02 marzo 2019

Marzo per gli agnelli, di Mimmo Gangemi


Incipit

Zi’ Masi d’aspetto si mostrava più vecchio dei settantatré anni lì lì da compiere. Nei movimenti no, era agile più d’un gatto. Alla minima espressione del volto la pelle gli s’increspava in rughe ravvicinate e sottili, la carnagione se la pattava con quella di un marocchino abbronzato,aveva occhi svelti, cupi e sanguigni e le gambe storte da stagliare, nel mezzo, la luce di un rombo.

Ancora una volta la Calabria, raccontato con l'occhio attento, disincantato di Mimmo Gangemi: il paradiso in terra per la bellezza dei paesaggi, del mare, i boschi e le macchie mediterranee.
L'inferno, invece, per causa di una politica che è scesa a patti con la criminalità organizzata, delegandole il controllo del territorio, mano libera sugli affari, sugli appalti pubblici, sui suoi traffici criminali.
Marzo per gli agnelli prende il nome da un detto calabrese (che in forme simili troviamo in altre regioni) che significa per ogni cosa esiste il suo tempo, come marzo è il mese in cui si macellano gli agnelli per Pasqua.
«Alle serpi bisogna tagliare la testa prima che morsicano», Saso con la sua voce rifiatata a rantolo e che stonava in tanta abbondanza di figura. Il vecchio agitò avanti e indietro la mano fascista e «c’è marzo per gli agnelli» scandì piano.

In gergo ndranghetista vuol dire che certe vendette su persone da mandare all'altro mondo, per uno sgarro, perché si stanno mettendo di mezzo in un affare, perché cercano di espandere il loro potere, va fatta al momento giusto.
Ma forse questa è la ndrangheta di una volta, quella ancora legata ai vecchi riti, Osso Mastrosso e Carcagnosso, le donne e i bambini non si toccano, l'onore dei boss.
La ndrangheta oggi, delle nuove generazioni ha fame di soldi e potere. Subito e senza compromessi: per questi soldi e potere è disposta a passare sopra a certi equilibri tra famiglie. Come il giovane rampollo dei Survara, Carlo:
Un gagarino. Bello di fuori e brutto di dentro, pensò. Non si faceva scrupolo di niente. Rognoso, viscido, spavaldo. Uno ch’era difficile giungesse a godersi la vecchiaia.

In questo ultimo romanzo di Mimmo Gangemi, che possiamo leggere come un giallo senza eroi, senza buoni, al centro del racconto c'è una speculazione edilizia su un tratto di costa, ad uso agricolo, su cui costruire un albergo di lusso con tanto di attrezzature sportive, spiagge private e tutto il necessario per garantire una vacanza di lusso per pochi clienti vip.
.. un’imponente struttura alberghiera gradevolmente inserita nella campagna. Intorno, un edificio a pianta ottagonale con il ristorante e il bar, un altro per i congressi ..

Un affare in cui c'è dentro la ndrangheta, una serie di famiglie legate assieme da antichi rapporti, forse anche di stima, ma che proprio questo affare potrebbe incrinare.
Affare che stanno organizzando mandando avanti dei prestanome per comprare dei terreni, oggi pietraie nemmeno buone per crescere ortaggi, da poi confluire in una società che dietro ha un complicato meccanismo di società anonime, per impedire che qualche curioso voglia risalire ai veri padroni.

Non usa mezzi troppo sofisticati la ndrangheta per convincere gli acquirenti a vendere: ma le minacce non sempre funzionano. Non funzionano per esempio nei confronti di Giorgio Marro, avvocato che dalla vita ha perso tutto e che dunque non ha più nulla da perde.
Due figli di cui uno morto e l'altro ridotto allo stato vegetativo a seguito di un incidente stradale.
Una moglie persa dietro l'ossessione di veder risvegliare quel figlio vivo, ma solo per le macchine. Non un cenno, non un movimento.
Una vita sospesa nell'incertezza
.. Per l’incertezza, per i giorni che non riacquistavano normalità, per il figlio sospeso tra la vita e la morte – in una parvenza di vita ch’era già morte

No, l'uomo dei boss, Chillé, non riesce a strappare il si all'avvocato Marro, nemmeno dopo una bomba fatta scoppiare davanti la casa del fratello. Tanto per lasciare un messaggio.
Anche perché Giorgio è un avvocato cresciuto a pane e ndrangheta (l'avevo detto che questo è un romanzo senza buoni) essendo stato difensore del vecchio zi Masi, antica famiglia dell'onorata società prima che si trasformasse nel sistema delle ndrine e delle locali.
Per via di questi rapporti e per via del suo essere morto vivente, i suoi terreni vengono così risparmiati dalle brame ndranghetiste.
Il vero ruolo di Cosimo, don Lamberto l’aveva intuito fin da ragazzino: Cosimo garantiva; era il prezzo della tranquillità, la soluzione per scansare le prepotenze di quelli come lui;

Marro è quasi testimone di un delitto nei confronti di due malandrini, Cosimo il campiere di don Lamberto e il figlio, chiamati in paese Raspa: uccisi perché in quell'affare dei terreni avevano alzato pretese che non dovevano permettersi.
In quelle pause si chiedeva cosa ci facesse lì, perché si esponesse così al pericolo. Ché non poteva essere soltanto l’intento di distrarre la mente, di occuparla con altro che non fossero Enrico e Luca.

Come il professor Laurana di Sciascia, anche lui si lancia in una indagine personale, sul duplice delitto di lupara bianca e sui nomi dietro questa società di facciata, fatta credere come società del nord che porta capitali puliti nel sud bisognoso di aiuti, è in realtà un sistema di scatole cinesi che dietro ha delle famiglie ndranghetiste, tra cui anche quella di zi Masi.

Un'indagine che lo porta ad intuire un pezzo di verità ma che lo porta anche a rischiare la pelle: perché quei due cadaveri, creduti persi per sempre, vengono ritrovati da alcuni escursionisti e costringono così la magistratura a mettere il naso dentro quell'affare che così pulito non è.
Tanto blaterare e le delazioni affidate alle lettere anonime destarono dalla sonnolenza la procura. E, all’inizio di aprile, un geometra del Comune dovette interrompere bruscamente il solitario al computer al vedersi comparire in ufficio due agenti. Che sequestrarono l’intero incartamento.

E quando la finanza arriva a sequestrare i patrimoni dentro una delle società della speculazione, iniziano a crearsi degli attriti tra le famiglie. Attriti che si risolvono solo col sangue.
Marro, che non è causa di quei sequestri, viene ritenuto dai Survara, una delle due famiglie in guerra, come responsabile della soffiata agli investigatori. Quell'indagine personale fatta non per eroismo, non per sfidare le ndrine, ma per soddisfare una sua curiosità e per dimenticarsi, per un momento, del dramma familiare.
Proprio nel momento in cui la sua vita potrebbe aver nuovamente senso, si ritrova a dover affrontare la morte.

Marzo per gli agnelli è un romanzo che racconta di un mondo, il sud in mano alle mafie, dal di dentro: si sente l'eco dei romanzi di Sciascia nei passaggi in cui gli uomini della Pro Loco commentano i delitti di cui nulla sanno, se a chiederlo è la legge. Ma su cui tutti ricamano teorie su guerre, congiure, lotte di potere tra famiglie.
Un mondo che sembra senza speranza, diffidente nei confronti delle istituzioni, ostili, lontane, di fatto inutili per risolvere i problemi della vita di tutti i giorni.
Dovrei” si disse Giorgio. Sapendo che non lo avrebbe fatto. Era prigioniero ormai. Del dolore. Della disperazione in cui Marta s’era smarrita. Dei ricordi.

Ma il punto di forza, sta nella descrizione dei luoghi, che sembrano scolpiti e immobili nel tempo. E anche nel personaggio al centro del racconto, l'avvocato Giorgio Marro che lo seguiamo nelle sue investigazioni, nel suo sconforto di fronte a cui non riesce ad andare fino in fondo, in un modo o nell'altro.
Un personaggio pieno di passione e di disperazione, proprio figlio della sua terra.
Terra, la loro, che non percorreva i sentieri della civiltà. Colpa dell’aria che vi si respirava. Colpa dell’immutabilità, che si fosse fuori dai confini, barbari di là della Tracia.

La scheda del libro sul sito dell'editore Piemme
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