Nel racconto del "giudice" Francesco Cascini, magistrato a Locri dal 1996 al 2001, emerge in modo drammatico e lucido la realtà calabrese: quei territori considerati zone della ndrangheta, dove lo stato è costretto addirittura trincerarsi dentro le caserme. Comuni come Locri o S. Luca dove la criminalità organizzata non ha solo il controllo del territorio: la ndrangheta qui è dentro la pubblica amministrazione, dentro il mondo dell'informazione, nella sanità, dentro le forze dell'ordine, in contatto con la Massoneria.
Ecco, se tante volte vi siete chiesto come sia possibile che succedano tante cose in Calabria, truffe allo stato o per i fondi europei, omicidi eccellenti che non fanno notizia, talpe nelle istituzioni .. questo libro è un buon inizio.
Ma non è l'unico pregio: vi è una profonda onestà che emerge dalle pagine. L'autore racconta anche storie in cui è la giustizia ad aver perso: come nei tanto casi in cui da Procuratore della Repubblica si è visto costretto a chiedere l'archiviazione di casi di omicidio. Casi in cui magari si sapeva il nome dell'assassino o degli assassini, ma senza altre prove, si era costretti ad mettere via.
Tanti sono i motivi per cui la criminalità governa e prospera, in queste zone.
Il magistrato si ritrova a chiedersi come mai il miglior reparto della scientifica sta a Parma, mentre in quelle zone non vi è nulla di analogo.
Come mai le carneficine, i morti in pieno paese (come l'omicidio di Pasquale Correale), non fanno notizia sui quotidiani nazionali, se non poche righe in cronaca locale.
Omertà, terrore, rassegnazione in un destino già scritto e che non cambierà mai, di diritti sanciti dalla Costituzione ma che non sono garantiti.
Non è solo la lupara della ndrangheta il nemico della giustizia (e dunque dello stato) in queste zone d'Italia: è tutto un sistema, contro cui spesso, nell'animo dell'inquirente nasce un senso di scoramento.
"La repressione penale interviene quando in un mondo fatto di regole qualcuno le viola e viene punito per questo. Ma se tutto il mondo è al contrario e si regge su regole diverse, se sono le regole stesse a essere illecite, se tutto si muove intorno a blocchi di potere così forti da sostituirsi a quelli ufficiali, allora cambia tutto. In un mondo così inquinato si rischia di perdere la testa. Può trattarsi dei braccianti agricoli, della massoneria o della 'ndrangheta, la questione è identica. Ci si può convincere di essere un eroe, di essere l'unico che può capovolgere il mondo e rimetterlo nel verso giusto. Oppure si può vivere una tale frustrazione, per l'impossibilità di processare fatti così complessi, da deprimersi. Io quasi mai ho avuto la sensazione di essere un eroe e più facilmente mi sono depresso".
Storia di un giudice pagina 153
Le ultime righe riportate, danno la risposta parziale alla domanda delle domande: cosa serve per combattere la 'ndrangheta? Non serve nulla, se non capovolgere il sistema, togliere i poteri che controllano la regione (che siano poteri criminali o altro). Applicare le leggi.
Iniziare a pensare che anche quella è roba nostra, che anche quella guerra è una guerra che ci coinvolge.
Di certo, non servono eroi.
La scheda sul sito di einaudi.
La recensione su Milanonera.
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Technorati: Francesco Cascini
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Mi raccomando, siate umani