19 novembre 2018

Realtà e mondo virtuale (da Il sapore del sangue)


La città, le periferie, le persone che le abitano.
Il reale, dunque, con tutto il suo degrado, la carenza dei servizi.
E il virtuale: l'invasione degli immigrati, non fanno niente tutto il giorno, i rom sanno solo rubare.
Ci vorrebbe il napalm, i forni crematori (si rischia di diventare capi di una commissione per i diritti umani a scrivere certe cose) ..
Perché noi lavoriamo, ci alziamo alle 6 di mattina (fateci caso, in questo paese si alzano tutti alle 6 e lavorano da quando avevano 15 anni).


Bentornato Gianni Biondillo che col suo ispettore Ferraro, nel nuovo romanzo “Il sapore del sangue” ci regala un altro affresco dell'Italia e di Milano.
Una Milano che non è il turismo, Expo, i grattacieli. C'è anche quello, è vero.
Ma ci sono anche le piccole gang criminali, lo spaccio (la rete degli spacciatori) e sopra le mafie che ingrassano per le pippate dei milanesi.

Eh, i milanesi. Il milanese non esiste più, a furia di mescolamenti e di persone che vengono sotto la madunina e non stanno “coi man in man”.
Milanesi che, come il resto degli italiani, sono tutti arrabbiati perché noi lavoriamo e questi rubano.
Questi chi?
Beh, andatelo a chiedere al povero Ferraro che deve raccogliere le sue denunce, di persone cresciute a luoghi comuni, scie chimiche, controllo a distanza e via discorrendo:
Beh una volta tanto non erano stati gli zingari. A ogni furto in casa il derubato faceva denuncia e già indicava i colpevoli: zingari. Sempre loro. Ma lei lo sa, caro ispettore, che quelli segnano i portoni delle case di Milano?Palazzo con portinaio, senza portinaio, con videosorveglianza, senza videosorveglianza. Sono furbi, glielo dico io, ma voi non ve ne siete mai accorti? (Ferraro neppure ci provava a replicare. Questa storia dei segni sulle porte di Milano girava fin da quando era entrato in polizia). Non sono io che ve le devo dire queste cose, ma voi delle forze dell'ordine siete troppo lassisti on certa gente.Certo, me ne rendo conto, avete le mani legate, appena provate a bastonarne uno arrivano i buonisti del centro a parlare di diritti civili. Facile per loro, mica ce li hanno sorto casa! Fosse per me li metterei tutti su un'isola. No, niente forni, che siamo democratici, una bella isola, ne abbiamo tante qui in Italia.Gli diamo un po' di semi, dei campi da coltivare, qualche animale e che si arrangino. Così magari imparano cosa vuol dire lavorare.Ferraro, negli anni, aveva chiuso ogni account a suo nome in rete. Niente pagine sui social, niente blog, niente di niente.Non guardava neppure i commenti agli articoli sui quotidiani on line. Era una forma di igiene mentale. Non ce la faceva più leggere sul divano di casa quel ciarpame da leoni da tastiera per poi risentirlo identicamente rabbioso, da vivo, ad ogni denuncia in commissariato. Era come si fosse rotta ogni diga.Non c'era più differenza tra il virtuale e il reale. Nessun pudore, nessuna remora, nessun codice di civile convivenza. Non era vero che la rete imitava in sedicesimo la realtà Era la realtà che era diventata una copia ipertrofica della rete.

A proposito. Il romanzo parla di una persona, cresciuta a Quarto Oggiaro, come Ferraro, che è appena uscita dal carcere.
Come ha fatto Salvatore Procopio, Sasà, a diventare un efferato criminale?
Beh, buona lettura!

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