05 gennaio 2011

A ciascuno il suo - di Elio Petri

A ciasuno il suo è un film di Elio Petri, tratto dal romanzo di Leonardo Sciascia.

Il film parla di un doppio delitto, il farmacista Manno e il dottore Roscio, registrato come delitto per motivi passionali (la passione per le donne del farmacista, che aveva ricevuto per questo delle lettere anonime di minaccia). Ma il professore Laurana, amico di entrambi, inizia una sua personale indagine: le lettere minatorie sono scritte con pezzi dell'Osservatore Romano, le persone accusate sono analfabeti.

Inoltre, un amico comune col dottor Roscio, onorevole del partito comunista, gli parla di un incontro avuto a Roma, in cui Roscio gli aveva parlato di un notabile del paese che faceva il bello e il cattivo tempo, su cui aveva raccolto una documentazione.

Significativo lo scambio di battute,che chiude l'incontro tra Laurana e un suo ex compagno, deputato del pci:
"Ma tu voti ancora per il partito?"
"Si ma mi diventa ogni giorno più difficile".
"Tu [rivolto a Laurana] sei rimasto indietro!"
"E tu sei avanti!".


Laurana, che fino a quel momento aveva vissuto lontano dall'aria di paese (le comari, i notabili ..) si scontra con un clima di ipocrisie e di omertà. Il farmacista se l'era cercata, la moglie brutta era pure permalosa, il dottor Roscio c'è andato di mezzo. Pace e amen ..

Nel film si riscontrano embrambi gli elementi costitutivi della cultura mafiosa, di cui parla Nando dalla Chiesa nel suo libro La convergenza.
La prevalenza del cretino:
"l'avvocato Rosello, un cretino non privo di astuzia .. che per una carica passerebbe sopra il cadavere della madre". Dal colloquio di Laurana col parroco di S. Anna.
E' l'avvocato Rosello il notabile cui si riferiva Roscio? Cugino della moglie del dottore, Luisa, di cui persino il dottore di invaghisce?
" ... professore ma lei dove vive, come mai non sa queste cose? Il tempo dei poeti con la testa tra le nuvole è finito" lo ammonisce alla fine.

Non è tempo di poeti, nè di eroi solitari, come sperimenterà putroppo alla fine Laurana stesso.

Il bue di Teofrasto.
Alla fine, della morte di Roscio, e della fine del professore Laurana, nessuno è colpevole,
tutti hanno una propria giustificazione. Non è colpevole il deputato comunista che non collega la denuncia di Roscio fattagli a Roma ("era piena di morbosità") alla sua morte, e non la collegherà poi con la scomparsa del professore.
Non è colpevole l'avvocato Rosello, nè Luisa sua moglie, che sa degli intrighi del cugino.
Non sono colpevoli nemmeno gli amici del circolo frequentato dalla borghesia del paese (il notaio, il colonnello in pensione, l'avvocato). Che alla fine commentano così la fine di Laurana "era un cretino".

Tutti sanno e tutti tacciono. E il trionfo finale, il capolavoro, il matrimonio tra i due cugini con la benedizione dell'arciprete, suggella il nuovo ordine.

Tutta l'amarezza del libro emerge in questo finale: con la processione delle macchine del matrimonio tra il notabile intrallazista e mafioso (l'avvocato Rosello) e Luisa. Processione che è preceduta da un carro funebre (che rappresenta la morte del povero Laurana, "il cretino"); ad un certo punto il carro funebre va in una direzione e le macchine del matrimonio verso la chiesa.

Il matrimonio sarà celebrato, in pompa magna dallo zio arciprete in persona, di fronte a tutta la popolazione, che guarda e commenta alle spalle. In quella scena c'è tutto il rapporto oscuro, ipocrita, tra i poteri in Sicilia: la chiesa, la DC e la classe dirigente dell'isola.


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