22 febbraio 2019

Il caso Spotlight in TV

Ieri sera in prima serata è stato trasmesso il film Il caso Spotlight: il racconto dell'inchiesta dei giornalisti del Boston Globe sui casi di pedofilia a Boston e nelle altre diocesi americane.
Le violenze subite da bambini proveniente da famiglie disagiate (dunque meno disposte a denunciare), le coperture da parte della diocesi, i preti che venivano allontanati e spostati di sede e le famiglie convinte al silenzio in cambio di risarcimenti in denaro.

E' sicuramente un caso che la messa in onda di questo film sia avvenuta in questo momento, in cui Bergoglio e la Chiesa devono fare i conti proprio con vicende come queste, oltre che con la propria coscienza.
Oggi si può parlare della pedofilia nella Chiesa, delle omertà, delle coperture, forse perché c'è un papa come Bergoglio, i cui nemici usano proprio l'arma della pedofilia per fargli una guerra interna.
Anni fa non era così: quando Michele Santoro portò in prima serata il tema delle molestie sessuali da parte di predatori in tonaca (mostrando spezzoni del documentario della BBC "Sex crimes"), si sollevarono accuse e polemiche contro la trasmissione che veniva accusata di alzare un polverone, di fare tv spazzatura.

Erano storie che non andavano raccontate, che andavano tenute sotto silenzio.
Il caso Spotlight racconta di quanto fosse sottostimato il problema dei preti pedofili (87 preti nella sola diocesi di Boston), di come molte di queste storie fossero note da anni senza che nessuno facesse niente, degli avvocati che ci lucravano sopra coi risarcimenti.

"Se serve una comunità per crescere un bambino, serve una comunità per abusarne" è una citazione dal film, da parte di un avvocato (Mitchell Garabedian) che aveva cercato di portare in tribunale questi casi.

Serve una comunità per coprire, dunque: vittime che non vengono invogliate a denunciare, una curia che fa muro, giudici che tengono fascicoli nei cassetti, giornalisti che non raccontano queste storie.

Ecco, anche questo è sicuramente un caso, ma il film racconta di quanto sia difficile fare il mestiere del giornalista quando di fronte ti trovi una lobby potente, quando viene attaccato, vilipeso denunciato per quello che scrivi.
In Italia ne sappiamo qualcosa: siamo il paese della giustizia ad orologeria, del fango mediatico (che viene tirato fuori a seconda della convenienza politica del momento), dei giornalisti "puttane" (Di Battista) o prostitute (R. Puglisi).
Giornalisti pagati a cottimo, giornalisti precari, giornalisti su cui pende il reato di diffamazione vecchio di 50 anni.

Nessun commento: