L'incantatore di serpenti ci riprova.
Gian Antonio Stella parla della sua ridiscesa in campo.
A questo uomo non manca il coraggio dellla sfida.
O forse sarebbe meglio dire che conosce bene gli italiani, avendoli bene educati con le sue televisioni.
A questo punto, come Biagi, Montanelli, anche Stella finirà nel novero dei giornalisti comunisti da allontanare?
Chiedeva agli aspiranti candidati forzisti di sottoscrivere le seguenti parole:
«Dichiaro
1) di non avere carichi pendenti
2) di non aver ricevuto avvisi di garanzia
3) di non essere stato e di non essere sottoposto a misure di prevenzione e di non essere a conoscenza dell’esistenza a mio carico di procedimenti in corso...».
Sono passati, da allora, quasi quattordici anni. Tre più di quelli passati da Nikita Krusciov alla guida del Pcus, due più di quelli trascorsi da Helmut Kohl alla testa della Germania, due più di quelli vissuti da Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca. Per carità, nessun parallelo.
Ma tre lustri sono un’era geologica, in politica. Lasciano il segno. E se Forza Italia è rimasto un partito legato al «centralismo carismatico », come spiegò un giorno Cesare Previti, è difficile sostenere che non sia rimasto infettato da quelli che un tempo il Cavaliere considerava virus della «vecchia politica».
Quella che gli faceva dire: «Torno a Roma. Torno nella cloaca». Basti ricordare come, dopo l’iniziale richiesta di immacolatezza, siano stati via via imbarcati uomini come Gianstefano Frigerio, vecchia volpe dicì milanese che, condannato a vari anni di carcere in diversi processi di Tangentopoli, fu eletto tra gli azzurri in Puglia dopo un lifting anagrafico con cui si era dato il nome d’arte di Carlo Frigerio. O Alfredo Vito, il famigerato «Mister Centomila Preferenze» cui Paolo Cirino Pomicino ricorda 22 condanne per corruzione.
O ancora Gaspare Giudice, del quale i magistrati di Palermo chiesero invano l’arresto considerandolo «a disposizione» del presunto boss di Caccamo, Giuseppe Panzeca. Certo, lui si considera ancora, come disse un giorno, «Biancaneve in un mondo che non è una fiaba».
E non ha perso occasione, in questi anni, di sfogarsi contro i riti della rappresentanza che, «tra convegni, congressi e funerali » lo facevano stare male perché gli pareva di «pestare l’acqua nel mortaio».
Ma ovviamente questi ragionamenti si sciolgono di fronte agli opinionisti del regime che, per dirla con una battuta, la buttano in vacca:
È successo quello che avevamo previsto.
La Casa delle Libertà è crollata. E ciò che fa ridere è la causa: un problema di gnocca.
Alla fine è sempre un problema di figa.
Gian Antonio Stella parla della sua ridiscesa in campo.
A questo uomo non manca il coraggio dellla sfida.
O forse sarebbe meglio dire che conosce bene gli italiani, avendoli bene educati con le sue televisioni.
A questo punto, come Biagi, Montanelli, anche Stella finirà nel novero dei giornalisti comunisti da allontanare?
Chiedeva agli aspiranti candidati forzisti di sottoscrivere le seguenti parole:
«Dichiaro
1) di non avere carichi pendenti
2) di non aver ricevuto avvisi di garanzia
3) di non essere stato e di non essere sottoposto a misure di prevenzione e di non essere a conoscenza dell’esistenza a mio carico di procedimenti in corso...».
Sono passati, da allora, quasi quattordici anni. Tre più di quelli passati da Nikita Krusciov alla guida del Pcus, due più di quelli trascorsi da Helmut Kohl alla testa della Germania, due più di quelli vissuti da Franklin Delano Roosevelt alla Casa Bianca. Per carità, nessun parallelo.
Ma tre lustri sono un’era geologica, in politica. Lasciano il segno. E se Forza Italia è rimasto un partito legato al «centralismo carismatico », come spiegò un giorno Cesare Previti, è difficile sostenere che non sia rimasto infettato da quelli che un tempo il Cavaliere considerava virus della «vecchia politica».
Quella che gli faceva dire: «Torno a Roma. Torno nella cloaca». Basti ricordare come, dopo l’iniziale richiesta di immacolatezza, siano stati via via imbarcati uomini come Gianstefano Frigerio, vecchia volpe dicì milanese che, condannato a vari anni di carcere in diversi processi di Tangentopoli, fu eletto tra gli azzurri in Puglia dopo un lifting anagrafico con cui si era dato il nome d’arte di Carlo Frigerio. O Alfredo Vito, il famigerato «Mister Centomila Preferenze» cui Paolo Cirino Pomicino ricorda 22 condanne per corruzione.
O ancora Gaspare Giudice, del quale i magistrati di Palermo chiesero invano l’arresto considerandolo «a disposizione» del presunto boss di Caccamo, Giuseppe Panzeca. Certo, lui si considera ancora, come disse un giorno, «Biancaneve in un mondo che non è una fiaba».
E non ha perso occasione, in questi anni, di sfogarsi contro i riti della rappresentanza che, «tra convegni, congressi e funerali » lo facevano stare male perché gli pareva di «pestare l’acqua nel mortaio».
Ma ovviamente questi ragionamenti si sciolgono di fronte agli opinionisti del regime che, per dirla con una battuta, la buttano in vacca:
È successo quello che avevamo previsto.
La Casa delle Libertà è crollata. E ciò che fa ridere è la causa: un problema di gnocca.
Alla fine è sempre un problema di figa.
Se vivessimo in un paese normale la nuova trovata di Berlusconi la prenderei sul ridere.
RispondiEliminaPerò siamo in Italia, ed il popolino ci cascherà.