17 ottobre 2005

Amarcord di Federico Fellini


Amarcord, “Io mi ricordo”, è un viaggio nelle memorie del Fellini bambino, impersonato da Titta; un viaggio che dura un anno, dalla primavera, annunciata dall'arrivo delle manine e dai fuochi della “fogazza”, fino alla primavera successiva.
I personaggi che compaiono e i fatti raccontati sono tutti deformati dalla lente dei ricordi, il che rende meno fedele al quadro storico il film. Infatti da questo punto di vista, Amarcord sembra svuotato dai valori storici: di alcuni aspetti l'autore ha colto solo gli aspetti comici e grotteschi.

Come per l'episodio dell'odio di ricino al padre di Titta, che si conclude con questi che ride del padre che se l'è fatta addosso.
In questo viaggio nella Rimini dei primi anni 30 emerge un'italietta divertente, nel mezzo tra le due guerre, governata da una parte dal fascismo (presente fin dentro le scuole) e dalla Chiesa, che ne influenzano cultura e costume. Anche se si ride, emerge un'Italia poco piacevole: una scuola che non è capace di insegnare nulla ai ragazzi, una mentalità arcaica e repressa sul sesso, manicomi gestiti come prigioni. E un fascismo onnipresente, con le sue parate, con uomini ridicoli in divisa e i suoi metodi poco ortodossi.

Significativo l'episodio della grammofono messo a suonare l'internazionale, che diventa il bersaglio del manipolo in camicia nera. Che si ritirano soddisfatti dopo aver colpito il bersaglio, come cacciatori dopo una battuta, cantando “All'armi, all'armi, all'armi siam fascisti, a morte i comunisti ..”.

La storia di Titta si inserisce in un contesto di piccoli ritratti (la tabaccaia e le sue tette, il federale, la Gradisca, lo zio matto, la volpina), dal quale emerge comunque la spensieratezza e la voglia di vivere propria di un adolescente e della gente romagnola.
Due scene sono da ricordare sopra le altre: la litigata all'interno della famiglia, con la madre che minaccia di uccidere tutti con la stricnina e il padre di suicidarsi.
La seconda, la gita in campagna, durante la quale lo zio matto (in grandioso Ciccio Ingrassia) sale su un albero e si mette a gridare “Voglio una donna!”. Una richiesta d'amore fatta in modo un po' ingenuo, come solo i pazzi e gli ingenui sanno fare: e in fondo Fellini lo era, ingenuo e forse pazzo, come sanno esserlo i poeti.

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bol, ibs
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