle scimmie ci mettevi i pulitori di cessi. E un'altra bella cresta la facevi sul vitto: agli africani gli mettevi la merda nel piatto, tanto quelli a casa loro mangiano scorpioni in guazzetto, e per ognuno incassavi otto o nove euro al giorno. Moltiplica per un anno e poi per mille immigrati e fatti un po' i conti»
Aiutiamoli a casa loro, anche questo sentiamo ripetere dai nostri rappresentanti a caccia di voti: basterebbe smetterla di rubar loro il futuro, le risorse dei loro paesi e perfino la terra, col fenomeno del land grabbing.
Buona lettura!

La scheda del libro sul sito dell'editore Edizioni E/O
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Quello che l'Europa e l'Italia non vuol vedere sull'immigrazione

Oggi l'ennesimo vertice Europeo sull'immigrazione che potrebbe portare all'ennesimo nulla.
Nulla inteso come nessuna decisione comune, tanti buoni propositi, nessuna scelta di politica europea su come gestire i flussi migratori secondo una politica che rispetti sia la dignità delle persone e che non ricada sulle spalle dei pochi paesi che fino ad oggi si sono fatti carico del problema.
Italia e Grecia in primis.

L'unica cosa su cui parte dei paesi europei sono d'accordo è che ora, in questo momento storico, i profughi, gli immigrati (economici o altro) non li vuole più nessuno.
E nemmeno le ONG che, col loro operato, impediscono alle motovedette libiche di fare quello per cui sono state finanziate anche da noi civili Europa: respingere questi disperati per tenerli nei campi libici per spremerli fino in fondo.
Perché questo è quello che succede in Libia, mentre noi rallegriamo del calo degli sbarchi sulle nostre coste, sul fatto che rimandiamo indietro i gommoni consegnando i migranti alla guardia costiera libica.
Ma in Libia c'è l'UNHCR, che controlla i campi - dice il buon Di Maio - a chi gli contesta i respingimenti: ma quanti campi sono aperti ai controlli?
Sembra che in questo momento politico, dei Trump e dei Salvini, della linea dura contro la solidarietà, dove essere umani nei confronti del prossimo è un reato (quello contestato dalle procure di Catania e Messina alle ONG, in indagini che non hanno portato a nulla finora) non ci siano alternative.

Ecco, almeno dobbiamo essere consapevoli di quello che sta succedendo là, ai nostri confini, nel Mediterraneo, nelle carceri libiche.
E' quello che i giornalisti Francesco Viviano e Alessandra Ziniti ci raccontano nel libro uscito per Chiarelettere: "Non lasciamoli soli: Storie e testimonianze dall’inferno della Libia. Quello che l’Italia e l’Europa non vogliono ammettere".

La prefazione del libro è dell'ex sindaco di Lampedusa Giusi Nicolini:

Ciò che trovo grave e imperdonabile nella persecuzione nel contrasto dell'attività di soccorso delle ONG è il messaggio trasmesso ai giovani, che invece dovrebbero essere sensibilizzati alla cultura della sacralità della vita e dei diritti, dei valori del volontariato, della cittadinanza attiva, della pratica del principio di solidarietà, necessaria a costruire legami e ad abbattere barriere di ogni genere.

Si racconta agli italiani che non ci sono soldi per loro, mentre si danno soldi, alloggi, hotel a cinque stelle ai finti migranti, furbetti venuti in Italia a cercare il Bengodi.
Si usano i migranti come specchietto per le allodole per nascondere quello che sta succedendo a livello mondiale: le risorse sottratte ai paesi poveri (avete mai sentito parlare del land grabbing), dei soldi che dalle casse dell'europa finanziano milizie più o meno criminali e paesi che stanno proseguendo una preoccupante deriva autoritaria come la Turchia.
Del fatto che questo mondo stanno aumentando le disuguaglianze di pochi ai danni dei tanti.
Che i soldi spesi per l'accoglienza e il salvataggio in mare non sono niente in confronto al costo dell'evasione fiscale, dell'elusione delle grandi aziende (anche grazie alla benevolenza di paesi europei come il Lussemburgo), della corruzione.
Che in Italia erano e sono gli italiani brava gente che sfruttano e fanno la pacchia sulla pelle dei migranti: nei campi quando lavorano a nero, nei finti centri di accoglienza.

Leggete questo libro, poi non potrete dire di non sapere.

27 giugno 2018

Ustica - c'è ancora tempo per la verità

Il GIP di Roma ha prorogato di 6 mesi la scadenza delle indagini sull'omicidio di Ilaria Alpi.
Dopo anni di attesa, il Tribunale di Brescia è riuscito ad arrivare ad una sentenza di condanna per i responsabili della strage di Piazza della Loggia.
Forse anche per la strage di Ustica, l'abbattimento del DC9 sui cieli del Tirreno, c'è speranza di arrivare ad una verità su quanto successo quella sera del 27 giugno 1980.
La notte di guerra in cui il DC9 dell'Itavia fu coinvolto, trovandosi di mezzo ad uno scontro tra MIG, Phantom, caccia americani e francesi.


Ustica la vergogna di Stato titolava il Corriere quel giorno di tanti anni fa quando si aprirono le prime crepe nel muro di gomma che per tanti anni aveva respinto le domande di giustizia dei parenti delle vittime.
Ustica è anche questo, oltre alle 81 vittime: i depistaggi (la teoria della bomba, la rivendicazione dei NAR), i nastri radar spariti, l'elenco dei radaristi che i militari non diedero subito ai magistrati, le reticenze di francesi e americani.
E poi quelle telefonate tra radaristi delle basi militari e lo Stato Maggiore, che raccontano uno scenario molto chiaro: fin da subito era chiaro, a chi stava di fronte ai radar che l'aereo era esploso in un contesto in cui altri aerei militari erano vicini.
Aerei che razzolavano dal mare (dunque prossimi ad una portaerei), aerei che decollavano dalla base francese di Solenzara, aerei italiani che decollavano dalla base di Grosseto.
E quell'aereo che si nascondeva sotto il DC9, visto a Marsala da un controllore che disse "stai a vedere che quello mette la freccia e sorpassa".

Sono passati 38 anni da quell'esplosione: stamattina, sul Fatto Quotidiano, ho letto la lettera sfogo di un ex generale dell'Ami dove contesta la sentenza della Cassazione dove parla del missile.
E' stata una bomba - dice l'ex generale dell'AMI (senza che nell'articolo si indichi il suo coinvolgimento nella vicenda): dobbiamo lottare perché non ci sua un nuovo attacco alla diligenza, scrive, riferendosi ai risarcimenti stabiliti in sede civile.

Bisogna lottare per difendere il difficile lavoro dei magistrati penali, nonché fermare l’emorragia di denaro pubblico ed arrestare l’attività predatoria alle cas-se dello Stato resa possibile da un atteggiamento per cui “paga Pantalone”.Per quanto arduo, ristabilire la verità su quanto accaduto è finalità nobile per la quale continueremo a batterci, sperando nel contempo di fermare “l’attacco alla diligenza” ed alle sue casse
Sono rimasto senza parole.
Una bomba scoppiata su un aereo partito con un ritardo di 90 minuti, scoppiata nella toilette e che ha lasciato intatta la tazza del water.
E chi l'avrebbe messa? E per quale motivo?
Le casse dello stato sono a rischio per i risarcimenti?

La credibilità di uno Stato passa anche da questo: dall'assumersi le responsabilità, sulla sicurezza dei suoi cittadini, anche volano su un aereo.

26 giugno 2018

Quando li aiutavamo a casa loro

Talvolta faccio violenza su me stesso per leggere i commenti dei prodi patrioti italiani che difendono la nazione infettando i social network coi loro commenti sugli immigrati.
Da "aiutiamoli a casa loro" a "ma perché non si tiran su le maniche", solitamente il tenore non si discosta da questo.
Insomma, li abbiamo sempre aiutati, abbiamo portato loro la civiltà e ora di che si lamentano?
Ma come li abbiamo aiutati?
E' recentemente venuta a mancare la madre della giornalista Ilaria Alpi, Ilaria: fino alla fine si è rammaricata del non essere riuscita a conoscere i colpevoli della morte di Ilaria quel 20 marzo 1994.
L'omicidio di Ilaria Alpi, uccisa in un agguato a Mogadiscio assieme al suo cameramen Miran Hrovatin, è uno dei tanti segreti italiani: segreti di pulcinella a volta, perché tutti sapevano che Ilaria si stava occupando di traffici illegali tra Italia e Somalia, armi e rifiuti tossici, mascherati da operazioni di aiuti umanitari.
Non credo che ci sia da essere orgogliosi di quell'aiuto.

E lo stesso vale per i nostri rapporti con la Libia di Gheddafi prima e delle milizie oggi.
Chissà, visto che fino ad oggi l'aiutiamoli a casa loro non ha portato bene, se iniziassimo a non prenderli in giro, a non vendere armi a governi e milizie, a non rubare materie prime.

25 giugno 2018

In nome del popolo

Siate sinceri, ma come si fa a non fidarsi di un politico che si fa ritrarre così?
Tutto è studiato in questa foto: la posa dell'uomo, l'espressione, lo sfondo.
Quanto sa di uomo forte, di decisionismo, di militarismo.

Non importa che poi dietro l'uomo ci siano delle idee che, se va bene, non possono essere realizzate.
Perché gli hotspot, i lager, mica li gradiscono i libici. O alziamo la posta oppure dovremmo trovare una diversa soluzione.
Ma tutto questo all'uomo forte, al politico che deve dare la soluzione facile, che soddisfi la pancia del suo elettorato, non importa.
Al suo elettore piacciono i Salvini, i Putin, gli Orban.
Chi se ne frega se, la tanta sventolata sicurezza, dietro abbia una compressione dei diritti.
Oppure il taglio delle tasse compensato con un taglio dei servizi.
Tanto basta qualche briciola da dare in pasto al popolo. Il taglio alle pensioni d'oro, un po' di reddito di cittadinanza.
E le scuole, la sanità, le tutele sul lavoro?
E la lotta alla corruzione, alle mafie, all'evasione?
Shh, non disturbateli, stanno lavorando in nome del popolo.

Lettura da incorniciare: il posto di Gilioli su S, il suo capo della comunicazione e il social media manager

S. Allora, com'è andata oggi quella di Saviano?X. Benissimo, quasi come i Rom. E ancora non abbiamo sparato le cartucce forti, su quello lì: quanto ci costa la scorta, quanto ha guadagnato l'anno scorso.S. Quelle le teniamo per ottobre, al secondo giro con lui. A proposito, la Finanza ci ha dato tutto?Z. Certo, è bastata una telefonata al generale M. Contratti, diritti d'autore, conferenze, tutto.S. Bene. Poi cercate un pensionato dei nostri, uno che ha avuto la casa svaligiata, meglio se dagli zingari. Il concetto dev'essere: Saviano prende in un giorno quello che il pensionato non prende in un mese. E noi la scorta vorremmo darla al pensionato. Chiaro?Y. Perfetto! L'hashtag potrebbe essere #scortiamoilpopolo.S. Mhh. Un po' troppo comunista. Altro?X. Magari #buonistidiscorta.S. Questo va bene quando facciamo scoppiare il casino sui costi della scorta, non quello sul suo stipendio. Comunque vedremo, per ora con Saviano basta così, è roba piccola. Zingari, invece?

Pure Scajola

Pure Scajola è tornato.
Non ci siamo fatti mancare niente a questo giro di amministrative: la sinistra ha perso città importanti in Emilia e in Toscana.
Ha perso a Cinisello, amministrate da giunte di centro sinistra dal dopoguerra.
Dove vogliamo arrivare?

Certo, sabato scorso a Milano è successo un evento importante: tutta la sinistra che si oppone a questa destra salviniana si è ritrovata al pranzo solidale al parco Sempione dove è intervenuto anche Saviano.
Ma non basta.
La sinistra sta perdendo terreno nelle città e nei piccoli comuni oggi amministrati da Lega e centro destra al grido più sicurezza, via gli accattoni, via gli immigrati clandestini!
Come a Como, dove si è appena celebrato il compleanno dell'amministrazione Landriscina: progetti per una Como diversa? Nessuno: a Como, raccontava questa mattina in collegamento con Radio Popolare il giornalista Giampiero Rossi, l'amministrazione esegue i desiderata di confesercenti.
E dove a livello nazionale le proposte sono quelle di cui leggiamo: impronte digitali per i dipendenti pubblici, manica larga per gli evasori, l'attacco alle ONG e agli immigrati (con la complicità di una Europa che si sta sfaldando).

Cosa vogliamo fare?
Continuiamo così?

24 giugno 2018

Ogni italiano si alza alla mattina


Ogni italiano, quando sorge il sole, si alza e si chiede con ansia con chi se la prenderà Salvini oggi.
Salvini, quando sorge il sole, si alza e si chiederà, con la stessa ansia, con chi me la dovrò prendere oggi per tenere viva l'attenzione …

La storia del leone e della gazzella ben si adatta a raccontare la vita del ministro dell'Interno Salvini.
Ogni giorno è costretto a prendersela con qualcuno: Saviano, le ONG, i vaccini, gli immigrati (specie quelli che vengono risarciti dallo Stato, orrore..).
A proposito di Saviano, la vignetta di Stefano Disegni vale più di tante parole: ad uccidere la credibilità dello scrittore ci stanno pensando tutti i @napalm51 in rete, che si abbeverano con tutte le bufale che circolano su scorta, appartamenti a Manhattan e altro.



Nemmeno nella giornata di silenzio elettorale si risparmia (le regole e le leggi vanno in secondo piano di fronte al prima gli italiani).

Dove andremo a finire?
E dove andranno a finire gli altri alleati di questo governo che di cambiamento ha solo qualche promessa?
Solo promesse che costano poco e che consentono un enorme ritorno mediatico, come le pensioni d'oro, che ha più un valore di immagine che di sostanza.

Gioverebbe ricordare al ministro che dovrebbe occuparsi di sicurezza interna: magari tra una ong e un'altra anche delle mafie, al sud e al nord. Della zona grigia dentro il mondo dei professionisti (vi ricordate la storia del comune di Seregno, oggi al ballottaggio?).
Del caporalato nelle nostre campagne.

Sempre che trovi tempo, nel suo tour elettorale.
Che si inventerà domani?
Cosa farà quando i suoi elettori si accorgeranno che i problemi di lavoro, di salari bassi, di precariato sono rimasti lì, irrisolti?
Sempre in tema di vignette, questa è quella di Makkox: non so se una risata li seppellirà, ma almeno ci proviamo.



23 giugno 2018

Bari – lo snodo delle filiere criminali


Dopo Torino e le sue periferie che ci ha raccontato Christian Frascella, una breve pausa nella Parigi di Simenon.
Per tornare in Italia, a Bari, il capoluogo regionale: la città del mare, del sole che è anche crocevia di traffici criminali che ci vengono raccontati da Carlo Mazza nel suo ultimo romanzo “Naviganti nelle tenebre” (Edizioni e/o)


Il malaffare aveva invaso la città come una silente scia d'acqua che, insinuandosi giorno dopo giorno, nelle falle di una diga, aveva finito per allagare la valle.Bari era divenuta un'estesa zona grigia tra lecito e illecito, governata da una fitta e vischiosa zona d'interessi e connivenze, impenetrabile come una casamatta e alimentata dalla trasmissione da padre in figlio delle professioni più ambite.Nei miei primi anni di attività la mancata risoluzione di un caso mi procurava ansia, ma con il tempo la tensione per i crimini irrisolti si era tramutata in un frustrante senso d'impotenza.

Protagonista della storia è un capitano dei carabinieri, Bosvades, in parte disilluso sul suo lavoro, dopo tanti insuccessi: nel corso degli anni ha assistito all'assalto del crimine organizzato che proprio qui ha messo radici. Nell'Italia che respinge i migranti perché prima gli italiani e basta invasione, e che invece non riesce a mettere la stessa energia per respingere la criminalità italiana, albanese, kosovara e nigeriana.
Abbiamo scoperto (o forse sarebbe meglio dire riscoperto) della mafia in Puglia solo dopo la serie di omicidi e sparatorie dell'anno scorso, episodi culminati con l'omicidio di due boss per le campagne, in cui morirono anche due contadini.
Assieme a Lazio e Campania, la Puglia era tra le prime regioni italiane per detenzione e sequestri di arma da fuoco, effetto della strategia criminale di controllo del territorio.Nella provincia di Bari circa trenta clan malavitosi continuavano a puntare sulle estorsioni e narcotraffico: le prime erano subite dai negozianti con rassegnazione, come documentava la diminuzione delle denunce e degli attentati incendiari a scopo intimidatorio; il secondo si avvaleva dei sodalizi montenegrini, albanesi, kosovari, serbi e bosniaci. Gli ingenti capitali accumulati, che per i boss più potenti erano nell'ordine di centinaia di milioni di euro, indicevano ad una attività di riciclaggio ben diversificata, che spaziava dalla creazione di società di scommesse on line con sede a Londra all'apertura di ristoranti nelle vie della movida di Barcellona. I patti di non belligeranza tra i gruppi criminali producevano equilibri piuttosto stabili, di tanto in tanto compromessi dal movimentismo di picciotti rampanti e insofferenti alle gerarchie, che non riconoscevano l'autorità dei capi storici e talvolta osavano irridere le arcaiche pratiche di affiliazione mafiosa con il loro armamentario di santini e lamette.Le mafie straniere, soprattutto quella albanese, georgiana e nigeriana, avevano ulteriormente radicato la propria presenza, in particolare a Bari, attivando i collegamenti coi loro paesi d'origine e rendendo il capoluogo regionale il punto di snodo di filiere criminali transcontinentali basate sul traffico di donne, armi e droga.

Il capitano Bosvades dovrà occuparsi di un rapimento strano: strano perché a scomparire senza lasciare traccia è una signora di origini etiopi, che aveva un lavoro normale.
Forse, le ragioni di questo rapimento stanno nel fatto che Samira era l'unica sopravvissuta ad una strage familiare, avvenuto anni prima.

22 giugno 2018

L'amica della signora Maigret, di Georges Simenon


La giovane signora di Place D'Anvers 
La gallina era sul fuoco, con una bella carota rossa una grossa cipolla e un mazzetto di prezzemolo, i cui gambi spuntavano dal bordo della pentola. La signora Maigret si chinò per controllare che il gas non si spegnesse, visto che era al minimo.Chiuse tutte le finestre, tranne quella in camera da letto, si domandò se non avesse dimenticato qualcosa e si diede un'occhiata allo specchio: soddisfatta, ucsì, chiuse la porta e mise la chiave nella borsetta.

In questo romanzo trova un suo spazio la signora Maigret, che in altri racconti di Simone abbiamo sempre visto a casa, ad aspettare il commissario per scambiare con lui poche parole.
Ne “L'amica della signora Maigret”, come suggerisce il titolo, ha un ruolo importante sia per il là di tutta la storia, sia per la conclusione dell'inchiesta di Maigret.
Sarà lei, con una sua indagine personale sui “cappellini bianchi”, ad indirizzare il commissario sulla strada giusta.
Già, i cappellini bianchi: tutto comincia dalle lunghe attese, su una panchina di Place d'Anvers, per l'appuntamento col dentista da parte della signora Maigret.
Attese in cui ha modo di fare conoscenza di una giovane signora, accompagnata dal suo bambino
La signora era là, in tailleur blu come ogni mattina, e con un cappellino bianco primaverile che le stava molto bene. Si scostò per far posto alla signora Maigret, che aveva portato una tavoletta di cioccolato e la stava porgendo alla bambino.

Ma in questa mattina di marzo, in cui tutto ha inizio, le cose vanno in modo diverso: la signora cl tailleur blu le lascia il suo bambino per diverse ore, senza darle poi alcuna spiegazione al suo ritorno, qualche ora dopo.
Una situazione che lascia la signora Maigret in una situazione di forte tensione, e non solo per quella gallina lasciata a cuocere troppo a lungo e per aver lasciato senza pranzo il marito.
Che trova ad aspettarla, tranquillo come al solito:
«Che ore sono?» 
«L'una e mezzo» rispose lui, tranquillo. 
Non l'aveva mai vista in quello stato, con il cappello di traverso e le labbra scosse da un tremito. 
«Prima di tutto, ti prego non ridere». 
«Non sto ridendo». 
«E non prendertela con me ..»

Maigret, d'altra parte, è alle prese con un'inchiesta cominciata un mese prima, quasi, a febbraio, che è diventata un caso mediatico: il caso Steuvels, un rilegatore molto rinomato, di origine belga, sospettato di omicidio.
IL tutto era cominciato da una da una lettera anonima ricevuta al Quai, in cui si diceva che il rilegatore aveva bruciato un corpo nella sua caldaia.

Dopo un primo controllo nel suo laboratorio, e nella sua casa, fatto dal giovane Lapointe, Steuvels era stato tratto in arresto. Ed ancora in carcere si trovava, ad inizio marzo: nella caldaia erano poi stati trovati due denti, su un suo vestito blu delle macchie di sangue.
L'inchiesta non aveva ancora portato ad un rinvio a giudizio perché, nonostante questi indizi, nonostante altre incongruenze del rilegatore, questi continuava a negare.
Di sapere qualcosa del corpo bruciato.
Che il vestito col sangue fosse suo.
Che una certa valigia, vista da Lapointe in casa sua, fosse veramente sua ..

Così l'ambizioso avvocato Liotard aveva cominciato a rilasciare interviste in cui criticava apertamente l'operato della polizia giudiziaria di Parigi e anche del celebre Maigret.
Maigret ha fatto il suo tempo.

Ma il commissario Maigret, se anche ha fatto il suo tempo, sa ancora come si segue un'inchiesta: placido, metodico, capace di analizzare diversi indizi e seguire più piste contemporaneamente, non si lascia certo spaventare dalle accuse sui giornali.
Quello che lo mette in difficoltà è il non conoscere i personaggi di questa storia e cosa collega uno con l'altro e cosa collega i due casi, il caso Steuvels e il caso della signora Maigret:
«Abbiamo dei personaggi di cui non sappiamo quasi nulla, nemmeno se hanno avuto o no un ruolo nella faccenda: una donna, un bambino, un uomo robusto e un altro malmesso. Saranno ancora in città? Impossibile dirlo. Se ci sono, di certo si saranno separati. Basta che la donna si tolga il cappellino bianco e lasci il bambino da qualche parte e noi non la riconosciamo più..»

Cosa lega assieme la signora col cappellino, un uomo con cui è stata vista assieme e il signor Steuvels (“di rado aveva visto un sospettato così calmo e padrone di sé”)?
La svolta, e una prima risposta a queste domande, la da l'inchiesta personale dalla signora Maigret, che per la prima volta vediamo all'opera nei panni del marito e i un ruolo attivo, anzi, quasi irriverente, nei confronti del marito:

Prese un autobus al volo, e quando arrivò davanti alla porta di casa si stupì di non sentire i soliti rumori in cucina né odore di cibo. Entrò, passò per la sala da pranzo dove la tavola non era ancora apparecchiata, e alla fine trovò la signora Maigret che, in sottoveste, si stava togliendo le calze.La situazione era così insolita che non disse neanche una parola, e lei, vedendo i suoi occhi sgranati, scoppiò a ridere. 
«Seccato, Maigret?». 
Nel suo tono c’era un buonumore quasi aggressivo che non le conosceva. Sul letto giacevano il suo vestito più elegante e il cappello delle grandi occasioni. 
«Dovrai accontentarti di una cena fredda. Sono stata talmente occupata che non ho trovato il tempo di preparare niente. D’altra parte tu non torni quasi mai a mangiare in questi giorni!».

Sornione, all'apparenza distratto, quasi bonario nei confronti dei sottoposti.
E invece no: Maigret sta mettendo le tesse del puzzle una accanto all'altra, portando l'inchiesta nella direzione giusta.
E troverà pure il modo di mettere sotto scacco l'antipatico avvocato Liotard, che con questo caso sperava di acquistare celebrità a discapito della polizia.
Una vittoria personale, in cui anche il giovane Lapointe, che all'inizio ha commesso una colpevole leggerezza, ha modo di riscattarsi.
La scheda del libro sul sito di Adelphi
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

21 giugno 2018

Prima gli italiani, quali?

Prima gli italiani.
Quali italiani? Quelli che hanno avuto problemi col fisco e anche i furbetti che al fisco hanno nascosto i loro beni?
Quelli abituati a pagare in contanti, per col cash, tanti saluti al fisco?
Quelli abituati a tirar su case senza rispettare troppo le regole (a meno che siano sinti, allora..)?
Quelli abituati a girare con le armi, perché oggi ti devi difendere da solo?

Salvini il ministro patriota dovrebbe spiegare, perché tra gli italiani ci sono anche persone che preferirebbero pagare con bancomat in modo che sia tutto tracciato e nessuno faccia il furbetto.
Persone che preferiscono che siano le forze dell'ordine ad usare la forza.
Persone che le tasse le hanno sempre pagate, anche con fatica.
Persone che si sentono minacciate dal racket, dalla mafia.
Spaventate da un mondo del lavoro dove tutto è precario.

L'arte di spararla grossa potrà dare qualche effetto nel breve: chiudiamo i porti, andiamo a censire i rom (e non per capire chi manda i figli a scuola o no) e ora chiudiamo le frontiere.
Di certo non servirà a risolvere la questione dei migranti dove, va chiarito ancora una volta, sono tutti colpevoli.
Dall'Europa degli egoismi che ha lasciato sola l'Italia e la Grecia.
E che non sta facendo nulla contro la deriva fascista di Orban in Ungheria.
Ai governi che hanno pensato di risolvere il "problema" facendo accordi con la Libia (da Gheddafi alle milizie di oggi).

Prima gli italiani, ma quali?
Mica penserete che le tigri da tastiera sui social rappresentino la maggioranza del paese? Quelli che esultano quando si lasciano i migranti in mezzo al mare.

20 giugno 2018

Le medagliette sul petto

Sono tutti bravi ad appuntarsi le medagliette sul petto: il PD a Salvini, noi siamo stati bravi a fermare i flussi dei migranti (da luglio scorso, meno 80%).
“La strategia del governo sui temi dell’immigrazione, di collaborazione anche con le autorità libiche, sta producendo piano piano dei risultati. Vediamo ad esempio i flussi migratori che si stanno gradualmente riducendo”.Gentiloni dicembre 2017

Peccato che i migranti che non abbiamo visto sbarcare sono stati trasformato in migranti rinchiusi nei lager libici: che poco da essere soddisfatti da questi numero (il calo degli sbarchi), visto che significa la sistematica violazione dei diritti umani, torture, violenze. Con la complicità dei governi italiani e dell'Europa.
Sono violenze e torture che i giornalisti Francesco Viviano e Alessandra Ziniti nel libro "Non lasciamoli soli" (Chiarelettere) presentato ieri sera a Milano
Quello che l’Italia e l’Europa non vogliono sentire e vedere emerge in maniera drammatica dalle testimonianze raccolte da Francesco Viviano e Alessandra Ziniti, due giornalisti che da anni portano all’attenzione dell’opinione pubblica una situazione che non può più lasciarci indifferenti. Gli accordi stipulati dal nostro governo con quello di Tripoli e con le tribù locali hanno ridotto gli sbarchi ma hanno intrappolato in Libia centinaia di migliaia di migranti, ridotti a schiavi e soggetti a ogni tipo di tortura.Donne e bambine violentate, costrette a prostituirsi, giovani in fuga dai loro paesi e trasformati in torturatori crudeli, assenza di qualsiasi diritto. L’inferno esiste, ed è in Libia. I racconti di questo libro arrivano da coloro che sono miracolosamente riusciti a sfuggire ai lager libici, e in alcuni casi a individuare i loro torturatori e ad assicurarli alla giustizia italiana. Ma non c’è giustizia che possa riscattare chi ha perso qualsiasi dignità.Dobbiamo fermare questa tragedia, non favorirla contrastando chi in ogni modo cerca di contenerla, come le organizzazioni umanitarie che, accusate addirittura di accordi con i trafficanti, sono costrette in buona parte a ritirarsi, lasciando campo libero alla guardia costiera libica, che riporta nei lager gli scampati alla morte in mare. Un incubo senza fine. Nonostante l’encomiabile impegno della nostra marina militare, che da anni si prodiga per salvare quante più persone possibile.

Altra medaglietta che i nostri rappresentanti si appuntano sul petto: i numeri dell'occupazione, indicativi del buon lavoro dei governi Renzi e Gentiloni.
Tutto vero?
E come si spiega che di fronte a questo Bengodi poi l'elettorato ha punito il Pd alle urne?
La realtà dei numeri dell'occupazione, come per il numero dei flussi, va spiegata affinché non rimanga pura propaganda politica fine a se stessa: lo fa oggi Marta Fana sul Fatto Quotidiano

Mese dopo mese il mercato del lavoro è sempre più precario. Trend confermato dai dati trimestrali della “Nota congiunta sulle tendenze dell’occupazione” a cura di Istat, Inps e Inail diffusa ieri.[..]Ulteriori dettagli arrivano dai dati Inps sulla distribuzione della nuova occupazione in base alla dimensione delle imprese che assumono: sono quelle piccole, fino a 9 dipendenti, a creare più lavoro in questo periodo (rappresentano il 41% dei posti creati, mentre le grandi imprese oltre i 50 dipendenti si fermano al 33%). Anche questa non è una sorpresa considerando che in Italia il 90% delle imprese dichiara non più di cinque dipendenti. Il dato peggiore arriva dalla distribuzione per settori economici, curata invece dall’Istat: alla fine del primo trimestre 2018, l’occupazione dipendente si distribuisce per il 71% dei casi nei servizi, il resto nell’industria (8,2 contro 4,4 milioni di occupati). È un campanello d’allarme per il sistema economico dal momento che metà degli occupati lavora in servizi di scarsa produttività come commercio e grande distribuzione, logistica e servizi di alloggio e ristorazione. Un trend da Paese che si sta deindustrializzando senza che la perdita di posti di lavoro nell’industria venga compensato da lavori ad alto contenuto di innovazione.
Oggi la questione più urgente è però un’altra e riguarda le 338 mila persone occupate in somministrazione, cioè il lavoro in affitto gestito dalle agenzie interinali. Un meccanismo con cui le imprese risparmiano sui costi ed esternalizzano le proprie relazioni industriali, i cui numeri sono in crescita: i lavoratori “somminisitrati” sono aumentati del 23,4% in un solo anno. Un fenomeno che segmenta ulteriormente un mercato dove il lavoro sembra sempre più considerato come un fattore usa e getta. Calcolando la durata dei rapporti di lavoro in somministrazione (informazione che non c’è nella nota ma rintracciabile nei dati del Ministero del Lavoro), si scopre che nel 76% dei casi i contratti non durano più di un mese, addirittura meno di due giorni nel 32% dei casi. Una fotografia simile ma meno impietosa riguarda i rapporti di lavoro a termine in generale, che nel 36% dei casi non durano più di un mese e solo nel 22% dei casi vanno oltre l’anno.
Questi numeri mostrano che le imprese italiane, scarsamente produttive, provano a gestire la debole ripresa risparmiando sul costo del lavoro, che si riflette sull’aumento della precarietà. A questo fenomeno dei mini contratti sembra essere incollata la discussione aperta al Ministero del Lavoro nel decreto dignità sul ripristino delle causali per motivare il ricorso ai lavoratori a termine. Se da un alto è vero che la reintroduzione della causale potrebbe ridurre la possibilità di ricorrere a contratti brevissimi, servirà intervenire anche per evitare che le imprese aggirino l’ostacolo ricorrendo alla somministrazione, dove i contratti godono di diverse deroghe rispetto a quelli tradizioni.

19 giugno 2018

Fa troppo freddo per morire, di Christian Frascella



La prima indagine di Contrera
Incipit
Sono nella lavanderia a gettoni di corso Giulio, dove lavoro. Anzi, dove sto di base. Non mi occupo di lavatrici e detersivi, sono un investigatore privato senza ufficio. Un ufficio mi costerebbe troppo per quello che guadagno, quindo ho fatto sapere in giro che se qualcuno ha bisogno dei miei servizi può trovarmi in questo posto. Mohamed Sabil, il marocchino padrone del locale, mi lascia stare qui perché ogni tanto lavoro per la sua comunità, con buoni risultati. Devo essermi distinto almeno per l'impegno, perché nessuno dei miei clienti ha ancora preteso in cambio la mia testa. Invece fuori dal quartiere c'è una lunga lista di persone che mi vorrebbero morto, per esempio la mia ex moglie. E forse anche mia figlia, che non vedo da otto mesi, più o meno.

C'è un nuovo investigatore che si aggira per le strade, innevate, di Torino, anzi per le strade del quartiere Barriera di Torino.
Si chiama Contrera, solo Contrera, senza un nome (per una vecchia storia su suo padre): una volta faceva il poliziotto ed era anche abbastanza bravo. Una moglie, una figlia.
Finché, ad un certo punto, non ha deciso di superare quella linea che separa il lecito dall'illecito, intascandosi una certa dose di droga da piazzare poi nel quartiere, non vedere più certi reati della 'ndrangheta..
Da lì in poi, la caduta. Cacciato dalla polizia, dalla moglie, dalla casa..

Ma non dal suo quartiere: ex area industriale della Torino che della Fiat, della Magneti Marelli, dell'Iveco. Barriera è oggi un quartiere multietnico dove le tensioni tra italiani e immigrati cova come brace sotto la cenere:
Ed ecco che mi si stende davanti Barriera, corso Giulio Cesare, il cuore palpitante dell'assurdo. Maghrebini, sudanesi, congolesi che si salutano, s'ignorano, parlano strillando nei cellulari come se dessero ordini al mondo e magari stanno solo chiedendo come va. I cinesi davanti ai ristoranti si preparano ad accogliere la clientela che non ha soldi per pagarsi un pranzo decente e propongono senza fronzoli quello che chi va da loro si aspetta.Uno che so essere ivoriano è appoggiato al muro della farmacia, dove attende la clientela: sta stretto in un giaccone grigio stretto e fuma senza togliersi la sigaretta dalla bocca, nelle fodere delle tasche ha un po' di hashish per i ragazzini che usciranno da scuola.

Incontriamo Contrera nel suo ufficio, la lavanderia di Mohamed, dove accoglie i potenziali clienti, dove passa le giornate e bersi una Corona con uno spicchio di limone, per poi tornare nella casa di sua sorella Anna, la sera:
Ebbene sì, è così. Vivo da mia sorella, a casa di mio cognato, e dei miei nipoti. E' stato tutto un precipitare di eventi. Prima ho mollato la polizia. Poi la famiglia. All'inizio avevo preso un buco in via Ozegna, sempre in Barriera, una specie di soffitta fuori norma di trenta metri quadrati. D'estate sudavo talmente tanto che potevo sentir eil tonfo delle gocce sul pavimento.[..]Mia sorella Paola, che mi vuole bene senza che io abbia capito perché, mi ha offerto un letto da loro, «fino a quando ti rimetti in carreggiata». Allora era inconta di Giada: la stanza della bambina era già pronta, le ho detto grazie ma no, non avrebbero avuto spazio sufficiente per un'altra persona. «Macché. Te ne starai un po' in camera con Alfredo, gliel'ho già detto, è felicissimo».

E pensare che era entrato in polizia per somigliare al padre, poliziotto anche lui, temuto e rispettato nel quartiere:
Ho picchiato ragazzi dell'età di Alfredo per ottenere informazioni.Ho intascato soldi per guardare dall'altra parte.Ho insabbiato casi, fatto sparire delle prove.Ho acquistato una partita di droga che avrei voluto rivendere per arricchirmi.Tutto questo e altro è avvenuto qui dove sto guidando stanotte - Barriera è il mio cuore nero.

Una mattina riceve un nuovo incarico da Mohamed, il padrone dell'ufficio diciamo: dovrà aiutare Driss, figlio di un suo amico, finito nei guai per un debito contratto con la mafia albanese, andando a mercanteggiare una dilazione dei termini con Oskar, il capo della banda, a sua volta sotto la protezione della famiglia Manduri. Ndrangheta italiana.
Manduri è il capo della 'ndrangheta di questa parte di Torino. La sua famiglia si è trasferita in zona negli anni Sessanta, ha scalzato le piccole bande locali a suon di proiettili, si è inserita stabilmente nei gangli del potere cittadino. Se dici criminalità organizzata, a Torino, stai parlando di loro. Lui è il rampollo, l'erede, l'ultimo dei sanguinari e il primo ad aver guardato alla politica e alla finanza con l'intelligenza e la forza di uno scalatore. Ora osserva tutti dall'alto.Quand'ero in polizia l'ho prima osteggiato - con scarsi risultati - poi ho mollato la presa e ho cominciato a guardare dall'altra parte; in cambio ho incassato i suoi bonus fedeltà.

Non è una missione facile, c'è il rischio che qualche scagnozzo perda la pazienza e gli pianti una coltellata addosso. Ma Contrera non è uno che si ferma di fronte a queste paure: va a trovare Oskar nel suo locale, la Stella Notturna, dove la clientela viene allietata da giovani ragazze in vendita.
Dove il nostro investigatore diventa testimone del delitto proprio di Oskar, che trova morto nel suo ufficio dopo che qualcuno ha staccato la luce.
Del delitto viene subito accusato Driss, per due ragioni: è stato visto allontanarsi dal locale e poi il coltello piantato nel petto del boss è il suo, di Driss.
Aiutare Driss vuol dire una sola cosa: scoprire chi ha veramente ammazzato l'ex boss della mala, il cui vuoto di potere è stato subito riempito dalla fidanzata.
Ma questa è una indagine che da fastidio a tanti: tutti quelli che trovano in Driss un comodo capro espiatorio per l'omicidio.
La ndrangheta per esempio, che non vuole troppa polizia che fa indagini veramente (senza insabbiare le inchieste).
I compari di Oskar.
La polizia ovvero i suoi ex colleghi che oggi lo vedono come il fumo negli occhi: specie il capo della omicidi, il vice Questore De Falco.
Mi hanno bruciato la macchina, puntato una pistola in faccia, minacciato, tentato di fregarmi. Però devo restare calmo, cercare Driss, scoprire se è colpevole e, nel caso non lo fosse, restituirlo a Mohamed e alla sua comunità. Ne va della mia reputazione d'investigatore privato: se sgarro mi gioco tutti i potenziali clienti musulmani del quartiere.

Ma, ripeto, per uno nato e cresciuto qui, in questo quartiere, non ci si ferma davanti a qualche minaccia: da dove partire allora?
Da uno strano giro di scommesse fatto da Driss e per cui si è indebitato in quel modo assurdo, arrivando a chiedere soldi perfino alla mala albanese.
Dal giro di prostituzione dentro il locale di Oskar: c'era qualcuno che avrebbe fatto volentieri la pelle al boss?
Saranno giorni difficili per Contrera: nevica per le strade di Torino, fa freddo e deve muoversi con quella logora giacca militare. La ex moglie lo cerca per un problema con la figlia, cresciuta male per il troppo astio respirato tra i suoi due genitori.
Il cognato, che a differenza di lui ha un lavoro stabile, lo vorrebbe cacciare di casa. Perché Contrera è lo zio preferito dei due nipoti.
E poi c'è Erica, un'impiegata di un'agenzia di scommesse con cui inizia una relazione, una cosa un pelino complicata quando non si ha un auto né una casa.
Riuscirà a trovare Driss in tempo prima che qualcuno lo ammazzi per mettere fine a queste indagini?
Riuscirà egli stesso a non finire accoppato?

Lo scopriremo solo alla fine, dopo una serie di incredibili colpi di scena (risolti anche grazie ad una citazione di Faulkner (“il passato non muore mai”), in cui tutte le cose troveranno un nuovo equilibrio.
La verità verrà più o meno a galla: la verità e non la giustizia
Il tempo di mio padre è finito. Marcito, diventato polvere.La verità non ha più nulla a che vedere con la giustizia. Sono due linee sparate nello spazio in direzioni divergenti, non s'incontreranno più. E chissà se si sono mai incontrate.

In questo ottimo esordio, Christian Frascella mescola umorismo, noir, commedia all'italiana per un racconto che è soprattutto un ritratto impietoso (ma non banale, non con luoghi comuni) della periferia torinese.
Una babele di un mondo pieno di contraddizioni, tensioni, criminalità più o meno organizzata.
Ma anche di gente che si preoccupa delle persone della sua comunità.
Il tutto raccontato in prima persona da questo personaggio, che spero rincontreremo presto in una nuova indagine: personaggio in cui ritroverete un pizzico di Lansdale coi suoi Hap e Leonard, il cinismo di Rocco Schiavone di Manzini, l'umorismo di De Silva col suo avvocato Malinconico.


La scheda del libro sul sito dell'editore Einaudi e il PDF del primo capitolo
Il blog dell'autore
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Il gioco sporco del ministro

Il giochetto è semplice (e qui Salvini ha imparato la lezione da Berlusconi): ogni tanto si lancia qualche sparata per rimpinzare la pancia dell'elettorato e per costringere poi gli avversari a discutere della tua agenda politica.
I comunisti che mangiavano i bambini.
E ora i rom da censire e, peccato, quelli italiani non possiamo cacciarli.
La Lega ci aveva provato già nel 2008 (ministro Maroni), col censimento dei bambini rom a Roma.
Sempre per la sicurezza.

Ma non possiamo ignorare le parole del ministro dell'interno: perché inquinano il dibattito, perché in questi giochetti (come la chiusura dei porti) c'è sempre qualcuno che ci rimette (e se qualcuna delle persone sulla Aquarius non fosse sopravvissuta alla "crociera", come la mettevamo?).

Ma non dobbiamo nemmeno dimenticarci che Salvini lo si contrasta mettendolo di fronte alle sue responsabilità: non è che nella Lombardia amministrata dalla Lega non ci siano persone che fanno le code per un pasto, non ci siano problemi per le abitazioni.

E non è nemmeno vero che i treni arrivano in orario.
Quando il comune di Seregno è stato commissariato, per la scoperta della penetrazione della ndrangheta nel mondo della politica e dell’imprenditoria, mica è stato chiesto il censimento degli 'ndranghetisti, dei collusi, dei colletti bianchi a servizio delle mafie.

18 giugno 2018

Una certa confusione

Pensavo alcune cose, leggendo le notizie qua e là dai siti dei quotidiani online: che della vicenda dello stadio di Roma sappiamo tanto perché conosciamo le intercettazioni non per riassunto, ma intere (almeno quelle pubblicate).
Per esempio quella in cui un avvocato che parlando al telefono dello stadio della Roma dice:
«Si deve fare per forza — dice — verrà uno schifo ma si fa». 

Ecco, le (grandi) opere che si fanno non perché servono ma perché sono necessarie per mangiarci sopra, in tanti.
Fa specie vedere i garantisti di ieri usare quelle intercettazioni per colpire il sindaco di Roma, ma è questione di tifo.

L'Aquarius sbarca a Valencia col suo carico di 600 persone: il gioco d'azzardo di Salvini al momento lo vede vincente, ma come ci comporteremo nel futuro con le prossime navi?
E quello degli hot spot è il piano dell'Europa per risolvere la questione migranti?
Perché è un piano simile a quello proposto dall'ex ministro Minniti, di cui oggi ci parla Scalfari nel suo editoriale, definendolo un salvatore dell'Italia. 
Salvare il paese dal governo di destra che ci troviamo ora, racconta Diego Bianchi.
E anche qui faccio fatica a capire: non è stato Minniti a spianare la strada a queste politiche (lo ha detto Saviano proprio a Propaganda Live)?

17 giugno 2018

Quando sarà finito il polverone

Se avete modo, comprate l'ultimo numero de l'Espresso: non solo per copertina (che ha fatto innervosire il ministro Salvini), ma per la vignetta di Makkox.
C'è un Salvini che scruta l'orizzonte e che vede andar via le navi delle ong: e se queste vanno via, io di che parlo?



"Inizieranno tutti a chiedermi: e la flat tax? E i posti di lavoro che ci rubavano i negri, 'ndo stanno?!!".

Coglie nel pieno la questione, la vignetta: le polemiche, gli hashtag (da una parte e dall'altra), le sparate servono solo a creare quel polverone che non ci fa vedere chiari i problemi.
Ad oggi non c'è correlazione tra ONG e sbarchi, lo dice uno studio dell'ISPI per cui solo il 40% dei salvataggi lo fanno queste associazioni private.
Passato il polverone su porti, su crociere e pacchie che sono finite, si dovrà parlare di lavoro, debito, politica vera.
Che succederà allora?

E vale anche l'inverso per l'inchiesta romana sullo stadio di Roma, usata a seconda del bisogno per attaccare gli avversari: e allora la Raggi? E allora Sala? E allora Casaleggio?
Parnasi pagava tanti partiti, comprese le fondazioni del PD e una vicina a Salvini.
Perchè questo è il capitalismo oggi: relazioni, cene, incontri.
Con la scomparsa dei partiti, di una struttura dirigenziale dietro i partiti, oggi un Lanzalone riesce ad entrare dentro la stanza dei bottoni (a Roma al comune e nelle istituzioni) senza troppi filtri.


PS: nella copertina de l'Espresso si mostrano a fianco il ministro e il sindacalista dell'USB Aboubakar Soumahoro. C'è stato un tempo in cui i sindacalisti erano la palude, quelli che bloccavano il paese, quelli che mettevano il gettone nell'Iphone.
Grazie al cielo quei tempi sono passati.
E si tornerà a parlare anche di diritti sul lavoro.