Un racconto in un film, quello di Giorgio Diritti, che lascia alla fine la sensazione di aver assistito ad una favola: una favola come quelle che si raccontavano una volta, con gli orchi e i buoni.
Un racconto dei nove mesi di vita al tempo della guerra, di una comunità in un borgo sulle colline di Bologna.
Sulle pendici del Monte Sole, dove inizialmente la guerra è percepita come qualcosa di lontano, che porta bombardamenti e miseria.
Per poi arrivare a toccare atrocemente la vita quotidiana: con i rastrellamenti e le rappresaglie contro i "banditi".
Qui, tra il 28 e il 5 ottobre settembre 1944, le SS della divisione assassina compirono uno dei più feroci atti di barbarie.
La strage di Marzabotto. Non fu un atto di guerra, ma solo un massacro frutto della ferocia, della barbarie, quanto di più lontano esiste dalla vita.
Ma tutto questo viene visto con gli occhi di una bambina, Martina, un pò estranea dal corpo della comunità, perchè muta, dopo la morte del fratellino. Il suo essere muta accentua allora la sua capacità di osservazione del mondo degli adulti. Come il padre e la madre, che ora aspettano un altro bimbo.
Adulti che parlano, in tutto il film, in dialetto stretto. Come i tedeschi, pure loro parlano in una lingua, gutturale, ostile, che non può essere compresa.
Sarà lei, Martina, la bambina muta che, in mezzo al massacro, salverà il bambino nascondendolo dai soldati che uccidono donne e bambini indiscriminatamente. E' lui, l'uomo che verrà e a cui deve essere nascosta la violenza del mondo.
Per lui, e per tutti morti, che si deve fari sì che mai più una Marzabotto.
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