15 ottobre 2006

La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo

Il racconto della lotta di liberazione del popolo algerino da parte dell'occupazione francese. Girato in bianco e nero, all'interno della Casbah di Algeri, con taglio quasi documentaristico, senza dare troppo spazio alla retorica né a sentimentalismi.

Il film inizia con la cattura di Ali La Pointe, nel 1957, uno dei capi del FLN. Bloccato all'interno del suo nascondiglio dai parà francesi del colonnello Mathieu, sta per saltare in aria, e ricorda con un lungo flashback il percorso che lo ha portato a diventare uno dei leader della lotta contro i francesi.

Dal 1954, quando, finito in carcere per piccoli reati, incontra altri algerini in carcere per aver lottato contro l'occupazione. Qui prende coscienza dello sfruttamento del suo popolo: nasce il Fronte di Liberazione Nazionale, FLN.

Il primo obiettivo è quello di ripulire la Casbah, togliere di mezzo drogati, ubriachi e tutta la piccola delinquenza che, alla fine, faceva il gioco degli occupanti stranieri, perchè impediva al popolo algerino di progredire e di sviluppare il proprio benessere.

Alì stesso uccide un capobanda, che non aveva voluto ascoltare le imposizione del comitato clandestino sul divieto di spacciare oppio.

Nel 1956 iniziano gli spari: contro posti di polizia, contro agenti in ronda: il film mostra le reazioni da parte del mondo della stampa. Che fatica a far capire agli altri francesi di Parigi quello che sta succedendo.

In particolare è il mondo politico all'Eliseo a non voler comprendere che qualcosa si è messo in moto e risponde nel solo modo che una nazione coloniale sa fare: aumentando i controlli all'ingresso della Casbah con perquisizioni, posti di blocco, divieti.

Di pari passo si esaspera anche la reazione dei francesi locali: “basta, è ora di finirla!” “assassini” “il governo se ne frega!”.

Finchè ai colpi di pistola dell'Fln non risponde una bomba, piazzata da nazionalisti francesi, lasciata all'interno dei quartieri della Casbah.
Altre bombe algerine seguiranno a questa: dentro bar, dentro l'aeroporto, dentro locali ... sangue che chiede altro sangue.
Nel 1957 il governo di Parigi spedisce ad Algeri i parà del colonnello Mathieu: soldati addestrati alla guerra contro civili in armi.

Il lavoro di polizia del colonnello porta ai primi risultati: con rastrellamenti, con interrogatori serrati cui si fa uso della tortura, riesce a ricostruire l'organigramma piramidale dell'Fln.

Pontecorvo non condanna i militari,ne questo è un film antimilitarista. I parà fanno solo il loro lavoro; come dichiara davanti ai giornalisti Mathieu stesso “abbiamo l'obbligo di vincere, con gli strumenti e le tecniche che conosciamo”.

Di fronte alla domanda se ritiene scomode le accuse di fare uso della tortura, risponde “io cerco di riportare la legalità. E' scomoda forse la legalità?”

“Faccio io una domanda a voi: la Francia deve rimanere in Algeria? Se sì, dovete accettare le conseguenze”.

Il comitato decide di alzare la posta: nel 1957, mentre l'ONU decide se e come intevenire sul problema in Algeria, impone 8 giorni di sciopero. Nessuno esce dalla Casbah e tutte le serrande rimangono abbassate.
E il momento della verità: Alì, parlando con un leader politico del Fronte, ha un significativo scambio di battute:

“il terrorismo serve per cominciare, poi tutta la popolazione deve intervenire. A questo serve lo sciopero. Diamo all'ONU la prova di quanto siamo forti. [..] .. quando avremo vinto, inizieranno le vere difficoltà”.

Il lavoro dei soldati porta all'arresto di tutto lo stato maggiore del Fronte: Ben Midi, uno dei capi, è suicidato in carcere e lo stesso Alì, viene bloccato dentro un nascondiglio. Anziché consegnarsi ai soldati, preferirà lasciarsi saltare in aria.
È la fine della battaglia di Algeri: ma non della guerra. Lo capisce anche il colonnello, che se non c'è la volontà politica dietro le loro azioni, è inutile.

Mentre ad Algeri si sparava ai soldati, ai poliziotti e si mettevano le bombe che ammazzavano i francesi, a Parigi si parlava ancora di “pacificazione” e di “aprire un dialogo coi fratelli mussulmani”.

Due anni dopo, l' 11/12/1960, come aveva previsto uno dei capi del comitato, scoppia la rivolta popolare: inaspettata, furiosa, portata avanti da persone con in mano, finalmente la bandiera con la mezzaluna.

E i cronisti locali, dopo gli scontri, telefonano a Parigi allarmati “qui la situazione sembra calma, continuiamo a sentire le loro grida ritmate, incomprensibile”. Simbolo dell'incomprensione di due popoli diversi, di cui ciascuno non sembra comprendere le ragioni dell'altro.

Finalmente nel 1962 arriva l'indipendenza algerina.

Il film vinse l'oro a Venezia nel 1966: quando ancora i registi italiani sapevano fare film di denuncia dal respiro internazionale. Quando il cinema sapeva raccontare la storia: la storia di una rivoluzione. La storia che, che lo si voglia o no, è destinata a ripetersi.
Dai ribelli americani che combatterono gli inglesi, ai terroristi israeliani contro l'occupazione inglese in Palestina, ai partigiani italiani.

Perché tutte le occupazioni hanno lo stesso colore: il colore delle divise che occupano le strade, che sparano sulla folla, che torturano per riportare la loro legalità.
Anche se rimane un film dalla parte dei “ribelli”, Pontecorvo condanna apertamente, eguagliandole, le violenze da entrambe le parti.

Il fatto angoscioso è che la violenza si ripete ancora nell'Algeria dei giorni nostri (quali che siano le cause). Solo che ad uccidersi tra loro sono i figli di coloro che fecero nascere la nazione.
Il DVD del film sul sito di ibs.
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