20 maggio 2019

L'omicidio di Massimo D'Antona 20 anni fa

Massimo D'Antona era un tecnico che lavorava per il ministro Bassolino, un giuslavorista che si era occupato dei diritti dei lavoratori e del meccanismo del reintegro.
Sul suo lavoro ci metteva la faccia, non si nascondeva: per il suo lavoro ci ha rimesso la vita, perché fu ucciso da un commando delle "nuove" BR, quelle di Nadia Lioce a Roma il 20 maggio 1999.

Il giornalista del Fatto Quotidiano Alessandro Mantovani scriveva ieri di come ancora oggi sul delitto esistano dei punti da chiarire:

Ci sono almeno due neobrigatisti, presumibilmente romani, che la polizia cerca da vent’anni. “O forse – ragiona una fonte dell’Antiterrorismo – erano tra quelli arrestati e poi assolti. Due sigle dell’archivio brigatista, ‘Do’ e ‘Lo’, non sono mai state attribuite con certezza. E la pistola che uccise D’Antona e Biagi non è mai stata ritrovata”.
Quello che abbiamo imparato però è che sul mondo del lavoro, da prima di D'Antona (e di Biagi) si è consumata una guerra politica (per tutte le riforme fatte) che ha non solo ha portato alla morte di Biagi e D'Antona ma ha anche portato a tutte quelle tensioni che covano nel paese.
Per le discriminazioni, le disuguaglianze, la troppa flessibilità di un lavoro che non da più dignità alle persone.
Le BR hanno ucciso una persona che poteva cambiare in meglio questo paese.

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