25 ottobre 2009

Blu notte - Dentro Cosa Nostra

La storia di una parola: che per qualcuno significa infamia e tradimento.
La parola è pentimento.
Per raccontarla Blu notte ha raccontato tante storie, simili, di pentiti, confidenti, collaboratori di giustizia. .
Una storia che inizia con tre immagini.
Leonardo Vitale, nell'ospedale di Barcellona Pozzo di Gotto. Dove è sottoposto pure all'elettroschok.

Don Masino: 15 luglio 1984, aeroporto di Fiumicino. Esce dall'aereo accompagnato da due uomini della criminalpol di De Gennaro. La coperta nasconde le manette.

Salvatore, che segue un prete, nel 1993: sotto il giubbotto nasconde la pistola con cui deve uccidere li prete.
Il prete lo guarda e sorride. L'uomo è Salvatore Grigoli, oggi collaboratore di giustizia.

La storia dei pentiti di Cosa nostra: la storia della mafia che parla.
“Io volevo essere fermato prima” dice Grigoli “se lei fa quello che ho fatto io, quello che fa scalpore è che tutti i reati li ho fatti da incensurato”.

All'inizio nemmeno non si parlava né di pentiti né di cosa nostra. Si parlava di maffia.
In Sicilia siano già avvenuti omicidi eccellenti, come quelli del presidente del Banco di Sicilia, Emanuele Notarbartolo del 1893.
Del mostro silente che era la mafia ne avevano parlato nella loro inchiesta i deputati Sonnino e Franchetti.

La storia dei pentiti, dei collaboratori con la giustizia, parte da lontano.
Estate 1876: guerra di Monreale, quella di cui parla il primo pentito di mafia, Salvatore D'Amico. Fa i nomi alla polizia degli altri “stuppaglieri”, o compari: si arriva ad un primo processo per mafia, che finisce in nulla.

Ermanno Sangiorgi è il questore di Palermo, un romagnolo sanguigno: ha capito che la mafia è un mostro che si estende su tutta la città, non si tratta delle solite bande.
Nel 1898, una delle prime guerre delle famiglie mafiose, coinvolge tutta Palermo. Morti nelle strade, ma anche omertà, il coinvolgimento di famiglie aristocratiche, che si rifiutano di comparire davanti alla legge. Francesco Siino, uno scampato a questa guerra, decide di parlare.
Parla dell'organizzazione regionale della mafia, una società con lo scopo di gestire affari illeciti come quello del gioco d'azzardo.
Un sodalizio criminale che vede assieme contadini, sacerdoti, borghesi e arriva a sfiorare l'aristocrazia.
Nel 1901 si arriva al processo a Palermo: Siino ritratta le accuse e il procuratore generale arriva a a sostenere che la mafia non esiste. Il questore Sangiorgi è trasferito.

1937: Melchiorre Allegra è un medico. Depone davanti alla polizia, raccontando del suo essere mafioso, sin dal 1916. Racconta tutto della mafia: il rapporto del dottor Allegra è insabiato. Verrà trovato e riportato sul giornale L'Ora, dal giornalista Mauro De Mauro.

Ogni tanto la mafia parla, ma nessuno, all'epoca, sembra volerla ascoltare.
Stati Uniti, anni 60: l'amministrazione Kennedy decide di mettere sotto indagine la mafia. Si crea una commissione in Senato sul fenomeno mafia. In senato depone Joe Valachi dove per la prima volta si fa il nome vero dell'organizzazione: “Cosa nostra”.

1973: Leonardo Vitale. 10 anni dopo Valachi, in Italia qualcuno decide di parlare. Vitale è un mafioso che, un giorno si presenta di fronte al dirigente della Mobile Bruno Contrada e al giudice istruttore Rizzo.
È un mafioso importante: nel suo territorio nel 1971 i corleonesi hanno ucciso il procuratore Pietro Scaglione. Vitale sente il bisogno di parlare, per una questione di rimorso, rincrescimento per ciò che ha fatto.
I sequestri, gli omicidi. Ma racconta anche dell'omicidio del giornalista Mauro De Mauro, delle tangenti, dei rapporti tra mafia e politica (fa il nome di Vito Ciancimino). Parla della Commissione provinciale e dell'ascesa dei Corleonesi di Riina.

Il magistrato fa stilare una perizia sul suo stato mentale: il colleggio di medici sostiene che quando parla di mafia è attendibile.
Ma al processo del 1977, vengono condannati lui e suo zio Titta. Viene trasferito in manicomio dove esce nel 1984. In manicomio ha subito il trattamento dell'elettroschok.

Ma la mafia non si è dimenticata di lui: il dicembre 1984 salda i conti uccidendolo, al ritorno dalla messa.
La sentenza di rinvio a giudizio del maxi processo per mafia, cita le rivelazioni di Vitale, auspicando una rivalutazione della sua memoria.

Anni 80.
Il fenomeno dei confidenti mafiosi aumenta. Si tratta di mafiosi che prendono le distanze dai vertici della cupola. Come Giuseppe Di Cristina, boss di Riesi , in conflitto con i Corleonesi di Riina.
Di Cristina inizia a collaborare con i carabinieri, facendo rivelazioni tese a danneggiare Riina.
Il 30 maggio 1978 i killer corleonesi lo fanno fuori.
Di Cristina aveva iniziato a raccontare del progetto di Riina di far fuori il Giudice Istruttore Cesare Terranova, che verrà ucciso nel settembre 1979.

Il posto di Terranova verrà preso dal Giudice Istruttore Rocco Chinnici: a sua volta ucciso da un'autobomba in via Pipitone, nel 1983.
Chinnici, Ninni Cassarà (della questura di Palermo), il capitano D'Aleo: sono gli investigatori che avevano seguito le indagini sulle dichiarazioni di Di Critstina, verranno tutti uccisi.

Il pool antimafia.
Viene creato dal giudice Caponnetto. I giudici Falcone, Borsellino, Di Lello, Guarnotta proseguono il lavoro di indagine contro la mafia.

Tommaso Buscetta: il pentito che da la svolta alla storia del contrasto alla mafia e che permette al pool di fare il salto di qualità è Tommaso Buscetta. Il boss dei due mondi (perchè aveva organizzato un traffico di droga col sudamerica), è da tempo scappato in Brasile, perchè appartenente alla famiglie perdenti (i Bontade Inzerillo) della seconda guerra di mafia.
Riina gli fa uccidere 14 parenti: negli anni della “Mattanza” il numero die morti per le strade a Palermo e provincia arriva a cifre inverosimili.
1000 moti dal 1978 al 1983.

Nel 1983 la polizia brasiliana arresta Buscetta e nel 1984 viene estradato in Italia.
Con le sue rivelazioni si iniziò a conoscere la vera struttura (piramidale e verticistica) della mafia: soldati, famiglie, capimandamento e commissione provinciale, o cupola.

Altri mafiosi seguono “l'esempio” di Buscetta.
Totuccio Contorno, un uomo di Bontade, che collabora (dopo la benedizione di Buscetta stesso) con Cassarà.
Francesco Marino Mannoia: gestiva la raffinazione dell'eroina per i Bontade.
Antonino Calderone, delle famiglie perdenti di Catania.
Sono 400 i pentiti di mafia, in quegli anni: parlano per non essere uccisi in quella mattanza, e per non finire in carcere.
In quegli anni non esisteva una vera e propria legge sui pentiti di mafia; nei primi anni 80, la prima valanga di pentitismo coivolse la Camorra.
La cattiva gestione dei quali spinse in molti a porsi delle domande: perchè dare degli sconti di pena a dei mafiosi? Perchè permettere loro di compiere delle vere e proprie vendette contro i criminali che accusavano? Era un pentimento reale? Buscetta, lo ammise lui, non era pentito di nulla.
Era semplicemente deluso della nuova mafia.

Falsi pentiti, pentiti che confezionano polpette avvelenate, depistaggi, tentativi di screditare altri pentiti: gli stessi inquirenti dovevano essere cauti nel loro utilizzo. Lo stesso Falcone pesava con molta attenzione le rivelazioni che riceveva.

Il maxi processo si celebrò, grazie a quanto aveva raccontato Buscetta e gli altri, il 10 febbraio 1986. Arrivò a condannare 365 persone, con 19 ergastoli.
Nel 1992 la Cassazione lo confermò.

Gli anni 90: la guerra tra Stato e mafia.
Gli anni sono 90 sono gli anni delle bombe, delle stragi, ma anche della risposta dello stato. Col 416 bis, col carcere duro.
Se la vicenda della trattativa tra esponenti dello stato con la mafia è ancora parzialmente da chiarire, rimane un fatto che in quegli anni sembra che finalmente, si stia per dare il colpo finale a Cosa Nostra. E alcuni mafiosi decidono di pentirsi.
Gaspare Mutolo, autista di Riina.
Pino Marchese, marito della sorella di Leoluca Bagarella.
Salvatore Cancemi: si pente dopo essersi permesso di dire, durante una riunione dove zu Totò aveva tirato fuori un elenco di persone da far fuori “ma come, proprio tutti li dobbiamo ammazzare”?

La legge sui pentiti.
Si arriva ad una legge per i pentiti di mafia (sulla falsariga dei pentiti del terrorismo), che protegge i parenti delle vittime da vendette trasversali (la famiglia di Contorno ebbe 20 morti) .
La legge 81/1991 sui pentiti arrivò anche dopo l'omicidio del giudice “RagazzinoRosario Livatino: prevedeva la protezione dei testimoni di giustizia, dei collboratori e dei parenti delle vittime.
È una legge che suscita proteste e polemiche, per i soldi che venivano concessi ai criminali, col programma di protezione.

Pentiti che continuavano a commettere reati: come Balduccio di Maggio che commise dei reati (per poi sparire) mentre era sotto protezione.
Come Totò Contorno, arrestato per spaccio.
Come Gioacchino La Barbera, sorpreso con del esplosivo addosso.
Pentiti con licenza di uccidere si disse.

Ma anche i boss pentiti parlano.
Giovanni Brusca (150 omicidi addosso).
Nino Giuffrè.
Angelo Siino, ministro dei lavori pubblici di Cosa Nostra, l'inventore del tavolino a 3 gambe: la mafia, la politica e gli imprenditori. Che si dividevano la torta dei lavori pubblici, in Sicilia.
2% ai politici, 2% alla mafia, 0,5% alle commissioni di controllo.
Riina si inventò la “tassa Riina”: un 0,8% sui lavori pubblici da destinare alle armi, alla cassa per i detenuti, per gli avvocati.
I boss pentiti parlano di alcuni fatti del passato: la morte del presidente dell'Eni Enrico Mattei; del giornalista Mauro De Mauro, di Roberto Calvi. E del Golpe Borghese.

La collaborazione dei pentiti, porta alle tante vendette trasversali di parenti: come quella del figlio di Santino di Matteo (che collaborò col giudice Caselli), Giuseppe di Matteo. Rapito da Giovanni Brusca nel novembre 1993, fu tenuto ostaggio per 2 anni, prima di essere strangolato e sciolto nell'acido.

Le rivelazioni iniziano a toccare anche esponenti della società civile; si inizia a parlare dei legami con la politica (che Falcone e anche Buscetta, evitarono di trattare perchè troppo presto).
Sono gli anni 90, gli anni di Tangentopoli, del crollo del muro, della fine della Prima Repubblica:
“i politici sono stati il condimento della mafia .. senza i politici la mafia non avrebbe potuto fare quello che ha fatto in Sicilia ”.

I pentiti fanno i nomi dei politici: in quegli anni, finisce indagato e poi sotto processo il senatore Giulio Andreotti.

Nel febbraio 2001 viene approvata con ampia maggioranza la nuova legge sui pentiti, che limita parzialmente i benefici: un quarto della pena deve essere comunque scontata e soprattutto, il pentito ha 180 giorni per raccontare ciò che sa.
Secondo alcuni sono norme che limitano eccessivamente i benefici, tanto che il loro numero cala: dai 428 del 1996, ai 237 del 2007.
Piano piano, la mafia smette di parlare. Gli equilibri nella guerra tra stato e mafia, si stanno di nuovo spostando?

Ma le rivelazioni di queste persone hanno anche un valore culturale: i gesti, i riti di iniziazione come la santina e la punciuta.
Ora, il mostro che fa paura ha un nome, non si può più dire che non esista, anzi, in certe regioni, sono proprio certi atteggiamenti che raccontano del contesto mafioso.
Di come sia molto facile farvi parte e poi molto difficile uscirne.

Come nel caso di Giuseppina Vitale, ora collaboratrice di giustizia, ma che si è ritrovata come capomandamento delle famiglie di Partinico, poiché tutti gli uomini della sua famiglia (mafiosa) erano stati arrestati.
Implicata in un omicidio, quello dell'imprenditore Giuseppe Riina, e negli affari della sua famiglia, è stata arrestata nel 2003.
Il suo concetto di pentimento: “non ha senso dire che mi sono pentita di ciò che ho fatto .. ciò che ho fatto ho fatto .. al più posso essere pentita di ciò che avrei potuto fare nel futuro”.

Queste testimonianze spiegano come la mafiosità si infili in tutto, nei punti deboli della società, nella politica, come un gas venefico.

Francesco Campanella: da giovane si iscrive ai giovani della DC, diventandone segretario. Alle elezioni comunali, decide di candidarsi: “hai chiesto il permesso alla mafia”? Nella sua famiglia la mafia è già entrata: i suoi zii, i Cottone, sono amici del boss Michele Greco.
Col permesso della mafia, entra allora in Consiglio, firma delibere, ma non a favore della comunità, della mafia.
Al suo matrimonio, nel 2001, partecipano i capi del suo partito: Totò Cuffaro e Clemente Mastella.
“Sono diventato mafioso senza accorgermene” spiegò.
Perchè fu lui, nel 2003, a procurare una carta di identità falsa per Bernardo Provenzano, quando dovette curarsi in Francia.

Raccontano anche altro, i pentiti: della meschinità dei boss, dei capimafia. Che usano il senso dell'onore solo quando fa comodo. In realtà dediti al tradimento, alle faide, alle lotte di potere.
E questo aspetto fa emergere il lato “umano” dei capi mafia: i loro tick e le loro manie. Come diceva Giovanni Falcone “la mafia è un fatto umano, che ha un inizio e una fine”.

Il link della puntata di Blu Notte.
La puntata di Blu notte "mafia e politica".
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