30 aprile 2019

L'ultima volontà, di Roberto Perrone



Incipit
Laggiù 
La ragazzina impiegò un mese e sedici giorni a morire. Secondo i suoi calcoli, sarebbe dovuta sopravvivere un giorno in meno, ma perse conoscenza qualche ora prima del termine da lei stessa fissato e non si rese conto che il suo corpo aveva resistito oltre il momento stabilito per il trapasso.

Immaginatevi di trovarvi di fronte ad un puzzle in cui, una mano capricciosa, ha disperso i pezzi lanciandoli sul tavolo e tocca a voi metterli assieme, far combaciare i pezzi..
E' questa la prima impressione che ho avuto leggendo i primi capitoli del terzo giallo delle serie con Annibale Canessa, il colonnello dei carabinieri che di fare il pensionato non ci pensa proprio.

Un vero rompicapo che parte con questa ragazzina che qualcuno ha messo a morire in una cantina scura. Chi è? Perché questa morte iniqua?
Dal tempo passato (e quanto passato si capirà solo dopo, quando mettendo assieme alcuni pezzi si inizierà ad intuire almeno il contorno dell'immagine del puzzle) si passa al 1986, con un'operazione non ufficiale di tre carabinieri, tra cui il maresciallo Savasta: da tempo sta tenendo d'occhio una casa di campagna per anni disabitata e su cui sono girate strane voci.
Savasta sta tenendo d'occhio anche una persona che abita in quella villa e i suoi strani traffici: ma non fa in tempo a fare irruzione, in quella notte gelida e piovosa che viene ucciso da una raffica di mitra senza poter reagire. Ucciso lui e anche i due colleghi, la strage dei carabinieri di Cavriago, un piccolo paesino vicino Reggio dove si è tutti comunisti, uno di quelli col busto di Lenin in piazza, tanto per intenderci.
L’ultima cosa che sentì fu il classico rumore di una mitraglietta VZ.61 Skorpion con il selettore di tiro posizionato su raffica.

Chi ha ucciso in modo così feroce i tre carabinieri?
Perché quella strage in un paesotto della bassa e chi era quell'uomo che Savasta stava tenendo d'occhio?
Sono state veramente le BR come sostenuto dagli uomini che hanno portato avanti le indagini?
Altri enigmi.

Da quella strage dell'aprile 1986, torniamo al tempo presente. Avevamo lasciato Canessa che, al termine dell'indagine sulla bomba alla stazione di Bologna, aveva rotto con la sua compagna (o fidanzata?), la giornalista Carla Trovati: per gettarsi quella storia alle spalle si era tuffato nel lavoro, come uomo dei servizi, con un tesserino da carabiniere fornito dall'amico Salandra (uomo dei servizi da una vita).
Ma un nuova indagine (per lui e la sua squadra) lo sta aspettando al varco e questa volta a far partire il tutto è una confidenza raccolta dalla sorella Sara, da un malato a cui da assistenza nella sua struttura: si chiama Sandro, ma non è il suo vero nome. Sa che sta morendo, questa persona e allora a Sara affida le sue ultime volontà
«.. Mi dispiace, non vorrei lasciarti questo peso in eredità, ma non saprei con chi altro parlare.» «Sandro, cosa dici? Mi spaventi.»
Sandro è un ex brigatista condannato proprio per quella strage del 1986, di cui si è assunto ogni responsabilità. Ma lui, quella sera a Cavriago non c'era, perché aveva passato tutta la giornata assieme alla ragazza di cui si era innamorato, Serena. Una colpa gravissima, per un latitante in clandestinità..
Dopo quella notte aveva perso le tracce di quella ragazza speciale, bellissima, così, quando i carabinieri sono venuti ad arrestarlo, non aveva opposto resistenza.
Sara confida questa storia al fratello Annibale, che decide di vederci chiaro, a qualunque costo, perché significa che degli innocenti (almeno per la strage) sono finiti in galera mentre l'assassino o gli assassini sono liberi.
Il passato, lo aveva imparato a caro prezzo, non torna mai senza marchiarti a fuoco. Nessuna buona azione resta impunita.

Ma, non è l'unico tassello da cui partire. Una collega di Carla, Adele, le confida i suoi dubbi sul suicidio del fratello, Giuliano, ricercatore trovato morto nella sua casa.
Un suicidio a cui la sorella non crede, il fratello stava facendo un lavoro di ricerca a cui teneva e quel gesto è senza spiegazioni. Così Adele chiede a Carla di far indagare sul suicidio, finto, al suo amico Annibale.
Che però è l'ultima persona che lei vorrebbe incontrare, per come si sono lasciati.

Una strage per cui sono stati incolpati dei brigatisti, forse innocenti per quei delitti. Uno strano suicidio, di un ricercatore che stava facendo un'indagine sul periodo successivo al 25 aprile 1945 e sugli omicidi politici avvenuti nel “triangolo rosso” dell'Emilia.

Ma ci sono altre tessere del puzzle a cui il lettore e anche Canessa coi suoi uomini (il Vampa, il maresciallo Repetto e l'hacker Bernasconi) devono trovare la giusta collocazione.
Un commercialista di successo, Laganà, che anziché vivere a Milano o in un altra città dove girano gli affari, ha scelto di vivere a Reggio Emilia.

Il capo della polizia, Ermete Ferretti, che guarda caso aveva seguito proprio quell'inchiesta sulla strage di Cravriago, come capo della Digos di Bologna.
Ermete era chiamato il commissario rosso, perché figlio di due partigiani importanti, il comandante Tilly e Gianna Bonaccini, la compagna Dolores, medaglia d'oro della Resistenza.

Cosa ha che fare il capo della polizia con questa storia? Quale segreto nasconde il suo passato, legandolo a quello di un altro poliziotto, Totò D'Agostino, ora a capo della Security di una grande compagnia telefonica?

C'è qualcosa sotto, qualcosa che non torna nel modo in cui si sono chiuse le indagini sulla strage dell'86. Qualcosa che non torna nel suicidio del ragazzo (e in altre morti fatte passare per incidenti).
Canessa ancora una volta sa che deve andare avanti, per l'onore di quei tre carabinieri, per arrivare alla verità, per il fratello della giornalista. Per arrivare a quell'assassino, o assassini e al loro segreto per cui vale la pena di uccidere per tenerlo nascosto.
«Ma cosa c’era in quella casa? Cosa c’entrano le vecchie storie di guerra con l’uccisione dei tre carabinieri?» 
«Non lo so, è solo una sensazione. Intuito. Ma secondo me era lì che abitava il malavitoso.»

Tutto porta a Cavriago, a quella villa vecchia e abbandonata. Ad un segreto che è anche una macchia sulla coscienza per qualcuno, ma anche una polizza di assicurazione per qualcun altro.
Ancora una volta, toccherà a Canessa, carrarmato Canessa, mettere tutte le tessere del puzzle a posto, arrivando così a quel segreto che affonda le sue radici negli omicidi politici avvenuti al termine della guerra di Liberazione, quelle vendette avvenute per odio, per risentimento anche se la guerra era finita.
Senza fermarsi mai, davanti a nessuno, nemmeno a quelle persone che gli stanno a fianco, per quel suo mantra personale: “non esistevano cose giuste o ingiuste, solo cose che andavano fatte”.

Ci sono cose che funzionano in questo giallo e altre meno, a mio giudizio: tutto l'incastro di storie, le tessere del puzzle, è ben costruito e intricato da rendere difficile comprendere il quadro finale.
Ma ci sono alcuni stereotipi sui personaggi che mi piacciono meno e che sono funzionali a tenere in piedi la storia: l'hacker che entra dovunque, il milionario con fondi illimitati e poi Canessa, a cui l'autore non concede dubbi, imbarazzi, momenti di sbandamento rendendolo forse poco credibile.

Al centro del romanzo i delitti avvenuti a fine guerra di Liberazione, una vicenda storica che merita qualche commento aggiuntivo: il secondo conflitto mondiale fu una guerra feroce, che coinvolse anche la popolazione civile e non poteva finire con un armistizio tra eserciti regolari. Troppi lutti, troppa voglia di vendetta infiammava le persone, in quei mesi dopo il 25 aprile 1945: c'era la sensazione di una guerra di Resistenza tradita, la sensazione che nulla sarebbe cambiato, i voltagabbana che salivano sul carro dei vincitori, l'epurazione nei ranghi dello Stato che aveva toccato solo la superficie.
Ci sono state anche esecuzioni sommarie, delitti efferati che hanno colpito sia ex fascisti che persone innocenti.
Di fronte alla Storia c'è il dovere di ricordare tutti gli episodi della guerra di liberazione, anche i crimini e gli errori dei partigiani.
Ma questo non cambia il corso della Storia e la verità storica: la guerra di Liberazione è quella che ha consentito al paese di liberarsi dall'occupazione e dalla dittatura, che ci ha consegnato un paese con una democrazia giovane e con molti problemi, ma con delle libertà che prima non avevamo.

La scheda del libro sul sito dell'editore Rizzoli
Il blog dell'autore
I link per ordinare il libro su Ibs e Amazon

Pio La Torre, la mafia, la politica del gattopardo


Nato nel 1927 in una frazione miserabile di Palermo, Altabello di Baida, La Torre è stato mandato a lavorare nei campi fin da bambino, ha diviso la sua stanza con una folla di fratelli e una capra, ha conosciuto la luce elettrica solo da ragazzo e la scuola solo per le insistenze di sua madre.Dal 1945 è iscritto al Partito Comunista, organizzatore di braccianti, detenuto al carcere dell'Ucciardone per diciassette mesi per occupazione di terre, consigliere comunale a Palermo, deputato nazionale, membro della Commissione antimafia, segretario regionale del PCI siciliano. Sa che cosa è la mafia, perché la vede da quanto è bambino, conosce a memoria i nomi di sindacalisti e attivisti ammazzati. Non è un banchiere, ma sa come circolano i soldi e conosce tutti gli appalti che hanno cementificato la città di Palermo. Non è un sociologo, ma sa quanto si guadagna con la droga e la strada che prendono i soldi, verso Milano e verso New York. Non è un politologo, ma è rimasto allibito quando quando è stato stabilito che nella città di Comiso, in provincia di Ragusa, verrà costruita una grande base americana, dotata di missili nucleari per contrastare quelli dell'Unione Sovietica. Ha spiegato al suo partito che sarà la mafia a gestirlo, ma quando parla di queste cose nelle riunioni di Botteghe Oscure non sente il calore della lotta e dell'impegno; e anche a Palermo nel suo partito lo giudicano un uomo all'antica, un romantico. E anche un po' un disturbatore.Nel 1980 ha presentato una proposta di legge tanto semplice quanto rivoluzionaria: la mafia va considerata «associazione a delinquere» e i beni dei mafiosi vanno confiscati. Tutto il testo non è più lungo dii una paginetta, ma non ha trovato nessuno nel partito che mettesse la firma accanto alla sua.Gli unici che gli sono stati vicini sono stati un giornalista, Alfonso Madeo, e due giovani sostituti procuratori di Palermo, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. La sua legge è finita nel cassetto. Allora ha scritto una lettera al presidente del Consiglio, Giovanni Spadolini, in cui gli ha spiegato come stanno le cose – in breve: l'Italia sta per essere divorata dalla mafia – e Spadolini lo ha cortesemente ricevuto e ha ascoltato stupito; ha garantito che farà avanzare l'iter della sua proposta di legge. Poi Pio La Torre è tornato a Palermo e ha organizzato una manifestazione da centomila persone a Comiso – la più estrema delle periferie – in cui, il 4 aprile, hanno sfilato comunisti, pacifisti, monaci buddisti, ragazze inglesi molto determinate. Ovvero la solita schiuma della terra che si oppone al corso della Storia.Da Patria, di Enrico Deaglio

Il 30 aprile 1982 la mafia uccideva Pio La Torre assieme al suo autista, Rosario di Salvo: la sua colpa (agli occhi della mafia gravissima) era quella di aver portato avanti una proposta di legge rivoluzionaria.
Essere mafiosi era reato e, per quel reato, lo Stato poteva confiscarti tutti i beni.
Sembra una cosa semplice, ma questa legge rimase nel cassetto per mesi e ci volle l'indignazione per un altro cadavere eccellente, il prefetto Dalla Chiesa, affinché il PCI e il governo la ritirasse fuori.
Conosceva la mafia avendola vista da vicino, Pio La Torre, ma era anche un uomo solitario nella sua battaglia: nemmeno nel suo partito quella lotta a viso aperto contro la mafia si voleva portare avanti.
Significava mettersi contro un pezzo dello Stato, il mondo delle banche e della finanza (attraverso cui passavano i miliardi dei mafiosi), dei costruttori (che usavano l'arma del ricatto del lavoro) e anche mettersi contro un pezzo vasto di politica.
La legge Rognoni La Torre, il 416 bis, è stata una rivoluzione come anche una rivoluzione la stagione antimafia seguita alle stragi di Falcone e Borsellino.
Ma una rivoluzione serve a poco se non c'è vera discontinuità politica (e anche nelle imprese e nella finanza) tra un prima e un dopo: si dice che la Sicilia sia un laboratorio politico dove sperimentare nuove alleanze. Qui si è preparato il 61 a zero di Forza Italia nel 2001, qui i partiti sono in mano ai soliti capibastone, che si rivendono al miglior offerente.
Fino a pochi anni fa era il PD ad essere chiamato “partito acchiappavoti” per la campagna acquisti di ex lombardiani, cuffariani e altro.
Oggi tocca al nuovo che arriva (e che sa già di vecchio): quel Salvini che fa il pienone nelle piazze della Sicilia sperando di prendere il posto di Berlusconi.
Ieri sera Report ci ha raccontato del sistema Montante, della sua ragnatela di spioni, magistrati, giornalisti, con cui consolidava il suo potere e portava avanti la sua finta immagine di paladino dell'antimafia.
Combattere la mafia costa fatica, costa sacrifici, significa rischiare la pelle, anche l'isolamento da parte della politica ignava che preferisce non vedere.
Finché la lotta alla mafia sarà fatta solo da chiacchiere e chiacchieroni, avremmo purtroppo ancora bisogno di eroi come Pio La Torre (che pure ci sono, penso all'ex presidente del parco dei Nebrodi, Antoci).

Report – il codice Montante (e la differenziata nelle catene di ristorazione)

La centrale di spionaggio messa in piedi dall'ex numero uno di Montante, che porta all'intercettazione tra Mancino e Napolitano e la trattativa stato mafia.
La scuola dei sovranisti in una Abbazia del 1200 ottenuta dando false informazioni.

Nell'anteprima come fare differenziata e creare anche posti di lavoro.

Fare la differenza di Antonella Cignarale immagini di Chiara D’Ambrosio

Mangiamo fast, veloce e consumiamo più plastica per forchette e piatti: sono rifiuti che poi dobbiamo gestire. Dobbiamo far cambiare abitudini alle catene i fast food, come ha fatto il governo francese che ha imposto a queste catene di produrre un piano per potenziare la differenziata.
E in Italia?
Pochi gestiscono correttamente i rifiuti, differenziando: la carta con la carta, anche se unta e la plastica con la plastica.
Servono contenitori nei negozi, imballaggi riciclabili e una corretta formazione dei clienti e del personale nei locali: basta versare tutto dentro l'indifferenziata!

I dipendenti Mc Donald's a Milano (ma anche a Napoli), in un locale dove la giornalista è entrata, buttavano tutto assieme.
Ma a Napoli si sono dimostrati poco inclini ad accettare consigli.

Nessuna formazione per gli addetti Mc Donald's e nemmeno da Burger King (per par condicio): allora la formazione la deve fare lo Stato, la televisione (come Report e questo servizio di Antonella Cignarale che ha dovuto rovistare tra i sacchi della spazzatura), perché differenziando si ha un risparmio sui costi per i rifiuti, paghiamo noi anche per quelli che non fanno correttamente la differenziata.

Addirittura un manager di Mc Donald's voleva denunciare la giornalista ai carabinieri e voleva pure licenziare il dipendente. Ma come si permette a parlare con la stampa ..

Tu vuò fà l'americano di Giorgio Mottola

Bannon sta finanziando e aiutando partiti italiani in vista delle prossime elezioni: Bannon ha incontrato Salvini tramite Arata ed era presente alla festa di Fratelli d'Italia della Meloni.
Bannon, in un documentario mostrato da Report, parla di strategie elettorali con Arata: a che titolo?
Che cosa lega Bannon, Arata con Nicastri fino a Salvini?

Il codice Montante, di Paolo Mondani

Pochi giorni fa i magistrati di Caltanissetta hanno chiesto dieci anni di carcere per Antonello Montante, l'uomo della legalità di Confindustria, l'apostolo dell'antimafia.
Tutto falso, come la laura e la fabbrica di bici.
Oggi è indagato per concorso esterno in mafia: Report riparte da dove era finita la prima parte dell'inchiesta di novembre scorso.
Con la storia di Banca Nuova (la banca siciliana del gruppo bancario di Zonin) che aveva sede proprio nell'ex ufficio di Pio Pompa, uomo del Sismi di Pollari.

I conti dei servizi stavano da Banca Nuova, una banca creata dai servizi – racconta un suo ex manager: Montante aveva ereditato un meccanismo oliato, creato dai servizi (come anche Montante è una creatura dei servizi).
Nella filiale di Roma agenti cia e uomini dell'ambasciata erano di casa: Adriano Cauduro è stato ex direttore generali della banca, nell'intervista con Mondani racconta di aver visto Pollari nella filiale della banca di Roma, nella scrivania del direttore.
Era il 2017.

In quel palazzo Pollari aveva installato Pio Pompa lì, per creare dossier contro politici e magistrati ostili al governo Berlusconi.

Un altro manager, che si è fatto riprendere, racconta di un ricevimento con Lombardo, Schifani, i magistrati De Francisci, Anna Palma, Basile della KSM e Antonello Montante.
Magistrati, politici e imprenditori.
Altri incontri tra Montante e questori, uomini dei servizi, generali: molti spioni, parenti di questi personaggi sono poi stati assunti in Banca Nuova.

Lo stesso Manager racconta dei fratelli Gualdami, uno dei fratelli funzionario della banca, un altro un politico: sarebbero loro i contatti col generale Piccirillo, per portare in quella banca i conti dei servizi.

Ci sono poi storie di crediti concessi agli amici (Ardizzone, Ciancio, Romano, Mannino) che poi non sono stati restituiti o restituiti con difficoltà.
Zonin (a capo del gruppo bancario che ha fondato anche Banca Nuova) nel 2016 piomba in Sicilia per fermare Cauduro, l'ex DG, che cercava di far rientrare nei debiti questi personaggi eccellenti.

Un altro testimone racconta di una banca di Trapani, che custodirebbe i soldi dei mafiosi, poi comprata da Zonin e messa dentro Banca Nuova: con questo acquisto sarebbe poi diventato intoccabile.

Banca Nuova finanziava i giornali, teneva i conti di un boss, i politici coinvolti nella trattativa stato mafia, i conti del capocentro della DIA e i conti dei servizi.
Lo hanno raccontato due giornalisti, Bonazzi e Borghi, che oggi per questo sono accusati di violazione di segreto di stato e rischiano dieci anni di carcere.

Nel 2017 Banca Nuova chiude e così Montante vola in America alla festa dell'associazione italo americana (NIAF) pur essendo già indagato.
Montante è cresciuto con Arnone, un altro personaggio molto chiacchierato, con condanne per mafia: ha fatto lui da testimone al matrimonio di Montante che oggi viene difeso dall'avvocato Taormina.

Che oggi difende il suo assistito puntando sul fatto che i giudici che lo accusano erano a fianco di lui e non si accorgono di niente, come di niente si è accorto l'ex ministro Alfano, che aveva affidato a Montante il ruolo di gestione dei beni sequestrati alla mafia.

A Palermo Mondani ha incontrato Vincenzo Monticello, ex proprietario dell'Antica Focacceria, simbolo della resistenza alla mafia nel capoluogo ai tempi di Montante e della finta rivoluzione degli imprenditori dell'isola: oggi ha ceduto la focacceria, ed è un dipendente della Regione.
Ha provato, in regione, a bloccare un viaggio di Montante a Washington nel 2017, perché non opportuno (Montante era già indagato all'epoca): non solo non è stato ascoltato (e Montante è volato in America come ospite riverito alla cena della National Italian American Association) ma gli è anche stata tolta la scorta, nonostante con le sue denunce abbia mandato in carcere 5 estorsori.

Passata la breve stagione della vera lotta al racket, tra il 2007 e il 2009, oggi tutti continuano a pagare il pizzo a Palermo e non solo.
A Mondani, Monticello racconta di come sia stato strumentalizzato ai tempi di Montante: ad ogni intervista, ogni volta che arrivava la televisione, succedevano cose strane, auto vecchie che venivano sostituite, come se lo Stato volesse fare bella figura, quello Stato (politici, imprenditori) che oggi però lo hanno schivato, allontanato.
Nemmeno l'assessorato alle attività produttive ha sostenuto Conticello: a capo dell'assessorato c'era una persona messa lì da Montante stesso, Linda Vancheri.
Ai tempi di Expo 2015, Vancheri (funzionaria di Confindustria) ha firmato una convenzione con Montante (a capo di Confindustria), con dietro una certa somma di risorse pubbliche, affinché Unioncamere promuova l'immagine di diverse imprese siciliane all'Expo.
Montante aveva messo in piedi un sistema che ricorda quello della P2 – ricorda l'europarlamentare Fava.

Montante e Lo Bello sono soci di una società di cui faceva parte anche un avvocato, Francesco Agnello, un nome che viene fuori anche nell'inchiesta che ha coinvolto il politico lombardo Penati e che, “si dice”, fosse legato al politico regionale Beppe Lumia.

Lumia ha smentito tutti i fatti, questo tentativo di mascariare un politico: per timore di mascariare qualcuno l'imprenditore Venturi è andato a denunciare Montante e il suo sistema ai magistrati.
Marco Venturi è uscito da Confindustria nel 2015, dopo una intervista con Repubblica e parla di un vero e proprio imbroglio di Confindustria, una stagione che era partita bene, per fare la lotta alla mafia, la lotta al racket nel 2006. Lotta che subito si inceppò “perché quando si cominciò a parlare di lotta al lavoro nero, lotta agli imprenditori che non pagavano gli stipendi o davano il 50% delle buste paga, lì cominciarono dei freni, cominciò la paura di molti”.
Montante era uno che spaventava le persone: Galli (oggi deputato PD, all'epoca dirigente in Confindustria) cercò di ostacolarlo e dovette smettere, era protetto dalla Marcegaglia.
Un anonimo ex dirigente di Confindustria racconta a Mondani altri dettagli sconcertanti: “Riuscì ad imporre il suo capo della sicurezza personale come capo della sicurezza di tutta Confindustria. Ma pensi che poco prima dei suoi guai giudiziari a Confindustria arrivò uno scatolone pieno di cassette registrate, inviato a Giancarlo Coccia da Montante. Furono messe nel caveau di Confindustria. Sarà stato verso l’agosto del 2017”.

Mondani ha chiesto all'ex manager: “E la polizia non sa nulla dello scatolone?”. “No”.
Montante aveva imposto alla Marcegaglia l’assunzione di Diego Di Simone, ex commissario di Polizia della squadra mobile di Palermo, arrestato con lui il 14 maggio dello scorso anno. Il 31 marzo 2016 Di Simone è intercettato mentre comunica festante a un fornitore, Salvatore Calì, la notizia dell’elezione di Vincenzo Boccia che, annotano gli inquirenti, “rappresentava la continuità con la pregressa gestione”. “Boccia, quello di Salerno… è bellissimo”, dice Di Simone, e Calì felice: “Quindi rimaniamo tutti, giusto?”. L’unico inconsapevole (apparentemente) è proprio Boccia, come Squinzi prima di lui. È proprio strana la deriva della Confindustria. (dall'articolo di Meletti sul FQ).

C'è poi la storia della mafia agricola, quella contro cui si è battuto Antonino Antoci, vittima di un attentato fallito: un attentato di mafia o un attentato fatto dalla politica, per mascariare Antoci?
Chi ha ordinato l'attentato? Perché Antoci, uomo di Crocetta e Lumia, non parla mai di Montante?

Fabio Venezia, padre del protocollo adottato nel parco, racconta al giornalista che oggi forse ha fatto più danni l'antimafia che la mafia in Sicilia.
I magistrati sospettano che Montante abbia usato i suoi dossier, le informazioni che arrivavano dalle sue fonti, per ricattare, distruggere carriere e aumentare il suo potere.

Tra i segreti a disposizione da Montante anche pezzi dell'intercettazione tra Mancino e Napoletano: intercettazioni che dovevano essere distrutte, o forse no.
Intercettazioni dove si parla della trattativa stato mafia, quando un pezzo dello Stato si piegò ai desiderata della mafia: in primo grado sono stati condannati uomini dello stato e politici come Del'Utri.

Era una trattativa politica – racconta Di Matteo, non si fermava agli ufficiali del ROS: nelle indagini fu intercettato anche l'ex ministro Mancino quando telefonava all'ex consigliere D'Ambrosio e alcune con Napolitano.
Quest'ultimo aprì un conflitto con la procura di Palermo, chiedendone la distruzione.
Oggi i magistrati che indagano su Montante sospettano che quelle siano finite nella disponibilità di Montante, arrivategli dal colonnello D'Agata (capo centro della DIA).
D’Agata a un certo punto viene portato a lavorare per i servizi segreti dal generale Arturo Esposito, direttore dell’Aisi. Entrambi sono indagati con Montante, con l’ipotesi che abbiano fornito al sedicente eroe antimafia notizie riservate sull’inchiesta a suo carico. “Il figlio di D’Agata è poi stato assunto a Banca Nuova, la moglie viene piazzata da Montante in un ente regionale”.

D'Agata avrebbe fatto un uso improprio di quelle intercettazioni per fare carriera?
Se fosse vero avrebbe tradito lo Stato e i suoi uomini – ha commentato così il giudice Di Matteo.

Chi è allora Montante? Un personaggio creato ad arte per nascondere il vero volto della mafia e creare un'immagine finta dell'antimafia?
Saprà lo Stato processare sé stesso per combattere la mafia che deve la sua forza proprio grazie ai suoi rapporti con uomini dello Stato, imprenditori, professionisti?

29 aprile 2019

Le inchieste di Report: la finta antimafia, i sovranisti in Italia e la differenziata nella ristorazione


Report torna sul caso Montante, l'ex presidente di Confindustria Sicilia e la sua finta antimafia.
Un'inchiesta interessante su Bannon e sui suoi interessi qui in Italia (che incrociano le strade col ministro dell'Interno).
Nell'anteprima un servizio su come le catene di ristorazione gestiscono la raccolta differenziata di carta e plastica

L'anteprima della puntata: Fare la differenza di Antonella Cignarale immagini di Chiara D’Ambrosio

Cosa stanno facendo le grandi catene di ristorazione per la differenziata? Non differenziare è un danno ambientale oltre che un costo economico per il paese: queste società devono essere consapevoli dell'impatto dei loro comportamenti così come dobbiamo esserlo noi come consumatori.
Sono i nostri comportamenti che fanno la differenza.
Quanta carta e quanta plastica si consumano per mangiare un pasto al volo? Posate monouso, insalate in ciotole di plastica, snack in vaschette di cartoncino, caffè, centrifugati e bibite serviti in bicchieri con tappo e cannucce. È necessario tanto limitare l’accumulo di rifiuti indifferenziati quanto favorire il riciclo. Report è andato a vedere come si organizzano le grandi catene della ristorazione per la raccolta differenziata degli imballaggi di cui fanno da sempre gran uso, scoprendo che nelle sale troppo spesso carta, plastica e residui di cibo finiscono nei contenitori del rifiuto indifferenziato, sia perché a volte si trovano solo quelli, sia perché molti consumatori non perdono i brutti vizi. Ma quanti hanno chiaro che lo smaltimento di rifiuti indifferenziati è un danno ambientale e un buco nelle nostre tasche?

Il codice Montante

Era considerato l'apostolo dell'antimafia in una regione dove il confine tra mafia, istituzioni e imprenditoria e labile e difficile da cogliere.
Invece, sostengono i magistrati palermitani, quello di Antonello Montante era solo un bluff: nella prima inchiesta di Report dello scorso novembre, Report aveva raccontato della rete di giornalisti, magistrati, politici e uomini dei servizi che Montante aveva messo in piedi per i suoi interessi (e far fuori i nemici): il giornalista Paolo Mondani aveva raccolto la testimonianza di un ex fedelissimo di Montante, Marco Venturi, che parla di un vero e proprio imbroglio di Confindustria, una stagione che era partita bene, per fare la lotta alla mafia, la lotta al racket nel 2006. Lotta che subito si inceppò “perché quando si cominciò a parlare di lotta al lavoro nero, lotta agli imprenditori che non pagavano gli stipendi o davano il 50% delle buste paga, lì cominciarono dei freni, cominciò la paura di molti”.


Per queste accuse, l'ex presidente Montante è andato a processo per corruzione, dossieraggio e concorso esterno in mafia e i pm hanno chiesto per lui una condanna a 10 anni di carcere.
Seguendo questa rete, Mondani è arrivato al segreto più inconfessabile della nostra Repubblica.

Il servizio di Mondani è partito da Troina, nel mezzo del parco dei Nebrodi, regno della mafia agricola che specula sui pascoli e sui fondi europei per l'agricoltura, una partita che in Sicilia vale 2,3 miliardi di euro.
Il sindaco Venezia ha fatto fare 14 interdittive ad altrettante famiglie di mafie che usufruiscono di questi fondi e che per questo oggi vive scortato: “io credo che il movimento antimafia abbia raggiunto un momento bassissimo, la domanda che sorge spontanea è se negli ultimi anni abbia fatto più danni l'antimafia che la mafia stessa” - racconta a Mondani.

Montante è finito sotto inchiesta nel 2015 e così la sua stella come imprenditore antimafia è crollata: a maggio 2018 il tribunale di Caltanissetta lo ha arrestato per corruzione, spionaggio e accesso abusivo al sistema informatico, nell'attesa del processo è ai domiciliari nella sua villa di Serradifalco.
Banca Nuova, la banca del gruppo Banca Popolare di Vicenza fondata da Zonin, ospitava i conti di Montante e, fino al 2014, dei nostri servizi segreti.
Il suo potere è diventato inviolabile quando è approdato in Sicilia – racconta un testimone della vicenda al giornalista.

A Palermo Mondani ha incontrato Vincenzo Monticello, ex proprietario dell'Antica Focacceria, simbolo della resistenza alla mafia nel capoluogo ai tempi di Montante e della finta rivoluzione degli imprenditori dell'isola: oggi ha ceduto la focacceria ed è un dipendente della Regione.
Ha provato, in regione, a bloccare un viaggio di Montante a Washington nel 2017, perché non opportuno (Montante era già indagato all'epoca): non solo non è stato ascoltato (e Montante è volato in America come ospite riverito alla cena della National Italian American Association) ma gli è anche stata tolta la scorta, nonostante con le sue denunce abbia mandato in carcere 5 estorsori.

Passata la breve stagione della vera lotta al racket, tra il 2007 e il 2009, oggi tutti continuano a pagare il pizzo a Palermo e non solo.
A Mondani, Monticello racconta di come sia stato strumentalizzato ai tempi di Montante: ad ogni intervista, ogni volta che arrivava la televisione, succedevano cose strane, auto vecchie che venivano sostituite, come se lo Stato volesse fare bella figura, quello Stato (politici, imprenditori) che oggi però lo hanno schivato, allontanato.
Nemmeno l'assessorato alle attività produttive ha sostenuto Conticello: a capo dell'assessorato c'era una persona messa lì da Montante stesso, Linda Vancheri.
Ai tempi di Expo, Vancheri ha firmato una convenzione con Montante, con dietro una certa somma di risorse pubbliche, affinché Unioncamere promuova l'immagine di diverse imprese siciliane all'Expo.
Montante aveva messo in piedi un sistema che ricorda quello della P2 – ricorda l'europarlamentare Fava.

Un sistema basato anche sui ricatti come quello che avrebbe subito l'ex presidente Crocetta, per un video hard di cui Montante sarebbe venuto in possesso.
Ma forse nei suoi dossier c'è qualcosa di molto più importante: nell'anticipazione del servizio che trovate sul Fatto Quotidiano, da parte di Giorgio Meletti, si parla delle intercettazioni delle telefonate tra Mancino e Napolitano.

Eppure, nota Mondani, “i magistrati che indagano su Montante sospettano che nel suo sterminato archivio sia finito il segreto per eccellenza”: le famose intercettazioni telefoniche tra l’ex ministro dell’Interno Nicola Mancino e Napolitano, ufficialmente distrutte nel 2012 per ordine della Corte Costituzionale. Quelle intercettazioni erano nella disponibilità del colonnello dei Carabinieri Giuseppe D’Agata, capo centro della Dia (direzione investigativa antimafia) di Palermo. D’Agata a un certo punto viene portato a lavorare per i servizi segreti dal generale Arturo Esposito, direttore dell’Aisi. Entrambi sono indagati con Montante, con l’ipotesi che abbiano fornito al sedicente eroe antimafia notizie riservate sull’inchiesta a suo carico. “Il figlio di D’Agata – segnala Report – è assunto a Banca Nuova, la moglie viene piazzata da Montante in un ente regionale”.
La scheda del servizio: Il codice Montante, di Paolo Mondani in collaborazione di Norma Ferrara
A processo per corruzione e dossieraggio, l’ex presidente di Confindustria Sicilia Antonello Montante è ancora sotto inchiesta per concorso esterno alla mafia. Un’indagine della Commissione regionale antimafia lo accusa di aver creato un “governo parallelo” nella Regione per gestire la spartizione dei fondi alle imprese, e disporre delle carriere di politici e uomini delle istituzioni. Il prossimo 10 maggio il Tribunale di Caltanissetta pronuncerà la sentenza contro i primi imputati accusati di aver creato una rete di spionaggio per passargli informazioni riservate. Fra loro, uomini dei servizi, delle istituzioni e investigatori in prima linea nella lotta alle mafie.
Dopo l’inchiesta trasmessa da Report il 12 novembre scorso, Paolo Mondani è rimasto per mesi sulle tracce degli uomini e delle donne che hanno costruito questo finto paladino della legalità per capire chi e perché ha trasformato un costruttore di ammortizzatori e biciclette in uno degli uomini più potenti del nostro paese. E ha portato alla luce il “codice Montante” un sistema di potere fatto di ricatto e mistificazione. E nuovi segreti.
Mentre Montante è ai domiciliari nella sua villa di Serradifalco in provincia di Caltanissetta, dentro Confindustria i suoi uomini sono ancora nei posti che contano. Ma è fra Palermo e Roma che “l’apostolo dell’antimafia” sarebbe stato il garante della partita più delicata di tutte per le sorti della Repubblica. Per scoprirla e conoscerne i protagonisti siamo andati indietro di oltre 25 anni, sino alle radici di quel patto fra pezzi di mafia e pezzi dello Stato, su cui si è fondata la seconda Repubblica.

Sovranisti europei

Steve Bannon ha deciso di costruire la sua scuola politica proprio qui in Italia: ha strappato dal ministero dei Beni Culturali una concessione per 19 anni per una abbazia del 1200, la Certosa di Trisulti, in piena Ciociaria.
Qui formerà i suoi gladiatori, gli agenti del cambiamento, per un mondo in mano ai sovranismi locali.
Ma dietro questa convenzione ci sono cose che non tornano.


In Europa ha stretto una serie di rapporti politici con buona parte dei partiti di estrema destra, in Grecia e in Italia: avrebbe avuto un ruolo importante perfino nella nascita del governo giallo verde, così racconta il portavoce di “The Movement” (la struttura politica di Bannon) Mischael Modrikamen a Giorgio Mottola.
E' lui che ha convinto sia Di Maio che Salvini a fare questa alleanza populista, in pratica è stato il loro consigliere privato nei giorni precedenti la formazione del governo.
Nel corso del servizio saranno mostrati alcuni spezzoni di un documentario su Bannon, “The Brink”, dove quest'ultimo si trova assieme ad emissari della Lega: “intendiamo fornire inchieste, analisi dei dati, messaggi dal centro di comando ..” .. L'idea è che con questo possiamo diventare il partito numero uno in Italia .. e poi dovrete dir loro che dobbiamo pianificare.. pianificare è la parola chiave per vincere le elezioni”.

Le immagini di questo video arrivano fino al Viminale, il ministero che sovrintende la sicurezza nazionale e anche la sicurezza delle elezioni interne ed europee.
A portare Bannon al Viminale e a concordare questa strategia è stato Federico Arata, figlio di Paolo Arata l'imprenditore in questo momento sotto indagine assieme al sottosegretario Siri.
Paola Arata sarebbe socio del re dell'eolico in Sicilia, Vito Nicastri, prestanome di Matteo Messina Denaro.
Arata è accusato di aver pagato una mazzetta a Siri per inserire nel DEF un emendamento a lui favorevole, mentre il figlio Federico è considerato l'artefice del rapporto tra Bannon e Salvini.

(qui l'anteprima su Raiplay)

La scheda del servizio: Tu vuò fà l'americano di Giorgio Mottola collaborazione di Alessia Cerantola, Lorenzo Di Pietro ed Elisa Bruno
Da quando Steve Bannon è stato licenziato dalla Casa Bianca, ha deciso di trasferire la sua attività politica in Europa, fondando l’associazione The Movement. La sua attenzione è però particolarmente concentrata sull’Italia dove l’ex capo stratega di Trump sembra aver trovato il leader del suo progetto europeo. Report mostrerà in esclusiva le immagini del primo incontro tra Bannon e il leader della Lega organizzato da Federico Arata. Il ruolo di Bannon sarebbe stato centrale anche nella nascita del governo Conte, come rivela per la prima volta il portavoce di The Movement in un’intervista inedita alla nostra trasmissione. Nel progetto sovranista di Bannon l’Italia è così centrale che ha annunciato di voler costruire la roccaforte del suo movimento proprio nel nostro paese, all'interno di un'abbazia del 1200: la Certosa di Trisulti. Qui, in un piccolo comune nel cuore della Ciociaria, sorgerà la prima scuola al mondo di sovranismo. Promotore dell'iniziativa è l'associazione Dignitatis Humanae che ha avuto in concessione l'abbazia dal Ministero dei Beni Culturali per i prossimi 19 anni anni. Ma il bando di assegnazione presenta numerose anomalie. La Dignitatis Humanae si è aggiudicata la certosa con documenti che appaiono pieni di incongruenze e irregolarità.

28 aprile 2019

Cronache di un ritorno al passato


A mettere assieme tutti i fatti avvenuti in questi giorni ho l'impressione di fare un tuffo nel passato.

La norma sulla legittima difesa che è appena diventata legge per esempio, su cui non mi consola per niente il monito del presidente Mattarella, visto che servirà a poco.
Caro cittadino, io ministro dell'Interno non posso garantirti alcuna sicurezza, ma se vuoi armarti e sparare, nessun problema.

Chissà se anche per i fatti di Manduria in Puglia si sarebbe potuto parlare di legittima difesa: parlo del pensionato seviziato per anni da una banda di ragazzini e di cui in tanti nel paese sapevano, ma sono stati zitti. Omertà si chiama. E immaturità di questi adolescenti a cui nessuno evidentemente ha spiegato che di fronte a certe violenze, soprusi, non si ride né si gira la testa dall'altra parte.

Avete letto le proteste contro il post dei riders milanesi: no, mica le proteste per le loro condizioni di non lavoro, per l'assenza di tutele, per il lavorare a cottimo senza nemmeno un cottimo calcolato i tempi di lavoro effettivi (come ai tempi di Lulù protagonista del film “La classe operaia va in paradiso”).
Lo scandalo è che si sono permessi di tirare in ballo i vip: purtroppo per malafede o per analfabetismo, in molti ci hanno visto una minaccia da parte dei ridersi, ma come si permettono questi qua?
No, i riders hanno ricordato ai vip taccagni (e a tutti gli utenti social) che noi diamo i nostri dati gratis e senza accorgercene ai signori del web che poi sanno tutto di noi.
Finché ci portano il cibo, bene.
Ma quando poi si arriva alla discriminazione, come sembrerebbe nel caso della App Ovia, usata per controllare i ciclo da circa 10 milioni di utenti donne, secondo il Washington Post i proprietari avrebbero venduto i dati alle aziende per discriminare le dipendenti.

Non è pieno ottocento (o primi del novecento) tutto questo sfruttamento, questo caporalato delle persone con la pelle scura, questi campi abusivi riempiti di schiavi che raccolgono frutta e verdura per noi?

Ritorno al passato anche per quanto riguarda l'ennesimo salvataggio di Alitalia a cui contribuiranno i nuovi-vecchi patrioti, come i Toto e i Benetton in un probabile gioco di do ut des col governo del cambiamento.
Qualche milione in cambio di altri milioni per le loro autostrade in concessione.

Quest'ultima storia dovrebbe far riflettere su quanto sia facile fare promesse e quanto sia difficile mantenerle. Vale per il caso di Alitalia, che non è stata salvata da Berlusconi prima né Renzi poi (“Alitalia torna a volare” ve lo ricordate?). E vale anche per l'Ilva, che a Taranto inquina ancora di più e avvelena ancora di più.

Tuffo nel passato anche per questo 25 aprile dove in tanti si ostinano a chiedersi cosa ci sia da festeggiare ancora, visto che nessuno va più in giro vestito in orbace e camicia nera.
Certo, i fascisti occupano case dellaregione a Milano (e allora il PD?), srotolano striscioni inneggianti al Duce in piazzale Loreto, sfidano i Questori sempre a Milano per la manifestazione di domani, 29 aprile.
I fascisti oggi si sentono protetti dall'atteggiamento di rappresentanti dello Stato (che dovrebbe essere democratico e antifascista), che deviano il corso delle manifestazioni dell'Anpi per non infastidire Casa pound.

Se il fascismo è roba del passato, cosa ci fa qui in Italia Bannon, l'ex consigliere di Trump, che qui in Italia ha deciso di impiantare la sua scuola di formazione per sovranisti?
Ne parlerà Report domani sera: i rapporti di Bannon con Arata e Salvini, la concessione ottenuta dal ministero dei Beni Culturali, la lettera Bergoglio in cui sono state scritte delle bugie (la scuola per sovranisti è dipinta come luogo di ritrovo di una comunità francescana).

In tutto questo passato forse l'unica eccezione di nuovo (o è finto nuovismo anche questo) è il ministro per la sicurezza interna, Salvini, in campagna elettorale permanente: ora è al sud, in Sicilia, per ricordarci che se la linea della Palma di Sciascia sale verso il nord (e oramai ha varcato le Alpi), la linea del sovranismo è scesa fino al sud, quello che una volta era fatto di terroni che non si lavavano.
Qualche promessa, qualche slogan buono, molti riciclati dai vecchi partiti del centrodestra, e anche qui sarà finita la pacchia.
In Sardegna aveva promesso ai pastori che il prezzo del latte sarebbe salito. Qui in Sicilia cosa prometterà? Maggiore autonomia (dunque altri sprechi)?

26 aprile 2019

Come da copione

Sono ormai anni che, ad ogni 25 aprile, il dito copre la luna ovvero le contestazioni alla brigata ebraica alla manifestazione diventano l'argomento usato dalla destra (intesa come destra giornalistica e di pensiero) per screditare la festa della liberazione.

A questo giro però va aggiunta una novità: i renziani che (sui social) non hanno perso l'occasione per regolare i conti con l'ANPI, colpevole di essersi schierata contro il referendum del 2016.
Quello che non va giù, ai neofascisti e ai giornali della destra è le legittimità concessa ai partigiani, alle bandiere rosse (anche se la guerra di liberazione fu portata avanti da diversi partiti e diversi colori politici), ai "sinistri". 

Prendono le difese dei reduci della brigata ebraica solo per opportunismo: tra le file dei partigiani (e nei deportati nei lager) erano presenti anche rom, che dovrebbero dire loro che sono sempre additati come ladri e parassiti?

Fatevene una ragione, il 25 aprile c'è stato e ci sarà: è lo spartiacque tra un prima e un dopo.
Se è vero che alla guerra di Liberazione la maggior parte del peso lo hanno sostenuto gli alleati, se è vero che in piazza dovremmo trovare bandiere di tutti i colori, il contributo dei partigiani c'è stato ed è stato importante.
Questa rimane una festa di chi si riconosce in questa Costituzione, antifascista appunto: una Costituzione che parla di diritti uguali per tutti, che sprona ad abbattere le barriere di censo, religione e sesso.
Forse è questo che da veramente fastidio a chi contesta il 25 aprile.

Ps: oggi la mafia a Corleone non c'è più, vero?

25 aprile 2019

La voce della Resistenza – per dare memoria a questo 25 aprile


Nell'Odissea Ulisse, di fronte al re Alcinoo, parlando dei suoi compagni morti nel ritorno da Troia, usa queste parole “oggi di essi non ne è rimasto che il nome”.

Lo stesso potremmo oggi affermare sulla memoria, manchevole e non condivisa, sulla guerra di Liberazione, di cui oggi si celebra il 74esimo anniversario.
Se oggi siamo arrivati all'utilizzo strumentale del 25 aprile, messo in contrapposizione con la lotta alla mafia come fa il ministro dell'Interno, preso a scherno sui giornali della destra italiana, è anche perché dei protagonisti di quella guerra, non ne è rimasto che il nome. E a volte nemmeno quello.

Cosa pensavano, come si immaginavano l'Italia libera dalla dittatura, che sogni avevano?
Di alcuni di loro sono rimaste delle toccanti testimonianze raccolte nel libro “Lettere di condannati a morte della Resistenza” (Einaudi): sono gli ultimi pensieri di persone catturate dai nazifascisti (partigiani, soldati, studenti) presi nella consapevolezza della loro sorte.

Sono persone come Renzo (di lui si conosce solo il nome), che rivolgendosi al padre adottivo, usa queste parole toccanti
Di' al mio vero papà che lo perdono di tutto il male che ha fatto e che questo lo stimoli ad essere un uomo onesto nella vita. Caro papà, tutta la mia riconoscenza te la esprimo col mio cuore: caro papà, sappi che non ho amato come mio insegnante di vita laboriosa ed onesta altro che te. Scusami se ti scrivo in questa maniera ma queste sono parole che mi escono dal cuore in questo triste e nello stesso tempo bel momento di morte.

Pedro era un ufficiale di complemento che, dopo l'8 settembre, iniziò la sua lotta contro il fascismo nelle formazioni partigiane in Friuli e poi in Piemonte.
Fu catturato due volte, la prima a Torino la seconda a Milano, su delazione di un finto amico.
I suoi ultimi pensieri furono per i genitori, gli zii e i parenti e gli amici, infine per la fidanzata
Dalle Carceri di via Asti, Torino, 22.1.1945, ore 24

Cara Pierina, amor mio, domattina all’alba un plotone d’esecuzione della guardia repubblicana fascista metterà fine ai miei giorni.

Bruno era uno studente friulano: anche lui dopo l'8 settembre contribuisce a creare le prime cellule di resistenza partigiana. Tradito da un conoscente, fu catturato dalle SS italiane, incarcerato e torturato, per essere poi fucilato nel febbraio 1945.
Ma non rimpianse mai la sua scelta, fino alla fine
Edda, mi hanno condannato alla morte, mi uccidono; però uccidono il mio corpo non l’idea che c’è in me. Muoio, muoio senza alcun rimpianto, anzi sono orgoglioso di sacrificare la mia vita per una causa, per una giusta causa e spero che il mio sacrificio non sia vano

Alfonso era invece un industriale, aveva un caseificio a Modena dove, dopo il 1943, venivano raccolti gli ex prigionieri alleati.
Arrestato e processato nel febbraio 1944, sarà fucilato presso il poligono in periferia Modena.
Modena, 21 febbraio 1944 Carissima indimenticabile moglie, in questo momento supremo vissuto insieme mando questo ultimo saluto a te, che sei stata sempre la ragione della mia vita e che mi hai voluto sempre tanto bene.

Giancarlo Puecher, figlio di un notaio e dottore in Legge, dopo l'8 settembre organizzò la creazione di formazioni partigiane nella zona di Erba Pontelambro (Como).
Catturato dalle Brigate Nere nel dicembre 1943, fu portato nel carcere di Como, per essere poi fucilato davanti il cimitero di Erba.
Rivolse i suoi ultimi pensieri agli italiani che verranno: che la mia morte sia da esempio
Muoio per la mia Patria. Ho sempre fatto il mio dovere di cittadino e di soldato. Spero che il mio esempio serva ai miei fratelli e compagni. Iddio mi ha voluto...

Non solo perdonò i suoi carnefici, ma dimostrando una lucidità non comune, in una sua lettera indicò a chi destinare parte dei suoi averi

Perdono a coloro che mi giustiziano, perché non sanno quello che fanno e non pensano che l’uccidersi tra fratelli non produrrà mai la concordia.Vorrei lasciare L 5000 alla mia guida alpina Motele Vidi di Madonna di Campiglio. L 5000 al mio allenatore di sci Giuseppe Francopoli di Cortina. L 5000 a Luigi Conti e L 1000 a Vanna De Gasperi, Berta Dossi, Rosa Barlassina.
Il mio guardaroba ai miei fratelli e a Pussì Aletti, mio indimenticabile compagno di studi.

C'è anche una donna, tra i condannati a morte, si chiama Irma Marchiani: era una casalinga nata a Firenze, faceva la staffetta per i partigiani, portava cioè informazioni e viveri ai partigiani sulle colline modenesi.
Fu catturata una prima volta mentre cercava di far ricoverare un partigiano ferito.
Scappata dalla prigionia e dalle sevizie, fu poi arrestata da una pattuglia tedesca nel novembre 1944.

Sestola, da la Casa del Tiglio, 10 agosto 1944
Carissimo Piero, mio adorato fratello, la decisione che prendo oggi, ma da tempo cullata, mi detta che io debbo scriverti queste righe. Sono certa che mi comprenderai perché tu sai benissimo di che volontà io sono, faccio, cioè seguo il mio pensiero, l'ideale che pur un giorno nostro nonno ha sentito..

24 aprile 2019

Vadevecum per il 25 aprile




Come ogni 25 aprile, anche questo anniversario della festa di Liberazione (dal nazifascismo) verrà inquinato dalle solite polemiche sui partigiani.
Le stragi dei partigiani.
Le violenze dei partigiani.
La vera guerra l'hanno fatta gli alleati.

Cominciamo col dire che le formazioni partigiane (che si iniziarono a formare dopo l'8 settembre, nel momento dello sfascio del paese) furono composte da persone appartenenti a tutte le classi sociali e da tutti i partiti politici (esclusi i fascisti).
Nelle file dei caduti troviamo Carlo Bianchi, industriale e membro del CLN, don Pietro Pappagallo (ucciso alle Ardeatine), il colonnello Lanza di Montezemolo (anche lui ucciso alle Ardeatine), giovani idealisti come Giancarlo Puecher (ucciso dai fascisti ad Erba nel 1943).
C'erano comunisti, socialisti, azionisti, preti, studenti, ex militari.

La festa della liberazione non è solo la festa dei comunisti rossi, è la festa che ci ricorda che prima della Repubblica non avevamo quelle libertà poi conquistate: la libertà di espressione, di sciopero, di riunirsi in associazione. Per le donne, la libertà di voto.

Sulle violenze dei partigiani: fanno ridere quei fascisti (che nemmeno ammettono di essere tali) che rinfacciano alcuni episodi all'interno di una guerra civile di italiani contro italiani, dimenticandosi delle stragi nazifasciste fatte per creare terrore nella popolazione.
Si rinfaccia la bomba fatta scoppiare in via Rasella (inutile, secondo il giornalista Cazzullo, lui non l'avrebbe fatta ..) e ci si dimentica Sant'Anna di Stazzema.
Piazzale Loreto è solo il luogo della macelleria messicana e dei cadaveri di Mussolini e della Petacci, dimenticandosi che, sempre in quella piazza nell'agosto 1944 i nazisti esposero i cadaveri di 15 partigiani fucilati tenuti lì per giorni interi, finché non intervenne il card Schuster ad implorare anche per loro la sepoltura.

Infine, c'è poi la storiella del Mussolini che fece anche cose buone: anche Stalin fece cose buone, come sconfiggere il nazismo (certo, la cosa è diversa se sei nazista), ma rimane un dittatore.
Un dittatore per cui non bastano tutte le bonifiche fatte per rivalutarne l'opera.
Un dittatore a capo di un partito di ladri, di ricatti, di dossier segreti usati per screditare quel gerarca o quel nemico.

Non c'è nulla di glorioso, nulla di cui vantarsi, di cui esserne fieri, nel manifestarsi fascista: un regime che ha portato l'Italia alle rovine, alla fame, che non ha affatto difeso i più deboli che è stato di fatto solo il braccio armato della reazione negli anni del biennio rosso.
Per poi diventare establishment e potere.