28 dicembre 2005

Il birraio di Preston di Andrea Camilleri

Un'altra storia in cui Andrea Camilleri parte da un fatto storico reale, avvenuto nella Sicilia del dopo unità d'Italia: nel 1870, il prefetto di Caltanisetta (mentre nel libro siamo a Vigata) si ostina, per motivi personali (che al termine del libro verranno svelati) a voler rappresentare l'opera "Il birraio di Preston" per l'inaugurazione del nuovo teatro.
Ostinazione che si scontra col volere della popolazione, che sfocerà in una serie di tumulti nella serata della rappresentazione stessa.
Nell'opera di "persuasione", il prefetto Bertuzzi si fa aiutare da un mafioso locale, Don Memè Ferraguto, il quale non esita a mandare in carcere, con un imbroglio, un falegname colpevole solo di essersi espresso in modo negativo contro l'opera.

Contemporaneamente, a Vigata si trova un personaggio "sovversivo", Nando Traquandi, mazziniano di Roma, che decide di approfittare del malcontento dei vigatesi e far scoppiare un incendio nel teatro proprio il giorno dell'inaugurazione.
Incendio che, inizialmente, viene scambiato per un incidente causato da un sigaro lasciato acceso da uno degli spettatori.
Ma il delegato Puglisi, che non è persuaso da questa spiegazione, inizia una sua personale indagine che lo porta contro il questore, che sapeva della presenza del mazziniano e aveva deciso di non arrestarlo subito ma di usarlo come pedina, per una sua rivincita nei confronti del prefetto.

Camilleri parte dai fatti reali, per costruire un'altra storia di Sicilia, con i suoi personaggi tanto inventati quanto reali: il questore milanese, il prefetto che pretende di capire la Sicilia dalle illustrazioni dei libri, l'onorevole Fiannaca, onorevole a Roma ma che coltiva i suoi "campi" anche a Vigata.
Il mafioso locale, Don Memè, al quale il potere costituito non esita ad appoggiarsi per far eseguire a lui i lavori "sporchi". Il Delegato Pugilsi, onesto e zelante, che vorrebbe svolgere il suo lavoro senza guardare in faccia nessuno, ma che, proprio per questo, pagherà cara questa sua ostinazione.

E l'ostinazione a voler rappresentare l'opera, proprio quella, contro i malumori dei vigatesi (per vedono la scelta del prefetto montelusano come un sopruso) diventa l'emblema di un potere incapace di di affrontare (ne tanto meno risolvere) i problemi reali dei siciliani. L'opera di teatro, la farsa, gli uomini di potere, la interpretano bene per pararsi le spalle, per difendersi a vicenda da persone, come il delegato, che cercano di far rispettare nient'altro che la legge.

Ma questa farsa, questa rappresentazione impietosa della Sicilia e delle persone che ne dovrebbero rappresentare lo stato, viene raccontata da Camilleri in modo ironico, quasi surreale: su tutti domina il capitolo dei tumulti in teatro, la "rivoluzione", dove nel caos, c'è chi ne approfitta per tastare il "fondoschiena" della moglie del prefetto.

P.S. La storia non è raccontata in modo lineare, dall'inizio alla fine. Camilleri ha voluto, di proposito, mischiare la sequenza dei capitoli: ogni lettore, secondo il suo capriccio può stabilirne una propria, personale, di sequenza.

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