02 maggio 2010

Piazza Fontana, noi sapevamo

3 giornalisti partono per il Sudafrica, ad intervistare l'ex generale Gian Adelio Maletti, responsabile dell'Ufficio D del Sid, il Servizio informazioni della difesa dal 1971 al 1975.
Il generale, dopo le condanne per i depistaggi nel processo di Piazza Fontana (la fuga di Pozzan e Giannettini) e per la sottrazione del dossier Mi.Fo.Biali, si è rifugiato prima in sudamerica e poi in Sudafrica.

L'intervista al generale ha lo scopo di chiedere ad un testimone degli anni della strategia della tensione (vissuti in prima persona e molto da vicino), di tutti gli spetti mai chiariti delle stragi.
Chi le ha organizzate, chi sapeva, chi ha coperto e, soprattutto, perchè.
Dopo una partenza un pò in sordina in cui i tre, per scaldare il terreno, ripercorrono la sua carriera, quella del padre (anche lui militare nella campagna africana), si entra subito nel vivo.
E il generale inizia a ricordare.
12 dicembre 1969, la bomba nella Piazza dell'Agricoltura di Milano: la strage di Piazza Fontana.
L'esplosivo sarebbe arrivato dalla Germania, da un deposito americano, e lasciato in un deposito a disposizione della cellula neofascista di Ordine Nuovo veneta.
Il commando era composto da 4 persone, 2 +2.
I servizi erano a conoscenza delle trame stragiste. La Cia era a conoscenza delle bombe, dei movimenti dei gruppi neofascisti (le bombe dell'estate del 1969). Lo sapeva anche Nixon, e anche esponenti politici italiani: Saragat, Andreotti e perfino qualche politico sopravvissuto fino ai nostri giorni.
Ci fu il probabile coinvolgimento dell'Ufficio Affari Riservati di Federico Umberto D'Amato, probabile spione della Cia.
Il Sid era a conoscenza della strategia e non collaborò affatto con la magistratura: si applicò per coprire, per proteggere le fonti, per far sparire testimoni e depositi (di armi) compromettenti.
In preda alla perenne paura dello sfondamento dei comunisti, i servizi nostrani si applicarono nel contrasto alle forze di sinistra, ai movimenti, avvalorando le piste che portavano a sinistra per le bombe.
Una democrazia a sovranità limitata.

Il generale cerca di ricordare quando può e quando vuole: è uno dei pochi testimoni ancora in vita (con una condanna sulle spalle) e dalle risposte date si capisce che non intende oltrepassare in limite nelle rivelazioni.
Piazza Fontana, il golpe Borghese, la bomba alla Questura di Milano, la strage di piazza della Loggia, l'Italicus.
L'ombra dei servizi americani, quella altrettanto inquietante della loggia P2.

"A distanza di quarant'anni, però, possiamo dire almeno questo: il Sid favorì, anche economicamente, tre personaggi, Casalini, Giannettini e Pozzan, che sapeva essere coinvolti nella strage di Piazza Fontana. E' il minimo. Lei è d'accordo generale?

No, assolutamente no. Ne abbiamo già parlato: questo non mi convince.

Eppure è quello che emerge dai fatti. Non ci sono scappatoie.

A questo punto, vi ripeto: voi siete giudici o giornalisti?

Questa è un'intervista, generale.

No, voi ora mi state accusando. Ma cosa ne sapevate, voi, di quello che io potevo o dovevo fare, quarant'anni fa? Voi, oggi, vi state comportando da giudici.

Ma i giornalisti devono fare le domande, generale. E' questo il problema."

C'è ancora qualcuno che può spiegare, che può mettere in fila i fatti, che potrebbe permettere dopo quarant'anni, di avere giustizia.

Dalla prefazione di Paolo Biondani:

La notizia più bella, a questo punto, è che nell’Italia di oggi ci sono tre giovani giornalisti di straordinario talento che hanno ancora voglia di scavare nei segreti di Stato, di studiare montagne di atti processuali e di affrontare viaggi e rischi di una missione in Sudafrica per interrogare, più che intervistare, il generale Maletti. Per capire le sue parole, i suoi silenzi, le sue allusioni, forse basta riprendere in mano la relazione finale della storica commissione parlamentare d’inchiesta, presieduta da Tina Anselmi, sulla loggia massonica segreta Propaganda 2, per gli amici P2. Una sintesi straordinaria di un lavoro esemplare, ovviamente screditato da chi ha opposti interessi: un documento di poco più di cento pagine che spiega con chiarezza che le due vite della loggia filo-atlantica rappresentata da Licio Gelli, poi condannato come bancarottiere del crac Ambrosiano e depistatore della strage di Bologna. A farla breve, nel quinquennio 1969-74, gli anni delle stragi, nella P2 entrano soprattutto le gerarchie militari, riunite nel segno dell’autoritarismo e del golpismo, mentre la loggia di Gelli finanzia segretamente i terroristi di destra. Poi cambia lo scenario internazionale: negli Stati Uniti lo scandalo Watergate abbatte il presidente Nixon, innescando un effetto domino che in Grecia, per esempio, fa cadere il regime dei colonnelli. Mentre in Italia i terroristi rossi cominciano a uccidere, per cui la destra eversiva non ha più bisogno di mettere le bombe per spaventare gli elettori di centro e criminalizzare l’opposizione di sinistra.

Fatto sta che nel 1976 anche la P2 cambia linea. Basta eversione, ora si reclutano banchieri, imprenditori, finanzieri, politici, funzionari, giornalisti e magistrati, per un nuovo progetto sintetizzato nel cosiddetto “piano di rinascita democratica”: una specie di golpe bianco, che prevede di conquistare le istituzioni e svuotare la democrazia dall’interno, senza violenza visibile. Per cambiare un’Italia che votava sempre più sinistra, per esempio, la ricetta era di cambiare la cultura popolare importando il modello americano della tv commerciale: parola d’ordine, «dissolvere il monopolio pubblico televisivo in nome della libertà d’antenna».

Perché continuare a scavare nei segreti di piazza Fontana? Perché insistere ancora oggi a fare domande ai vecchi protagonisti della strategia della tensione? Forse perché in Italia hanno vinto loro.»

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